| Soffiava, soffiava come sempre il vento e - pacato - si muoveva verso una nuova meta, sempre lontana dalla precedente, inconsapevole di quale fosse la direzione, dubbioso su cosa avrebbe trovato. Poteva il vento essere stanco? Non era altro che una massa d'aria atmosferica che si muoveva ad alta o bassa pressione, poteva davvero stancarsi? Eppur si sentiva fiacco, sperduto, in perenne movimento, senza possibilità di riposo. Tante volte aveva deciso di fermarsi in un luogo ad osservare cosa vi fosse di nuovo, cosa avrebbe potuto trovare, se qualcosa - prima o poi - lo avrebbe spinto a restare. Da quanto tempo viaggiava? Non riusciva neanche a ricordarlo, aveva iniziato da che ne aveva memoria, da quando tutto era iniziato. Avvolto da un velo di tristezza, il suo sguardo lucido ricadde sulla punta di una maestosa montagna. Il suo apice innevato sembrava il culmine della sua grandezza. Dall'alto, quel monte appariva così forte, vigoroso, indistruttibile, inamovibile. Durante i suoi viaggi, il Vento ne aveva visti centinaia, forse migliaia di monti, ma come quello nessuno, no, quello era diverso o forse era solo la sua speranza a spingerlo verso certi pensieri. Curioso, decise di avvicinarsi, fermandosi proprio sulla punta, lì dove un albero estendeva i suoi rami spogli, nel tentativo di abbracciare il cielo. Al suo passaggio, i rami del povero albero tentennarono ma rimasero saldi nella loro posizione mentre il Vento, distratto, si guardava intorno, cercando qualcosa che potesse attirare la sua attenzione, qualcosa che potesse incuriosirlo a tal punto da convincerlo a fermarsi, questa volta per sempre. Eppur non vi era nessuno, non vi era vita sulla punta di quel monte, solo sassi, neve e quel singolo albero coi rami protesi verso l'alto. Sbuffò, seccato all'idea di aver perso tempo ancora una volta, fermatosi lì dove non avrebbe trovato nulla. «Che cosa ti turba, mio passeggero amico?» Il Vento si voltò di scatto, notando solo in quel momento un volto sbucar fuori dalla corteccia dell'albero. I suoi rami si mossero, tendendosi verso di lui, come in una cordiale stretta di mano. Il vento soffiò aria calda per ricambiare - a suo modo - il caloroso benvenuto del suo nuovo amico; ma l'aver trovato qualcuno con cui parlare non era bastato a tirargli su il morale. «Albero, perdona il disturbo, non credevo vi fosse nessuno qui.» «Oh, nessun disturbo. E' sempre piacevole trovare qualcuno di nuovo con cui conversare. Ma ti prego, dimmi, cosa ti abbatte?» I pensieri cominciarono a muoversi frenetici e frenetico divenne il Vento che, senza rendersene conto, era mutato in tempesta. Quei dubbi e preoccupazioni lo assalivano da tempo, tempo immemore. Era restio a parlarne con qualcuno ma trovò rassicurante la pacatezza di quell'albero. «Soffio, soffio sempre. Da che ne ho memoria continuo a spostarmi, ho visto centinaia, migliaia di luoghi. Ho ammirato il gelo delle terre del Nord, goduto del calore del Sud, condiviso l'ardore dell'Ovest e appreso dall'orgoglio dell'Est. Eppure, mio amico Albero, non ho ancora trovato un luogo in cui fermarmi.» Esitò il Vento in quell'istante. Stava forse parlando troppo? Era giusto aprirsi a quel modo con uno sconosciuto? In fondo cosa aveva da perdere? L'albero, dal canto suo, era rimasto in silenzio, consapevole - dall'alto della sua saggezza - che la storia non era ancora giunta a conclusione. «Sento un vuoto dentro di me Albero, qualcosa mi manca e non riesco a trovarla. Non so cosa sia ma so che esiste, senza mi sento incompleto, diviso in due...» Ancora una volta il Vento tornò ad agitarsi, non riusciva in alcun modo a controllarsi, sentiva un moto percuoterlo, costringerlo a dimenarsi, coinvolgendo chiunque attorno a lui. Ma l'albero rimase impassibile, ancora una volta la storia non era finita. «E sono stanco, stanco di viaggiare e non trovare nulla, stanco di muoversi continuamente senza aver modo di fermarmi, senza aver trovato... qualcuno per cui valga la pena restare.» «Oh, dunque è questo. Allora osservami, guarda le mie radici e poi guarda tutt'attorno.» Sorrise l'Albero, mentre osservava lo sguardo del Vento seguire le sue indicazioni. Non fu difficile comprendere cosa volesse dire, l'Albero era costretto a rimanere lì, incapace di spostare, impossibilitato ad andare altrove. Attorno a lui non vi era niente, esattamente come aveva potuto notare all'inizio. Chi dei due, in fondo, stava peggio? «Mi dispiace, sono stato indelicato.» «E perché dovresti esser dispiaciuto? Io qui ho tutto quello di cui ho bisogno. La terra nutre il mio corpo, il cielo culla mio spirito. Ho quattro amici che mi vengono a trovare e mi fanno ciclicamente compagnia per quattro mesi, le stagioni.» Rimase in silenzio per un'istante, osservando l'espressione del Vento, sorridendo. «Non importa quanto viaggi, non riuscirai a trovare ciò che cerchi finché finché non sarai davvero disposto a cambiare.» «Ma io sono disposto a cambiare!» Tuonò il vento, interrompendolo. «Posso essere Scirocco, Ostro, Tramontana... Posso essere un vento caldo e gentile o freddo e pungente!» Si fece quieto subito dopo, aveva capito di esser stato troppo irruento, lentamente il vento aveva iniziato a curvare i rami dell'albero con la sua forza ma l'albero non sembrava né spaventato né preoccupato. «Non è in questo modo che troverai ciò che cerchi. Prima di poter trovare qualcuno che ti accompagni nei tuoi viaggi devi comprendere di essere completo già da solo. Tu Vento, sei già tutto ciò che devi essere, non ti serve nient'altro se non te stesso.» L'albero non disse altro, ritenne che non ve ne fosse bisogno, il Vento doveva capire da solo. Rimase in silenzio, perplesso rispetto a quanto aveva sentito. L'albero sembrava così sicuro di quanto aveva detto che quasi lo convinse, sebbene le sue parole andassero completamente contro ciò che aveva sempre pensato.
Se il Vento si sentiva incompleto poiché nessuno era accanto a lui, come poteva risolvere il problema accontentandosi della solitudine? L'albero voleva forse impartirgli un'amara lezione, spiegargli quanto dura e crudele fosse la vita? No, non era così, ci volle del tempo prima che il Vento imparasse a capire. Solo accettando sé stesso e amandosi per ciò che era avrebbe potuto trovare qualcuno che lo amasse, qualcuno da amare. Accettare se stesso era l'unico modo che aveva per imparare ad accettare anche gli altri.
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