La porta non è una porta., privata

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Aryadne Cavendish
view post Posted on 6/3/2014, 20:07




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Il suo gufo nero aveva volato rapido come saetta, fulmine scagliato dalle mani di Zeus, dritto dritto verso la ragazza dai capelli rossi a cui doveva recapitare un messaggio. La trovò in capo al mondo con le sue emozioni e le sue passioni, da sola o accompagnata (siamo mai davvero accompagnati nel nostro cuore?).
Gettò il biglietto preciso nel suo grembo e proseguì il suo volo emettendo un acuto strillo di soddisfazione, inquietante tanto nel silenzio quanto nel frastuono.



CITAZIONE
" Emily, vieni davanti all'ufficio vuoto del primo piano domani alle 16, devo mostrarti delle cose.
Aryadne. "

La pergamena era piccola e conteneva poche parole, ma chiarissime.
Così, il giorno dopo, Aryadne si fece trovare seduta sulla panchina di legno dall'alto schienale che si trovava al primo piano, proprio davanti all'ufficio che attendeva la venuta di un nuovo professore.
Indossava un abito rosso da strega che faceva a cazzotti con la chioma di fuoco, ma ancora più contrasto lo faceva col suo sguardo: freddo, insensibile, immobile.
Nell'anima, un vero tumulto, un disastro, una guerra. Fuori la tristezza della stanchezza.
Erano giorni che non dormiva, anche da prima della lettera ricevuta da sua nonna materna. Il viso, nascosto da capelli e trucco, pareva distrutto.
SI guardava spesso le mani ormai e ogni tanto apriva il libro che teneva sulle ginocchia per leggerne qualche riga, così, senza capire realmente cosa dicesse, ma solo per accertarsi che fosse sveglia.
La realtà ormai le pareva un sogno, e i sogni vivide realtà, tanto che aveva iniziamo a contarsi insistentemente le dita delle mani quando le sorgeva il dubbio sul dove si trovasse.
Dormiva molto poco e le ore di sonno erano tempestate di incubi.
In tutti gli incubi, il fuoco la faceva da padrona, e lei finiva sempre su un rogo, uno di quelli dove si diceva che le streghe bruciassero (anche se in realtà non succedeva). Nel sogno non era legata, e non vi era legna sotto i suoi piedi scalzi. Non sentiva dolore, né paura, ma la parte razionale di sé stessa la faceva svegliare in preda a palpitazioni quando andava bene, in preda a grida quando andava peggio.
Guardò la pendola poco lontano e la vide scandire i pochi minuti mancanti alle sedici. Stava arrivando, lo sentiva.

 
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view post Posted on 6/3/2014, 21:08
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Seduta sul davanzale di pietra della Torre di Astronomia, Emily Rose lasciava penzolare le esili gambe nel vuoto. Sotto di lei la distesa innevata, la confusione degli studenti che rientravano al Castello per favorire della lauta cena. Sopra di lei, il silenzio dell’universo, la comparsa delle prime stelle, il tramonto che si faceva da parte, cedendo il passo all’incombere della Notte, ornata da bellezza, oscurità e segreti.
Il frusciare di un Gufo in lontananza catturò l’attenzione della giovane Caposcuola. Nulla di nuovo per chi si trovava a quell’alture, nei pressi della Guferia. Eppure quella piccola bestiola nera, veloce come lo è la luce di un lampo all’orizzonte, si stava dirigendo verso di lei. Fiero, deciso ed orgoglioso del compito che gli era stato affidato, lasciò cadere una piccola pergamena sul ventre della fanciulla dai capelli vermigli la cui sinistra si affrettò a stringere il pezzo di carta tra le esili mani onde evitare che scivolasse, perduto, nel vuoto. La giovane Rose non lo lesse in quel preciso istante e, scatto felino, diede le spalle al panorama dietro di lei, poggiando prima il piede sinistro, poi il destro, sulla terra ferma, decisa a raggiungere il proprio dormitorio; lo stomaco vuoto, la mente colma di pensieri d’ogni sorta.

Il giorno dopo, alle 15:45, la Serpina si avviava verso l’appuntamento. Non aveva idea di cosa avesse in serbo per lei la cugina, tanto meno la natura delle cose ch’Ella aveva da mostrarle. Eppure era curiosa e, al contempo, grata che le avesse scritto: dal canto suo, erano tante le domande che premevano di trovare risposta e probabilmente, Aryadne, l’avrebbe aiutata a dissipare i suoi dubbi.
Raggiunse con facilità il primo piano, allontanandosi dal caos che dominava la Sala Grande, restando sola con quello che invece si riversava nella sua mente. Le notti insonne si susseguivano senza tregua . Qualcuno diceva che, a furia di non dormire, presto si finiva con lo scambiare la realtà coi sogni e viceversa. Ma per Emily non era così: la realtà le veniva sbattuta in faccia ogni volta che osservava il suo volto riflesso su una qualche superficie, dolorosa quanto lo erano i suoi ricordi che non smettevano di assediarla.
Svoltò l’angolo, lì dove immaginò di trovare l’immagine composta della Concasata prima ancora di averne prova certa. I passi risuonavano sul pavimento di pietra dura, rimbalzando contro le pareti freddi e propagandosi nel silenzio di quel piano per nulla frequentato.
Le iridi argentee si posarono sulla figura seduta poco lontano, su una panchina accanto alla porta di Ufficio senza nome. Un Ufficio vuoto come il vuoto che divideva le due fanciulle dallo stesso sangue ma dalla diversa storia.
I passi cadenzati cessarono. Emily si portò un boccolo dietro l’orecchio mentre abbassava lo sguardo, privo di emozione alcuna, sulla chioma simile alla sua, intercettando il volto stanco ma bello della cugina.

Ciao, Aryadne.

 
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Aryadne Cavendish
view post Posted on 7/3/2014, 22:51




La rumorosa lancetta scandiva ogni secondo con estrema lentezza, rimbombando nella sua dolorante testa come un sasso lanciato in un corridoio vuoto. Lo sguardo della ragazza era fisso su quella lancetta, ma la stanchezza non le permise di mantenerlo molto, le pareva quasi che le si incrociassero gli occhi o che la pendola venisse avvolta dalla nebbia. Dato che la seconda possibilità era poco probabile, Aryadne scosse nuovamente la testa come a darsi una svegliata, e il rumore di passi sulla pietra la destò totalmente. Spostò lo sguardo ed incontrò vicino a sé il viso di sua cugina, Emily.
Pareva tranquilla, ma qualcosa le diceva che era estremamente curiosa. La guardò per un istante con gravità, osservando i lineamenti di quel volto così simile al suo. Sua madre aveva due fratelli maggiori e due sorelle minori, ma era incredibile quanto forte fosse il seme, e quanto le cugine Gordon si assomigliassero tutte. Tutte con cognomi diversi, ma tutte con le stesse caratteristiche: visi splendidi, labbra carnose, sguardo di ghiaccio, grandi passioni. Spesso e volentieri, capelli rossi.
Sorrise lievemente, senza particolare gioia, ma con tranquillità, e indicò alla ragazza il posto libero sulla panchina, proprio accanto a lei.
-Grazie per essere venuta, Emily...- disse, pensando che effettivamente non si erano mai parlate molto. Beh, quella poteva essere un'occasione per conoscersi meglio, nonostante tutto.
E perché no...magari diventare amiche.
Abbassò lo sguardo sulle proprie mani posate sul libro e rapidamente contò le dita. Sì, dieci, era sveglia.
Gli occhi di cielo risalirono incontrando l'argento di quelli di Emily, così freddi, ma anche così perduti. Chi alza muri così alti, ha qualcosa di enorme da proteggere. Tacque per un istante, mirandola.
-Sei stanca.- non era una domanda, ma una semplice constatazione di un fatto. La osservò meglio, quel poco che bastava per riconoscere i segni della disperazione nel volto, gli stessi segni che trovava quotidianamente in sé stessa. Come guardarsi in uno specchio. -E non stai bene.- Concluse quasi più a sé stessa.
Non stette a chiederle se le andava di parlarne o di confidarsi o di aprirsi, perché aveva visto quel muro, e sapeva che non sarebbe stato facile toglierlo. E poi, perché mai levarlo? Era un muro così bello, con tutte quelle crepe, quelle fessure, coltelli conficcati tra i mattoni costruiti con pianto e sangue. Pronto a crollare da un momento all'altro...
Sì, pronto a crollare, ma doveva essere Emily a decidere di lasciarlo cadere, altrimenti sarebbe rimasto lì, barcollante, instabile, sofferente.
Le sorrise con fare rassicurante, perché era quello che si sentiva di fare, perché era quello che nei suoi sogni vedeva sempre.

 
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view post Posted on 8/3/2014, 18:40
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Fin quando Aryadne non posò lo sguardo sul suo volto, incrociando il suo sguardo, Emily non seppe dire se si fosse accorta della sua presenza.
Poi un sorriso, quasi impercettibile, al quale la giovane Rose non si sforzò nemmeno di rispondere.
Come da invito, le si sedette accanto, osservando un punto indefinito davanti a sé, sulla pietra nuda, fredda, priva di colore. Ricordava quando per la prima volta era giunta al Castello, tutto le sembrava pieno di vita e, al contempo, le infondeva una strana sensazione di meraviglia e serenità. Era la casa in cui era fuggita per allontanarsi dalla Dimora. Ma ora le mura della Scuola non era poi tanto differenti da quelle della sua vecchia Villa. La sensazione di pace era svanita con la stessa rapidità con cui l’aveva avvolta tra le sue dolci spire. Quella Scuola aveva iniziato ad esserle estranea. Sembrava quasi che la ripudiasse. I corridoi erano tutti uguali come i volti che vi abitavano.
Sei stanca.
A quelle parole Emily riportò lo sguardo sulla cugina, incrociando il proprio riflesso in quegli occhi azzurro cielo. E questa volta fu lei a sorridere, un sorriso che tuttavia non coinvolgeva le inespressive iridi argentee. Un sorriso che durò pochi istanti e nascondeva tanta velata comprensione.
E non stai bene.
*Una seduta psicologica? Ma andiamo.* Ma questo la giovane Caposcuola non lo disse. Non voleva sembrare arrogante o scortese, non verso Aryadne. Solo per un attimo un cieco lampo di rabbia sembrò attraversare il suo volto stanco.

Si può leggere lo stesso sul tuo viso.
Si limitò ad asserire, continuando ad osservare la ragazza con la stessa intensità di chi osserva il proprio riflesso distorto per la prima volta, sulla superficie di acque mosse. Emily non si era mai avvicinata a quel modo ad Aryadne e tutte le similitudini fisionomiche sembravano colpire il suo animo avido di sapere se ci fosse altro che le due condividevano, oltre alla pelle chiara come fresca neve, capelli rossi come fiamme vive e sguardo spento, affaticato, perso nei meandri di chissà quali ricordi, problemi, passioni.
Dolori.
Lei le sorrise di nuovo ma più intensamente. Emily si limitò ad allontanare lo sguardo, voltando il capo.
Sì, aveva ragione. Era stanca e… Non stava bene.
Ma non disse nemmeno questo.

Sei sparita.

 
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Aryadne Cavendish
view post Posted on 14/3/2014, 18:20




Non si preoccupò di apparire indiscreta e continuò a tenere il proprio sguardo fisso sul viso della giovane cugina, osservandone le espressioni (o meglio, le inespressioni), i rapidi cambiamenti di umore e gli occhi apparentemente vacui, ma che nascondevano grevi pensieri.
Si chiese per un secondo cosa stesse pensando, cosa nascondessero quei grandi universi argentei, ma evitò di pronunciare alcuna domanda.
La reazione alle sue affermazioni fu glaciale, lontana.
Si dice che le parole solo sono una piccola frazione di ciò che diciamo, e che in verità la lingua frena e gli occhi parlano. Gli occhi, il viso, i movimenti.
La prossemica, poi, ulula vedendo due persone lontane, strilla quando due parlano e uno non è rivolto verso l'altro.
Fianco a fianco significa cooperazione, amicizia, aperto colloquio, ma non era ciò che stava avvenendo. Aryadne l'aveva invitata a sedersi accanto a sé, e quella aveva obbedito, forse più per curiosità. Ma come mai pareva così ostile nei suoi confronti?
Aggrottò per un secondo le sopracciglia, poi la fronte si distese, calmandosi. Che sciocca egocentrica, era stata, pensare che potesse avercela con lei. Oh, sì, non fraintendete, ce l'aveva a morte con lei, ma questo perché ce l'aveva a morte con tutti.
Ampliò il sorrisetto che non aveva smesso di tenersi sulle labbra e rise mentalmente, stupendosi quasi di quanto il corpo e il viso di una persona inespressiva potessero raccontare.
Ad aumentare le sue convinzioni, venne la constatazione di Emily del fatto che lei fosse sparita. Era vero, dopo la battaglia che c'era stata ad Hogwarts, l'attacco, tutte quelle morti, lei era cambiata. Era brevemente tornata, ma poi era andata via, sotto il permesso di suo padre.
Era stata molto tempo dai suoi nonni, ultimamente suo padre era molto impegnato al Ministero e la servitù era tutta dalla sua parte, nessuno avrebbe spifferato il suo segreto, o lei avrebbe spifferato i loro.
Suo nonno aveva avuto una strana malattia, dopo una breve convalescenza al San Mungo era tornato a casa ma era molto affaticato. Non era più il grande mago che era stato un tempo, ora pareva solo un vecchio rabbino dalla canuta barba.
Sua nonna le aveva riservato delle sorprese, e dato che il padre di Emily li teneva lontani da casa Rose, le era stato chiesto di consegnare il necessario. Molte domande su sé stessa ancora affollavano la sua mente, ma c'era tempo per tutto.
-Hai ragione, sono sparita. Ma per una buona ragione...- disse senza smettere di sorridere, più a sé stessa, per darsi forza, che a sua cugina (il broncio le sarebbe passato da sola). Abbassò lo sguardo sul libro che teneva in grembo e prese dalle pagine centrali un foglio di carta che pareva a tutti gli effetti ciò che era: una fotografia.
Gliela porse e tornò a guardarla, mentre nell'altra mano non stringeva più il libro, ma altre fotografie.
Nella foto, una ragazzina di più o meno 8 anni, dai capelli rossi tenuti raccolti e il viso coperto di lentiggini lanciava occhiate all'obbiettivo di tanto in tanto mentre lisciava con una mano il suo splendido vestitino rosso sangue. Non sorrideva, ma aveva lo sguardo serio di chi si sente più grande, o di chi deve combattere ogni giorno. Effettivamente due fratelli e due sorelle non erano facili da reggere.
-Tua madre, aveva all'incirca otto anni.-


SORPRESA!
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view post Posted on 31/3/2014, 22:22
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Perché Aryadne sorrideva a quel modo?
Emily se lo chiese più e più volte. La cugina emanava una strana sensazione di calma e pacatezza, sembrava volerla mettere a proprio agio, avvicinarsi a lei col chiaro intento di condividere qualcosa.
*Perché adesso?*, quella domanda comparve all’improvviso nella mente di Emily senza affiorare, tuttavia, sulle sue labbra. Colpevolizzare la ragazza non sembrava essere un buon punto di partenza. Infondo, nemmeno lei aveva cercato la sua compagnia, nemmeno una volta e l’unica volta in cui si era chiesta dove Arya fosse finita, fu il giorno in cui le venne consegnata la spilla da Caposcuola appartenuta prima a lei.
Hai ragione, sono sparita. Ma per una buona ragione...

Ed hai anche una buona ragione per volermi incontrare?
La domanda uscì spontanea mentre Emily riportava lo sguardo su quella pelle tanto simile alla sua; uno sguardo accusatore. *Di cosa vorresti colpevolizzarla, Emily? Di aver abbandonato Hogwarts oppure te? Non te ne è mai importato nulla di Lei. E lei non ha alcun dovere nei tuoi confronti*.
Sospirò; erano delle perfette sconosciute, tenute lontane da chissà quali futili ragioni. Emily non aveva mai conosciuto la famiglia di sua madre, tanto meno quella di suo padre – i nonni erano deceduti molto tempo prima che iniziasse a dire le prime parole e Jacob Emìl Rose era figlio unico. Quando era piccina aveva visto lo zio John almeno un paio di volte e con lui, il cugino, fratello di Aryadne, ma si parlava di fin troppo tempo addietro per ricordarlo.
Quando la giovane Rose giunse ad Hogwarts, sul punto di essere smistata, vagò con lo sguardo su tutta la sala e proprio mentre il Cappello Parlante ricadeva sulla fronte, oscurandole la vista, le sue iridi argentee indugiarono esattamente su cosa, o per meglio dire “chi”, stava cercando: chioma rossa, divisa verde-argento e quel suo calmo e tranquillante sorriso. Ma poi la curiosità aveva ceduto il posto ad altre cose ed Emily non era più entrata in contatto con la cugina.
La sua domanda ricevette presto risposta: seguendola nei movimenti, la Caposcuola si ritrovò ben presto a reggere tra le mani qualcosa che non aveva mai creduto di poter vedere.
Tua madre, aveva all'incirca otto anni. ...
La più piccola delle tue cugine, teneva lo sguardo fisso sul volto dell’altra, incapace di abbassarlo nuovamente su quel pezzo di carta e mettere a fuoco il soggetto della fotografia che, almeno in quel momento, restava soltanto una chiazza di colore rosso vista di sfuggita.
Dicono che le cose facciano meno paura se si ha qualcuno a cui stringere la mano, ma ad Emily non sarebbe bastato stringere il palmo di Miss Cavendish per far sì che la sua sinistra smettesse di tremare. L’ansia la di incrociare lo sguardo di sua madre per la prima volta, anche solo in una foto, la stava svuotando e sembrava che qualcosa tentassi di aspirare tutta l’aria che cercava disperatamente di ingoiare.
Aveva paura; terrore dell’effetto che quella foto avrebbe potuto procurare ed anche per questo distolse lo sguardo, spaventata, al contempo, che Aryadne potesse leggere la paura nei suoi occhi.
Quel momento immortalato in un semplice foglio di carta la stava chiamando, cercando il i suoi occhi. Cercando di sfuggire al giudizio della cugina, Emily non potè fare altro che incontrare il volto di colei che non aveva conosciuto, di colei che aveva dato la vita per quella della figlia.
Un groppo in gola anticiparono il bruciore agli occhi. Delle lacrime improvvise, incontrollabili, bagnarono le guance di quel volto perlaceo che si sforzava, tuttavia, di restare impassibile.
Le iridi chiare della Serpeverde si muovevano lente su ogni piccolo particolare di quella figura, come a voler stampare per bene quella stessa immagine nella sua mente. Cercava delle differenze, qualsiasi cosa che potesse dirle: “ecco, non è nulla di speciale. Non è nessuno per te. È solo una donna che non hai mai conosciuto”. Eppure, tutto ciò che vide furono similitudini. La tonalità del colore dei suoi capelli era la stessa, gli occhi sembravano più scuri ma avevano il suo stesso taglio, la pelle incredibilmente chiara e le lentiggini – Emily immaginò di contarle e farne corrispondere persino il numero.

Tu.
Sospirò, rendendosi conto solo in quel momento di avere le guance rigate da due lacrime. Si sentì tremendamente stupida e s’affrettò ad asciugarle con la destra mentre tornava a fissare Aryadne, decidendosi a dare voce a quelle poche parole che le si erano strozzate in gola.
Ti hanno mai parlato di lei?
Poteva sembrare una domanda sciocca ma Emily non aveva mia ascoltato nessun aneddoto, nessuna storia, nulla di nulla, sulla propria madre. Sapeva che aveva una famiglia numerosa, sapeva di somigliarle – anche se non credeva così tanto, sapeva fosse stata una Corvonero ma … nient’altro.
Stralci di parole estrapolate da frasi caotiche pronunciate dal padre quando era furibondo.
Non sapeva che profumo avesse la sua pelle.
Rideva spesso? La immaginava sorridente, non come lei.
La immaginava dolce, premurosa ma forte.
Non come lei.
Suo padre aveva come distrutto tutte le prove della sua esistenza ma, dentro di lei, Louisa Claire Gordon *esiste in un modo che m’atterrisce*
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