Hogwarts era un continuo cambiamento: per quanto i quadri continuassero a sbuffare e a parlare male del tuo vestiario, per quanto strano restasse trapassare un fantasma e sentire il cuore gelarsi, non erano le pareti a fare il luogo, erano le persone. Quel posto era diverso da qualsiasi altro, intriso di una magia che andava oltre gli incantesimi, oltre la storia da studiare a memoria. Mary lo sapeva, era legata a quel luogo in un modo che neanche lei conosceva, era casa sua più di qualsiasi altro luogo, perchè solo lì aveva delle persone importanti accanto. Persone che, in quell'ultimo ed ennessimo straziante periodo, non si era minimamente disturbata a contattare. Ancora una volta non rispettava i suoi doveri d'amica e si era resa introvabile per tutti, neanche fosse nascosta nella Stanza delle Necessità, no neanche lì, non si era messa in contatto neanche con l'esercito. Era mattina, una calda e quasi soffocante mattina. Gli uccelli avevano smesso di cinguettare circa un'ora prima ed era per lei la prima volta che non si svegliasse presto: era abituata ormai a correre la mattina, non lo faceva neanche più coscientemente, solamente le sue gambe partivano e basta. Quella volta però no, sapeva fin dal principio che sarebbe stata una giornata diversa, non migliore o peggiore, solo diversa. Sbadigliò con forza, si stiracchiò sul letto ed infine cercò con gli occhi ancora pieni di sonno gli occhiali sul comodino alla destra del letto. Sul comodino vi era anche la bacchetta, una manciata di mangime per gufi, qualche gelatina tuttigusti +1 ed un vecchio libro del primo anno. Non sapeva perchè la sera prima le erano venuta voglia di leggere quel vecchio libro di incantesimi, infondo li conosceva già tutti, o almeno era quello il presupposto. Inforcò gli occhiali con forza, poi si iniziò a vestire. Non si era mai sentita davvero così assonnata e stanca ed era strano per lei, solitamente era piena di energie. Sbadigliò ancora una volta prima di scendere in sala comune per dirigersi poi nella sala grande per la colazione. L'arrivo nella sua sala era annunciato dal solito chiacchiericcio stanco della mattina e dagli schiamazzi delle ragazzine del primo anno che passavano le loro giornate a fissare i ragazzi del quinto e sesto anno; lei non ricordava di essere così. Certo, come ogni ragazzina fantasticava sul suo principe azzurro, o magari principessa, ma non si ricordava di essere mai stata così ridicola, o forse lo era. Le sorpasso con fretta ed uscì dalla sala. Si girò per dare il suo cordiale "bungiorno" alla Signora Grassa ed iniziò a scendere i gradini. Ogni quattro ne doveva saltare uno, uno scalino abituato a scomparire nei momenti meno opportuni, anche se in realtà scompariva sempre. Era un'abitudine per lei saltare, tanto quanto lo era trovare qualche studente incastrato. La sala grande si presentava sempre nel suo magnifico splendore e affamata consumò la sua colazione in modo incredibilmente veloce: le uova scomparirono per ben due volte dal suo piatto e finì praticamente da sola due bottiglie di succo al lampone. Era abbastanza triste, pensandosi un pò, rendersi conto per lei di aver parlato soltanto con un fantasma (l'aveva trapassata e si era solo disturbato di chiederle scusa) e con la signora Grassa. Tuttavia al tavolo dei Grifondoro vi erano solo studenti con cui, nel modo più assoluto, non aveva mai scambiato una vera chiacchierata e, col tempo, era divenuto sempre più difficile per lei fare conoscenza. Lasciò in fretta la sala ed iniziò a girovagare per i corridoi senza meta: salire e scendere le scale, scoprire quale si dovesse saltare o su quale si dovesse attendere per più di cinque secondi per far comparire il resto dei gradini era divertente e, tra saltelli e attese, arrivò al quinto piano. Non sapeva come, non sapeva perchè, ma in un modo o nell'altro il destino la portava sempre dinanzi alla porta della Preside, nonchè capocasa della sua Casata, Persefone. Come tutti, con poco tatto, Mary aveva lasciato anche lei. Rimase lì, in piedi nel corridoio, a metà tra una delle pareti a cui era appeso un quadro particolarmente maleducato, e la finestra che si affacciava sul giardino. Facile la scelta: si spinse verso la finestra e l'aprì. Per la prima volta quel giorno abbassò lo sguardo su se stessa: indossava delle scarpe da ginnastica vecchie, jeans scuri e stretti e una maglia blu notte con una scritta sbiadita sulla schiena, era impossibile capire cos'era, tanto meno per Mary ricordarselo, infine la bacchetta nella tasca destra dei jeans, bucata di proposito; i capelli erano sciolti, come sempre, e gli occhiali neri coprivano gli occhi di un azzurro cielo, l'unica cosa di lei che davvero le piaceva. Sì, perchè di certo non poteva vantarsi di un carattere fantastico, o di abilità mitiche, l'unica cosa di cui poteva vantarsi lei erano i suoi occhi e, in fin dei conti neanche tanto dato che aveva visto occhi più belli, più grandi, più luminosi. Appoggiò i gomiti sul davanzale della finestra e alzò la testa in direzione del cielo: qualche nuvola qua e la. Per la prima volta non vi leggeva nessuna figura, erano solo nuvole, fiocchi bianchi nell'azzurro. Era sbagliato non vedere niente?
Chissà di cosa sanno le nuvole.