La città del Sole., Privata.

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view post Posted on 2/2/2014, 16:35
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«Dialoghi»

Il tempo stava finendo. Ormai aveva fatto ciò che doveva; aveva conosciuto, vissuto, sofferto, piano, combattuto. L'ultimo anno di quei 7, si stava rivelando per lui essere difficile come non mai; chi l'avrebbe mai detto che proprio lui, Raven, avrebbe tanto sofferto quell'aria di addio alla scuola che sentiva e percepiva in sé e fuori da sé? I MAGO erano vicini. Il futuro era incerto. Arya era scomparsa. L'unica cosa che lo rallegrava, era la sempr eterna presenza della sua bacchetta, lì,nella sua tasca dei pantaloni, colei che sempre lo aveva salvato da situazioni difficili e dalla morte certa.
A parlare poco, un po' li dispiaceva di lasciare la scuola: vi aveva conosciuto persone, volti, amori. Nella sua memoria e nel suo spirito da sempre vi erano sensazioni strane, quelle immagini non sarebbero mai sparite dalla sua mente nel nulla; erano delle lontane sensazioni a lui molto care e stimate.
Ancora, a dir la verità, si ricordava i suoi primi giorni: le prime partite a Quidditch, le prime vittorie, i primi duelli. Sì, quelle emozioni, quei ricordi, quelle atmosfere, le paure e i disastri, tutto ciò aveva realmente percepito, vissuto e sofferto. Era cresciuto molto, sul piano magico. Aveva dimostrato molto, e comprendeva benissimo che altrettanto avrebbe ancora dovuto dimostrare. Aveva un'ideale, e quell'ideale lo soffriva, ci combatteva, andava in avanti e mai indietro. Ogni passo per lui era una fatica, ma era proprio ciò a temprarlo nell'animo e nello spirito, a renderlo forte e permetterne la crescita. Cosa avrebbe fatto senza di quello? Ove sarebbe giunto, se avesse vissuto una vita mediocre, disperso tra piaceri futili e materiali, e uno studio inutile? No. Sapeva che così non poteva essere, sapeva che ciò no doveva e non poteva esistere. Aveva fatto le giuste conclusioni tempo addietro; aveva scelto la giusta strada.
Si ricordava ancora di come, tempo e tempo prima, dovette abbandonare un mondo per concentrarsi su un altro. Si ricordava di come veniva invaso dalle paure di quel tempo, dai stupidi sguardi di quei babbani inutili, e di come superava gli ostacoli, che il Fato, il Destino o quel che è gli metteva davanti. La vita tutta, era per lui nient'altro che una Via, un allenamento forzato, o combatti, o sappi, e se scegli di combattere, ti perfezioni, vai oltre, sarai un altro.
E lì, Raven che stava a osservare le cime innevate sugli alberi, era decisamente cambiato. Un altro Raven... un Raven irriconoscibile rispetto a quello che un giorno era, e che un giorno faceva a pugni con stupidi babbani pur di difendere il suo fratello. Quei 9 anni gli avevano permesso di accedere agli ultimi materiali della forza, avete conoscenze sugli atomi e sugli elementi; semplicemente giungere oltre. Quei anni lo avevano trasformato dalla preda al predatore, e la corsa non era ancora finita. Anzi! Per lui non era, forse, nemmeno iniziata.
Il panorama innevato che Raven guardava oltre la finesta, gli portava nell'animo una condizione depressiva incredibile. Fra qualche giorno sarebbe iniziato l'esame MAGO; fra qualche giorno avrebbe dovuto lasciare quelle mura per sempre, per concentrarsi su altro. Era pronto, questo lo sapeva. Era da sempre pronto. Era pronto anche quando, 9 anni addietro, il Cappello Parlante si abbassò sulla sua testa, esitò un po', e quindi esclamò "Corvonero", quasi il ragazzo se lo aspettasse. Da quando ne sapeva, suo Padre era stato un Grifondoro a suo tempo, motivo per cui quella scelta del Cappello gli parve essere alquanto azzardata.
Con un gesto del capo, Raven cercò di eliminare quella nostalgia, quei ricordi per i vecchi bei tempi passati dalla sua testa. Ora vi era un futuro a cui rispondere; avrebbe dovuto prestare attenzione, concentrarsi, far sì che il Fato lo cogliesse sempre con il sorriso sulle labbra, sempre degno e forte. L'età adulta non portava solo diritti in più. Essa portava sopratutto dei doveri in più. Doveri verso la comunità magica, verso quel mondo nascosto oltre il Velo, infine anche verso sé stesso, seppur egli era ancora soltanto un piccolo mago appena ventenne.
Il lavoro che gli si prospettava dinnanzi appariva minaccioso, sullo sfondo di quelle colline bianche, di quei alberi bianchi, le cui cime innevate brillavano sotto la luce del sole, riflettendola. Un po' si vide in quella metafora, in quella visione: sarebbe mai riuscito, egli a risplendere di luce propria, come un astro? O sarebbe sempre stato una marionetta delle Idee più forti, un pedone sacrificabile per di giungere all'Idea di un mondo magico depurato dall'invasione di soggetti ed elementi esterni? Gira e rigira si tornava sempre li, nelle mente del ragazzo. Si tornava sempre a pensare a quel mondo, tornava sempre ai suoi calcoli, alle sue idee. In tutto quello, Hogwarts appariva essere un elemento non trascurabile; un elemento che avrebbe dovuto rimanere sotto il controllo dell'Oscurità,in un modo o in un tutt'altro modo. Sì, avrebbe dovuto conquistare quel tassello; avrebbe dovuto fare ciò, che molti anni addietro Salazar non aveva fatto, e doveva ormai estendere la sua opera a tutto il mondo magico, portandoli la propria opera. Sì, era quello ad essere importante: la sua Opera. Quella che avrebbe dovuto estendere oltre i confini. Una proficua oopera di Bene Ultimo, estesa a tutto il Mondo, Galassia, Universo!
Strinse i pugni. Gli uomini saggi dicevano che la materia può essere piegata, sconfitta, misurata, deplorata, distrutta solo se le viene posto contro un'Idea di portata gigantesca, idea pura e ultima. Idea d'Amore! Idea di coraggio... Sì, quei pensieri, quelle idee, quelle azioni, quei mestieri, quelle conoscenze, gli incantesimi e le pozioni che aveva imparato, il sangue freddo. Tutto sé stesso, in una parola sola, avrebbe messo contro quel mondo, dichiarandogli guerra in tutto e per tutto, una guerra totale e senza fine.
"Il mondo nuovo! Sulle rovine del mondo vecchio!"
Quando era ancora nel mondo babbano, quando il velo bianco non trasparente era ancora al suo posto, a 7 anni il cittadino magico e futuro studente Corvonero, lesse un libro che gli piacque molto. Parlava di come fosse illogico e insensato il mondo, e raccontava di come si poteva costruire dalle ruine di quel mondo, un mondo nuovo, fatto di logica e spirito. Quelle parole, seppur stampate su carta, gli erano penetrate dentro come un fuoco; era poi un'Idea che in lui bruciava, accendendosi sempre più forte, e spegnendosi di volta in volta, lasciando spazio alla rassegnazione.
No! Non poteva farlo. Lo capiva. Non poteva arrendersi. Doveva raggiungere l'apoteosi; trasformarsi, essere Idea, essere Spirito. Doveva giungere làddove altri fallivano. Provare tutto, conoscere tutto e soffrire tutto! Le giovani generazioni di maghi puri, dovevano seguire il suo esempio, dovevano evolversi, diventare super-maghi, andare oltre togliend anch'essi il loro piccolo velo.
Con un braccio, il ragazzo si appoggiò al vetro della finestra, quasi come se stesse per cadere. La mano si stirnse in pugno; il volto in una piccola smorfia. Venti anni, e rimaneva ancora lì. Venti anni, e respirava ancora quella dannata aria, infestata dai parassiti. Tutto ciò era ormai noioso, e seppur nostalgico, una nuova vita sarebbe iniziata dopo i MAGO, una vita diversa, più pericolosa, e con ciò più difficile da perseguire. Ma sarebbe stata una Via di quelle che gli avrebbe reso gli omaggi, una volta che Raven Shinretsu su fosse trovato in vetta.
Era un sogno, che avrebbe realizzato. E il primo passo per realizzarlo, stava proprio nel rimanere a Hogwarts.
Sì. Finiti i MAGO, avrebbe di nuovo salito le scalinate, presentandosi dalla Preside. Poi, forse, avrebbe chiesto di diventare un Docente, precisamente quello di Volo.
Quindi, sarebbe stato l'inizio della sua arrampiccata ai vertici di ogni gerarchia sociale e non.
Di scattò, sentì dei lontani passi in quel corridoio al 5° piano, che minuti prima scelse proprio perché non vi era nessuno. La solitudine era per lui spesso la migliore amica, che dava i migliori consigli. Poi però c'erano anche i saggi studenti con un buon sangue, e perché no? Iniziare la sua opera da adulto già quel giorno, poteva essere il primo passo della corsa, seppur conveniva ancora rifletterci su, e rifletterci su per molto.

«C'è qualcuno...?»

Chiese, quasi come se si stesse rivolgendo a sé stesso, parlando da solo. Che importava, del resto, se era solo? Della compagnia, era comunque e sempre ben gradita.
La sua mano rimase poggiata sul vetro; l'altra, stesa lungo il mantello, su cui figurava, ancora per poco, lo stemma Corvonero.

 
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view post Posted on 3/2/2014, 11:31
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Quella giornata non faceva né troppo freddo né troppo caldo. Era una di quelle giornate che Cassia odiava, una di quelle giornate in cui il mal d testa era d'obbligo. Si maledisse per aver saltato due anni di scuola. Avrebbe di sicuro trovato un rimedio. Ma la sua missione era ben importante e lei lo sapeva bene. Quel pomeriggio aveva assolutamente bisogno di pensare. Non importava dove si sarebbe rifugiata, doveva allontanarsi per qualche ora dalla sua sala comune, così accogliente ma così asfissiante per certi veri. In alto. Voleva andare più in alto che poteva. Voleva guardare il mondo dall'alto per sentirsi ancora più forte, come se la foresta proibita o il lago, rimpicciolendosi, si spaventassero al suo cospetto. Decisa uscì dalla camera e si incamminò. La Torre di Divinazione fu la sua scelta.

Liberare la mente non sarebbe stato poi così facile. Da tempo ormai non faceva altro che pensare a tutto quello che era successo in quei due anni, non faceva altro che pensare a ciò che sarebbe successo in futuro. Cassia ormai non pensava più a vivere il presente. L'unica cosa che le importava era lo sterminio della sua famiglia. E cosa avrebbe fatto dopo? Sarebbe stata soddisfatta comunque? Probabilmente no, si disse. Aveva una sete di vendetta che pian piano si stava trasformando nella voglia di supremazia. Avrebbe dovuto uccidere tutti...
*3. Il Cappello Parlante aveva alzato troppo il gomito e ha sbagliato lo smistamento? Ti diamo due scelte, diventare un Serpeverde o diventare l’elfo domestico di qualche Serpeverde.* Era questo che era ben affisso nella mente della giovane Serpeverde che aveva imparato appena era entrata. Ma bastava? Non voleva soltanto che la maggior parte delle persone diventassero elfi domestici, voleva che loro soffrissero. Salendo le scale si accorse che le stavano giocando uno dei loro soliti scherzi. Stavano cambiando direzione. Ebbene si trovò al quinto piano. Non era riuscita a raggiungere la cima. Che fosse un segno? Forse stava sbagliando. Forse non era quella la sua strada. Davvero voleva che il sangue fosse l'unica fonte di soddisfazione per la ragazza? Dal quinto piano la prospettiva sarebbe cambiata, il lago sarebbe stato più grande del previsto e anche gli studenti sarebbero apparsi più grandi di quello che voleva si aspettasse. Cassia sospirò, sarebbe stato il caso ridimensionare anche i suoi piani. Stava diventando troppo cinica e quel connubio tra eleganza e delicatezza, e forza e distruzione, a tratti spaventava anche lei. Era ancora troppo acerba, era ovvio.
Ad un tratto i suoi pensieri furono distratti da una figura. Un ragazzo per la precisione. Era posizionato diversi passi avanti, ma il clima che donava semplicemente luce fioca, non facilitava il compito di riconoscimento. Si avvicinò pian pianino, sorridendo all'idea che anche quella volta non era riuscita a costruire un piano decente, vuoi per il fato, vuoi perché non si sentiva ancora pronta.

«C'è qualcuno...?»
La voce di quel ragazzo riecheggiò per tutto il corridoio. Cassia continuò a camminare, dunque...
- Salve.
Riuscì a dire solo questo. Era ad un paio di metri dal ragazzo. Aveva dei tratti singolari. Cassia non riusciva a capire se provava soggezione a causa dell'età - avevano sicuramente cinque, sei se non sette anni di differenza -, o dalla sua espressione così grave e poco rilassata. Cercò di mantenere un'espressione naturale. Braccia lungo il corpo. Schiena eretta e piedi chiusi.


Edited by Cassia Cavendish™ - 3/2/2014, 12:09
 
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view post Posted on 10/2/2014, 21:55
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Il silenzio, si sa, è da sempre uno dei migliori amici di ogni uomo pensante. Strano a dirsi, ma andando avanti sulla strada della propria vita, ci si accorgeva che il silenzio, ahimé, era uno dei migliori amici anche delle persone non, o poco, pensanti. Il vuoto, la non-esistenza delle voci altrui o delle parole altrui, le intenzioni dei quali erano spesso dei lontani frusciì al vento invernale, avevano fatto balzare il corvo in uno stato che adorava, e che definiva semplicemente come un "monologo con sé stessi". Erano dei momenti in cui egli poteva calcolare, ricordare, immaginare, pianificare, raccogliere ciò che aveva seminato, insomma. Dunque, dall'alto -basso dei suoi – tanti, e come non ammetterlo? - ben venti anni, aveva imparato ad apprezzare quei momenti di solitudine come se fossero oro. No! Non erano dei momenti, istanti, pensieri pensieri. Tutt'altro. Per lui – come anche per chi scrive -, quei momenti erano tutt'altro che noiosi, ma piuttosto... "fruttuosi". Non erano forse proprio durante quei momenti che, passo dopo passo, era giunto ove ora si trovava, dinnanzi all'orizzonte dei MAGO e delle grandi prospettive future? In quei momenti, con lo sguardo perduto oltre il vetro, capiva di essere cresciuto, maturato, diventato adulto. Le parole, che nei primi anni di Hogwarts sopratutto, mandava a destra e a manca, vantandosi di come esse potessero essere taglienti e feroci, ora gli apparivano una noia senza precedenti; una noia abissale o un abisso di noia, a seconda del punto di vista, ovviamente. Perché dunque parlare, se poteva sentire?.. Perché aprir la bocca, qualora gli era dato percepire? Non dovette nemmeno aguzzare l'udito, o rendersi ancora più silenzioso, per capire che in quel corridoio non era più solo; che il suo velo di solitudine si era ormai smosso, quello no, quello lo aveva già capito da prima. Era un'altra presenza, non tanto vista o udita, quanto percepita che lo aveva definitivamente tirato dal baratro dei suoi pensieri – questi, ahimé, anche di natura filosofica -, facendolo ritornare di colpo nel triste e griggio mondo, che Raven Shinretsu definiva come "Mondo Reale", su cui ancora rimaneva il velo.
Pur un po' dispiaciuto per essere tornato dall'altro mondo a mondo questo, Raven si girò pian-pianino ancor prima che la nuova – e, ovviamente, benvenuta -, arrivata potesse salutarlo, con fare che gli parve essere un po' spaventato e un po' timido. Del resto, la figura che ora sorgeva dinnanzi a lui, era spaventata e timida, o soltanto gli sembrava che lo fosse? Questo certamente non so dirlo, perché nemmeno Raven lo capì. Soltanto la vide lì, per un attimo si chiese cosa vi facesse, da dove era arrivata, guardasse il logo sul petto – di tutto rispetto questo, di tutto rispetto -, e mostrasse sulle sue labbra un lieve sorriso. Un sorriso né tanto voluto, né tanto forzato, quanto può essere sorriso di un unico significato: visita inaspettata o presenza comparsa. Difficile descrivere quel sorriso per come fossa o da cosa fosse provato; semplicemente era, semplicemente era comparso e questo è, ed essere dovrebbe, abbastanza.
In ogni caso, dopo il sorriso – che non tardò a scomparire -, Raven rispose al saluto della giovane ragazza con un cenno del capo, e con un secco:

Salve.

Quindi, con le mani in tasca - queste le aveva staccate dalla finestra poco prima, mettendole "al caldo" -, volle quasi chiedere alla giovane arrivata chi fosse, perché fosse li, da dove venisse, se avvese il sangue puro (bhe, questo ultimo punto poteva anche evitarlo, tanto si vedeva e si sentiva...), e quanto fossero pure le origini. Decise perciò di mancare a quei convenevoli.

Ha un bel stemma sul petto.

Disse serio. Come del resto non asserire, seppur a un talmente misero, dettaglio?.. Amava vedere quel logo sulle divise scolastiche, quasi quanto il suo proprio.
Dunque, mani in tasca, occhi dallo sguardo pesante e forse stanco puntato in avanti, in attesa delle azioni di quella, di molto più piccola, ragazza.
 
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view post Posted on 4/3/2014, 12:20
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Salve.
Il ragazzo notò la sua presenza e Cassia non ci mise molto a capire che i due si erano trovati al posto sbagliato al momento sbagliato. Entrambi avevano voglia di starsene a pensare in un luogo poco frequentato e silenzioso. Purtroppo il fato aveva fatto sì che ciò non accadesse. Un po' seccata, più per la sensazione di impotenza che la invase di lì a qualche secondo che per la presenza dello sconosciuto, mantenne una aria regale senza un minimo di alterazione dell'espressione del viso.
Si avvicinò leggermente e notò il suo stemma. Corvonero. Doveva essere del sesto o del settimo anno, visto l'età (e vista l'altezza). Gli sembrava di averlo già visto da qualche parte anche se non ne era sicura. Quei tratti così particolari...
Ma forse si stava sbagliando.

Ha un bel stemma sul petto.
La sua voce così pacata e seria la metteva a disagio. Non si scompose tuttavia non riusciva a capire da dove provenisse quella sensazione. Era una Cavendish e l'ultima cosa di cui aveva avuto paura fu che il padre si svegliasse prima che Cassia lo avesse finito. Purtroppo, doveva ammettere a sé stessa, la freddezza non aveva ancora del tutto raggelato il suo cuore. Purtroppo continuava a provare delle emozioni.
Decise così che la persona che gli stava di fronte, gli avrebbe fatto da cavia. Sarebbe stata la prova definitiva.
*Avanti Cassia, non dirmi che sei una che si lascia prendere dall'imbarazzo, dalla paura o dalla benevolenza. Sei patetica!*
Si accorse solo in quel momento che aveva il capo chinato leggermente verso il basso. Lo alzò di colpo. La vecchia e piccola Cassia, doveva morire. Subito!

- Concordo a pieno con lei.
Sorrise. Ma il suo era piuttosto un ghigno. Le parve che la sua voce fosse già cambiata. Più grave, più ferma. Era un buon segno.
Abbozzò un inchino.

- Cassia Cavendish, studentessa al primo anno, Serpeverde. E lei? Lei chi è?
La sua compostezza quasi la spiazzò. Possibile che di botto era cambiata? Lo sperava.
 
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view post Posted on 11/3/2014, 19:51
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Cavendish? Aveva detto... cavendish? Il corvonero rimase a metà tra il sorpreso e l'incuriosito da quelle parole. Bhe, certo: Arya non poteva che avere tante sorelle, cugine, cuginastre e una parte femminile di famiglia bella sana e salva, però come diavolo era che a lui in quel castello capitavano solo le sue parenti? Per ultimo in lui rimase il dubbio di aver sbagliato a sentire: forse non era "cavendish"? Forse era qualcosa tipo "cavelstrom", o "cavelom", o "cavendin"? Certo, tutti cognomi magici della Nord Europa, tutti cognomi possibili e riscontrabili durante il suo piccolo viaggio, eppure aveva proprio sentito la parola "Cavendish". Tra l'altro, sentì pure che era del primo anno, e che era serpeverde. Ecco, non si stupì del fatto che fosse del primo anno – del resto, persino la stessa Arya era giunta a malapena al secondo -, quanto del fatto che fosse proprio una serpeverde. Una serpeverde-Cavendish, un classico ormai. Della lunga (per modo di dire) lista di parenti di Arya, conosceva ormai la Caposcuola Rose, Emily Rose. Era una giovanotta con tutto il carattere di una tipica serpeverde, e forse per questo vicina alla famiglia Cavendish. Nulla da ridire su di essa: un esempio per molti, se non per il mondo magico intero. Ora, poteva anche vantarsi di conoscere l'altra cavendish, la Cassia. Esattamente però, che grado di parentela aveva con Aryadne? Un compito che sarebbe spettato allo stesso Corvonero; obiettivo da scoprire, non tanto con gesti eloquenti delle sopracciglia – eh, e come evitarli, quei gesti, nel dialogo con una donzella? - e delle mani, quanto con l'abile parlare della lingua, cosa questa in cui lo studente dai occhi a mandorla era ben più che capace.
Ordunque, risposto alle domande del giovane, dando così via al dialogo che iniziava, la giovanotta pose delle sue proprie domande. Bhe, "chi è Lei?" era una bella domanda, ma ecco... era difficile trovarne una risposta. Insomma, era Dio. Finita lì. Ogni tanto capita che s'incontri Dio girovagando tra i corridoi di Hogwarts. Può anche capitare che quel Dio si arrabbi – bhe, no, se qualcuno si ricorda un coltello conficcato in una gola alle luci della luna... quello era un semplice caso, niente di ordinario -, o che non sia dell'umore giusto (non di certo come Raven quel giorno, che ormai stava trasformando quel dialogo in un polilogo tra sé-sé e la nuova arrivata). Poi pensò a un altro tipo di risposta: "lei chi è?" - "io sono la nebbia...".Quanto era ancora stupido? E davvero poteva dirsi maturato, soltanto perché giunto all'ultimo degli anni?
«Shinretsu Raven, signorina. Shinretsu Raven. Sono prossimo a svolgere gli esami MAGO, e sono alquanto vicino a un membro della sua famiglia, tale Aryadne Cavendish.»
Magari avrà sentito parlare di lui, o magari no. Chi lo sa? Di certo la sua fama come abile cercatore dei corvonero era ancora presente, come lo circondava ancora l'aura di insconfiggibile duellante. Certo però era che se la ragazza era appena arrivata (e se Arya non gli ha mai parlato del giapponese e delle loro avventure nel campo delle zucche), probabilmente non lo conosceva ancora, né di nome, né di vista. Bhe, ciò era anche logico: voglio vedervi a voi arrivati in un castello ove è rinchiusa tutta la gente strana dell'intera Inghilterra, a fare delle amicizie con gente che si ficca nella testa di essere "magica" soltanto perché agita una bacchetta. Insomma, quella ragazza – bambina, per meglio dire, a giudicare dalla sua bassa statura e dagli anni, questi non più di dodici contati, meritava il rispetto soltanto perché era una Cavendish, figuriamoci poi il suo appartenere ai serpeverde ed essere fondamentamentalmente nuova.
«Deve conoscere Aryadne Cavendish, se è una Cavendish, anche Lei no? In proposito: è lecito chiederLe che grado di parentela avete, qualora ne avete uno?»
Sei un'idiota Raven, buttati. Sì, fallo. Sul serio. Pensi stia scherzando? No. Buttati. E' l'unica possibilità di salvare la tua anima dall'inferno. Buttati di sotto, che un volo di 4 piani e mezzo – perché sì, la distanza tra il 5° e il 4° piano non poteva che considerarsi come un mezzo-piano solo per via delle stupide idee nella stupida testa di Raven -, non potrà che farti bene. Cioé, ma che domande fai? Sarà la sua cugina pure lei, no?
E invece no. Non si buttò. Conficcò le sue iridi nere nella bambina appena arrivata, e la squadrò per un po' – difficile da dire cosa vi vedesse, e quale particolare della sua figura lo attirasse di più (che fosse proprio lo stemma?, o che lo interessaserole proteine dentro il suo corpo? Bho...) -, forse aspettando la sua risposta, forse attendendo che un gatto in fiamme spuntasse da dietro l'angolo, accendesse le pareti del corridoio, un fulmine lo colpisse, e un tornado di vento lo portasse via.
E questo era uno arrivato ai MAGO. Roba da mangiarsi le mani...
Sì, insieme alla bacchetta.
 
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4 replies since 2/2/2014, 16:35   161 views
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