| ♦ Horus R. Sekhmeth ~ Era stata una giornata decisamente pesante. Le lezioni erano terminate, gli esami anche, e gli studenti si godevano il meritato riposo, oziando in ogni dove nel Castello e beandosi del tempo estivo che regalava loro splendide giornate di sole. Horus, suo malgrado, non riusciva a godersi quel periodo di pace: ora che gli oneri scolastici lo avevano abbandonato, almeno per qualche mese, ci si era messo Lysander a separare il Tassorosso dalla sua vacanza, fatta di libri a volontà, Quidditch e beneamata nullafacenza, dopo un anno duro come pochi prima d'ora. Il Caposcuola si era chiesto pi e più volte: ma l'estate, in teoria, non rendeva tutti più pigri, non faceva desiderare a ciascuno di mollare lavoro, baracca e burattini e qualsiasi altro per andarsene al mare, in montagna, dalla vecchia e pisquana zia nelle belle campagne scozzesi? In teoria sì, ma non Lysander. Nossignori, Lysander, il vecchio proprietario dell'Ars Arcana aveva deciso di regalare ad Horus una settimana di straordinari, costringendo il ragazzo " Perché sei più forte di quell'altra imbranata, anche se sei schifosamente pignolo!" a impacchettare i vecchi oggetti, immagazzinarli e preparare il tutto per l'imminente restaurazione del negozio. E c'erano talmente tante cose da fare, che la Magia non era che un minimo aiuto, giusto per fare qualcosa in contemporanea, mentre si era occupati a farne altre dieci insieme. Così, dopo una giornata passare a impilare libri e spostare scatole, giocando a tetris nel vecchio ripostiglio per farle entrare tutte alla perfezione, Horus rientrava sfinito ad Hogwarts a quasi Mezzanotte passata.* Ci mancava perdere l'ultima Passaporta delle 21, dannazione...* Sbuffò, stizzito, mentre scendeva dal Nottetempo —l'unico mezzo utile— che lo aveva lasciato alla stazione di Hogsmeade. Come se non bastasse, poi, il tempo, ballerino, aveva deciso di graziarlo con un fantastico, improvviso, temporale. Imprecando, il ragazzo corse sotto una tettoia, dove sfilò la bacchetta e castò su se stesso un Impervius, per rendersi impermeabile all'acqua. Riparato, ma con la schiena dolorante e gli occhi che bruciavano, Horus decise di godersi quei momenti di silenzio, passeggiando tranquillo per la strada principale del paesino, udendo soltanto lo scroscio della pioggia e il suono delle proprie scarpe. Non c'era nessuno in giro, i negozi erano tutti sbarrati, così come le finestre delle abitazioni, ma non v'era nulla di inquietante, in quell'insolito paesaggio, altrimenti pieno di vita. C'era un senso di tranquillità e pace, di tacito riposo, che risanò il ragazzo, mentre respirava a pieni polmoni l'aria satura di umidità, piena dell'odore del legno e dell'erba bagnata. Passo dopo passo, il panorama cambiò: dapprima, raggiunto il centro del paesino, le vie erano piene di negozi, casupole e piccoli pub, poi, man a mano che si avvicinava al sentiero per Hogwarts, le case cominciarono a diminuire, le palizzate si fecero sempre più alte, logore mentre, più in alto, dinnanzi la via, la sagoma del Castello si stagliava nera contro un cielo ancor più cupo, squarciato ogni tanto da freddi lampi. Improvvisamente, Horus si arrestò, osservando la scena che si svolgeva davanti ai suoi occhi, illuminato a malapena dalla luce dei fulmini; era magnifico. Magnifico come quella scuola, che solo fino a poco tempo prima era stata distrutta completamente, ora sembrasse più forte che mai, come una fenice risorta dalle ceneri. Istintivamente, si portò una mano al petto, sfiorando con le dita la cicatrice alla base del collo che spuntava dalla maglietta nera, e stringendo poi i ciondoli con l'Ankh e la Runa che portava sempre con sé. Anche lui, in un certo senso, ce l'aveva fatta. Era venuto a capo di quella dannata faccenda, aveva trovato tante risposte, sebbene altre domande avessero preso il loro posto e la parte più oscura di sé, risvegliata da quegli eventi, giacesse ancora dentro di lui, accanto al suo cuore, come un drago addormentato sempre pronto a destarsi. Ma ormai, pensò corrugando leggermente le sopracciglia, quello era un capitolo chiuso. Doveva pensare ad andare avanti.* Siúil a Rún.* Con un sospiro, Horus riprese a camminare, volgendo distrattamente lo sguardo a sinistra, laddove un'altra sagoma si stagliava, sbilenca, contro il cielo: quella della Stamberga Strillante. Quell'edificio, che, decisamente, non godeva di buona fama, era sempre risultato un po' grottesco, eppure, quella sera, persino quel luogo tanto deperito sembrava assumere un fascino proprio. Senza quasi rendersene conto, Horus deviò dal sentiero, raggiungendo la staccionata della Stamberga e poggiandovi una mano sopra. Il legno era marcio, pronto a cedere in un qualsiasi momento, ma il ragazzo non vi badò, osservando incuriosito la vecchia casa. Chissà cosa si celava al suo interno? Si diceva che fosse infestata, ma del resto, i fantasmi non erano anche ad Hogwarts? * Sai che novità. E se si fosse trattato di demoni? * Di quelli ne ho visti abbastanza per il resto della mia vita.* Ammise, facendo dietro-front. Eppure, eppure... Horus voltò lo sguardo ancora una volta, osservando ancora una volta la Stamberga illuminata da un teatrale fulmine.
Cinque minuti dopo, con la bacchetta accesa, Horus si ritrovò a superare una trave penzolante proprio sopra l'entrata della catapecchia, maledicendo la sua idiozia e al tempo stesso col cuore che batteva per la curiosità. L'idea di trovare un angolo, un rifugio, solo per sé così vicino alla Scuola, lo aveva spinto ad entrare, infine. O almeno, questa era la scusa ufficiale che aveva dato se stesso per frenare il buon senso che gli diceva "vattene a dormire". D'improvviso, quando fu dentro —trattenendo a stento uno starnuto per la quantità ingente di polvere * Il premio idiozia dell'anno me lo merito di qui fino all'anno del duemilamai.* — la tenue luce della sua bacchetta illuminò una figura di fronte a sé, dai lunghi capelli biondi che baluginarono appena al riflesso, con fare quasi spettrale. * OPPORCAPUTT-----* Col cuore che impennava per lo spavento e la sorpresa, una mano sulla bocca per impedirsi di irrompere a tutta voce in quel silenzio, Horus inquadrò, dopo pochi attimi, quella figura per un essere umano e subito dopo per una studentessa, o almeno, non poteva essere altrimenti, visto l'aspetto tanto minuto e il non essere propriamente trasparente. E non doveva essere altrimenti.« E tu chi diavolo sei. » Esordì, l'eco della sua voce che si ripeteva flebile nell'ambiente, mentre la mano scivolava lungo il fianco, la sinistra stretta sull'impugnatura della fida bacchetta, i nervi improvvisamente tesi.* Ma tu non eri stanco Ra?* L'aveva già detto, maledetto lui?« No one knows and no one will know, but I feel like losing senses. I am in this corner here alone. »
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