La notte le aveva lasciato una sensazione strisciante di tante zampe d’insetto sulla pelle che neanche la doccia era riuscita a sciacquare via, per quanto Niahndra si fosse sfregata e sfregata fino ad arrossare l’epidermide.
Da quando era tornata nell’appartamento londinese per il periodo estivo si era sentita soffocare, con le pareti che davano l’impressione di volerla stritolare in una morsa fatale. Qualcosa o
qualcosa stava chiaramente suggerendo che lei si trovasse nel posto sbagliato e pareva irremovibile nel suo intento di spingerla fuori di casa, verso la
direzione giusta. Quale fosse questa direzione giusta non era dato sapere.
Era una sensazione che Niahndra aveva imparato a conoscere, quella della testa formicolante, dei nervi in fibrillazione, dei muscoli irrequieti; di una molla allungata e carica di energia potenziale, che aspetta solo di liberare la tensione con uno schiocco sonoro.
Se avesse potuto scegliere, Niahndra avrebbe deciso di ignorarlo e resistere all’impulso di mettersi in movimento, chiudersi la porta di casa alle spalle e calpestare il marciapiede sovrappensiero —trainata per mezzo di una fune contro la sua volontà. Era lì, ma non lo era. Camminava e si vedeva camminare. Conosceva la destinazione, ma non sapeva dove sarebbe finita.
Quando vide l’insegna del ragno, tuttavia, non si stupì.
Il muricciolo che segnava il profilo di una delle diramazioni malfamate di Nocturn Alley aveva guadagnato quel giorno qualche metro in più di lunghezza, uno spazio appena sufficiente a scoprire una fessura alta e sottile talmente semplice da trascurare che persino Niahndra —pur riconoscendo l’esoscheletro lucido dell’aracnide raffigurato al di fuori— se ne accorse solo quando i suoi piedi l’avevano ormai strattonata all’interno.
«
Bentornata». «
Benvenuta». «
A presto».
Passato, presente e futuro si sovrapposero in un
déjà vu dai bordi sfumati, esattamente come le tre voci che l’accolsero.
Niahndra sbatté ripetutamente le palpebre per abituarsi al cambio di luce all’interno della bottega. Tra una saccade e l’altra avrebbe giurato di intravedere ora una figura di donna, ora tre. Si strofinò gli occhi, riuscendo finalmente a mettere a fuoco i contorni di un arco in pietra che delimitava l’atrio e proiettava il suo sguardo lungo un corridoio adombrato di cui non riuscì a intravedere la fine. Passò quindi ad osservare la donna —una, adesso— che le sorrideva sornione e a mani conserte. Qualche ruga le segnava il viso placido.
«
Buongiorno a lei —
voi?», mormorò educata ma distratta. Stava ancora aspettando che la testa smettesse di formicolare e che i piani temporali si sganciassero, lasciandola univocamente al presente. In più, non riusciva a smettere di lanciare occhiate di sottecchi alla donna, il cui sorriso adesso sembrava aver assunto toni decisamente più derisori. L’impressione svanì nel battito di ciglia successivo.
«
Che posto è questo? Io…Credo di esserci già stata, mi ricordo di lei. O di qualcun altro». Non riusciva a frenare la sequenza di farneticazioni che stava uscendo dalla sua bocca, per cui a metà Niahndra semplicemente si arrese al proprio straparlare.
La signora fece uno svolazzo noncurante con la mano, quasi a voler accantonare il discorso. «
Da qualche altra parte, sì, in qualche altro tempo —ridacchiò come se avesse detto qualcosa di divertente —
La ragnatela è vasta, ma pizzica un poco qui ed ecco che questo si ripercuote da quest’altra parte».
Qualcosa fece clic nel cervello di Niahndra, l’ultimo pezzo di puzzle finalmente al suo posto. Il sollievo fu immediato. Fece male quando la tensione venne meno; lo faceva sempre. Pizzicava sulla pelle proprio come un elastico tirato allo spasimo che viene rilasciato d’improvviso.
«
La bottega di filato», sopperì ignorando il lungo brivido lungo la schiena. «
L’ho visitata diverso tempo fa. Lei era lì».
«
Non proprio, ma sì». Adesso la donna non stava facendo assolutamente nulla per nascondere l’espressione beffarda che la animava. «
Devi trovarti ad un punto di giuntura particolarmente sensibile del tuo percorso; è lì che posti come questi sorgono di solito, collegati sotto molteplici piani».
«
Ovvero?»
«
Puoi pensarla come un’articolazione; il punto di snodo tra due pezzi complementari che interrompe il cammino ma, al tempo stesso, rende possibile la mobilità».
Niahndra rimase in silenzio per un po’, a cercare di digerire quelle parole e trovarvi un senso logico perché era chiaro che la donna difficilmente le avrebbe fatto dono di una spiegazione più trasparente. Si guardò bene dal lamentarsi, dal momento che la vecchia della bottega di filato era stata, se possibile, persino più enigmatica e avara di parole. Eppure, paradossalmente, per quanto le rimanessero ancora numerose zone d’ombra circa quell’incontro, Niahndra era convinta di aver —se non compreso— quanto meno intuito la logica sottostante: erano tutti immersi in un grande reticolo di energia, connessi e interconnessi l’uno all’altro; ed in qualche maniera, l’ordito intessuto dalla vecchia rappresentava proprio quel reticolo. Come ciò si fosse tradotto in un acchiappasogni che le aveva fatto sparire quasi interamente gli incubi ancora le sfuggiva (insieme a tante altre cose), ma con un grammo di buon senso e tre di fantasia poteva colmare i buchi. Si parlava in fondo di
tessuto dello spaziotempo o
intreccio di destini o ancora, banalmente, della
trama di un racconto. Governa i fili, e il burattino seguirà. Comanda con la giusta inflessione, e la magia si piegherà al tuo volere.
Ciò che veramente in quel momento la lasciava basita adesso era…
«
Questa non è una bottega di filato, però».
Captò l’eco di una risata, ma non vide la donna aprire bocca. Le indirizzò soltanto la smorfia scaltra di chi sa qualcosa che tu non sai.
«
No», confermò vivace. «
Qui ci occupiamo di incidere rune. Beh- almeno prima». Si corresse aggrottando la fronte, prima di abbracciare con la mano l’area circostante. «
Adesso è uno studio di tatuaggi».
Di fronte all’espressione perplessa di Niahndra, si difese «
Sempre di stringhe si parla».
Nessun responso da parte della Alistine. Questa volta la donna sgranò gli occhi sbigottita. «
Oh, andiamo. “In principio era il verbo”, no? “Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”», sciorinò i versi del Vangelo come se non le costasse fatica, come se l’avesse visto scrivere. «
Verbalizzare è dare potere e vita. Le rune formano parole. Le parole sono un veicolo; più spesso ancora, sono un vincolo».
A quel punto si mosse con la scattosità di chi non è abituato a sottostare alle leggi fisiche e si disinteressa delle convenzioni sociali che normano l’opportuna distanza da tenere con uno sconosciuto. Intrappolato il polso di Niahndra in una tenaglia, lo ruotò perché esponesse l’incavo; lì, sul groviglio bluastro di capillari, tracciò leggera con l’indice una X. «
Ma tu questo già lo sai, non è così?»
Il sorriso che le rivolse non era amichevole. Non c’era esattamente cattiveria nel suo tono di voce poiché non v’era intento di nuocere, ma crudeltà —quella sì. Come di un qualcosa che agisce secondo natura e non può far a meno di lasciare devastazione lungo la propria scia.
Niahndra ritrasse la mano, paonazza in volto. Sul polso sentiva bruciare i segni di Gebo, la runa che la legava ad una promessa che lei e Kevin si erano scambiati molti anni prima. Niah l’aveva disegnata a penna sul polso di lui e poi l’aveva riprodotta sul proprio a mo’ di trasferello. Era sparita da un pezzo, come diamine avesse fatto a vederla…
«
L'inchiostro può anche sbiadire, ma l'intento che sta sotto, no. Quello rimane». Una spiegazione che aveva più il sapore di minaccia. «
Un vincolo, una stringa; esattamente come ti dicevo. È per quello che i marchi non sono roba da prendere alla leggera».
«
Lo so», rimbeccò a denti stretti Niahndra. Si teneva la mano premuta contro il petto, al riparo dallo sguardo rapace dell’altra. “Non lo prendo alla leggera”, avrebbe voluto dire, ma erano affari suoi e non aveva alcuna intenzione di condividerli con qualcuno che aveva appena incontrato.
«
Ah, sì?» Un’alzata di sopracciglio, anche se Niah non avrebbe saputo determinare se in sorpresa o in scherno. «
Sicura che non vuoi liberarti del vincolo?»
La ragazza scosse la testa. Ormai era andata e non lo rimpiangeva. Poi un pensiero la colpì. «
Credevo che, anche a inchiostro sbiadito, l’intento rimanesse», scimmiottò.
Una scrollata di spalle da parte dell’altra, il movimento artificioso che tradisce un lungo periodo di immobilità. «
A volte puoi trasformare un vincolo in un vicolo. A volte, addirittura, puoi trasformare un vincolo in uno svincolo». Lo disse scoprendo i denti, come se sapesse di star offrendo qualcosa di appetibile. «
Ci vuole abilità, però. E la giusta dose di disperazione per pagarne il prezzo».
Niahndra rabbrividì di nuovo. L’altra megera non aveva chiesto soldi in cambio dei suoi servizi, ma lei era comunque uscita da quella bottega con l’impressione di aver pagato molto più di quanto anche i conti Gringott del primo ministro e del preside di Hogwarts insieme potessero coprire.
«
E lei sa farlo?»
L’altra le sorrise, quasi dolce. Ancora quella risata senza che muovesse le labbra. «
È il mio lavoro. Annodare e sbrogliare; vincolare, svincolare, veicolare».
Approfittò del silenzio di Niahndra, forse scorgendo in lei un lampo di esitazione, un aggancio; prese a girarle intorno, apparentemente inconsapevole di quanto i suoi modi risultassero fuori luogo o dell’effetto che stava avendo sulla ragazza. «
Se non sei qui per Gebo, forse c’è altro che posso fare per te?»
Niahndra la seguì con la testa fino a torcere il collo, rifiutando di spostare i piedi ma comunque a disagio col darle le spalle. Continuò a rimanere in un ostinato silenzio mentre l’altra la studiava disegnandole un cerchio intorno.
«
Ah», cinguettò la donna arrestando il passo. «
Forse è questo, allora?» Azzerò nuovamente le distanze, sfiorandole la nuca con una nocca gentile.
“Cosa?”, avrebbe dovuto chiedere Niahndra a quel punto, ma neppure sprecò il fiato a fare la finta tonta. Scosse il capo per liberarsi dal tocco dell’altra e sostituì le sue dita con le proprie, nel punto in cui solo pochi giorni prima si era fatta tatuare da Estia al Ballo dell’Eclissi di Sangue. I segni della tintura erano invisibili se non alla luce della luna, ma se persino un disegno a penna di anni prima non era riuscito a passare inosservato…
«
Cosa c’era di tanto importante da doverlo imprimere indelebilmente?» Ora che aveva affondato i denti, era impossibile farle mollare l’osso.
A disagio e con la sensazione di trovarsi sdraiata su un tavolo operatorio, Niahndra si strinse nelle spalle bloccando il movimento appena se ne fu resa conto. Guardò la donna negli occhi. «
È una bussola», spiegò ermetica guadagnandosi un trillo deliziato in risposta.
«
Quanto persa ti devi sentire per disegnarti una bussola invisibile dietro la testa, dove gli occhi non arrivano».
La domanda aveva il retrogusto retorico di chi pensa di conoscere già la risposta ed è divertito dalla cosa; per cui Niahndra se ne stette in silenzio, affatto propensa all’idea di doversi giustificare. Certo, ciò non rendeva le parole della donna meno vere. O meno pungenti.
Distolse lo sguardo e si allontanò di qualche passo per togliersi dal suo raggio d’azione. Provò a buttare un’altra occhiata al corridoio ma era ancora troppo buio. Se non altro, a quel giro si accorse delle rune incise nell’arco in pietra.
«
A cosa punta la tua bussola?», inquisì ancora l’altra.
Niahndra rise per la prima volta da quando era entrata —amara, ma era pur sempre una risata. La accompagnò con uno scossone del capo. «
Non ne ho proprio idea. Con la fortuna che mi ritrovo, punta a un vicolo cieco».
L’ennesimo. Sempre di più Niahndra aveva l’impressione che qualunque svolta prendesse nella vita, finisse sempre con l’avere meno opzioni di prima. Come un cappio che si stringe intorno al collo.
«
Anche la più precisa delle bussole è inutile se non sai dove andare».
Grazie, proprio quello che volevo sentire. «
Me ne sto rendendo conto», disse solo.
«
Troppe forze contrastanti si agitano dentro di te, ti tirano da una parte e dall’altra, offuscano i tuoi desideri e la tua via. Per questo la bussola non sa dove puntare».
Agli angoli degli occhi, in mezzo al naso, Niahndra iniziava a sentire il pizzicore che anticipava le lacrime. Era difficile
essere visti. Deglutì. «
Quindi il suo suggerimento qual è?»
«
Dei marcatori». La risposta giunse rapida e terribilmente semplice. Stava tornando l’aria di beffarda onniscienza. «
Come dei sassolini lasciati a terra per ricordarsi la strada, come il filo d’Arianna all’interno del labirinto. Una segnaletica, che ti instradi e ti rammenti come e dove tornare».
Oh. Niahndra alzò entrambe le sopracciglia. «
Ho già provato qualcosa di simile, non so esattamente come». A Cadair Idris, quando la foresta incantata aveva innescato la sua natura di banshee si era affidata ai propri compagni per essere guidata nuovamente nel suo corpo.
«
Il principio è quello», confermò la donna come se conoscesse l’episodio. «
Solo più…permanente». Un’occhiata allusiva che Niahndra interpretò al volo.
«
Sta suggerendo un tatuaggio».
Uno sbuffo, poi la donna si strinse nelle spalle. «
È un termine estremamente riduttivo, ma diciamo di sì. Vieni con me».
Senza attendere risposta, voltò le spalle e le fece strada attraverso l’arco in pietra e lungo il corridoio misterioso. Il rumore cristallino di una cascata d’acqua rimbalzava tra le pareti; anch’esse, notò Niahndra curiosa, erano incise con simboli runici sopravvissuti ai secoli e vignette stilizzate che parevano richiamare episodi mitologici.
Lo stretto corridoio si spalancò su una stanza circolare di dimensioni ragguardevoli, attraversata da parte a parte da un rivolo azzurrognolo. Al centro, lambito appena dall’acqua, sorgeva il tronco maestoso dell’albero più grande che Niahndra avesse mai visto. Fu costretta a inclinare la testa all’indietro e comunque non riuscì ad abbracciare per intero le migliaia di rami intrecciati che parevano sparire nel soffitto.
«
Cos’è questo posto?», soffiò piano.
La donna le scivolò di fianco, silenziosa. «
Una giuntura, te l’ho detto».
Le indicò la cascata. «
Devi immergerti, prima di cominciare». Quando si accorse dell’esitazione di Niahndra, aggiunse «
Serve ad avere una tela pulita su cui tracciare. Tabula rasa».
Prima di cominciare, la donna aveva intinto le mani nello stesso rigagnolo in cui aveva fatto immergere Niahndra; poi si era avvicinata al grande albero e, dopo aver mormorato qualche parola che Niah non aveva sentito, lo aveva inciso in più punti. Con delle cannule ne aveva infine estratto quella che lei sospettava essere la linfa. Era con quel fluido che adesso la donna stava disegnando arabeschi sulla sua pelle, seguendo uno schema che Niah non avrebbe saputo decretare se fosse casuale o meno.
«
C’è tanta confusione qui. Le linee dovrebbero aiutarti a mantenere la rotta senza lasciarti sviare da forze esterne», spezzò il silenzio la tatuatrice.
Niahndra produsse un “mmh” poco sentito. Sapeva di star ancora scontando le scelte di qualcun altro. Ripensò a Brigit, a come il suo silenzio le fosse costato la vita. Ripensò a Sam, sparito dall’orfanotrofio per indagare sul mistero delle sue origini. Ripensò a Melanie, a Suor Prudenzia che ancora la perseguitava dalla tomba.
Aveva provato a riprendersi la propria autonomia, ma dove l’aveva condotta se non su sentieri via via più contorti; ogni svolta che pareva trascinarla sempre più in basso? C’era stata Eloise, la leggerezza e l’euforia temporanee date dal rivelarle i propri segreti e sentimenti; seguita dall’instabilità di un cambio di paradigma, dalla brutalità di trovarsi naufraga e al largo senza alcun punto di riferimento né in cielo né in terra. C’era stata Hameeda, e la promessa di quiete e controllo tramite l’occlumanzia, distorta immediatamente dopo dagli attacchi inclementi di Renzo, che avevano finito per aizzare ancora di più qualunque cosa Niah fosse riuscita a tenersi dentro fino ad allora. C’era stata Nieve, e quella era una strada dalla quale non credeva potesse esserci ritorno.
«
Cosa sta disegnando?» Volle sapere.
«
Ciò che vedo».
«
E cosa vede?»
Il silenzio che seguì fu talmente lungo che Niahndra quasi s’addormentò sotto il tocco leggero della donna, cullata dal gentile scrosciare dell’acqua. La risposta la raggiunse nel dormiveglia. «
La verità del passato, i debiti verso il futuro, il divenire e l’essere del presente. Difficile separarli, di solito si sovrappongono».
Qualcosa nella mente assonnata di Niah tornò ai punti di giuntura e alla ragnatela.
«
Alcuni futuri richiedono pegni talmente vincolanti da essere già passato, storia scritta. Di contro, alcune verità sono così antiche da essere cadute nell’oblio, rimanendo appese ad un filo talmente incerto da essere scambiate per divenire».
A quel punto Niahndra si era già addormentata.
La notte le aveva lasciato una sensazione strisciante di tante zampe d’insetto sulla pelle. Assonnata e rimbambita, Niahndra si era buttata in doccia per strofinare via l’impressione.
Tra i rivoli d’acqua e un colpo di spugna e l’altro, gli occhi colsero una serie di venature sulla pelle. Si fermò per sbattere le palpebre, e queste sparirono.
La tensione era sparita, sostituita dalla terribile consapevolezza di aver pagato un pegno di cui non conosceva la natura.