Different Decisions., Per Horus.

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view post Posted on 4/7/2014, 15:58
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Sala Comune Serpeverde - h 23:00

L'anno scolastico era appena terminato, ma gli studenti di Hogwarts non avevano ancora abbandonato la scuola, non prima di aver saputo la Casata vincitrice della Coppa. Sophie sapeva bene che gli studenti Serpeverde non sarebbero riusciti ad arrivare al podio, i Tassi si erano stabilizzati lì da un bel po', e doveva ammettere che se la stavano cavando bene. Una cosa, però, era certa: non avrebbero certo potuto competere contro di loro a Quidditch, come si era potuto ben notare durante la partita amichevole contro Grifondoro.
Senza dare maggiore importanza a tutto ciò, Sophie trascorse quella lunga e calda serata nella sua amata Sala Comune, seduta, come al solito, sulla sua poltrona in pelle preferita. Non aveva voglia di passare il tempo a girare da una parte all'altra del Castello, per controllare che nessuno studente fosse fuori dai Dormitori, anche se le possibilità erano tante, visto che quel giorno non aveva mai smesso di piovere. Le possibilità di trovare qualcuno nei luoghi esterni erano, al contrario, minime.
Era dunque seduta comodamente su quella poltrona, con un libro aperto sulle gambe coperte da un paio di jeans, un libro che fino a pochi istanti addietro era intenta a leggere.
Ma erano troppi i pensieri che affollavano la mente della giovane ragazza, a partire da suo padre (che non sapeva più nemmeno chi era), e arrivando a ciò che l'aspettava in seguito all'incontro avvenuto con la misteriosa figura incappucciata nei Sotterranei. Il mondo magico era grande, e ne ebbe la conferma solo quando le fu rivelato che Qualcuno di superiore osservava i suoi movimenti, nonché i suoi modi di fare.
Le mancava però qualcosa. Un qualcosa che potesse darle uno stimolo ad andare avanti, a fare qualcosa di nuovo o di eccitante. Ed era il pericolo che ella riteneva eccitante, tanto che ebbe anche il coraggio di entrare nella Foresta Proibita, ritenuto il posto più pericoloso di Hogwarts.
Stanca di tutti quei pensieri, e di passare il tempo ad annoiarsi, si alzò da quella poltrona, prese la sua giacca che aveva tolto non appena entrata in Sala Comune e si avviò verso l'uscita. D'altronde, farsi guardare da un libro aperto non era il modo giusto per cercare quello stimolo.
Camminò a passo deciso lungo i Sotterranei, per poi raggiungere l'uscita del Castello, non tanto sicura di dove sarebbe voluta arrivare. Si fermò per un attimo sulla soglia, mentre, con la mano destra, sfilava la sua amata bacchetta in Corda di Cuore di Drago, puntandola in seguito contro se stessa:


- Impérvius. -

Hogsmeade - h 23:45

Ogni tanto gli incantesimi spiegati ad Hogwarts avevano la loro utilità, seppur limitata. Protetta dall'acqua che scendeva dal cielo, camminava senza una meta, finché non si ritrovò davanti ad un cartello in legno alquanto familiare, su cui era incisa la parola: "Hogsmeade". Ci era stata due volte, seppur clandestinamente, e la voglia di andarci senza paura di essere scoperta si fece sentire in quell'istante, anche se una notte di pioggia come quella non era proprio gioviale per poter fare una gita fuori porta.
Convinta di non correre il rischio di incontrare qualcuno, procedette a passo lento in una direzione diversa da quella che prendeva di solito, quando, dopo un po' si ritrovò in lontananza l'immagine della Stamberga Strillante, di cui aveva già sentito parlare.
Incuriosita, dunque, continuò verso quella direzione, fermandosi in seguito a pochi centimetri dalla soglia.
Istintivamente, aveva preso la strada sotto i piedi e senza pensarci due volte, sarebbe entrata lì dentro, come se niente fosse. Ma prima doveva assicurarsi che nessuno la stesse seguendo. Si voltò dunque dietro, ma era così buio che un'eventuale figura umana era impossibile da notare.
Diede un ultimo sguardo e continuò sui suoi passi, trovandosi in seguito all'interno della Stamberga. Udire eventuali voci o versi era praticamente impossibile: la pioggia cadeva sul tetto con una forza impressionante, tale da sovrastare ogni singolo rumore. I suoi passi facevano scricchiolare il legno del pavimento, particolare che ella riuscì a cogliere dal tocco delle sue scarpe con il suolo. In silenzio, camminava a passo lento, ed evitando di far scaturire il fascio di luce del Lumos dalla sua bacchetta, se non prima si fosse assicurata di essere da sola.
Buio.
Completamente buio.

 
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view post Posted on 6/7/2014, 00:35
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Horus R. Sekhmeth
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Era stata una giornata decisamente pesante.
Le lezioni erano terminate, gli esami anche, e gli studenti si godevano il meritato riposo, oziando in ogni dove nel Castello e beandosi del tempo estivo che regalava loro splendide giornate di sole. Horus, suo malgrado, non riusciva a godersi quel periodo di pace: ora che gli oneri scolastici lo avevano abbandonato, almeno per qualche mese, ci si era messo Lysander a separare il Tassorosso dalla sua vacanza, fatta di libri a volontà, Quidditch e beneamata nullafacenza, dopo un anno duro come pochi prima d'ora. Il Caposcuola si era chiesto pi e più volte: ma l'estate, in teoria, non rendeva tutti più pigri, non faceva desiderare a ciascuno di mollare lavoro, baracca e burattini e qualsiasi altro per andarsene al mare, in montagna, dalla vecchia e pisquana zia nelle belle campagne scozzesi? In teoria sì, ma non Lysander. Nossignori, Lysander, il vecchio proprietario dell'Ars Arcana aveva deciso di regalare ad Horus una settimana di straordinari, costringendo il ragazzo
"Perché sei più forte di quell'altra imbranata, anche se sei schifosamente pignolo!" a impacchettare i vecchi oggetti, immagazzinarli e preparare il tutto per l'imminente restaurazione del negozio. E c'erano talmente tante cose da fare, che la Magia non era che un minimo aiuto, giusto per fare qualcosa in contemporanea, mentre si era occupati a farne altre dieci insieme. Così, dopo una giornata passare a impilare libri e spostare scatole, giocando a tetris nel vecchio ripostiglio per farle entrare tutte alla perfezione, Horus rientrava sfinito ad Hogwarts a quasi Mezzanotte passata.
*Ci mancava perdere l'ultima Passaporta delle 21, dannazione...* Sbuffò, stizzito, mentre scendeva dal Nottetempo —l'unico mezzo utile— che lo aveva lasciato alla stazione di Hogsmeade. Come se non bastasse, poi, il tempo, ballerino, aveva deciso di graziarlo con un fantastico, improvviso, temporale. Imprecando, il ragazzo corse sotto una tettoia, dove sfilò la bacchetta e castò su se stesso un Impervius, per rendersi impermeabile all'acqua. Riparato, ma con la schiena dolorante e gli occhi che bruciavano, Horus decise di godersi quei momenti di silenzio, passeggiando tranquillo per la strada principale del paesino, udendo soltanto lo scroscio della pioggia e il suono delle proprie scarpe. Non c'era nessuno in giro, i negozi erano tutti sbarrati, così come le finestre delle abitazioni, ma non v'era nulla di inquietante, in quell'insolito paesaggio, altrimenti pieno di vita. C'era un senso di tranquillità e pace, di tacito riposo, che risanò il ragazzo, mentre respirava a pieni polmoni l'aria satura di umidità, piena dell'odore del legno e dell'erba bagnata. Passo dopo passo, il panorama cambiò: dapprima, raggiunto il centro del paesino, le vie erano piene di negozi, casupole e piccoli pub, poi, man a mano che si avvicinava al sentiero per Hogwarts, le case cominciarono a diminuire, le palizzate si fecero sempre più alte, logore mentre, più in alto, dinnanzi la via, la sagoma del Castello si stagliava nera contro un cielo ancor più cupo, squarciato ogni tanto da freddi lampi. Improvvisamente, Horus si arrestò, osservando la scena che si svolgeva davanti ai suoi occhi, illuminato a malapena dalla luce dei fulmini; era magnifico. Magnifico come quella scuola, che solo fino a poco tempo prima era stata distrutta completamente, ora sembrasse più forte che mai, come una fenice risorta dalle ceneri. Istintivamente, si portò una mano al petto, sfiorando con le dita la cicatrice alla base del collo che spuntava dalla maglietta nera, e stringendo poi i ciondoli con l'Ankh e la Runa che portava sempre con sé. Anche lui, in un certo senso, ce l'aveva fatta. Era venuto a capo di quella dannata faccenda, aveva trovato tante risposte, sebbene altre domande avessero preso il loro posto e la parte più oscura di sé, risvegliata da quegli eventi, giacesse ancora dentro di lui, accanto al suo cuore, come un drago addormentato sempre pronto a destarsi. Ma ormai, pensò corrugando leggermente le sopracciglia, quello era un capitolo chiuso. Doveva pensare ad andare avanti.
*Siúil a Rún.* Con un sospiro, Horus riprese a camminare, volgendo distrattamente lo sguardo a sinistra, laddove un'altra sagoma si stagliava, sbilenca, contro il cielo: quella della Stamberga Strillante. Quell'edificio, che, decisamente, non godeva di buona fama, era sempre risultato un po' grottesco, eppure, quella sera, persino quel luogo tanto deperito sembrava assumere un fascino proprio. Senza quasi rendersene conto, Horus deviò dal sentiero, raggiungendo la staccionata della Stamberga e poggiandovi una mano sopra. Il legno era marcio, pronto a cedere in un qualsiasi momento, ma il ragazzo non vi badò, osservando incuriosito la vecchia casa. Chissà cosa si celava al suo interno? Si diceva che fosse infestata, ma del resto, i fantasmi non erano anche ad Hogwarts? *Sai che novità. E se si fosse trattato di demoni? *Di quelli ne ho visti abbastanza per il resto della mia vita.* Ammise, facendo dietro-front. Eppure, eppure... Horus voltò lo sguardo ancora una volta, osservando ancora una volta la Stamberga illuminata da un teatrale fulmine.

Cinque minuti dopo, con la bacchetta accesa, Horus si ritrovò a superare una trave penzolante proprio sopra l'entrata della catapecchia, maledicendo la sua idiozia e al tempo stesso col cuore che batteva per la curiosità. L'idea di trovare un angolo, un rifugio, solo per sé così vicino alla Scuola, lo aveva spinto ad entrare, infine. O almeno, questa era la scusa ufficiale che aveva dato se stesso per frenare il buon senso che gli diceva "vattene a dormire". D'improvviso, quando fu dentro —trattenendo a stento uno starnuto per la quantità ingente di polvere
*Il premio idiozia dell'anno me lo merito di qui fino all'anno del duemilamai.* — la tenue luce della sua bacchetta illuminò una figura di fronte a sé, dai lunghi capelli biondi che baluginarono appena al riflesso, con fare quasi spettrale. *OPPORCAPUTT-----* Col cuore che impennava per lo spavento e la sorpresa, una mano sulla bocca per impedirsi di irrompere a tutta voce in quel silenzio, Horus inquadrò, dopo pochi attimi, quella figura per un essere umano e subito dopo per una studentessa, o almeno, non poteva essere altrimenti, visto l'aspetto tanto minuto e il non essere propriamente trasparente. E non doveva essere altrimenti.
« E tu chi diavolo sei. » Esordì, l'eco della sua voce che si ripeteva flebile nell'ambiente, mentre la mano scivolava lungo il fianco, la sinistra stretta sull'impugnatura della fida bacchetta, i nervi improvvisamente tesi.
*Ma tu non eri stanco Ra?*
L'aveva già detto, maledetto lui?

« No one knows and no one will know, but I feel like losing senses.
I am in this corner here alone. »

 
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view post Posted on 7/7/2014, 12:37
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Vi erano molti posti vicini ad Hogwarts, che Sophie non era mai riuscita a vedere o visitare in pieno giorno. Conosceva già il Castello come le sue tasche, compresi i luoghi proibiti, e la curiosità della Serpeverde la spingevano sempre più oltre, per conoscerne altri, altrettanto interessanti.
Tante volte aveva infranto le regole, e mai nessuno lo aveva scoperto, a parte quando ricevette la grazia di incontrare la sua Concasata Von Eis, quando Sophie non era ancora Prefetto.
Era passato poco tempo da quando aveva ricevuto la carica, che fino a quel momento aveva sfruttato per andarsene in giro da sola e per organizzare qualcosina per la sua amata Casata, anche se anni addietro avrebbe voluto la suddetta carica unicamente per togliere punti a tutte le altre, fuorché Serpeverde. Tassorosso in primis.
Anche se il primo rivale di Salazar era sempre stato Godric Grifondoro, la giovane ragazza provava odio puro per la Casata giallo-nera. Odiava la stupidità dei suoi studenti, la loro disgustosa bontà e il loro finto perbenismo, nonostante ammetteva che meritavano il podio per la Coppa delle Case: si erano dimostrati volenterosi nello studio, non si sentiva mai che uno di loro avesse commesso qualche atto volto a far perdere punti, mentre gli studenti Serpeverde non si erano impegnati granché, fuorché nel Quidditch.
Era pur sempre un'umiliazione per lei, farsi battere da loro, ma nulla era ancora sicuro. Essendo Prefetto, il suo primo obiettivo era poter formare un gruppo per conquistare Hogwarts, e renderla proprio come Salazar si aspettava. La Coppa delle Case non era in cima alla lista dei suoi desideri, ma ne faceva comunque parte. Avrebbe portato il tutto alle origini, Serpeverde sarebbe tornata ad essere la più temuta, non solo nel Castello, ma anche al di fuori.
Quello era un periodo di stallo per tutti gli studenti, che attendevano con ansia di conoscere il vincitore di quell'anno, e alcuni altri aspettavano nient'altro che il Ballo di Fine Anno. Ma Sophie no. Odiava le feste, odiava la gente, il caos, odiava assistere a scene di corteggiamenti, sorrisi falsi.
Ci era già andata l'anno precedente, ci aveva per lo meno provato, ma ne valse la pena, più che altro per quel che successe dopo. Era scappata, si era rifugiata nella Torre di Astronomia, la più alta di Hogwarts, seguita inaspettatamente dall'ex Prefetto Corvonero, che in seguito rischiò la sua vita per soddisfare i desideri idioti della giovane, accompagnandola nella Foresta Proibita. Non fu come si aspettava, si era comportata male, aveva lasciato che la rabbia e la sua debolezza prendessero il sopravvento e non le permettessero di controllarsi, esternando il tutto in modo plateale.
Si era pentita, sì, ma le era servito per diventare più forte e non avrebbe più permesso che accadesse ancora.
Era vicina a raggiungere il suo scopo, e presto avrebbe messo in atto la sua vendetta, non solo verso il padre, ma anche verso il resto del mondo magico, quella parte più marcia, che doveva essere abbattuta.
Forse erano troppe le aspettative, per una ragazzina di sedici anni, ma era risaputo che si trovò ad crescere troppo velocemente, divenendo ben presto una ragazza matura, nei limiti del possibile, e forse non a caso l'avevano scelta per la carica di Prefetto, anche se nei rapporti con gli altri poteva sembrare superficiale, ignorante, stupida. Ma, si sa, l'apparenza inganna.
Quella notte non era come le altre, a parte per il tempo. Era Estate inoltrata, faceva caldo durante il giorno, ma per la maggior parte del tempo pioveva. Quella notte diluviava, i fulmini illuminavano per breve tempo il cielo, ma a distanza non molto lontana.
Era nella Stamberga Strillante, si guardava intorno, ed aveva la bacchetta in mano pronta ad un eventuale uso, ma era ancora spenta, per evitare di farsi vedere se nel caso ci fosse stato qualcuno.
Un lampo improvviso illuminò per un attimo l'intero ambiente, che sembrava essere vuoto. Il tuono fu abbastanza leggero, ma pochi istanti dopo fu seguito da un altro, molto più forte, che fece sobbalzare la Serpeverde, che si voltò di lato, mantenendo le spalle verso l'ingresso.
La pioggia continuava a cadere ininterrottamente e soprattutto violentemente, non permettendo di udire eventuali rumori.
Avanzava in modo lento, calpestando il fragile legno, quando qualcosa la fece sobbalzare nuovamente. Una voce improvvisa echeggiò nell'ambiente.


- MA CHE CA--- -

Esclamò, senza ancora riuscire a realizzare cosa stava succedendo. Si era spaventata, in modo quasi esagerato, ed istintivamente, mentre imprecava, si voltò di scatto, trovandosi di fronte ad un ragazzo, forse studente come lei.

- Lumos -

Dalla sua bacchetta scaturì il solito e flebile fascio di luce, e con un movimento veloce puntò la punta di essa contro il viso del giovane, illuminandolo ulteriormente.
Finalmente riuscì a mettere a fuoco, scrutò dunque il suo volto, non particolarmente nuovo ai suoi occhi. L'aveva già visto da qualche parte, ma dove non era chiaro.
Poco dopo, ripensò alle sue parole, si ricompose, mantenendo però la bacchetta puntata contro di lui.


- Gradirei sapere chi sei tu. E' il minimo dopo avermi fatto venire un colpo. -

Parlò con la sua solita freddezza, senza dunque smentire il suo modo di essere e di fare. Lo guardava in modo serio, non eccessivamente, ma abbastanza in sintonia con le sue parole.

 
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view post Posted on 25/7/2014, 21:41
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Horus R. Sekhmeth

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Horus dovette trattenere a stento una risata, nell'udire —e osservare nella fiochissima luce della sua bacchetta— la reazione inaspettata della ragazza. Senza dubbio, dovette ammettere il Tassorosso, neanche lei era a suo agio, in quella vecchia casa. E come biasimarla, del resto. L'ennesimo tuono fece scricchiolare penosamente gli infissi in legno marcio e Horus si chiese quale diamine di Magia impregnasse le pareti, per non farle cedere rovinosamente sotto il vento.
Poi, rapida, la giovane si voltò, illuminata sinistramente dalla luce della sua bacchetta; nonostante l'urlo di poco prima, sembrava aver recuperato in tempo record la calma, che esprimeva con un tono di voce freddo, ma tranquillo e uno sguardo altrettanto glaciale. Tuttavia, per Horus era ancora difficile inquadrarla a quel modo. Non con quell'urlo che ancora gli risuonava nelle orecchie. Il Caposcuola piegò lentamente la testa da un lato, socchiudendo gli occhi.

« Ah? » Disse, abbozzando un sorriso sghembo. Nonostante le ombre che si formavano sul volto di lei, i suoi lineamenti avevano qualcosa di già visto; poteva averla incrociata, di sfuggita tra i corridoi, ma era impossibile capire a che Casata appartenesse. « Suppongo che dal tuo punto di vista possa esser così. Ma direi che, essendo giunto dopo di te convinto che la Stamberga fosse vuota, trovarmi una ragazza dai lunghi capelli biondi, più simile ad un fantasma demoniaco, che ad un essere umano, non sia stato il massimo dell'allegria. Solamente... ho avuto l'accortezza di non far sapere del mio spavento a mezza Hogsmeade. » Concluse, stringendosi nelle spalle, con tono divertito, ma pacato. Non aveva intenzione di prendere in giro la fanciulla, ma era impossibile frenare la lingua, in quel frangente, più, forse, per smorzare la tensione, che altro. *E poi, me l'hai servita su un piatto d'argento.* « Allora... » Riprese, infilandosi la mano libera in tasca e muovendo un paio di passi all'interno della stanza. La suola dell'anfibio sul parquet mosse una nuvola di polvere ed Horus trattenne a stento uno starnuto, continuando a guardare in direzione della sconosciuta. A poca distanza da lei, si fermò; il sorriso si aprì un po' di più, scoprendo appena i denti.
« A meno che tu non sia un fantasma sul serio, so che non puoi stare qui, più di quanto non possa starci io, nonostante io abbia un permesso. Ma se vuoi sapere chi sono... sono colui che, purtroppo, dovrà riportarti indietro. Anche senza sapere chi sei. » Il sorriso si spense e il volto di Horus si fece improvvisamente serio, mentre la presa sulla bacchetta si rinsaldava impercettibilmente. Quell'eccitazione che l'aveva spinto ad entrare nella Stamberga, incurante dei pericoli di una casa traballante e delle misteriose leggende sul suo conto, era ormai sfumata con l'apparire di quella ragazza. Horus sentiva una punta di amarezza, ma si costrinse a celarla ad arte, senza che trasparisse dalle sue parole o dal suo viso stanco. Avrebbe di gran lunga preferito abbandonare una volta tanto i doveri della Scuola, intrufolarsi in un luogo proibito e mai esplorato, in barba alla stanchezza; trovare, magari, un posto tranquillo, dove rifugiarsi quando le pareti del Castello si facevano troppo strette e la Foresta sembrava troppo piccola e conosciuta.
*E invece, ho trovato te.* Pensò, osservando senza espressione la sconosciuta, stringendo, con risentimento, la stoffa della tasca dei jeans grigi. Ciò nonostante, scelse accuratamente le parole da usare. Per una frazione di secondo gli era balenata nella testa l'idea di indossare una nuova maschera, assumere un ruolo diverso senza esporre subito le proprie intenzioni in maniera chiara; ma lei aveva ormai visto il suo volto e, volente o nolente, Horus Sekhmeth era facile da identificare: Caposcuola, Vice-Capitano della Squadra di Quidditch e Cacciatore, vice-redattore della Gazzetta del Profeta e tante, troppe identificazioni possibili, tra l'improbabile colore degli occhi e la voglia rosata.
*Quanti ruoli, per uno che, talvolta, non desidera altro che divenire ombra.* Considerò, sarcastico. In ogni caso, poteva ancora giocarsela. Un angolo della bocca si incurvò, ironico.

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view post Posted on 22/2/2016, 11:36
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Dopo aver proferito parola, Sophie continuava a scrutare il viso del giovane ragazzo appena incontrato. La sua bacchetta era ancora puntata contro di lui, ma la fioca luce che ne scaturiva dalla punta di essa, creava molte, troppe ombre. Senza parlare del colore chiarissimo della sua pelle, che a contatto con la luce, quasi l’accecava.
Con un movimento lento del polso, dunque, spostava di tanto in tanto la bacchetta, per osservarlo meglio e capire chi fosse. Fu quando si fermò al centro, tra gli occhi e il naso, che finalmente riuscì ad associare un nome al ragazzo che fino a momenti prima era un perfetto sconosciuto.
Horus Sekhmeth, Caposcuola, Tassorosso. Non era stato difficile identificarne il ruolo, non solo per la sua “popolarità” e importanza nella scuola, ma anche per il modo in cui si atteggiava, il modo in cui si era presentato. La sua espressione, infatti, non dava nessun senso di agio e tranquillità alla Serpeverde.
Anzi, già il modo in cui la guardava, non le piaceva. E la cosa la innervosiva. Non per paura, ma per il suo essere troppo orgogliosa. Nessuno doveva permettersi di guardarla in quel modo.
Associò quello sguardo ad un’incredibile voglia di prenderla in giro a causa della flebile luce della sua bacchetta. Fu in quell’istante che Sophie sentì un brivido percorrerle tutto il corpo. La paura e l’ansia era svanita, solo rabbia. Ma chi credeva di essere? Come si permetteva di prendersi gioco di lei?
Fece un respiro profondo, come per ricomporsi. Anche se non era da lei, aveva deciso di dargli un’altra possibilità, magari non aveva ancora capito con chi aveva a che fare.
Di certo non le importava quali e quanti ruoli avesse quello screanzato, se avesse continuato così non l’avrebbe passata liscia. Ma, purtroppo, ne era consapevole: non poteva mettersi contro di lui in un eventuale duello, ma sarebbe stato sicuramente un piacevole battibecco, da quel momento in poi.

- Suppongo che dal tuo punto di vista possa esser così. Ma direi che, essendo giunto dopo di te convinto che la Stamberga fosse vuota, trovarmi una ragazza dai lunghi capelli biondi, più simile ad un fantasma demoniaco, che ad un essere umano, non sia stato il massimo dell'allegria. Solamente... ho avuto l'accortezza di non far sapere del mio spavento a mezza Hogsmeade. -

*Più simile ad un fantasma demoniaco... Fantasma demoniaco... Non ci voglio credere.*

Quelle parole le riecheggiavano di continuo nel cervello. Non sapeva quale fosse la forza sovrannaturale che stava cercando di trattenerla dal non infilzargli un coltello nelle corde vocali.

*Armstrong, sta’ calma. Devi cercare di mantenere la calma.*

Notò il divertimento nel tono di voce del Caposcuola, e anche nel suo sguardo da idiota che in quel preciso istante aveva.
Un altro respiro profondo.


- Non vorrei mai permettermi, sai, ma... Credo che qui non ci sia nessuno più demoniaco di te. Non hai mai avuto la meravigliosa occasione di guardarti ad uno specchio? Nel caso non ne avessi uno, guarda, c’è il Lago Nero. Le sue acque riflettono molto bene se dovessi dimenticarti come sei fatto. E, se giacché, ti venisse la voglia di fare un bel bagno in quelle acque, mandami a chiamare, sarei lieta di darti una bella spinta. -

Rispose con tono altrettanto divertito. Era ovvio: alludeva al colore della sua pelle, motivo per cui sembrava più un malato cronico di anemia che un Mago brillante.
Non gli avrebbe certo dato nessuna soddisfazione, né tanto meno quella di vederla arrabbiata per i modi poco gentili di lui.
Poi riprese:


- Sarò, inoltre, contentissima di salutare il tuo corpo in putrefazione, mentre sono beatamente sdraiata sul mio morbido divano in pelle preferito. Sai, dalla Sala Comune si vede il ben di Dio tra le acque del grazioso Lago. -

Abbozzò anch’ella un sorriso dall’angolo destro delle sue labbra, mentre, piano, abbassava la bacchetta. Non aveva nessuna intenzione di continuare a guardare quel volto scavato e quegli occhi che incutevano più terrore di quanto lo faceva la Stamberga Strillante.
Egli ricominciò ad aprir bocca, e a camminare a passo lento, e la Serpeverde, immobile nello stesso punto, seguiva con i suoi occhi azzurri i movimenti del giovane, in attesa che continuasse a parlare.

- A meno che tu non sia un fantasma sul serio, so che non puoi stare qui, più di quanto non possa starci io, nonostante io abbia un permesso. Ma se vuoi sapere chi sono... sono colui che, purtroppo, dovrà riportarti indietro. Anche senza sapere chi sei. -

Notò in seguito l’espressione seria del Tassorosso, forse con l’intenzione di intimorire la sedicenne, ma Sophie non riuscì trattenersi da una lunga e grande risata. Era incredibile quanto riusciva a capire al volo le persone, già solo dai modi di fare. Ancora divertita, sentenziò:


- Non ci posso credere. E’ incredibile quanto tu ti metta a pavoneggiarti e a far notare la tua importanza anche al di fuori di Hogwarts. A parte i compiti da Caposcuola che avrai, li conosco molto bene. Ma sei così banale che fai ridere più di un Rictusempra scagliato dal Mago più esperto del mondo. -

Spostò la bacchetta verso il suolo, per vedere dove metteva i piedi, e cominciò a camminare anche lei, facendo sparire il sorriso divertito dal suo volto.

- Mi dispiace deluderti, Sig. Sekhmeth, ma io non andrò da nessuna parte. Almeno, non con te. Non ci terrei minimamente. Mi stupisce il fatto che ti sfuggano le vicende di Hogwarts. Soprattutto quelle importanti come questa. Credimi, sono profondamente addolorata nel deludere le tue aspettative, ma vedi, sono Prefetto della Casa Serpeverde e non sarai di certo tu a scortarmi via da qui. -

Il sorriso sadico ritornò a farsi presente sul viso di lei, la quale si fermò e guardò nuovamente il giovane dagli occhi stanchi.
Aveva già notato la simpatia nell’esporsi di lui, e sarebbe stato molto, molto interessante continuare quella conversazione.
E, non poteva negarlo, per quanto Tassorosso potesse essere, era evidente la somiglianza dei loro caratteri.
Rialzò la bacchetta verso metà corpo, solo per far luce nuovamente su di lui, curiosa di come si sarebbe evoluta la cosa.

 
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view post Posted on 24/2/2016, 13:38
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▲ Hogsmeade | mood: "Amused" | Weather: Storm ▼
Horus R. Sekhmeth

Non ci voleva una scienza per comprendere quanto la ragazza era rimasta infastidita dall'arrivo di Horus. Ancor prima che ella aprisse bocca, il Tassino capì chiaramente l'ostilità che la fanciulla provava nei suoi confronti: sembrava emanarla come un'aura oscura che le permeava il corpo, condensandosi sullo sguardo freddo che lo squadrava. In un altro frangente, il Caposcuola non ci avrebbe fatto caso, limitandosi a farselo scivolare sulle spalle come se fosse una scrosciata d'acqua tiepida; in quella situazione, tuttavia, Horus si sentì incuriosito da quell'atteggiamento, forse dettato dallo spavento o forse per semplice, naturale indole. Rimase in silenzio, ma mentre lei apriva bocca e confermava l'impressione del giovane, Horus non poté fare a meno di sorridere, sollevando le sopracciglia per l'enfasi che lei aveva posto sugli insulti. Non aveva mai avuto una grande opinione di sé, fisicamente parlando, ma di qui a risultare demoniaco era un bel passo in avanti.
« Wow. » Esclamò poi, quand'ella ebbe finito. Gli occhi del ragazzo continuarono a studiare tutto ciò che la flebile luce della bacchetta della giovane gli permetteva di vedere. Non era solito cedere ai pregiudizi sulle Casate, non più, almeno, da quando era stato designato alla Casata di Tosca e aveva scoperto quanto non potesse più farne a meno. Ma quand'ella dichiarò di essere un Prefetto Serpeverde e quando Horus, finalmente, capì la sua identità, dovette ricredersi. Sophie Armstrong (il cui nome era stato difficile da recuperare dalla memoria per l'incapacità del Tassino di immagazzinare nomi e volti) sembrava essere il classico cliché Serpeverde che la gente piaceva tanto dipingere. Se solo Horus non avesse conosciuto Serpeverde ben diversi, quasi si sarebbe messo a ridere per l'ovvietà della faccenda.
« Chiedo scusa, ho sbagliato. Esordì, stringendosi nelle spalle. Sentiva crescere dentro di sé tutt'altro che una forma di rispetto per quella ragazza e sebbene la Ragione gli ricordasse in che situazione si trovavano, cercando di giustificare così l' ostilità, l'Irrazionalità ebbe la meglio. Quasi a scandire quell'affermazione, un tuono rombò attorno a loro, facendo tremare pericolosamente le assi di legno e i fragili, pochi vetri delle finestre martoriate della Stamberga; come richiamata da quella potente voce, la pioggia aumentò d'intensità, battendo violenta sulla casa.
« Non sei un fantasma. Sei Abdhul, lo scaricatore del porto di Brighton. » Continuò, con una sincerità impostata ad arte. Era la prima volta che sentiva una ragazza parlare con tanta enfasi e con un delicato quanto grazioso passatempo nell'osservazione di cadaveri gonfi d'acqua. Signorile, non c'è che dire, pensò Horus. Ciò che contrastava con quanto detto dalla giovane, era il suo aspetto etereo. Il viso chiaro, gli occhi azzurri e i lunghi capelli biondi, accostati a una figura esile e delicata cozzavano enormemente col suo linguaggio: Horus ebbe la netta impressione che la Armstrong altro non fosse che un bel fiore carnivoro, assai simile a quello che animava la Sala Comune Tassorosso col suo chiacchiericcio.
E a quel pensiero, sottile ed infido, il desiderio di evocare Hagalaz e tagliarle la gola lì, in mezzo al nulla, lo solleticò con sorprendente sensualità. Non c'era nessuno lì, nessuno avrebbe saputo —gli disse la vocina. Eppure, Horus la ignorò, muovendo qualche altro passo in avanti, cominciando a camminare lentamente intorno alla ragazza. D'improvviso, il salotto della Stamberga, i suoi misteri ed enigmi, passarono in secondo piano e la fanciulla sembrava esser divenuta l'unico argomento di interesse. E divertimento.

« Sai » *Abdhul* « Credo che qui non sia io a pavoneggiarmi, ma tu. Miss "SonoPrefettodiSerpeverdeenonmimuovodaqua". »
Sorrise, fermandosi a qualche passo da lei. Come minimo, lei gli avrebbe potuto tirare uno schiaffo —e una parte di Horus sapeva di esserselo meritato—, ma la distanza di sicurezza entro cui si era fermato, gli avrebbe permesso un vantaggio in termini di riflessi, permettendogli di spostarsi in tempo.
Più parlava, più restava in presenza di Sophie, più lei gli rispondeva irritata, più lui sentiva crescere un divertimento che aveva provato poche volte in vita sua. Sapeva che era un sollazzo meschino, per niente affine alla sua personalità, ma, del resto, la stanchezza era tale che aveva ottenebrato qualsiasi buona moralità.

« Tra l'altro... » Proferì, scuotendo lievemente il capo con drammaticità. « Sono io quello addolorato. Così tanta ostilità nei miei confronti, quando volevo solamente preservarti da qualsiasi pericolo e svolgere solo il mio lavoro. » Horus si guardò intorno, con finta preoccupazione, mentre lo scroscio d'acqua occupava ostinatamente il suo silenzio; un paio di lampi illuminarono il cielo e la loro luce penetrò sinistra attraverso le fessure della casa. Con quel panorama, l'idea subdola penetrò in Horus che parlò, cupo:
« Non sai cosa si aggira qui dentro? Pensi che infiltrarti nella Stamberga Strillante possa aiutarti a dormire, quando qui intorno si aggirano creature —ed uomini— che di una bella ragazza come te, farebbero un sol boccone? » Horus sapeva che Sophie non era una sprovveduta, ma il dubbio non era una cattiva soluzione in quel caso: del resto, tutti sapevano che una ragazza da sola, di notte, avrebbe fatto bene a starsene a casa. Ed era altrettanto vero il fatto che la Stamberga Strillante fosse la dimora di centinaia di leggende diverse dove la gran parte termina con ragazzi fatti a pezzi, fanciulle violate, spiriti irrequieti e terrori senza fine che avrebbero fatto impallidire anche il più coraggioso degli uomini.
Sebbene diverso, qual era il gioco a cui Horus e Sophie stavano giocando non era ancora stato rivelato, ma il Tassorosso, una volta tanto, decise di abbandonarsi all'unico ruolo che, fino a quel momento, aveva rifiutato.


"Everything I touch isn't dark enough, that this problem lies in me. I'm only a man with a candle to guide me, I'm taking a stand to escape what's inside me. A monster, a monster, I've turned into a monster and it keeps getting stronger.".

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La Stamberga Strillante non era diventata altro che un semplice sfondo, in quel momento. Le parole del Tassorosso avevano infastidito non poco la Arnstrong, e, nonostante sentisse il sangue bollire a causa del nervoso, cercò di mantenersi calma, almeno fino ad allora.
Almeno, finché lui non avrebbe nuovamente aperto la sua maledettissima bocca.
Ella sapeva che, nonostante il ruolo di Prefetto che orgogliosamente aveva, avrebbe dovuto rispettare gli orari del coprifuoco, Ma la sua indole ribelle era troppo forte per farle rispettare le regole. Soprattutto se si trattava di regole present in una Scuola di Magia infestata di Nati Babbani e Mezzosangue. Era ormai risaputo quanto odiasse quel posto, ma era l'unico modo per imparare a gestire la magia e varietà di incantesimi, seppur stupidi, per poter poi divenire una Strega dalle capacità magistrali.
Ma era il Potere a cui lei ambiva di più. Certo, era ancora una ragazzina e aveva ancora tanta strada da fare, ma la sua determinazione nel raggiungere i suoi obiettivi era molto, molto grande.
Il tuono che si sentì in quel momento, non fece più sobbalzare la ragazzina-dalla-paura-facile, ormai era così presa dalla situazione che anche il maltempo passò in secondo piano.
Durante il silenzio calato dopo aver parlato, nei suoi pensieri si fece presente la sorella Emily: non l'aveva mai vista in compagnia del ragazzo che ella in quel momento aveva di fronte, ma dovevano conoscerci, considerando che entrambi rivestivano il ruolo di Caposcuola. Le due, nonostante il legame che avevano, erano molto diverse sia esteriormente, che caratterialmente. O meglio, forse la forma degli occhi era assai simile, ma sul modo di essere e di pensare c'erano molte differenze. Non riusciva ad immaginare come la sua Concasata potesse relazionarsi con una persona come Horus Sekhmeth. Sapeva che era una ragazza molto intelligente, ma era sicura che non avrebbe fatto la brutta figura di andare d'amore e d'accordo con un Tassorosso. O almeno, credeva.
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce dell'odioso compagno di Scuola, che chiese scusa con una tale falsità che fece leggermente agitare la Serpeverde.
Ma non era finita lì.

- Non sei un fantasma. Sei Abdhul, lo scaricatore del porto di Brighton. -

Dopo aver ascoltato quelle parole, la ragazza avvertì nuovamente quell'istinto omicida di un attimo prima. Anzi, triplicato.
Forse era vero: il povero idiota non aveva ancora capito chi aveva di fronte. D'altronde, non si sentiva tanto parlare di Sophie Armstrong, ed era quello che voleva. Rimanere nell'ombra, almeno per il momento.
Mentre cercava di mantenere la bacchetta ferma, rimase in silenzio, ma i suoi occhi divennero così rossi che sembrava che potessero esplodere da un momento all'altro.
Seppur tanto impulsiva, riuscì a reprimere quella voglia di ucciderlo. Non sapeva per quale motivo, ma c'era qualcosa che la frenava.
Erano quelli i momenti in cui non le importava affatto di far perdere punti alla Casata di Salazar, per la sua dignità sarebbe disposta a ricevere anche l'espulsione da Hogwarts.

- Credo che qui non sia io a pavoneggiarmi, ma tu. Miss "SonoPrefettodiSerpeverdeenonmimuovodaqua -

Riuscì ad accantonare perfino questo, senza però allontanare il pensiero di fargli del male, molto male.
Nessuno si era mai permesso di rivolgersi a lei in quel modo, e lei a nessuno l'avrebbe consentito.
Anche se doveva ammetterlo, sfoggiava con superiorità la sua spilla, ma una cosa era certa: non aveva mai fatto abuso di potere. Almeno non fino a quel momento.
Lo lasciò dunque parlare, ascoltando attentamente le sue parole. La sua intenzione era quella di mettere paura alla giovane ragazza, ma ella sapeva perfettamente che quel posto era sicuro quasi quanto gli altri. Anche la Foresta Proibita era considerata un luogo alquanto pericoloso, ma vide lei stessa, con i suoi occhi, che non vi era assolutamente nulla di così spaventoso. E non credeva affatto di essere stata fortunata, né che era stato solo un caso.

Le offese precedenti, le prese in giro e l'espressione di Horus, si miscelarono tra loro nella mente di Sophie, che sentì nuovamente il sangue salire su nel cervello, e no, non stava più riuscendo a controllare la sua ira.
Mentre lui girava attorno alla ragazza, lei lo seguiva con gli occhi, rimanendo ferma sul posto.
Primo giro. Secondo giro. Terzo giro.
Nell'istante in cui si trovava di fronte a lei, istintivamente, alzò la bacchetta con un movimento così veloce che nessuno si aspettava.
La puntò dritta alla gola del Caposcuola, e la sua intenzione era "appoggiare" la punta della sua arma così forte sotto il pomo d'Adamo da creare un'ombra sulla sua pelle assai profonda.


- Forse tu non hai capito chi hai di fronte, Sekhmeth. Ti conviene chiedere scusa e ritirare tutto ciò che hai detto, o puoi dire addio alle tue corde vocali. -

Parlava con un odio così evidente che la voce si sentiva appena.
Non era riuscita a controllare la sua rabbia, e da un lato la cosa la infastidiva perché era debole, e non poteva permettersi di fare niente di insensato.
Ma non poteva farci niente, non di fronte a quella persona.
Lo guardò seria negli occhi, con le pupille dilatate dall'ira.



Edited by Horus Sekhmeth - 7/3/2016, 11:18
 
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Horus sapeva benissimo fino a che limite si era spinto, ma raramente aveva provato in vita sua un'antipatia tale, soprattutto per una ragazza. Horus non era il ragazzo più empatico ed estroverso della Terra, quello ormai era un fatto appurato, ma il suo menefreghismo verso il novanta percento degli altri esseri umani gli permetteva di adottare una maschera di pura, fredda cordialità nel caso in cui fosse richiesta, altrimenti la capacità di ignorare certi individui lo permeava come una bolla che teneva lontano chiunque non fosse stato degno di attenzione. Forse solo Eugene una volta si era guadagnato un principio di odio con il suo fare irriverente ed arrogante. Eppure, pensò il Tassino in quella frazione di secondo, Eugene non era come la Armstrong: aveva dovuto ammettere, infatti, che per lui Horus aveva sempre sentito un'insana attrazione, un desiderio di conoscerlo e scoprire il perché di certi atteggiamenti. Sophie, invece, l'unica cosa che gli stimolava era la nausea. I suoi atteggiamenti, tipici di una ragazza viziata e spocchiosa, lo infastidivano: non era altro che una formica regina sotto la suola della sua scarpa. Probabilmente quel pensiero lo divertì più del dovuto, perché un angolo della sua bocca si incurvò in una smorfia ironica.
Sophie, tuttavia, lo stupì, almeno in un primo momento. Non rispose alle sue provocazioni e rimase impassibile, come una vera regina. Soltanto i rossi capillari dei suoi occhi, che rilucevano appena alla luce del Lumos, davano dimostrazione del sangue che probabilmente ribolliva come lava nelle sue vene. Horus, dal canto suo, non era uno sprovveduto, sapeva di starla spingendo ben oltre il limite della sopportazione e una parte di lui, la coscienza, si sentì quasi in colpa. Cosa avrebbe potuto fare Sophie Armstrong se la rabbia l'avesse vinta? Che ne sarebbe stata della sua innaturale compostezza? Abdhul l'avrebbe infine posseduta del tutto e lei avrebbe cominciato a urlare in arabo? Il Caposcuola ebbe la certezza che non avrebbe dovuto aspettare poi molto a capirlo e, cauto, lasciò scivolare la mano sinistra dietro la schiena, tastando il suo fedele amico: c'era una cosa, infatti, che non doveva sottovalutare ed era la bacchetta che la fanciulla teneva ancora fra le dita. Sapeva che la Armstrong era al secondo anno, come Prefetta Horus era tenuto a sapere le loro classi di appartenenza nel caso in cui avesse avuto bisogno di richiamarle, ma non poteva dar nulla per scontato.
Quando tornò innanzi a lei, la Serpeverde fece improvvisamente scattare il braccio tenente la bacchetta, puntando l'asta di legno contro il suo collo. C'era solo un problema: Horus era più alto di lei di quasi trenta centimetri e questo aveva portato Sophie irrimediabilmente più vicina a lui, complice un braccio troppo corto in confronto alla corporatura del Tassorosso. Approfittando di quello scarto che lei stessa gli aveva fornito, allenato da anni ad agire con prontezza di riflessi, Horus agì di conseguenza, sfoderando il pugnale che teneva nella cintura dei pantaloni e puntandolo a qualche centimetro dall'occhio destro di Sophie. La sua altezza e le sue proporzioni fisiche, le reazioni allenate, non avrebbero fatto altro che agevolare quel movimento, fluido e repentino come lo scattare di un cobra.
Il sorriso che si dipinse sulle sue labbra fu completamente innaturale, scoprendo i denti bianchi in un ghigno che, a stento, Horus avrebbe riconosciuto come suo.

« Facciamo così, Armstrong. Tu mi casti un qualsiasi incanto che la tua misera conoscenza di studentella del secondo anno ti permette, ma io faccio in modo di piantarti questo pugnale così in profondità nel tuo bulbo oculare da renderti un vegetale per tutta la vita. » Sibilò, spietato, il disgusto e lo scherno che permeavano ogni singola lettera delle sue parole.
La sua mano non vacillò neanche per un secondo e i suoi occhi fissavano quelli della giovane; per un istante il pensiero della lama affondata nell'orbita della ragazza, il sangue che schizzava, caldo e viscoso, su di lui, lo entusiasmarono e un brivido di piacere percorse la sua nuca. Sentì il cuore accelerare per qualche attimo, richiamando a gran voce quella crudeltà che pensava di aver abbandonato da tempo, riportando in auge sentimenti che credeva d'aver sepolto nel suo petto.
La Ragione gli disse che era meschino, che non avrebbe mai potuto farlo anche e soprattutto per se stesso, ma una voce, la voce crudele dell'assassino che fu, gli disse che Sophie Armstrong era nella Stamberga Strillante e che un pugnale non è un incanto tracciabile. Nessuno l'avrebbe trovata, nessuno l'avrebbe guarita, con il cervello perforato a quel punto.
Fu in quel momento che Horus ricordò per un istante dove avesse vissuto quella situazione: anni addietro, sul Lago Nero, la lama puntata sul collo della ragazza di cui ora era innamorato. E soltanto allora, Horus notò la straordinaria somiglianza degli occhi di Emily con quelli di Sophie.
Quella considerazione avrebbe potuto farlo vacillare, eppure c'era rimasto ben poco della coscienza, in quella situazione, completamente spazzata via dall'adrenalina e dall'eccitazione di un probabile omicidio. Nonostante i mille pensieri e il sangue che rombava, più potente dei tuoni, nelle orecchie, come mare in tempesta, Horus rimase vigile, pronto ad agire al primo accenno di movimento della ragazza. Qualunque fosse stato l'incanto scelto, la sua mano sarebbe stata più veloce di qualsiasi formula o movimento. Bastava solamente colmare quei brevi centimetri di distanza e la mano destra, libera, era pronta a scattare ad afferrare con forza il braccio di Sophie se solo lei avesse provato a fuggire.

« So benissimo chi sei tu. » Esordì sprezzante, sondando il viso di lei e continuando a puntare il pugnale nel suo occhio destro. I suoi occhi erano forse la parte più bella di lei, ma non erano niente in confronto a quelli di Emily: Sophie li aveva freddi, come un iceberg del mare del Nord, mentre Emily aveva l'intero universo al suo interno. Era solo una vaga somiglianza, si convinse. « Sei solo un'arrogante ragazzina che si crede ben più di ciò che è. Meriteresti di crepare. » Horus si sentì pronunciare quelle parole come se non fosse stato lui ad enunciarle, bensì qualcun altro. Si stupì del modo in cui queste vennero quasi sputate dal disprezzo e, nonostante tutto, non v'era neanche odio in lui. V'era solo disgusto e fu facile capire il perché. Probabilmente, si disse, perché Sophie Armstrong gli ricordava spiacevolmente coloro che aveva ucciso e sebbene Horus avesse trovato quiete con quel suo lato violento, la consapevolezza di bramare il cadavere della Serpeverde lo inquietò nel profondo. Ma una Fiera non può dimenticare qual è la sua natura e il desiderio di cacciare è iscritto nel suo DNA.

Non sono forse i Tassi che si nutrono delle Serpi, immuni al loro veleno?


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Quando dicevo che sottovalutare Tassorosso è un errore, non stavo scherzando. è_é
E SAI CHE POTREI FARLO DAVVERO. :shifty:
 
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Incredibile quanto quella situazione stava diventando inquietante e, agli occhi di Sophie, incontrollabile. Mentre cercava di allungarsi il più possibile per raggiungere il collo del Tassorosso e far in modo che la punta della sua bacchetta sprofondasse nella sua bianca pelle, alla ragazzina balenò nel cervello l'idea che forse stesse sbagliato tutto.
Era nella sua natura difendersi e minacciare, ma probabilmente si stava immettendo in un caos molto più grande.
Anche se le importava poco, stava pur minacciando un Caposcuola, e, anche se ella era Prefetto, era comunque un grado inferiore a lui, e non avrebbe potuto permettere che qualcosa andasse storto. In quel momento i punti della Casata erano l'ultimo pensiero di Sophie. D'altronde, a chi importava delle regole della scuola se la cosa a rischio era proprio la vita?
Fu così che il compagno di scuola, reagì in un modo completamente inaspettato.
Non appena ella vide il suo movimento fluido nell'impugnare quella lama, e puntarla dritta verso la pupilla della Serpeverde, un brivido di paura misto ad eccitazione percorse il corpo della sedicenne.
Forse poteva sembrare sadica, strana, forse non tutti provavano un sentimento simile in una situazione del genere. Si sentiva eccitata perché non si era mai trovata di fronte ad un paio di occhi così colmi di rabbia e con un pugnale puntato in pieno viso, e perché, probabilmente, sarebbe riuscita a cavarsela. Dall'altro lato, aveva paura: non aveva idea di chi si trovava di fronte, o meglio, non conosceva così bene quel ragazzo da poter determinare il fatto che l'avesse realmente fatto o meno.
In quel momento dovette ammetterlo: aveva fatto male i conti, in fondo Horus si rivelò essere un tipo interessante. L'aveva sottovalutato. E, in quel preciso istante, la confusione fece capolino: fin dal primo giorno che mise piede in quella scuola, il suo pensiero nei confronti di Serpeverde e delle altre Casate era ben preciso. Aveva conosciuto suoi Concasati che di particolarità Serpeverde ne avevano ben poche, e quella sera, un nuovo pensiero inondò la sua mente. Horus Sekhmeth era un Tassorosso, Casata che ella aveva sempre odiato. Gli studenti di Tosca li aveva sempre trovati noiosi, stupidi, strani.
Ma lui non lo era. Poteva essere tutto, tranne ciò che si aspettava.
Si era sempre rifiutata di credere ai luoghi comuni della gente, che diceva che la Casata non determinava necessariamente il modo di essere e di pensare dell'individuo. E quella sera non avrebbe potuto chiedere conferma migliore.
Odiava doverlo ammettere, odiava dover avere torto, ma purtroppo, era così.
Sophie stava ancora guardando i suoi occhi rossi, e l'immagine del viso di colui che credeva essere suo padre, tornò nei suoi pensieri.
Non gli avrebbe permesso di farle fare nuovamente la figura della persona fragile, le era già successo una volta, e non poteva farsi prendere nuovamente da quel momento.
Lo detestava, odiava il suo finto padre con tutta se stessa, e anche i suoi occhi ritornarono ad essere rossi molto più di prima.
Per un attimo, avvertì la folle idea di volergli strappare quel diavolo di pugnale dalle mani ed infilzarglielo nel cuore, come fosse lui, come fosse l'uomo che l'aveva cresciuta.
Ma doveva smetterla. Sarebbe arrivato il momento della vendetta nei suoi confronti, ma di certo quello non lo era.
L'espressione del suo viso divenne improvvisamente seria e quasi triste, pertanto, fece un passo indietro, allontanò delicatamente la punta della bacchetta dal collo di Horus e abbassò lentamente il braccio, per poi abbassare la testa e guardare il legno marcio del pavimento respirando quasi affannosamente.
Era talmente presa dall'immagine di Damon Armstrong, che in quell'istante realizzò di aver sentito la voce di Sekhmeth, ma di non aver sentito né capito nemmeno una parola di quello che aveva detto.
Fece un altro passo indietro, poi un altro ancora.
La cosa migliore, in quel momento, sarebbe stata andare via. Non aveva idea di quale sarebbe stata un'eventuale reazione di lei nel caso in cui suo padre avesse fatto ritorno nei suoi pensieri, e nemmeno di un'eventuale reazione di lui che sembrava quasi un'altra persona.
Così non disse nulla, nemmeno una parola.
Ma non perché lo aveva deciso lei, ma perché non aveva la forza di parlare, di pensare, di fare niente.


Edited by Sophie Armstrong - 17/3/2016, 08:45
 
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view post Posted on 18/4/2016, 09:27
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Horus R. Sekhmeth

Ciò che spaventò Horus, nel suo inconscio, più di qualsiasi altra cosa non fu l'aver puntato un'arma potenzialmente letale verso il bulbo oculare di una ragazza, con tutta l'intenzione di infilzarglielo fino a renderla un patetico vegetale. Non fu neanche il fatto che, al massimo, Sophie Armstrong, avrebbe potuto castargli un Flipendo, un incanto da cui si sarebbe ripreso neanche in due minuti e che quindi non giustificava una reazione tanto importante.
Ciò che inquietò il Tassorosso fu il fatto che, all'abbassar dello sguardo di Sophie, quando il velo di tristezza inondò i suoi occhi cerulei, lui non mosse la lama ed il desiderio di farle del male non scemò affatto, diversamente da quanto avrebbe fatto qualcun altro.
Chiunque avrebbe potuto farsi coinvolgere dall'empatia nell'osservare l'espressione che andò dipingendosi sul volto della Serpina, nonostante i suoi pensieri fossero celati come un prezioso tesoro all'interno della propria mente.
Eppure, Horus non riuscì ad immedesimarsi in lei, non riuscì a provare pietà e fu con difficoltà che mantenne il pugnale immobile, nonostante il Desiderio gli procurasse fastidiose scariche elettriche ai nervi del braccio. Una parte di lui, quella che aveva sempre tenuto nascosto dai tempi di Dulwich fremeva affamata e aveva quasi sperato che Sophie si ribellasse, che gli desse quel piccolo pretesto che bastava per spingerlo ad affondare la lama. Ora che quel pretesto, inevitabilmente, era venuto a mancare, Horus si sentiva insoddisfatto, come un bambino a cui era stato tolto il gelato promesso.

*Amon... cosa sono diventato?* Si chiese, turbato, mentre la ragazza indietreggiava. Horus la guardò per un lungo momento, in silenzio, quegli attimi accompagnati dal furore della tempesta che via via andava allontanandosi da Hogsmeade, i rombi dei tuoni sempre più lontani in una metafora dei loro sentimenti che avrebbe dovuto farli riflettere.
Infine, Horus abbassò il braccio, ma le iridi argentee saettarono per un momento sulla bacchetta della fanciulla. Non allentò la presa sull'elsa del suo pugnale, né abbandonò l'arto lungo i fianchi: il braccio rimase a mezz'aria, piegato all'altezza del busto, la lama ancora rivolta verso la ragazza.

*E se lo andasse a raccontare a qualcuno?* Fu il pensiero che, come un lampo, balenò nella sua mente, facendo tremare per qualche secondo quella Belva che fino a quel momento aveva preso il comando nell'Ego del ragazzo. Horus scoprì, però, che non gli importava nulla: sapeva di avere una certa nomea all'interno della Scuola e nessuno avrebbe potuto credere che il ligio Caposcuola Tassorosso avesse minacciato una ragazza solo perché gli aveva puntato una bacchetta contro. Era inattaccabile, pensò con un pizzico di superbia che gli fece piegare l'angolo delle labbra in una smorfia divertita.
« Hai perso la lingua biforcuta, Sophie? Non mi risulta di avertela ancora tagliata. » Pronunciare per la prima volta il nome della ragazza gli procurò una fastidiosa sensazione sulla punta della sua, di lingua, quasi quelle lettere fossero state impregnate da un sapore particolarmente amaro. Si rese conto d'esser curioso del perché quella ragazza, così arrogante, così sfacciata, avesse indietreggiato in quel modo. Paura di lui? No, Horus aveva come l'impressione che non fosse per quello che l'austerità di Sophie era andata frammentandosi. La Armstrong non dava l'idea di essere così *Assennata* timorosa, non di punto in bianco, almeno. Certo, la paura di un coltello piantato nell'orbita poteva paralizzare chiunque, ma c'era qualcosa che stonava in quell'immagine, come una pennellata distratta su un quadro altrimenti perfetto. Il Caposcuola la guardò, piegando leggermente il capo e piccoli ciuffi di capelli rossi scivolarono in avanti, mentre gli occhi si assottigliavano, intenti a studiare la fanciulla come una piccola, inerme cavia.
Oltre la superficie della Curiosità, la vera punta dell'iceberg era la Verità che, in realtà, lo spingeva a rimanere lì, a non incalzarla nel seguirlo al Castello poiché quella parte buia di lui sperava ancora in quel pretesto, mentre la sua Coscienza desiderava, invece, trovare un barlume di luce in tanta oscurità nella speranza che questa arretrasse e dimenticasse la
Fame che l'alimentava.


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view post Posted on 9/6/2016, 14:09
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Nonostante avesse fatto di tutto pur di non cedere di nuovo a quella debolezza causata dall'immagine del padre, accadde ugualmente, seppur in modo molto più leggero dell'ultima volta. Aveva imparato a controllarlo, ma non abbastanza. Doveva fare di più, ed era convinta che se fosse successo un'altra volta, sarebbe riuscita a domare quel senso di fragilità che la investiva periodicamente.
Prese in mano la situazione, e, mentre il suo capo era chino verso il pavimento, notò che Horus abbassò il braccio, ma mantenendo la punta del pugnale rivolta verso di lei, come a tenerla pronta per un eventuale uso dopo una mossa falsa della giovane Serpeverde.
Il gesto che aveva appena fatto era assai grave, era come se qualcun altro si fosse impossessato del suo corpo. L'aveva incontrato da poco, ma l'espressione del suo viso mutò come a farlo sembrare un altro, e questo non poté non notarlo.

Alzò nuovamente il capo, puntando le iridi ghiacciate contro quelle del compagno, che assumevano ancora l'espressione rabbiosa.
Sophie mantenne lo sguardo fisso verso quegli occhi, come a fargli capire che non aveva paura, e mai gli avrebbe permesso di farle del male.
Nonostante la gravità della situazione, ella non sapeva bene se un giorno si fosse vendicata andando a raccontare ai "superiori" quella vicenda, ma così non avrebbe fatto altro che fare lei la figura dell'idiota, incapace di difendersi e ancora peggio, uccidendo i suoi valori.
Si conosceva bene. Probabilmente si sarebbe vendicata, ma non in quel modo. Una volta raggiunto il suo obiettivo ed una volta essere cresciuta didatticamente e personalmente, come minimo la voglia di ammazzarlo lentamente nel sonno non sarebbe mancata.
Come si era permesso anche di pensare di farle del male? Com'era mai possibile che un Tassorosso avesse quel coraggio, non sapendo bene chi si trovava di fronte?
I suoi occhi piantati contro quelli del Caposcuola, manifestavano sempre più sicurezza e voglia di ribattere a tono, ma era ancora bloccata da quel torpore che l'aveva avvolta.

- Hai perso la lingua biforcuta, Sophie? Non mi risulta di avertela ancora tagliata. -

Di nuovo quel senso di rabbia e odio misto a soddisfazione, si fece presente dentro di sé. Incredibile quanto fosse spacciato quel ragazzo. Sapeva bene che fosse uno studente brillante, ma non che si sentisse così sicuro di se stesso.
Incredibile quanto le cose potevano stravolgersi in poco tempo.
Un attimo prima, era lei ad avere il coltello dalla parte del manico, e subito dopo fu lui a farlo, nel vero senso della parola.


- Tu fammi del male e ti pentirai di essere nato. -

Il suo tono di voce si abbassò di parecchio, ma era assai deciso.
Fece un altro passo indietro, volse lo sguardo verso l'uscita e si diresse in quella direzione.
Prima di varcare la soglia, girò il capo in sua direzione.


- Nessuno saprà mai di questa storia. Ma ti consiglio di stare ben attento a dove metti i piedi, da ora in poi, Sekhmeth. -

Continuò a guardarlo nell'attesa di una sua risposta.
Stava rischiando?
Sì. E anche parecchio.

 
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view post Posted on 18/7/2016, 15:45
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Horus R. Sekhmeth

L’ennesimo tuono squassò la fragile baracca, facendo tremare pericolosamente i vetri di quelle poche finestre che ancora potevano vantarsi d’averli. Con l’iniziale, progressivo allontanamento della tempesta, lampi cominciarono a diminuire di frequenza, lasciando nella semi-oscurità l’interno della Stamberga. Un paio di topi, spaventati dal frastuono, schizzarono via da sotto un asse e si rintanarono al piano superiore, squittendo impauriti. La pioggia continuava a cadere incessante, accompagnando con la sua furia quanto ciò stava accadendo fra quelle fatiscenti mura.
La coscienza di Horus, non del tutto sopita, scalpitava all’interno del petto, titubante e divisa, eppure, a differenza del passato, il Tassino era sorprendentemente lucido, così come lo era stato quando aveva estratto il pugnale senza esitare un instante prima di puntarlo verso Sophie. Quella notte a Dulwich aveva cominciato a vedere la luce, giustificando e comprendendo la propria furia.
Sophie Armstrong aveva fatto male i conti, s’era innalzata al di sopra di una stupida cravatta colorata, provocando in lui quell’istinto primordiale che raramente scendeva a patti con la ragione; in fin dei conti la Armstrong rappresentava quel tipo di persona capace di schiacciare gli altri per un capricci. Una creatura viziata e viziosa che incarnava l’ideale di essere umano in cui i Mangiamorte si rispecchiavano e divenendo, così, completamente incompatibile con Horus. Nonostante questo, la Serpeverde altro non era che un cagnolino che s’era azzardato ad abbaiare troppo forte ed aveva finito per mordere la coda di un lupo. Selvaggio ed indomito, infatti, l’Istinto del ragazzo che l’aveva spinto a reagire nasceva da qualcosa di trascendentale che Horus aveva sempre celato in cuor suo e che, alla fine, era proprio di qualsiasi essere vivente: l’istinto di sopravvivenza.
Per nulla impietosito né colpito dallo sguardo della ragazza, Horus sostenne il suo sguardo col gelo riflesso nelle sue pallide iridi. Le labbra sottili erano incurvate dall’ombra di un sorriso sardonico e mentre Sophie parlava, sovrastando con la sua voce carica di indisposizione —ma anche di un certo coraggio— la pioggia che li circondava, Horus rinsaldò la presa sul pugnale, ed il sorriso si aprì di più sul suo volto senza, tuttavia, diffondersi agli occhi. Alzò di poco il mento, mentre un angolo della bocca si arricciava in quella che somigliava vagamente ad un’espressione di disgusto.

« Fino a prova contraria, sei stata tu a puntarmi la bacchetta alla gola. Io mi sono solo difeso. » Le rispose freddo, in netto contrasto con quel sorriso denigratorio, le parole permeate da un velo di disprezzo.
« Stai molta attenta a chi minacci, Sophie. » Lentamente, alzò il braccio reggente il pugnale, e ne osservò la punta con interesse. La lama emise appena un minuscolo luccichio, riflettendo un lampo che penetrò lontano da un’asse marcia ed Horus sembrò rimanerne in contemplazione per qualche istante.
« Quelli che hanno anche solo pensato di farmi del male non hanno fatto una bella fine. Probabilmente stanno ancora cercando i pezzi » Aggiunse con apparente non curanza, rigirando il coltello nella mano e infilandolo nuovamente nella cintura con destrezza.
Al pari di un fulmine, uno dei tanti che si susseguivano in quella tempesta, la mente di Horus fu squarciata dal ricordo dei cadaveri degli uomini che li avevano ostacolati a Bramcote Hills Park, qualche anno addietro.
Ricordò le urla disperate, mentre il potere di Hagalaz richiamato e plasmato da Horus, li aveva falciati senza pietà; il sangue e il materiale cerebrale erano schizzati ovunque, violando la beltà di una neutrale Madre Natura, frammenti di arti e carne giacevano sparsi come macabri fiori cresciuti sulle erbe dell’inferno.
Quella visione aveva perseguitato Horus a lungo, procurandogli nausea e tremori durante la notte e ciò che più l’aveva spaventato era stato se stesso, la gioia selvaggia, animale che aveva provato nel sentirsi potente come un Dio; è così, si era chiesto con paura, che Seth si era sentito quando aveva smembrato Osiride?

Eppure ora, la visione non lo aveva più inquietato; ripercorse l’immagine e quei cadaveri con insolito distaccamento, sentendo solamente la voce di Camille che gli rimbombava nelle orecchie. Fu lì che capì, che imparò.

*È finita?* Si sarebbe chiesto più tardi, con la testa infilata sotto l’acqua calda del lavandino, ma in quel momento, di fronte a Sophie, tutto ciò che trasparì sul suo volto fu nient’altro che glaciale indifferenza ed un bagliore di compiacimento.

« Sì. » Mormorò, rivolto più a se stesso che alla Serpina, gli fissi sul suo viso. « Probabilmente non hanno trovato più niente. » Sorrise, senza rendersene conto.
Come se nulla fosse, si voltò, la mano destra infilata nella tasca dei pantaloni. Si sentiva stranamente tranquillo, come se fino a qualche minuto prima non fosse accaduto niente più che un banale, noioso incontro fra i corridoi. Non aveva alcun timore di Sophie, né delle sue minacce, sentendosene, piuttosto, divertito; i suoi sensi, tuttavia, rimasero allertati e la mano sinistra andò a sfiorare il glifo di Hagalaz e la Runa che aveva al collo. Se lei avesse osato fare qualcosa, senza alcun dubbio l’avrebbe attivata, col rischio di ammazzarla. Si incamminò verso la porta traballante da cui era entrato, arrestandosi poco prima di varcarla e voltandosi verso Sophie. Aveva deciso di lasciarla andare, che marcisse pure nella Stamberga.
*Se vuole impiccarsi, che si accomodi.*
« Non abbaiare troppo forte, o prima o poi qualcuno ti sbranerà. »
Le disse, ironico, prima di uscire dalla porta e sparire.

Durante il ritorno, quando ormai la Stamberga non fu che una macchia lontana nella foschia, Horus si attardò, la testa stranamente sgombra dai pensieri. L’intensità del temporale stava scemando, i tuoni si udivano a malapena ed i lampi non erano altro che barbagli fra le nubi livide. Si arrestò nei presti di un largo spiazzo, poco prima dei cancelli di Hogwarts, circondato dallo stormire delle foglie degli olmi sparsi lungo la strada; la figura del Castello si stagliò dinanzi a lui con un’autorità che avrebbe fatto sentire chiunque nient’altro che una formica. Horus alzò il viso al cielo, chiudendo gli occhi, le braccia lungo i fianchi ed i capelli completamente zuppi appiccicati al viso e al collo. L’acqua gli scrosciò sul volto, ed Horus si sentì come purificato dalla pioggia, come se Amon l’avesse immerso fra le acque del Nilo.

Aveva, ormai, abbracciato la belva che si annidava nel suo cuore; non aveva più paura di se stesso, ora.



"Everything I touch isn't dark enough, that this problem lies in me. I'm only a man with a candle to guide me, I'm taking a stand to escape what's inside me. A monster, a monster, I've turned into a monster and it keeps getting stronger.".

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Edited by Horus Sekhmeth - 18/7/2016, 17:05
 
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