self-portrait

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view post Posted on 13/8/2019, 22:05
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Sometimes I can feel my bones straining under the weight of all the lives I'm not living.

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Stupeficium
Ambientazione ▹Londra, appartamento (17 anni)
Segue gli eventi narrati nella role con Rhaegar ▹ if you add to the truth you subtract from it





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Il ricordo di un lampo rossastro che sferzava l’etere le esplose dietro le palpebre serrate, e la memoria di Niahndra cercò di ricostruire la scena nei minimi dettagli.
«E l'ha colpita? Così, senza avvertimento né altro?»
«Non una parola, ti dico.» La ragazza gesticolò con veemenza nell'aria e la spugna che stava usando per lavare i piatti schizzò tutt’attorno senza che lei ci facesse caso. «Le è arrivato alle spalle fischiettando. Fischiettando!»
In seguito al colloquio con il capo auror, Niahndra aveva preferito anticipare il suo rientro a Londra. Se imbastire una scusa qualunque era servito a non allarmare la propria ospite —che pure aveva mantenuto un certo grado di preoccupazione mentre la osservava infilare i vestiti alla rinfusa nella valigia; orde di vestiti, così tanti che si chiese come potessero entrare in un trolley così piccolo—, altrettanto non era riuscita a fare con Sam che se l’era ritrovata nel portico davanti a casa una settimana prima del previsto.
Non desiderava mentirgli né avrebbe avuto molto senso considerando che probabilmente la notizia sarebbe comunque trapelata prima o poi.
E poi aveva sottovalutato la propria collera. Non si era resa conto di quanto bisogno avesse di vomitare fuori quella storia assurda dopo essere stata costretta a mantenere la calma così a lungo. Trovava tutta la situazione semplicemente inconcepibile.
Quando poi il signor Wilde aveva fatto cenno agli avvenimenti degli ultimi GUFO, c’era mancato tanto così che lei uscisse completamente fuori di testa. Invece, oltre ogni pronostico, era riuscita a contenersi per il tempo necessario a raggiungere l’unico posto sicuro che conoscesse. L’unica persona sicura che conoscesse.
«Avrebbe potuto disarmarla invece di spararle contro quel-quel---non so neanche che incanto fosse. È andata giù come niente, non avevo mai visto una cosa simile.»
Altri schizzi di sapone quando lei mimava la scena con maggiore teatralità del necessario.
Rapido, Sam approfittò di un momento di pausa per toglierle di mano la spugna e sostituirla con un panno per asciugare per darle il cambio davanti al lavandino e contenere i danni.
Era rimasto in silenzio, ma sotto la superficie placida ribolliva il turbamento che lo scuoteva fin nelle ossa. Sapeva che la rabbia di Niah non era che un modo come un altro per soffocare la paura che le aveva visto appiccicata addosso da quando era tornata da Hogwarts e che gli faceva prudere le nocche dal desiderio di aprirsele contro lo zigomo di qualcuno.
Quella rabbia era lo specchio della sua.
A cosa era servito allontanarla da lì e mandarla in Italia perché si liberasse la mente se appena rimetteva piede in Gran Bretagna si ritrovava un comitato di benvenuto di quel tipo?
Strinse le dita a pugno, sordo alle parole dell'altra.
«Sam.»
«Mmh?» Infine la sua voce riuscì a far breccia nella coltre rabbiosa e nel momento in cui gli occhi del ragazzo tornarono a vederla Niahndra si rese conto del secondo errore di valutazione commesso quel giorno. Non aveva considerato l'impatto delle sue parole sull'amico e se ne sentì morire. Non riusciva neanche ad immaginare cosa dovesse aver passato Sam in quei mesi, quale inferno lo avesse costretto ad attraversare. Allora si rese conto della realtà delle cose: era un peso, lo era stata sin dall'orfanotrofio.
Ricacciò indietro quel pensiero e le lacrime che lo accompagnavano e guardò fissa il ragazzo.
«Non ho più intenzione di rimanere a guardare, ma ora come ora non sono in grado di fare niente e non so cosa fare per cambiarlo.»
«No.» Perentorio. Ancor prima che Niah potesse finire la propria arringa, Sam aveva scosso la testa e intensificato la presa sul ginocchio di lei —anche sforzandosi, la Alistine non riuscì a ricordare il momento in cui lui aveva poggiato la mano sulla sua gamba; lei, così sensibile ai contatti fisici indesiderati. «Ci sono persone incaricate, addestrate per occuparsene, Niah. Sei appena maggiorenne, stai già facendo tutto quello che devi fare: studiare e divertirti. Non ti voglio coinvolta più di quanto già non sia.»
Probabilmente se Sam si fosse posto in maniera autoritaria senza sentire ragioni avrebbe ottenuto da lei cieca ostinazione e risentite accuse, tuttavia nel suono della sua voce —sotto i bordi delle parole— Niah ne percepì la supplica velata e ciò fu sufficiente perché lei esitasse.
Era la stessa rassegnata disperazione di quando da bambini la pregava di non seguire
i sussurri, di non sfidare Lex o di non farsi notare da Suor Prudenzia.
Qualcosa in lei si mosse, una parte atavica che aveva cercato di seppellire ma che premeva per uscire; quel qualcosa colse nella disperazione di Sam l'eco di una debolezza e non si frenò dallo sfruttarla.
«Ci sono finita in mezzo proprio mentre studiavo e mi divertivo.» Avrebbe potuto frenarsi, controllare la lingua; era sufficientemente padrona di sé, eppure scelse di non farlo. «Si tratta solo di capire se la prossima ragazza svenuta nel vicolo sarò io oppure no.»
Il ragazzo si passò una mano sugli occhi e rimase in quella posizione per quella che le parve un'eternità.
Anche la morettina stette immobile ad osservare la sequenza di emozioni che gli attraversavano il volto cercando di indovinarne i pensieri.
Quando infine gli occhi di Sam tornarono su di lei, sul fondo delle iridi scovò una durezza che prima mancava.
«Prendi la bacchetta, andiamo alla Congrega.»

• • •


La Alistine era stata alla congrega dei saggi duellanti solo un paio di volte ad assistere ad alcuni incontri di alto profilo, ma non aveva mai visitato una delle sale messe a disposizione per la pratica di incantesimi. La trovò una soluzione molto intelligente: ad Hogwarts si esercitavano per lo più in aula e ciò generava sempre qualche inconveniente; per non parlare poi del fatto che gli studenti tendevano a sfruttare qualunque anfratto per impratichirsi in modo autonomo. Più di una volta durante i tempi da prefetto le era capitato di trovare il bagno del quinto piano ridotto ad un macello proprio per quel motivo.
«Prima di cominciare, com'è il tuo innerva?»
«Da manuale, perché?»
Il ragazzo alzò un sopracciglio chiedendosi se quella fosse una buona idea. Dopo settimane di notti popolate da incubi superate solo grazie alla pozione "sonno senza sogni", Niahndra era miracolosamente riuscita a riposare in pace in seguito alla visita alla famigerata Tessitrice di Nocturn Alley [▹stitches]. Non gli era piaciuto affatto spingerla nella ragnatela di quella megera, ma non aveva avuto alternative e vederla riacquistare forza e lucidità giorno dopo giorno l'aveva quasi portato a credere di aver fatto bene. Ed era bastato uno stramaledetto auror a vanificare tutto il lavoro.
Non avrebbe permesso ad un invasato di trascinare nuovamente Niahndra nel baratro, a costo di ripescarla per i capelli pur di ricordarle che era sempre stata una che reagiva.
«Non faremo pratica sui manichini, dovrai esercitarti su di me.»
Come previsto, la morettina aprì bocca per contestare e lui non esitò. Il raggio scarlatto la centrò in pieno e lei cadde a peso morto sulla pedana.
"E l'ha colpita? Così, senza avvertimento né altro?", aveva chiesto meno di un'ora prima ed il suo sdegno era stato sincero. Ciò nonostante fu moderatamente semplice gestire il rimorso.

La Alistine annaspò nel riprendere conoscenza.
«Fai piano. Come ti senti?» Sam l'aiutò a sollevarsi un poco con delicatezza. Era difficile conciliare l'immagine del fratello maggiore premuroso con quella del ragazzo che...
«Mi... mi hai colpito!» Lei si divincolò, incapace di spiegare perché diamine la persona di cui si fidava di più al mondo l'avesse appena mandata al tappeto a tradimento.
Il ragazzo la bloccò nuovamente a terra per evitare che gli venissero cavate le orbite con le unghie.
«Stupeficium, l'incanto che ha usato quell'auror. Rientra tra gli schiantesimi e non fa particolari danni oltre a provocare lo svenimento della persona. Guardami.Piantò i propri occhi in quelli azzurrini di lei. Credi che ti permetterei di usarmi come cavia se non fossi sicuro di non correre pericoli? Credi che l'avrei usato contro di te se non fossi stato assolutamente tranquillo?» Due terzi di verità e uno di menzogna. Pregò che funzionasse e che l'altra non riuscisse a scorgere il terrore che gli attanagliava le viscere.
Niahndra continuò ad opporre resistenza per qualche istante, borbottando rimproveri che una signorina dabbene non avrebbe dovuto conoscere, figurarsi usare. Infine si quietò continuando ad incenerirlo con lo sguardo.
«Fottiti, Sam.»
Lui rimase a guardarla, interdetto da quello scoppio astioso, prima di aprire la bocca in un ghigno. Sapeva di averla terrorizzata, ma fu grato di essere riuscito ad intravedere nuovamente l'eco della Niah d'un tempo: arrabbiata, ferale, reattiva. Niente a che vedere con quel blob amorfo di autocommiserazione col quale aveva convissuto negli ultimi mesi.
«Puoi pensarci tu stessa. Ora puntami contro quella bacchetta prima che cambi idea.»


Prosegue qui ▹ I got a spell for that
 
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view post Posted on 26/2/2020, 19:45
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Infected
Contest a tema Febbraio 2020 ▹ Epidemia
Ambientazione ▹Hogwarts (18 anni), Segue la seconda prova del Barnabus, verso il termine dell'anno scolastico.





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Pick your
poison

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Così non andava.
Niahndra rotolò su un fianco tirandosi dietro le coperte, stese una gamba e piegò la seconda. Non andava neanche così.
Si girò di nuovo dall’altra parte, un braccio infilato sotto al cuscino, e così rimase per qualche minuto. Alla fine semplicemente si arrese e tornò in posizione supina.
Se comunque non riusciva a chiudere occhio, tanto valeva rimanere a fissare il set di stelline fluorescenti che aveva attaccato al basso soffitto.
Da quanto la professoressa McLinder gliele aveva regalate Niah era scivolata nel sonno guardandole, ma quella notte neanche loro riuscivano a calmarla. Anzi, se non lo avesse ritenuto impossibile, la tassorosso avrebbe quasi giurato che peggiorassero la situazione; le osservava e la mente correva alla lezione sull’equinozio e da lì prendeva il via saltando di vagone in vagone lungo l’interminabile treno di pensieri.
La sua mente era vigile e brulicante di attività, il corpo percorso da energia nervosa che continuava a scaricare sulle povere lenzuola del letto, ormai ridotte ad un nodo inestricabile.
Una parte di lei si ripeteva che non aveva senso sprecare tempo sdraiata quando avrebbe potuto iniziare la giornata —nottata?— in anticipo, ma anche provandoci si accorse di non avere sufficiente lucidità per tornare alla realtà.
La mente si sottraeva al suo giogo per tornare a concentrarsi su qualsiasi fantasia stesse rincorrendo. Nella privatezza che il buio le donava, consapevole dei respiri regolari delle compagne di stanza immerse nei rispettivi sogni, Niahndra si permise di indulgere in quelle trame complicate che la vedevano protagonista, esplorando desideri che non sarebbero sopravvissuti alla spietata luce del giorno.
Al calore soffuso che le avviluppava gli arti e le curvava le labbra in un sorriso andava mescolandosi un formicolio diverso che si accumulava alla bocca dello stomaco per ricordarle che niente di tutto ciò era reale, niente di tutto ciò sarebbe
mai stato reale.
Il trillo della sveglia la sorprese con gli occhi ancora aperti.

«Mi chiedo se Alistine possa trovare la risposta nel lampadario che sta scrutando così nel dettaglio»
L’aula venne attraversata da vampate di tensione e più di uno studente si strinse nelle spalle cercando di occupare meno spazio possibile.
Qualcuno bisbigliò il suo nome, ma Niahndra non si accorse neanche di quello.
«No? Un gran peccato. Forse padroneggia già le insidie di un incanto come lo Stupeficium e non ritiene opportuno prestare attenzione»
Qualcosa fece breccia nella sua testolina e nel panico del momento proferì la prima cosa che le venne in mente. «Sì.»
Il professore —che nel frattempo le si era avvicinato— quasi la incenerì sul posto e Niah avrebbe giurato che lo studente davanti a lei fosse appena svenuto sulla sedia.
Corrugò le sopracciglia sotto quello sguardo dardeggiante cercando di ricostruire gli ultimi minuti. Da quanto era in classe? Ma soprattutto, da quanto tempo il docente si stava rivolgendo a lei?
Il lampo rosso di uno
stupeficium richiamato dalle parole dell'uomo l’aveva strappata al suo fantasticare e il ricordo di Sam che le cingeva la vita per insegnarle i movimenti corretti la fece avvampare.
In quali pensieri si era persa? Ormai le capitava sempre più spesso.
Che dipendesse da…
*Oh no. Oh no.*
Solo quando uno spasmo le scosse la mano si rese conto della forza con cui doveva aver impugnato la piuma per tutto quel tempo; il panico crebbe nel notare che in quel periodo di trance aveva continuato a scribacchiare sulla pergamena. Non era mai un buon segno.
Ogni tanto qualcosa scattava nella sua testa senza che lei ne avesse il controllo. Prendeva a formicolare e a sintonizzarsi su frequenze alle quali normalmente non aveva accesso e tali vibrazioni l’attiravano lontano per sussurrarle segreti passati, presenti e futuri. Talvolta le capitava di disegnare inconsapevolmente quello che vedeva, quello che
presagiva.
Intercettò le iridi del docente, ma lui fu più rapido. Le strappò di mano il foglio e si ritrasse con uno schiocco soddisfatto della lingua.
«Coltiviamo doti artistiche, Alistine? Non sa che l’arte ha bisogno di un pubblico?»
Niahndra trattenne il fiato, terrorizzata all’idea di ciò che potesse aver raffigurato quella volta: polle di sangue nell’erba? L’ombra di una casa abbandonata? L’insegna di un posto che non aveva mai neanche sentito nominare? Elfi incatenati agli alberi?
Invece, quando l’insegnante diede un’occhiata alle linee tracciate, storse la bocca in una smorfia disgustata e le gettò in malo modo la pergamena di nuovo sul banco.

«Assoluta mancanza di spessore e profonditàun vago svolazzo con la mano mentre preparava l’ultima, accurata stoccatae non mi riferisco all’utilizzo di una prospettiva bidimensionale. Mi aspetto una dimostrazione impeccabile dello schiantesimo per la prossima lezione.»
Sotto il peso dell’imbarazzo diffuso a ondate dai corpi dei compagni, Niahndra chinò la testa mordicchiandosi il labbro superiore e appena il professore riprese la lezione sbirciò il proprio disegno. Si sarebbe aspettata qualunque cosa meno quella che vide.
Sbatté le palpebre intontita alla vista di una cornice di cuori e stelline che correva lungo i margini, inframmezzata qui e là da spirali e ghirigori.
*Che dovrebbe significare?*
Scrutò la pergamena fino alla fine dell’ora cercando di ricavarne quanti più indizi possibili. Era una sorta di ghirlanda? Doveva cercare un prato? O forse erano una specie di striscioni, di quelli che vengono appesi intorno a San Valentino? Tuttavia, anche per quell’anno, erano riusciti a lasciarsi alle spalle la più romantica delle pandemie senza troppi feriti.
Forse rappresentava un pendente indossato da qualcuno coinvolto in quella visione, o un luogo come… Madama Piediburro?
La ruminazione mentale proseguì nei giorni successivi, aumentando ulteriormente la stessa energia nervosa che la teneva sveglia la notte.
Mancava poco più di una settimana all’uscita organizzata per Hogsmeade e allora avrebbe potuto indagare ulteriormente.

«Rigos? Non ha la stoffa.»
Il chiacchiericcio della Sala Grande durante i pasti era quasi insopportabile di normale, ma da quando erano usciti i risultati dell’ultima prova del Barnabus il caos era semplicemente degenerato.
«Non saprei, ho sentito che ha dato del filo da torcere ad Azzurra Light.» Neanche la conversazione al tavolo dei Tassorosso faceva eccezione.
«Sì, ma stiamo parlando di William Black, perdio, non del primo che capita.»
«Se è per quello, ti ricordo che avevi puntato tutto su Sekhmeth e guarda com’è finita. Sono i tuoi ormoni a parlare, ammettilo.fu la risposta maliziosaIo dico di dare a Grifondoro una possibilità. Tu che ne pensi, Niahndra?»
Al riguardo la Alistine non aveva alcun dubbio. I trascorsi con Nieve non erano tra i più rosei, ma di certo non erano neanche tinti del livore che aveva avuto modo di maturare nei confronti del campione di serpeverde. Non si trattava neanche di un ragionamento razionale, quanto più di un nugolo di emozioni che mutava forma e si diffondeva come un morbo, intaccando e contagiando ogni parte di lei.
Eppure solo adesso, per la prima volta, contemplava la prospettiva inversa: che qualcuno potesse tifare per lui proprio in virtù di motivazioni personali diametralmente opposte rispetto alle sue.
Prima che lei potesse impedirlo, il suo cervello aveva già compiuto lo step successivo, lambiccandola con una domanda in grado di seccarle la bocca e rimescolarle lo stomaco. Era già grave che si fosse posta un quesito simile, ma che non sapesse rispondervi era anche peggio.
Si alzò dalla sedia con ancora le concasate che la guardavano in attesa di una risposta.
«Scusate, mi sono accorta di non avere appetito» Si lasciò la tavola alle spalle, ma la domanda la seguì fuori dalla Sala Grande.

«Ho sentito che hai dato spettacolo a lezione.»
Il tono di Grindelblack le sarebbe parso quasi annoiato se solo non lo avesse conosciuto così bene. Capitava di rado che il ragazzo perdesse la propria aura
cool e rilassata, in più sapeva che era il suo modo di punzecchiarla senza rischiare di metterla sulla difensiva.
Niahndra roteò gli occhi e si appoggiò con la schiena alla ringhiera delle scale che presero a muoversi.
«Va tutto bene? Te lo volevo chiedere da un po’. Sei…»
«Sono solo preoccupata per questa storia del disegno e non dormo bene la notte.» Il tentativo di tagliare corto la questione non sarebbe durato a lungo perché Paul la guardava con la stessa insistenza di un cagnolone che aspetta che gli si lanci un osso.
Lo vide aprire la bocca per ribattere, ma qualcuno li raggiunse proprio mentre svoltavano il corridoio del primo piano salvandola da quello che era certa sarebbe diventato altrimenti un interrogatorio in piena regola.
«Aspetta, scusa! Sei Niahndra Alistine, vero?» Il ragazzo si interruppe un paio di secondi per riprendere fiato dopo la corsa che aveva fatto per raggiungerli.
Quando lei annuì, le porse un libriccino consunto con un largo sorriso.
«Scusami, volevo lasciarti questo al volo. Puoi darlo tu ad Eloise per me?»
La tassorosso abbassò gli occhi sul libro e poi li spostò nuovamente sul volto dello sconosciuto. Qualcosa glielo rese immediatamente antipatico.
La domanda che l’aveva seguita fuori dalla Sala Grande le solleticò di nuovo la nuca.
Per chi avrebbe tifato Eloise?
«L’ho vista per tipo trenta secondi in totale nell’ultima settimana, ma farò del mio meglio.» Nonostante le parole potessero risultare cordiali all’apparenza, il tono velenoso sarebbe bastato a sovvertire quell’impressione.
L’altro dovette percepirlo perché arrossì leggermente sulla gobba del naso e sembrò rimpicciolirsi sul posto.
«Scusami, mi ha detto che...insomma… dormite insieme e pensavo...»
Questa volta fu il viso di Niahndra ad accendersi di imbarazzo ed un “No!” più forte del previsto le sfuggì dalle labbra.
Il ragazzo sussultò, Paul si irrigidì ai margini del campo visivo e persino qualche studente di passaggio si voltò a guardarla.
In quel momento capì e si sentì morire.
«Oh, tu intendeviNumi. Deglutì a vuoto cercando di scacciare il calore che le stava arroventando la pelleS-sì, siamo nella stessa camera. Glielo porto io, grazieciao.»
Gli strappò letteralmente il libro dalle mani e se la dette a gambe il più velocemente possibile, la testa che le ripeteva una serie di insulti. Stupida, stupida, stupida.
Dovette fermarsi quasi subito, a corto di ossigeno.
Paul fu al suo fianco un istante dopo grazie alle gambe di cavalletta che si ritrovava.
Stupida, stupida, stupida.
«Niahndra, respira.» Udì la sua voce come in lontananza, sovrastata dal rombo nelle orecchie.
Stupida, stupida, stupida.
Sentiva il proprio cuore martellarle nei denti e dal modo in cui la guardava capì che anche Paul era in grado di percepire quei battiti irregolari. Probabilmente ci sarebbe riuscito anche senza l’aiuto dei sensi di mannaro, pensò, tanto erano frastornanti.
Avvertì l’elettricità crepitarle nelle vene e condensarsi nei palmi sudaticci delle mani.
Conosceva quei sintomi.
«È un attacco d’ansia», sputò tra un respiro spezzato e l’altro.
«No, non lo è.» Grindelblack le si fece pericolosamente vicino e, tenendole il mento bloccato tra le dita, inspirò a fondo ad una spanna dal suo collo.
Lei spalancò gli occhi.
«Che diamine…»
«Non ti ho mai sentito questo odore addosso.» Se non avesse notato la sua indignazione o se semplicemente non gliene potesse importare di meno, Niahndra non avrebbe saputo dirlo; fatto sta che l’altro proseguì come se nulla fosse.
«Qualcosa non va, forse dovresti farti controllare.»
La ragazza si staccò con un sonoro sbuffo, maggiormente padrona del proprio corpo e quasi divertita dal suggerimento dell’amico.
«Per cosa? Palpitazioni e irritabilità?»

Ciò nonostante le parole di Paul continuarono a vorticarle in testa.
In effetti era da qualche tempo che non si sentiva esattamente sé stessa, come se il suo corpo stesse covando qualcosa. Più ci pensava e più il suggerimento acquistava senso.
Spendeva la notte a rigirarsi nel letto e fissare le stelline adesive, a malapena toccava cibo, soffriva di palpitazioni nei momenti più impensabili e non riusciva a stare attenta neanche a pagarla oro. E poi c’erano quegli stupidi cuori a bordo pagina. E tutto il trambusto del Barnabus. E quello stupido ragazzo del libro.
Niahndra bloccò il passo a metà, appena prima di varcare la soglia dell’infermeria, i pezzi che pian piano andavano al loro posto. Non le piaceva il quadro che dipingevano.
«Devi entrare, tesoro?»
Un’infermiera le scivolò accanto trasportando lenzuola pulite e le indicò col mento l’interno dell’ala.
La ragazza scosse la testa e si allontanò da lì. La diagnosi era anche peggiore di quel che si sarebbe immaginata.
Niahndra Alistine era innamorata.

Stupida, stupida, stupida.
The only difference between a pathogen and a person is thatone is far more creative with how they'll infect you
 
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view post Posted on 26/5/2020, 10:33
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Mid Summer
Contest a tema Maggio 2020 ▹ Fiori
Ambientazione ▹Londra (18 anni), 23 Giugno.





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Mid Summer
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23 giugno, ore 23: notte di Mezza estate. Luna nuova.

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ameeda le dava le spalle e la precedeva lungo il sentiero. Niahndra era a malapena in grado di distinguerne le forme alla tremula luce della torcia che reggeva in mano, costretta a tenere lo sguardo puntato in basso per non inciampare tra le radici. Le ombre si allungavano in maniera scomposta oscillando al ritmo dei suoi passi, ma lo sfarfallio non pareva disturbare Hameeda che continuava ad avanzare con una sicurezza che la ragazza invidiava. Se non altro aveva avuto premura di rendere le fiamme inoffensive.
Inspirò a fondo l’odore del sottobosco e controllò ancora una volta di non essersi persa per strada i mazzetti d’erbe che la donna le aveva passato. Mantenevano un silenzio rispettoso, il cicaleggio della natura a tingere il buio, e solo ogni tanto Hameeda le dava brevi comandi o le indicava una pianta in particolare; allora magari si chinava, le faceva segno di avvicinare la torcia o di passarle le cesoie e le elencava alcuni degli utilizzi di questo o l’altro fiore. Era una tradizione, quella, che andava avanti ormai da tre anni.

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«Nelle piante è presente il tutto», le aveva detto una volta mentre piantava dei semi nel terreno. «E nel tutto è presente il bene e il male, l’azione e la stasi.»
Niahndra era rimasta in silenzio ad ascoltare, consapevole del fatto di essere in grado di capire solo una minuscola parte di quel che Hameeda condivideva con lei. Ne seguiva le logiche e accettava talvolta di dover sospendere la ragione per lasciare spazio ad una conoscenza diversa, una conoscenza che si basava sulla capacità di riconoscere gli elementi del cambiamento. «Impara a individuare gli schemi naturali di flussi e riflussi, i momenti in cui occorre fermarsi, ritirarsi o progredire. Affidati alla magia per stabilire in quale direzione scorrono le maree della Natura, su quale livello scorrono e ciò che possono offrirci qui e ora.»
Nel parlare di magia la vecchia non faceva riferimento a niente che avesse a che vedere con trasmutazioni elementali, manici di scopa fluttuanti o capacità trasfigurative; la Alistine non era neanche sicura che sapesse dell’esistenza di un mondo magico protetto dallo Statuto di Segretezza, ma mai —neppure per un istante— aveva per questo motivo preso meno sul serio le sue parole. Hameeda era portatrice di tipo di saggezza che si affidava agli infusi di rosmarino e salice per sedare il mal di testa, ai decotti di tiglio e gelsomino per placare ansia e agitazione, ai sacchetti di ruta come protezione e filtro da malocchi e intenzioni malevole. Niahndra d’altro canto riconosceva al tiglio le proprietà distensive che lo rendevano un ingrediente della Bevanda della Pace, alla ruta le proprietà disintossicanti fondamentali nell’essenza d’Elfo e al salice una quantità di utilizzi in ambito pozionistico impossibile da elencare. In quei punti di contatto la ragazza immaginava che risiedesse l'essenza del mondo, e non cessava mai di stupirsene.
«Forma, colore, odore. Ciascun dettaglio di una pianta lascia intravedere l’energia che essa nasconde; puoi considerarla una corrispondenza analogica, se vuoi, con parti del corpo umano, con gli animali e con tutte le forme presenti in natura.»
Alistine non aveva potuto fare a meno che inarcare un sopracciglio e scoccare un’occhiata stranita all’altra mentre cercava di capire a cosa paragonare un fico avvizzito dell’abissinia o i cespugli farfallini. «Non vedo tutta questa somiglianza», obiettò pacata. «Voglio dire, ci sono sicuramente più differenze che analogie tra piante e uomini, no?»
Hameeda aveva sorriso tergendosi il sudore dalla fronte, poi si era tolta i guanti da giardinaggio e le aveva porto una mano perché Niah l’aiutasse a rimettersi in piedi. Una fila di piccoli cumuli di terriccio appena smosso correva lungo la staccionata. «Entra insieme a me, ti preparo una limonata.»
Senza sorprendersi più di tanto di non aver ricevuto risposta, la ragazza la seguì fino al soggiorno. Quella mattina la padrona di casa doveva aver bruciato l’incenso perché ne sentiva ancora traccia nell’aria. Mentre aspettava che Hameeda tornasse con la bibita si permise di girovagare per la stanza, soffermando lo sguardo sui diversi ninnoli che l’arredavano. Di riflesso portò gli occhi sulla libreria, all’altezza alla quale ormai un paio di anni addietro aveva fatto cadere un dischetto in vetro contenente ciliegie del diavolo essiccate; questa volta, tuttavia, si lasciò rapire dai titoli dei numerosi volumi finché non si accorse di un libro fuori posto. Aveva l’aria vissuta tipica dei tomi che vengono sfogliati spesso, con le pagine ingiallite e segnalibri che spuntavano qua e là.
Istintivamente Niahndra fece per sollevare la mano e toccarlo, ma qualcosa le suggerì altrimenti; un sussurro corso lungo la spina dorsale, un brivido bisbigliato all’orecchio, qualcosa che non seppe ben definire le instillò l’idea che non fosse il caso di invadere la privacy di Hameeda.
«Hai trovato l’erbario, vedo.»
«Come, scusa?»
«L’erbario», ripeté la donna posando la brocca di limonata coi bicchieri sul tavolino rotondo che usava per leggere le carte alle signore che venivano a trovarla. «L’uomo ha riconosciuto molto presto l’importanza delle piante, dapprima al semplice scopo di classificarle tra specie commestibili e specie tossiche, è chiaro; ma col tempo, con la nascita della filosofia e delle domande sull’ordine e l’origine dell’universo l’attenzione si è spostata sempre di più sul mondo vegetale, sui suoi cicli vitali, le virtù e le proprietà medico-farmacologiche, persino i cicli biologici.»
Nel frattempo, Hameeda aveva riempito i due bicchieri di limonata e si era avvicinata alla libreria. Niahndra si era fatta da parte convinta e speranzosa che l’altra le avrebbe permesso di sbirciare le pagine dell’erbario. Invece, con un sorriso, lei si limitò a riporre il libro su uno scaffale in mezzo ad altri titoli più o meno anonimi.
«Gli stolti si disinteressano alla terra e gli ingenui credono di esserne i custodi, ma solo i saggi riconoscono di esserne manifestazione. Non siamo né guardiani né ospiti del creato, ne siamo parte. Col termine φῦτόν i greci indicavano la pianta e l’albero, ma anche la creatura e l’essere vivente, il frutto e la progenie. Quindi, per rispondere alla tua domanda di prima, dimmi: quanto pensi che possano davvero differire a questo punto uomini e piante?» Fatta eccezione forse per una punta di divertimento, nulla nel tono di Hameeda suonava come un rimprovero o un tentativo di schernirla.
A quel punto, Niahndra aveva speso il resto del tempo a sorseggiare la bibita fresca e a ripensare alle parole della padrona di casa, cercando di scomporle e analizzarle come piaceva a lei. Da quel giorno l’erbario non era più stato menzionato e anche se era stata in grado di intravederne alcune pagine di sfuggita —ricche di miniature, fitte descrizioni e fiori essiccati— aveva deciso di mantenersi a debita distanza intuendo il riserbo della donna; aveva avuto modo di capire che pur nella sua sconfinata generosità, Hameeda credeva negli equi compensi e così come accettava tabacco, cibo o segreti in cambio della lettura delle carte o di infusi e decotti, allo stesso modo premiava Niahndra del suo aiuto in giardino o in altre faccende con nozioni di fitologia e magia verde, com’era solita definirla.
Una sera di fine giugno le aveva infine chiesto di accompagnarla a raccogliere le piante che avrebbe poi utilizzato nel corso dell’anno. «La magia verde raggiunge il suo picco massimo in un giorno preciso dell’anno, il 24 giugno, in occasione del solstizio d’estate. Per questo è bene raccogliere le piante nell’ora che precede la mezzanotte.
Da allora, la notte di mezza estate era diventata per loro un appuntamento ricorrente e di anno in anno Niahndra si scopriva più esperta e più abile. Le sue conoscenze di erbologia aiutavano a fermare alcuni concetti in memoria e spesso le capitava di aggiungere degli appunti ai suoi testi scolastici secondo le indicazioni che aveva appreso da Hameeda; sorprendentemente questo le aveva permesso di ottenere risultati migliori persino in pozioni. Scopriva un mondo nuovo.

«Reggi il cestino mentre raccolgo un altro mazzo di verbena. Anche i ciclamini, per la sposina Miller in fondo alla strada.»
Quell’anno Hameeda sembrava avere intenzione di rifornire le sue riserve in previsione di un cataclisma naturale; cionondimeno Niahndra equilibrò il peso tra le due braccia sempre facendo attenzione a non lasciar cadere la torcia. «Intendi miss Ellis? Non è sposata.»
«Gioco d’anticipo, lo sarà entro la fine dell’anno.»
La ragazza rimase interdetta, non tanto per la previsione di Hameeda quanto per il ruolo dei ciclamini in tutto ciò. «E i fiori sono per il bouquet? Non sarebbero meglio freschi?»
La donna ammiccò e le ombre sul suo volto resero il tutto quasi inquietante. «I ciclamini sono per il bambino che intenderà avere.»
«…oh, capisco.»
Era ormai l’una di notte quando Niahndra infine rientrò in casa. Quella volta Hameeda non aveva voluto che l’aiutasse a smistare e suddividere nei diversi barattoli tutti i fiori e le erbe che avevano raccolto, ma stanca com’era non ci aveva prestato troppa attenzione.

«Quindi bruciare il cumino dissipa le negatività.»
«Esattamente.»
«Buffo,— commentò Niah meditabonda —perché tritarne i fiori invece induce malasorte.»
Hameeda inarcò un sopracciglio con aria interrogativa, ma recuperò in fretta un sorriso divertito. «Ah, è così?» Era certa di non aver accennato mai nulla del genere a Niahndra.
«Oh, sì.» Fu la risposta distratta che ottenne. La ragazza ricordava benissimo di quando il professor White aveva menzionato la Tristitia infelicis, il cui effetto era di perseguitare la vittima con 12 ore di sfortuna; non si era dilungato nei dettagli poiché non era oggetto di studio nel loro programma, ma in quell’occasione aveva accennato al ruolo decisivo dei fiori di cumino.
«Questo è il genere di cose che scrivi in un erbario.»
La parola “erbario” riuscì a strappare Niahndra dalle sue considerazioni e la giovane portò lo sguardo azzurrino e confuso sulla donna che, per parte sua, sogghignava come se fosse appena successo qualcosa si spassoso. «Sei maggiorenne, no? Direi che è il momento per te di avere un erbario tutto tuo.»
Di cosa stava parlando? In tre anni non aveva mai avuto neanche il permesso di toccare quel libro. Eppure, nonostante la vecchia se la stesse ridendo sotto i baffi era ovvio che non la prendesse in giro. «Oddio, dici sul serio.»
«Vorrei ben vedere, con tutto il tempo che ho speso su questo.» Nel mentre Hameeda si era spostata verso la libreria, ma contrariamente alle aspettative di Niah il libro che ora teneva in mano era più sottile e più lucido rispetto all’erbario che “conosceva”. Lasciò vagare le dita con trepidazione sulla copertina in cuoio, i polpastrelli sfiorarono le lettere in rilievo e poi le cuciture al lato.
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«Mi sono permessa di trascrivere già qualcosa, un paio dei rituali che ti ho mostrato, come la demarcazione della soglia con la bacchetta di sorbo.»
Niahndra spalancò gli occhi, a tratti timorosa di sfogliare le pagine. Quando infine ebbe raccolto il coraggio le trovò imbevute della stessa grafia fitta che aveva adocchiato nell’erbario di Hameeda; trattenne il fiato nel vedere i disegni accurati che la donna aveva riportato.
«Adesso sta a te completarlo con le conoscenze tecniche e le osservazioni che avrai modo di fare. Ogni erbario è differente, ciò che funziona per me non è detto che funzioni per te, e viceversa. Sperimenta, osserva, lasciati guidare dalla natura stessa.»
Con un groppo alla gola la ragazza strinse al petto il tomo, sentiva gli occhi pizzicarle di lacrime. Probabilmente qualche anno addietro non sarebbe riuscita ad apprezzare “un banale libro di piante”, ma adesso conosceva l’importanza che quel gesto aveva per l’anziana signora… e anche per lei.
«Io… grazie, Hameeda.» Non c’era altro da dire.


Edited by Mistake - 19/1/2021, 12:54
 
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view post Posted on 31/10/2020, 17:02
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OT da leggere prima del post.
Questa è una OS che aspettava di essere scritta da molto tempo e che per questo motivo ha bisogno di una introduzione. Il post si colloca in seguito alla quest di trasformazione [click] in banshee di Niah, di cui cerco di riportare i punti principali ai fini della comprensione. Sam e Niah vengono attirati alla Stamberga Strillante, dove ad attenderli trovano Melanie Morton, la bambina che è stata adottata anni prima al posto di Niah. In seguito al manifestarsi dei poteri magici, Melanie è stata abbandonata dai genitori adottivi, è impazzita e cerca adesso di vendicarsi su Niah e Suor Prudenzia, la referente delle adozioni. Nel confronto Niah scopre di non essere orfana, che sua madre —Pandora— ha finanziato l'orfanotrofio e ha impedito l'adozione della figlia con la complicità di Suor Prudenzia. Melanie minaccia l'incolumità dei presenti e questo attiva la natura di Niahndra, la quale si ritrova ad urlare™ accompagnata da una seconda banshee, più matura, che si manifesta alla Stamberga nello stesso momento. Suor Prudenzia muore mentre gli altri presenti svengono per effetto dell'urlo. La banshee allora accenna qualche spiegazione alla natura di Niah e la esorta prima ad usare i poteri psicometrici sul corpo della suora e poi ad allontanarsi da lì. In seguito, dopo le dimissioni dal San Mungo, Sam spedisce una lettera a Niah offrendosi di darle spiegazioni.


Buried and forgotten
Contest a tema Ottobre 2020 ▹ Mistero
Ambientazione ▹Hogwarts (16 anni), segue gli accadimenti di Pandora


I vetri scricchiolano sotto le scarpe come ossa in pieno inverno. Niahndra lancia un'ultima occhiata alla figura di Sam, sfocata attraverso le lacrime. Il suo volto è disteso, la mano appena più morbida nella presa sulla bacchetta; i riccioli ramati gli incorniciano il capo come un'aureola scomposta e pare che dorma, disteso tra i frammenti.
«Lui starà bene.» Le assicura la donna opalescente e Niahndra le crede. Non per fiducia, non perché le due abbiano cantato insieme; le crede perché il lamento funebre si è esaurito con la morte di Suor Prudenzia e sa —in un modo che ancora non le è chiaro— che il tributo è stato pagato.
Niahndra allunga una mano e uno spasmo la percorre appena prima di riuscire ad accarezzare i capelli del ragazzo. Le visioni innescate dalla veste della suora le sfarfallano ancora dietro le palpebre e le manca il coraggio di sfiorare Sam. Sam, che le ha mentito e le ha taciuto quelle verità orribili.
Non c'è più traccia della furia cieca che l'ha guidata in quell'urlo primordiale, ma la ferita inferta dall'ennesimo tradimento è troppo fresca per non provare rancore. Voltargli le spalle le spezza respiro e mente, ma rimane preferibile all'alternativa.

• • •

Niahndra Alistine è una codarda. Ne è consapevole con ogni fibra del proprio corpo perché si tratta di una verità che ha appreso molto tempo fa e che per altrettanto tempo ha cercato di nascondere —a sé stessa e agli altri— cucendosi una maschera su misura, nella speranza di annullarsi nel travestimento.
L'accusa persiste. Aleggia nell'aria e, venefica, s'arriccia come un refolo di fumo che le solletica le narici prima di assumere le sembianze della lettera che Sam le ha inviato e che tuttora giace, sigillata, sul tavolino.

Lei non è come me.
Lei non è orfana.

Niahndra annaspa nel segreto della stanza vuota che rimbomba dell'eco delle parole di Melanie Morton. Rabbrividisce mentre la voce le strappa di dosso un tassello fondamentale della sua identità; con la precisione di un artista rinascimentale che impugna il mazzuolo e lo scalpello, sgretola le sue certezze una ad una. La roccia vergine custodisce gelosamente le sue forme, eppure la bruna lo sa che tra quelle venature si nasconde il suo essere.
Per sedici anni ha vissuto una bugia. E, certo, trascorrere l'infanzia intera a domandarsi perché non avesse una mamma e un papà l'ha influenzata in modo più profondo di quanto riesca ad ammettere, ma la carezza di quell'etichetta —orfana— è diventata col tempo un palliativo, una sorta di conforto, un inganno a fin di bene: mamma e papà non ci sono più, si è ripetuta per anni, altrimenti sarebbero stati lì con lei.
Niahndra, però, non è orfana. Soltanto abbandonata. E quella è una constatazione con la quale non ha ancora avuto modo di fare i conti. Si annida un avvilimento tutto diverso nel comprendere di non essere voluti.
Il corpo si piega in due e lei è di nuovo in ginocchio, la bocca che annaspa senza riuscire ad emettere un suono. Per un attimo il dolore diviene insostenibile, la vista si annebbia e alla camera del dormitorio si sovrappongono le pareti della Stamberga Strillante. Boccheggia ancora cercando il sollievo delle lacrime, ma il cuore le rimbalza nella cassa toracica. Un mezzo respiro e una nuova ondata le sconquassa il corpo. Sono giorni che vorrebbe piangere e non ci riesce.
Nell’ottundimento, afferra un barlume di lucidità, un pensiero nitido e terrificante che non è capace di contestare: preferirebbe l’ignoranza. Una tela bianca sulla quale dipingere le storie che vuole, invece di un quadro che detesta ma del quale non può disfarsi. Melanie Morton se ne è assicurata.
Un’altra consapevolezza segue la prima: è da questo che Sam la stava proteggendo coi suoi misteri e segreti. Niahndra inizia a comprendere adesso il motore che ha spinto le sue azioni e al di là del risentimento che prova scova anche un piacere malsano: l'ha fatto per lei. In una realtà in cui nessuno la vuole, Sam si è fatto carico di responsabilità enormi per difenderla. Persino nella casa stregata, con una bacchetta puntata contro.
Si aggrappa a quel pensiero con tutte le sue forze e se lo ripete come un mantra sotto voce. Sam la ama, Sam la ama, Sam la ama. Lo ripete finché le parole si aggrovigliano e i significati sfumano, lo ripete finché non sa più cosa significhi, finché non smette di tremare. E poi ancora, per il gusto di sentirlo: Sam la ama.
Solo allora, Niahndra scoppia a piangere.

Tip tap. Tip tap. Taptaptap.
La ragazza tira su la testa di scatto e i capelli le scivolano sugli occhi. Non che importi, nel buio della camera numero 3. Il rumore la desta dal sonno, ma cos'è? Non è Lou che bussa alla porta perché il gatto le si è acciambellato ai piedi del letto. Non è neppure Testadirapa che picchietta il becco perché quel rumore lo conosce già. Il respiro delle compagne è regolare.
Niahndra si raggela mentre la pelle d'oca le risale rapidamente lungo le braccia.
Tap. Tap. Come se delle piccole bacchette ricoperte di gomma picchiassero forte contro il legno della porta. La nuca le formicola e in bocca sente sapore di terra.
Il tamburellio torna di nuovo, un suono stridulo di unghie che graffiano. Taptaptap. Pausa. Taptap.
A tastoni, la ragazza cerca la bacchetta sul comodino ma le dita afferrano la lettera intonsa. Quando esegue il Lumos lo fa con l'intento di leggerla e non più di scovare la fonte del ticchettio, ormai disperso nel silenzio.

• • •

Il funerale di Suor Prudenzia è breve e penoso e Niahndra si domanda cosa l'abbia spinta a partecipare.
Alla funzione sono presenti una manciata di persone appena. Suore, per lo più, e i bambini dell'orfanotrofio. Niahndra li osserva senza poter fare a meno di immedesimarsi in loro e al contempo rendersi conto dell'enorme abisso che li divide. Sam non è presente e lei non se ne stupisce. Anzi, prova sollievo ed è come se un peso le si sciogliesse nel petto. Gli sta ancora riservando il trattamento del silenzio, ma non è solo quello. Non le piace l'idea di associarlo a quel posto, non adesso che scandaglia i dintorni chiedendosi chi tra i fedeli fosse a conoscenza dei crimini che Suor Prudenzia sta per portarsi nella tomba.
Durante la perlustrazione riconosce suor Eleanor e suor Adolfa e per un attimo è tentata di rimuovere l'incanto di illusione che l'avvolge, per un attimo desidera affrontarle e sbrogliare il mistero che la circonda. Pregusta il lampo di sorpresa e riconoscimento nei loro occhi e si perde in quella fantasia mentre il sacerdote conduce le preghiere.
La bara le scivola di fianco e lei l'accarezza con lo sguardo. Ripensa alla figura della suora accartocciata sul pavimento della Stamberga, ripensa a come solo sfiorandole la veste fosse riuscita a sentire. Fa per allungare la mano.
Tip. Tap. Tip tap. Taptaptap.
Se lo è immaginato? Ritira il braccio istintivamente e l'attimo passa. Suor Prudenzia è sottoterra e, con lei, i suoi segreti. Tempo di metterci una pietra sopra: fredda, liscia e col suo nome inciso. Se solo Niahndra potesse trovare la medesima pace. Guarda la cassa sepolta ed è costretta a frenare l'impulso di calarsi nel tumulo con essa, scardinarla e profanarla.
Tap. Tap.
I peli del collo si rizzano e un brivido le corre lungo la spina dorsale. È una sensazione che non riesce a scrollarsi di dosso da quando è scappata dalla Stamberga, quella di essere osservata.
Si domanda se non abbia a che fare con quegli assurdi discorsi della signora opalescente sull'essere messaggere di morte, ma immediatamente una risata le si spezza tra i denti. Non ha bisogno dei vaneggiamenti di una vecchia pazza per sapere di essere maledetta: è una certezza, quella, che l'accompagna da che ha memoria, come ombra sfuggente e testarda.

• • •

Londra le dà il bentornato coperta di nevischio sporco, stanca e brontolante, ma lei non ci presta attenzione.
Tituba sull'uscio prima di entrare in punta di piedi come una ladra in casa propria. Si muove leggera, è il bagaglio a tradirla.
«Niah?»
La voce di Sam la sorprende con le chiavi ancora strette nel pugno.
«Non pensavo tornassi» La pausa è infinitesimale, ma impossibile da ignorare. L'osserva come per assicurarsi che sia veramente lei, stagliata contro l'ingresso. «...per le festività.»
Non era nelle intenzioni, in effetti, ma non è più in grado di sostenere quella lontananza. Vorrebbe dirglielo, ma le parole sono troppo fredde e rimangono gelate in gola.
«Non mi hai mai risposto», riempie allora il silenzio Sam e lei può intuirne la rabbia sottostanne. «Mi sono svegliato al San Mungo e non c'eri, nessuno ti ha vista. Credevano che ti avessi immaginata. Melanie è finita in un istituto psichiatrico.»
Per ogni parola che Niahndra non riesce a pronunciare, Sam ne vomita fuori il doppio e lei non è pronta. Non è pronta ad affrontare la rabbia che gli irrigidisce la mascella, la delusione che gli disegna le sopracciglia, l'apprensione che gli serra le mani.
«Me lo hai tenuto nascosto.» Sputa fuori, ma non è quello che vuole dire, di certo non in quei termini.
Sam si ritrae impercettibilmente, ferito. Deglutisce prima di recuperare il controllo. «Allora odiami, se vuoi, posso sopportarlo. Ma per l'amor di dio—Infine, crolla. E leggergli il terrore in volto è anche peggio —non farmi questo, Niah. Non posso non sapere dove sei. Se stai bene o no. Se...»
Sam la ama, ricorda. Quella verità, che pure conosce, la colpisce con violenza. Il pavimento le cede sotto i piedi, o forse è colpa delle gambe che le sono diventate di pastafrolla. Sam la ama, si ripete.
Niahndra non è orfana e Sam la ama. Soppesa quei due pensieri per una manciata di istanti e sa che è la verità. Non c'è niente, passato o futuro, che il ragazzo anteporrebbe a lei e lo stesso vale per Niahndra.
«Anche io ti amo.» Le scappa detto in un soffio e sa che anche quella è la verità.
Sam corruga la fronte e la guarda confuso prima di rilassare le spalle. «Devi parlare più forte, altrimenti non sento.» Con un flebile sorriso di scuse indica le proprie orecchie. «Danneggiate, ricordi?»
Non c'è accusa nel tono di lui, ma un vago senso di colpa le rimescola comunque le viscere. Come può dimenticare di essere stata proprio lei, con la sua stessa voce, a segnarlo in maniera indelebile?
Incapace di ripetere, la ragazza incassa la testa e distoglie lo sguardo. Non è orfana, lo sa. E forse, si dice, non è neppure interamente umana.
In quella finestra che la parziale sordità di Sam le offre, Niahndra ha la possibilità di plasmare il futuro; ha chiara percezione del fatto che quello è un momento decisivo e che il potere è nelle sue mani, nelle parole che deciderà di pronunciare.
Il sapore di terra le riempie la bocca ed ha quasi voglia di sputare. Invece, sostiene lo sguardo di Sam.
«So perché me lo hai tenuto nascosto.»
«Se tu mi permettessi di raccon-»
Lei scuote la testa. «No. Quello di Pandora è un vaso che non vale la pena scoperchiare.» Detesta lasciare quel segreto a gravare sulle spalle di Sam che ne ha già sostenuto il peso per quasi dieci anni, ma detesta ancora di più la prospettiva di ferirlo.
Pensa a Melanie e ai danni che ha procurato conoscendo solo un decimo della storia e non osa immaginare quali altri mali l'orcio possa contenere. Pensa alla donna opalescente e a quel punto che sente formicolare dietro la testa da quando ha messo piede alla Stamberga; pensa all'ombra che la insegue, ad un passo dal ghermirla.
Tutto ciò che ha fatto, Sam l'ha fatto per lei. Il minimo che Niahndra possa fare in ritorno è impedire al mistero che avvolge le proprie origini di metterlo in pericolo di nuovo.
«Puoi farlo?»
Il ragazzo la fissa, scruta il suo volto alla ricerca di un briciolo di incertezza. Quando non ne scova sospira piano e accenna un sorriso. «Andiamo, bimba, quand'è che non ti ho dato quello che volevi?» Si sporge appena e la attira in un abbraccio.
Niahndra non oppone resistenza e lascia che il profumo dell'amico la calmi. I battiti del cuore di Sam sono forti e regolari, e quasi sovrastano il ticchettio che la insegue da mesi. Quasi. Tip tap.
Alcuni misteri sono meglio irrisolti, alcuni vasi non scoperchiati e alcuni corpi non dissotterrati.
Può farcela, cerca di convincersi mentre Sam le accarezza i capelli. Affonda il viso nel petto dell'altro. Forse così, si dice, può ignorare le dita di Suor Prudenzia che battono contro la cassa.
Tip. Tap. Tip tap. Taptaptap.

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you should've packed the dirt over my grave tighterif you didn't wanna hear me gasping for breath


Edited by Mistake - 14/4/2021, 14:03
 
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Contest a tema Settembre 2022 ▹ Hiraeth
Ambientazione ▹Londra





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you will never be clean from sinrotten children don't deserve heaven
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T
i manca mai l’orfanotrofio?»
È la voce di Niahndra a rompere per prima il silenzio, in quel primo pomeriggio anonimo.
Anche senza vederlo, sa che Sam sta cercando il suo sguardo con una sottile rughetta in mezzo alla fronte, come spesso gli capita quando è confuso o, semplicemente, vuole sollecitarla a dare più informazioni. Entrambe le alternative potrebbero essere applicate a quel momento perché, sebbene la natura di tale quesito trovi una spiegazione coerente nel vorticoso susseguirsi di considerazioni mentali in cui si sta perdendo lei da qualche giorno, Sam —d’altra parte— viene tirato in ballo senza preavviso e senza preparazione. È difficile mantenere il passo con Niahndra: come vedersi consegnate delle carte mai viste ed essere esortati a giocare la prima mano di un gioco dalle regole taciute.
«Direi proprio di no».
A dispetto dell’imprevedibilità della domanda, la risposta arriva rapida e franca. Una parte di lei se lo era aspettata, consapevole di come quella sia la reazione più immediata e appropriata. Lo sa a livello cerebrale, come sa le ragioni che hanno spinto Sam a risponderle così. Allora perché l’emozione che le preme sulla lingua per uscire è così diversa?
«Perché, a te sì?» Anche il ragazzo deve aver avvertito il suo dissidio interiore perché tamburella delicatamente sulla sua testa bruna. Sono entrambi coricati sul divano in soggiorno, lui seduto comodamente con un libro sul bracciolo e Niahndra sdraiata per tutta la lunghezza restante del divano e la testa poggiata sulle gambe dell’altro.
«Non lo so. Forse.» Si era aspettata anche quella domanda e comunque non trova le parole. «In un certo senso.»
Ha ancora occhi incollati sulle proprie unghie tagliate corte per evitare di rosicchiarle, ma poi butta la testa indietro e incontra lo sguardo di Sam sopra di lei. «È da fuori di testa, vero?»
«In generale? Sì. Però non raggiunge la top 3 delle cose assurde che hai detto, per cui direi che sei a posto», risponde leggero lui prima di far schioccare la lingua e sistemare meglio il cuscino dietro la schiena. «È difficile individuare qualcosa di cui sentire la mancanza. A meno che non ti piacessero l’isolamento punitivo o la doccia gelida in pieno inverno. Ma sai,» Fa un cenno con la mano per indicare i dintorni della casa. «Sono sicuro che possiamo accomodarci alle tue esigenze anche qui.»
«Sei proprio idiota», ma a dispetto delle parole Niahndra sta sogghignando, già più leggera. «Non fraintendermi, faceva schifo. Però almeno era uno schifo che aveva senso.»
«Al contrario di adesso, dici?» C'è ancora scetticismo nella voce di lui, nonostante sia sufficientemente sagace da intuire la direzione dei pensieri della ragazza. Non che non si sia mai posto il medesimo quesito, ma le loro situazioni erano difficilmente comparabili.
«Beh, sì.» Adesso che si tratta di difendere le proprie considerazioni, Niahndra sente una nuova corrente di attività che le percorre il corpo scacciando i segnali di incertezza dimostrati in precedenza. «Era tutto molto più semplice— con un movimento della mano interrompe sul nascere le obiezioni del ragazzo —no, non facile. Semplice. Chiaro, netto, diretto. Sveglia alle 7, coprifuoco alle 21. Puntuali ai pasti e alle preghiere. Non farsi picchiare da Lex, non farsi beccare a rubare dalle suore.»
Si era trattato di sopravvivere a dispetto delle avversità. Le aspettative erano basse e aveva imparato a non desiderare niente per non sentire l'amaro della delusione in bocca. Una parte di lei aveva continuato a volgere lo sguardo al cielo, segretamente e di nascosto persino a sé stessa, ma non era stato proprio credere di essere destinata a cose più grandi l'inizio della sua rovina?
«Quelle erano cose che sapevo fare.» Mormora piano. «Eravamo solo tu ed io. E poi c'erano loro.»
«È ancora così.» Il tono non ammette repliche e gli occhi di Sam la inchiodano e per un attimo Niahndra non è in grado di gestire l'intensità che vi legge dietro. Porta l'avambraccio a coprire i propri occhi e scuote la testa.
Tu ed io, Niah.
Non è la stessa cosa, si ritrova a pensare lei. Non è la stessa cosa, ma non riesce a spiegare perché. Non è sua intenzione offendere Sam, mancare di rispetto a quello che ha fatto per lei, alla lealtà che ancora le sta dimostrando. Si sente morire anche solo a intrattenere quelle considerazioni nella sua testa, figurarsi a verbalizzarle.
«Adesso è diverso. Io non so come dirtelo, ma c'era una...una purezza prima che adesso non c'è più. Da quando—» Da quando.
Sam tace ed è evidente che stiano entrambi rivivendo gli stessi ricordi. Di quando più di dieci anni addietro la possibilità di essere adottata dai signori Morton aveva innescato una serie di eventi catastrofici. Da lì, qualcosa si era rotto, inquinato irrimediabilmente; la lealtà tra lei e Sam —indiscussa fino a quel momento— era stata messa alla prova in più e più modi. Erano iniziate le menzogne e i sotterfugi, le sparizioni, le parole dette a denti stretti, il rancore, la colpa; le scale di grigi laddove prima la realtà si divideva infantilmente in bianca o nera.

«Non riesco più a distinguere tra persone che mi fanno del male da quelle che mi fanno del bene, perché si mescolano.» Ritrova la voce Niahndra. «E sono proprio quelle più vicine che mi vogliono bene a ferirmi di più. E viceversa.»
«Questo vale per tutti, significa crescere. Stai romanticizzando i trascorsi in orfanotrofio, ma solo perché eri una bambina.»
«Non ho mai avuto il lusso di essere una bambina. Non ho mai avuto una possibilità di essere vulnerabile o mostrare debolezza, ero solo concentrata a rendere tutti troppo spaventati di ferirmi. E paradossalmente...quello lo capivo. Adesso...»
«È diventato tutto più complicato», conclude per lei Sam. E quando la ragazza annuisce ad occhi chiusi le accarezza la fronte.
«Adesso suor Prudenzia è morta e io non posso più neanche fantasticare di avere una famiglia che mi aspetta da qualche parte perché so di essere una figlia non voluta e liquidata. È morta e devo fare i conti col fatto di non essere neanche una strega, ma una qualche forma di abominio.»
Sente Sam irrigidirsi sotto di lei, ma qualunque cosa voglia dire rimane intrappolata nel brusco respiro che esala.
Troppe cose sono successe perché ci sia speranza di tornare indietro, perché ci sia speranza di un lieto fine.
Infine, Niahndra riprende a parlare.
«A volte vorrei tornare a prima che i Morton entrassero nella mia vita, nella nostra vita.» Il groppo alla gola si stringe. «E a volte vorrei solo nascondermi tra le braccia di una mamma che non ho mai avuto.»

C'è silenzio.

«Quanto cazzo è fuori di testa questo, Sam?»

there is no god who could give you your purity back.
 
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view post Posted on 31/8/2023, 22:57
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Contest a tema Agosto 2023 ▹ Hito
Ambientazione ▹Londra





--
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P
adre, finirò all’inferno».

Alla vista delle imponenti porte in legno scolpito, Niahndra è quasi tornata sui suoi passi: le spalle gobbe e l’atteggiamento schivo di chi si vergogna come un ladro. Anche se è la paura, più che la vergogna, ad averle fatto salire i gradini, ad averla condotta alla fonte dell’acqua benedetta, ad averle piegato il capo in reverenza dopo il segno della croce.
Si è mossa in fretta verso il muro, come una scarafaggio che rifugge la luce. Il respiro ancora corto quando infine si è rintanata nel confessionale.

L’ammissione appesantisce l’aria, increspa il silenzio. Niahndra sa che dietro lo schermo traforato c’è qualcuno in ascolto, anche se non dice niente; probabilmente, a una parte di lei, non interesserebbe neanche il contrario: ha solo bisogno di alleggerirsi il cuore.
Infine, «Non importa quanto gravi siano i tuoi peccati, Dio è pronto a perdonarti. Parla liberamente, bambina». La voce che le risponde tradisce l’età avanzata del confessore. Il tono pare ammorbidirsi appena sul finire, tinto di una tenerezza che Niahndra attribuisce alla sua pia illusione.
Dalla gola nasce un suono di scherno. «Ho i miei dubbi, Padre. Non per quello che ho fatto, non per quello che avrei voluto fare. E sapevo che era sbagliato, lo sapevo sul momento e l’ho fatto lo stesso; e per tutto il tempo pensavo solamente a cos’altro avrei potuto fare, di peggiore».
«Ma ti sei trattenuta», incalza dopo un po’ il sacerdote, quando ormai la voce accorata di Niahndra è solo un’eco tra le pareti. «È già qualcosa», aggiunge, mostrandosi incoraggiante. «Ti sei trattenuta perché sapevi che era sbagliato e ti sei pentita—»
«Non sono pentita». La correzione arriva rapida, non ammette repliche. Sotto i bordi guizza il terrore. «Non sono pentita, sono arrabbiata. Perché avrei voluto fare di più, avrei voluto fare peggio. Voglio ancora farlo».
Ha il battito accelerato, la testa leggera. La penombra all’interno del confessionale l’avvolge col calore di una coperta; si lascia cullare.
«L’unica cosa di cui mi pento, Padre, è di essermi trattenuta. È tutta la vita che trattengo e trattengo e trattengo. Mi logora e consuma. Perché è così difficile? Perché ho l’impressione di dover andare costantemente contro natura? Di dovermi frenare e controllare, senza desiderarlo veramente? Perché sono nata con questa…cosa dentro di me? Come se fossi maledetta o corrotta o traviata o che altro so io».
Nella pausa che intercorre, Niahndra ha il tempo di riprendere fiato. Sente le lacrime accalcarsi dietro agli occhi e sul fondo della gola. Trema.
«Persino il peccatore incatenato da qualche passione che lo tiene schiavo dell’inferno, trova grazia nel Signore».
«E la versione meno a cazzata preconfezionata quale sarebbe?»
In quel momento scommetterebbe qualsiasi cosa sul fatto che il Sacerdote stia camuffando una risata. Si prende il suo tempo.
«Non lo so, bambina». L’ammissione è aperta e schietta; colma di quella sincerità che può permettersi soltanto chi vanta una fede incrollabile. «Il più delle volte, quando succede, penso che siamo soltanto umani».
«Persino lei?»
Questa volta il prete ride apertamente, ed il suono riverbera tra le costole di Niah sciogliendo un po’ più del macigno che si porta dietro.
«No, persino tu».

I am standing uprightbut my shadow is crooked
 
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view post Posted on 25/9/2023, 15:23
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Sometimes I can feel my bones straining under the weight of all the lives I'm not living.

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Contest a tema settembre 2023 ▹ Sentiero
Ambientazione ▹ Nocturn Alley, pochi giorni dopo il Ballo dell'Eclissi di Sangue


Collegata a stitches [click], di cui costituisce il secondo capitolo. Non è strettamente necessaria la lettura, ma penso che aiuterebbe.





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La notte le aveva lasciato una sensazione strisciante di tante zampe d’insetto sulla pelle che neanche la doccia era riuscita a sciacquare via, per quanto Niahndra si fosse sfregata e sfregata fino ad arrossare l’epidermide.
Da quando era tornata nell’appartamento londinese per il periodo estivo si era sentita soffocare, con le pareti che davano l’impressione di volerla stritolare in una morsa fatale. Qualcosa o qualcosa stava chiaramente suggerendo che lei si trovasse nel posto sbagliato e pareva irremovibile nel suo intento di spingerla fuori di casa, verso la direzione giusta. Quale fosse questa direzione giusta non era dato sapere.
Era una sensazione che Niahndra aveva imparato a conoscere, quella della testa formicolante, dei nervi in fibrillazione, dei muscoli irrequieti; di una molla allungata e carica di energia potenziale, che aspetta solo di liberare la tensione con uno schiocco sonoro.
Se avesse potuto scegliere, Niahndra avrebbe deciso di ignorarlo e resistere all’impulso di mettersi in movimento, chiudersi la porta di casa alle spalle e calpestare il marciapiede sovrappensiero —trainata per mezzo di una fune contro la sua volontà. Era lì, ma non lo era. Camminava e si vedeva camminare. Conosceva la destinazione, ma non sapeva dove sarebbe finita.
Quando vide l’insegna del ragno, tuttavia, non si stupì.

Il muricciolo che segnava il profilo di una delle diramazioni malfamate di Nocturn Alley aveva guadagnato quel giorno qualche metro in più di lunghezza, uno spazio appena sufficiente a scoprire una fessura alta e sottile talmente semplice da trascurare che persino Niahndra —pur riconoscendo l’esoscheletro lucido dell’aracnide raffigurato al di fuori— se ne accorse solo quando i suoi piedi l’avevano ormai strattonata all’interno.
«Bentornata». «Benvenuta». «A presto».
Passato, presente e futuro si sovrapposero in un déjà vu dai bordi sfumati, esattamente come le tre voci che l’accolsero.
Niahndra sbatté ripetutamente le palpebre per abituarsi al cambio di luce all’interno della bottega. Tra una saccade e l’altra avrebbe giurato di intravedere ora una figura di donna, ora tre. Si strofinò gli occhi, riuscendo finalmente a mettere a fuoco i contorni di un arco in pietra che delimitava l’atrio e proiettava il suo sguardo lungo un corridoio adombrato di cui non riuscì a intravedere la fine. Passò quindi ad osservare la donna —una, adesso— che le sorrideva sornione e a mani conserte. Qualche ruga le segnava il viso placido.
«Buongiorno a leivoi?», mormorò educata ma distratta. Stava ancora aspettando che la testa smettesse di formicolare e che i piani temporali si sganciassero, lasciandola univocamente al presente. In più, non riusciva a smettere di lanciare occhiate di sottecchi alla donna, il cui sorriso adesso sembrava aver assunto toni decisamente più derisori. L’impressione svanì nel battito di ciglia successivo.
«Che posto è questo? Io…Credo di esserci già stata, mi ricordo di lei. O di qualcun altro». Non riusciva a frenare la sequenza di farneticazioni che stava uscendo dalla sua bocca, per cui a metà Niahndra semplicemente si arrese al proprio straparlare.
La signora fece uno svolazzo noncurante con la mano, quasi a voler accantonare il discorso. «Da qualche altra parte, sì, in qualche altro tempo —ridacchiò come se avesse detto qualcosa di divertente —La ragnatela è vasta, ma pizzica un poco qui ed ecco che questo si ripercuote da quest’altra parte».
Qualcosa fece clic nel cervello di Niahndra, l’ultimo pezzo di puzzle finalmente al suo posto. Il sollievo fu immediato. Fece male quando la tensione venne meno; lo faceva sempre. Pizzicava sulla pelle proprio come un elastico tirato allo spasimo che viene rilasciato d’improvviso.
«La bottega di filato», sopperì ignorando il lungo brivido lungo la schiena. «L’ho visitata diverso tempo fa. Lei era lì».
«Non proprio, ma sì». Adesso la donna non stava facendo assolutamente nulla per nascondere l’espressione beffarda che la animava. «Devi trovarti ad un punto di giuntura particolarmente sensibile del tuo percorso; è lì che posti come questi sorgono di solito, collegati sotto molteplici piani».
«Ovvero?»
«Puoi pensarla come un’articolazione; il punto di snodo tra due pezzi complementari che interrompe il cammino ma, al tempo stesso, rende possibile la mobilità».
Niahndra rimase in silenzio per un po’, a cercare di digerire quelle parole e trovarvi un senso logico perché era chiaro che la donna difficilmente le avrebbe fatto dono di una spiegazione più trasparente. Si guardò bene dal lamentarsi, dal momento che la vecchia della bottega di filato era stata, se possibile, persino più enigmatica e avara di parole. Eppure, paradossalmente, per quanto le rimanessero ancora numerose zone d’ombra circa quell’incontro, Niahndra era convinta di aver —se non compreso— quanto meno intuito la logica sottostante: erano tutti immersi in un grande reticolo di energia, connessi e interconnessi l’uno all’altro; ed in qualche maniera, l’ordito intessuto dalla vecchia rappresentava proprio quel reticolo. Come ciò si fosse tradotto in un acchiappasogni che le aveva fatto sparire quasi interamente gli incubi ancora le sfuggiva (insieme a tante altre cose), ma con un grammo di buon senso e tre di fantasia poteva colmare i buchi. Si parlava in fondo di tessuto dello spaziotempo o intreccio di destini o ancora, banalmente, della trama di un racconto. Governa i fili, e il burattino seguirà. Comanda con la giusta inflessione, e la magia si piegherà al tuo volere.
Ciò che veramente in quel momento la lasciava basita adesso era…
«Questa non è una bottega di filato, però».
Captò l’eco di una risata, ma non vide la donna aprire bocca. Le indirizzò soltanto la smorfia scaltra di chi sa qualcosa che tu non sai.
«No», confermò vivace. «Qui ci occupiamo di incidere rune. Beh- almeno prima». Si corresse aggrottando la fronte, prima di abbracciare con la mano l’area circostante. «Adesso è uno studio di tatuaggi».
Di fronte all’espressione perplessa di Niahndra, si difese «Sempre di stringhe si parla».
Nessun responso da parte della Alistine. Questa volta la donna sgranò gli occhi sbigottita. «Oh, andiamo. “In principio era il verbo”, no? “Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”», sciorinò i versi del Vangelo come se non le costasse fatica, come se l’avesse visto scrivere. «Verbalizzare è dare potere e vita. Le rune formano parole. Le parole sono un veicolo; più spesso ancora, sono un vincolo».
A quel punto si mosse con la scattosità di chi non è abituato a sottostare alle leggi fisiche e si disinteressa delle convenzioni sociali che normano l’opportuna distanza da tenere con uno sconosciuto. Intrappolato il polso di Niahndra in una tenaglia, lo ruotò perché esponesse l’incavo; lì, sul groviglio bluastro di capillari, tracciò leggera con l’indice una X. «Ma tu questo già lo sai, non è così?»
Il sorriso che le rivolse non era amichevole. Non c’era esattamente cattiveria nel suo tono di voce poiché non v’era intento di nuocere, ma crudeltà —quella sì. Come di un qualcosa che agisce secondo natura e non può far a meno di lasciare devastazione lungo la propria scia.
Niahndra ritrasse la mano, paonazza in volto. Sul polso sentiva bruciare i segni di Gebo, la runa che la legava ad una promessa che lei e Kevin si erano scambiati molti anni prima. Niah l’aveva disegnata a penna sul polso di lui e poi l’aveva riprodotta sul proprio a mo’ di trasferello. Era sparita da un pezzo, come diamine avesse fatto a vederla…
«L'inchiostro può anche sbiadire, ma l'intento che sta sotto, no. Quello rimane». Una spiegazione che aveva più il sapore di minaccia. «Un vincolo, una stringa; esattamente come ti dicevo. È per quello che i marchi non sono roba da prendere alla leggera».
«Lo so», rimbeccò a denti stretti Niahndra. Si teneva la mano premuta contro il petto, al riparo dallo sguardo rapace dell’altra. “Non lo prendo alla leggera”, avrebbe voluto dire, ma erano affari suoi e non aveva alcuna intenzione di condividerli con qualcuno che aveva appena incontrato.
«Ah, sì?» Un’alzata di sopracciglio, anche se Niah non avrebbe saputo determinare se in sorpresa o in scherno. «Sicura che non vuoi liberarti del vincolo?»
La ragazza scosse la testa. Ormai era andata e non lo rimpiangeva. Poi un pensiero la colpì. «Credevo che, anche a inchiostro sbiadito, l’intento rimanesse», scimmiottò.
Una scrollata di spalle da parte dell’altra, il movimento artificioso che tradisce un lungo periodo di immobilità. «A volte puoi trasformare un vincolo in un vicolo. A volte, addirittura, puoi trasformare un vincolo in uno svincolo». Lo disse scoprendo i denti, come se sapesse di star offrendo qualcosa di appetibile. «Ci vuole abilità, però. E la giusta dose di disperazione per pagarne il prezzo».
Niahndra rabbrividì di nuovo. L’altra megera non aveva chiesto soldi in cambio dei suoi servizi, ma lei era comunque uscita da quella bottega con l’impressione di aver pagato molto più di quanto anche i conti Gringott del primo ministro e del preside di Hogwarts insieme potessero coprire.
«E lei sa farlo?»
L’altra le sorrise, quasi dolce. Ancora quella risata senza che muovesse le labbra. «È il mio lavoro. Annodare e sbrogliare; vincolare, svincolare, veicolare».
Approfittò del silenzio di Niahndra, forse scorgendo in lei un lampo di esitazione, un aggancio; prese a girarle intorno, apparentemente inconsapevole di quanto i suoi modi risultassero fuori luogo o dell’effetto che stava avendo sulla ragazza. «Se non sei qui per Gebo, forse c’è altro che posso fare per te?»
Niahndra la seguì con la testa fino a torcere il collo, rifiutando di spostare i piedi ma comunque a disagio col darle le spalle. Continuò a rimanere in un ostinato silenzio mentre l’altra la studiava disegnandole un cerchio intorno.
«Ah», cinguettò la donna arrestando il passo. «Forse è questo, allora?» Azzerò nuovamente le distanze, sfiorandole la nuca con una nocca gentile.
“Cosa?”, avrebbe dovuto chiedere Niahndra a quel punto, ma neppure sprecò il fiato a fare la finta tonta. Scosse il capo per liberarsi dal tocco dell’altra e sostituì le sue dita con le proprie, nel punto in cui solo pochi giorni prima si era fatta tatuare da Estia al Ballo dell’Eclissi di Sangue. I segni della tintura erano invisibili se non alla luce della luna, ma se persino un disegno a penna di anni prima non era riuscito a passare inosservato…
«Cosa c’era di tanto importante da doverlo imprimere indelebilmente?» Ora che aveva affondato i denti, era impossibile farle mollare l’osso.
A disagio e con la sensazione di trovarsi sdraiata su un tavolo operatorio, Niahndra si strinse nelle spalle bloccando il movimento appena se ne fu resa conto. Guardò la donna negli occhi. «È una bussola», spiegò ermetica guadagnandosi un trillo deliziato in risposta.
«Quanto persa ti devi sentire per disegnarti una bussola invisibile dietro la testa, dove gli occhi non arrivano».
La domanda aveva il retrogusto retorico di chi pensa di conoscere già la risposta ed è divertito dalla cosa; per cui Niahndra se ne stette in silenzio, affatto propensa all’idea di doversi giustificare. Certo, ciò non rendeva le parole della donna meno vere. O meno pungenti.
Distolse lo sguardo e si allontanò di qualche passo per togliersi dal suo raggio d’azione. Provò a buttare un’altra occhiata al corridoio ma era ancora troppo buio. Se non altro, a quel giro si accorse delle rune incise nell’arco in pietra.
«A cosa punta la tua bussola?», inquisì ancora l’altra.
Niahndra rise per la prima volta da quando era entrata —amara, ma era pur sempre una risata. La accompagnò con uno scossone del capo. «Non ne ho proprio idea. Con la fortuna che mi ritrovo, punta a un vicolo cieco».
L’ennesimo. Sempre di più Niahndra aveva l’impressione che qualunque svolta prendesse nella vita, finisse sempre con l’avere meno opzioni di prima. Come un cappio che si stringe intorno al collo.
«Anche la più precisa delle bussole è inutile se non sai dove andare».
Grazie, proprio quello che volevo sentire. «Me ne sto rendendo conto», disse solo.
«Troppe forze contrastanti si agitano dentro di te, ti tirano da una parte e dall’altra, offuscano i tuoi desideri e la tua via. Per questo la bussola non sa dove puntare».
Agli angoli degli occhi, in mezzo al naso, Niahndra iniziava a sentire il pizzicore che anticipava le lacrime. Era difficile essere visti. Deglutì. «Quindi il suo suggerimento qual è?»
«Dei marcatori». La risposta giunse rapida e terribilmente semplice. Stava tornando l’aria di beffarda onniscienza. «Come dei sassolini lasciati a terra per ricordarsi la strada, come il filo d’Arianna all’interno del labirinto. Una segnaletica, che ti instradi e ti rammenti come e dove tornare».
Oh. Niahndra alzò entrambe le sopracciglia. «Ho già provato qualcosa di simile, non so esattamente come». A Cadair Idris, quando la foresta incantata aveva innescato la sua natura di banshee si era affidata ai propri compagni per essere guidata nuovamente nel suo corpo.
«Il principio è quello», confermò la donna come se conoscesse l’episodio. «Solo più…permanente». Un’occhiata allusiva che Niahndra interpretò al volo.
«Sta suggerendo un tatuaggio».
Uno sbuffo, poi la donna si strinse nelle spalle. «È un termine estremamente riduttivo, ma diciamo di sì. Vieni con me».
Senza attendere risposta, voltò le spalle e le fece strada attraverso l’arco in pietra e lungo il corridoio misterioso. Il rumore cristallino di una cascata d’acqua rimbalzava tra le pareti; anch’esse, notò Niahndra curiosa, erano incise con simboli runici sopravvissuti ai secoli e vignette stilizzate che parevano richiamare episodi mitologici.
Lo stretto corridoio si spalancò su una stanza circolare di dimensioni ragguardevoli, attraversata da parte a parte da un rivolo azzurrognolo. Al centro, lambito appena dall’acqua, sorgeva il tronco maestoso dell’albero più grande che Niahndra avesse mai visto. Fu costretta a inclinare la testa all’indietro e comunque non riuscì ad abbracciare per intero le migliaia di rami intrecciati che parevano sparire nel soffitto.
«Cos’è questo posto?», soffiò piano.
La donna le scivolò di fianco, silenziosa. «Una giuntura, te l’ho detto».
Le indicò la cascata. «Devi immergerti, prima di cominciare». Quando si accorse dell’esitazione di Niahndra, aggiunse «Serve ad avere una tela pulita su cui tracciare. Tabula rasa».

Prima di cominciare, la donna aveva intinto le mani nello stesso rigagnolo in cui aveva fatto immergere Niahndra; poi si era avvicinata al grande albero e, dopo aver mormorato qualche parola che Niah non aveva sentito, lo aveva inciso in più punti. Con delle cannule ne aveva infine estratto quella che lei sospettava essere la linfa. Era con quel fluido che adesso la donna stava disegnando arabeschi sulla sua pelle, seguendo uno schema che Niah non avrebbe saputo decretare se fosse casuale o meno.
«C’è tanta confusione qui. Le linee dovrebbero aiutarti a mantenere la rotta senza lasciarti sviare da forze esterne», spezzò il silenzio la tatuatrice.
Niahndra produsse un “mmh” poco sentito. Sapeva di star ancora scontando le scelte di qualcun altro. Ripensò a Brigit, a come il suo silenzio le fosse costato la vita. Ripensò a Sam, sparito dall’orfanotrofio per indagare sul mistero delle sue origini. Ripensò a Melanie, a Suor Prudenzia che ancora la perseguitava dalla tomba.
Aveva provato a riprendersi la propria autonomia, ma dove l’aveva condotta se non su sentieri via via più contorti; ogni svolta che pareva trascinarla sempre più in basso? C’era stata Eloise, la leggerezza e l’euforia temporanee date dal rivelarle i propri segreti e sentimenti; seguita dall’instabilità di un cambio di paradigma, dalla brutalità di trovarsi naufraga e al largo senza alcun punto di riferimento né in cielo né in terra. C’era stata Hameeda, e la promessa di quiete e controllo tramite l’occlumanzia, distorta immediatamente dopo dagli attacchi inclementi di Renzo, che avevano finito per aizzare ancora di più qualunque cosa Niah fosse riuscita a tenersi dentro fino ad allora. C’era stata Nieve, e quella era una strada dalla quale non credeva potesse esserci ritorno.
«Cosa sta disegnando?» Volle sapere.
«Ciò che vedo».
«E cosa vede?»
Il silenzio che seguì fu talmente lungo che Niahndra quasi s’addormentò sotto il tocco leggero della donna, cullata dal gentile scrosciare dell’acqua. La risposta la raggiunse nel dormiveglia. «La verità del passato, i debiti verso il futuro, il divenire e l’essere del presente. Difficile separarli, di solito si sovrappongono».
Qualcosa nella mente assonnata di Niah tornò ai punti di giuntura e alla ragnatela.
«Alcuni futuri richiedono pegni talmente vincolanti da essere già passato, storia scritta. Di contro, alcune verità sono così antiche da essere cadute nell’oblio, rimanendo appese ad un filo talmente incerto da essere scambiate per divenire».
A quel punto Niahndra si era già addormentata.

La notte le aveva lasciato una sensazione strisciante di tante zampe d’insetto sulla pelle. Assonnata e rimbambita, Niahndra si era buttata in doccia per strofinare via l’impressione.
Tra i rivoli d’acqua e un colpo di spugna e l’altro, gli occhi colsero una serie di venature sulla pelle. Si fermò per sbattere le palpebre, e queste sparirono.
La tensione era sparita, sostituita dalla terribile consapevolezza di aver pagato un pegno di cui non conosceva la natura.



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1. blaze, marker on a trail
segno, segnale, indicazione

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1. the act, process, or an instance of making or giving a mark
segnare, marcare
 
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violent act
Contest a tema Febbraio 2024 ▹ Possesso
Ambientazione ▹segue gli avvenimenti di second place, dopo la finale del torneo crownspoon






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Hogwarts, presente
Il profilo del campo da Quidditch era tutto sbagliato, in balia delle ombre della notte; la desolazione degli spalti vuoti, la solitudine degli alti anelli che baluginavano sinistri alla luce della luna erano quanto di più lontano esistesse dalla vivacità dei festeggiamenti solo poche ore prima. Anche gli spogliatoi erano sbagliati. Se da fuori il muffliato assicurava silenzio, dentro le urla rimbalzavano metalliche e spigolose, taglienti come rasoi; erano le urla di una bestia in trappola, che morsica la propria zampa pur di liberarsi dalla tagliola.
Era come se qualcuno o qualcosa avesse premuto un interruttore nel cervello di Niahndra e avesse preso controllo del suo corpo; abolito ogni pensiero, ogni reazione, ogni capacità di comunicare razionalmente. C'era solo il sangue che rimbombava nella testa e la riempiva con ogni suono mai prodotto dalla nascita del mondo; le ossa vibravano e grattavano con un'energia che supplicava di essere espressa. E così Niahndra aveva fatto, mazza alla mano. Aveva colpito e colpito; l'aria, prima, poi dei vecchi materassi che aveva trovato. Sferzava e gridava, senza alcun pensiero razionale a guidarla; solo un accumulo di emozioni inespresse ed un lancinante senso di disperazione. Era tutto così maledettamente ingiusto. Quella situazione era ingiusta, quei suoi stupidi sentimenti erano ingiusti; più di tutto, era ingiusta Eloise per averle scombinato i piani.
Niahndra era convinta —aveva sperato— che le avrebbe spezzato il cuore. Quello, si era detta, avrebbe potuto sopportarlo; quello, si era detta, avrebbe potuto capirlo. Se ne sarebbe fatta una ragione perché era quello che pensava di meritarsi; avrebbe conservato il dolore e i rimasugli di sé, cullandoli nel segreto del suo animo per immortalarli nel tempo. Solo in questo modo avrebbe tenuto al sicuro Eloise, e sé stessa. Era un quadro perfetto, fin nell'ultimo dettaglio. Non quell'accozzaglia disorganica e ingarbugliata che si era ritrovata invece tra capo e collo all'improvviso. Voleva l'idea irraggiungibile al riparo della sua mente. Nel momento esatto in cui questo aveva iniziato ad assumere i contorni tangibili della realtà, tutto in lei si era allarmato. La possibilità che Eloise potesse ricambiare non l'aveva sfiorata nemmeno nei suoi sogni più proibiti. Le implicazioni la terrorizzavano. Quello era un ruolo che non sapeva ricoprire, di cui non conosceva i confini; e quando le parole di Eloise li avevano fatti sbiadire ulteriormente, invece del sollievo e della gratitudine che avrebbe dovuto provare, Niahndra aveva sentito soltanto i denti affilati della tagliola.
Orfanotrofio, molto tempo prima
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Le suore non si aspettavano di certo che Niahndra pronunciasse “mamma” o “papà” come altri infanti della sua età facevano. In fondo, non c’era nessuno che si fosse affacciato alla sua culla imitando sorridente il boccheggiare d’un pesce e sillabando “ma-ma” o “pa-pa”; nessuno che avesse tirato di gomito al partner piazzando scommesse su quale genitore sarebbe stato invocato per primo. Quando, tuttavia, aveva compiuto l'anno di vita e poi i due senza ancora spiccicare mezza parola, qualcuno aveva cominciato a porsi delle domande. Si trattava forse di un ritardo cognitivo? Un problema strutturale? La mancanza di un ambiente arricchito? Non sussistevano problemi di comprensione, avevano stabilito alcuni specialisti; anzi, era difficile dubitare della spiccata intelligenza che si celava dietro gli occhi penetranti con cui Niahndra scrutava il mondo. Non parevano esserci motivi per quel mutismo e, alla fine, se n'erano tutti fatti una ragione. Tutti —a parte suor Prudenzia, che aveva continuato a sostenere venefica che la bambina lo facesse apposta. Giusto per farle un dispetto. Lei l'aveva visto subito che quella non avrebbe portato altro che guai, sin da quando non era che una neonata troppo vorace che sottraeva latte agli altri poppanti; d'altronde, Niahndra non aveva fatto altro che scrutare silenziosamente i dintorni da quando era arrivata in fasce in orfanotrofio. Non una parola, non un gorgheggio, neppure uno strillo o un piagnisteo. Pareva quasi che volesse tenersi tutto ben stretto, senza il rischio di cedere anche solo la minima parte di sé.
La verità era che Niahndra aveva imparato in fretta che a nessuno importava realmente che parlasse —soltanto che ubbidisse. Aveva imparato, anche, che lì dentro non c'era niente che veramente le appartenesse: non il materasso su cui dormiva, non le scarpette che indossava, non le bambole di pezza che doveva litigarsi con gli altri bambini e che poi finivano riposte nei bauli comuni. Le rimanevano i pensieri, forse, e le parole, distanza tra sé e gli altri —custodiva quella distanza.

«Voglio giocarci anche io».
Brigit aveva pestato i piedi a terra una-due volte quando Niahndra non aveva dato cenno di voler condividere con lei il pupazzetto a forma di elefante che teneva in mano. Invece, le aveva mostrato senza dire niente la cassa piena di altri animali di pezza.
A Brigit non era piaciuto.
«Voglio l'elefante, dammelo». E nel dirlo, si era protesa in avanti per strapparglielo di mano. Si era ritratta subito dopo, piangendo e urlando.
Suor Eleanor si era precipitata da loro, sconcerto e stanchezza che si battevano sul suo volto. Aveva guardato prima l'una e poi l'altra. «Che succede qui?».
«Niahndra mi ha morsa perché non vuole darmi il pupazzo!»
E, in effetti, venti piccoli segni arrossavano la pelle del braccio di Brigit.
Suor Eleanor aveva sospirato, accucciandosi accanto a Niahndra. «Abbiamo già avuto questa conversazione, Niahndra. I morsi non vanno bene. Perché invece non provi ad usare le parole, mmh?»
Un tentativo futile, già lo sapeva. Quando il silenzio s'era allungato fino a diventare sconfortante, aveva ripreso: «Ti ho vista giocare a lungo con questo pupazzo, direi che è il momento di farci giocare qualcun altro. Lo passi tu a Brigit o devo farlo io?».
Niahndra era una creatura orgogliosa anche a quell'età, ma sapeva riconoscere quando si trovava messa alle strette. Aveva ceduto l'elefantino di pezza e si era alzata in piedi. Quando la suora aveva provato a tentarla con un altro peluche, lei si era limitata a darle le spalle e a raggiungere l'angolo della stanza con le braccia incrociate.

Sam la raggiunse dieci minuti dopo. Lei era ancora nella stessa posizione, scura in volto.
«Brutta giornata?».
Erano le quattro del pomeriggio e aveva appena finito di seguire le lezioni. La cartella gli pendeva storta da una spalla.
Non si scompose quando Niahndra gli rispose col silenzio; aveva quest'abitudine di continuare a parlare lo stesso, in una buffa conversazione a senso unico.
«Volevo darti questo, prima di andare a giocare coi miei amici. L'ho fatto in classe nell'ora di arte».
Niahndra lo guardò infilare la mano nella tasca e poi mostrarle il palmo tutto soddisfatto. «È una libellula».
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La bimba inclinò la testa, scrutando l'oggettino. Non era altro che un rametto secco a cui Sam aveva incollato quattro foglie lanceolate, ma in quel momento le parve il giocattolo più bello del mondo. Allungò la mano per prenderlo, poi si fermò a guardarlo, incerta.
Sam le annuì incoraggiante. «Prendilo, l'ho fatto per te».
Fu tutto l'incoraggiamento che le serviva. Sgraffignò la libellula rapida come un falco e se la portò al petto, strappando una risata al bambino più grande.
«Allora, ti piace?»
Un sorriso adorabile illuminò il volto di Niah. Teneva ancora la libellula nascosta tra le mani. Poi, con tutta la solennità possibile, disse solo: «Mio».
Un lampo di sorpresa attraversò i lineamenti di Sam, gli occhi sgranati e la bocca leggermente dischiusa. Rinvenne un istante dopo, con un gesto complice del capo. «Tuo», convenne.

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Quella notte, Niahndra andò a dormire con la libellula ancora stretta in pugno perché non si fidava a lasciarla incustodita. Era sua, Sam l'aveva fatta apposta per lei. Non avrebbe dovuto condividerla con nessun altro.
Al mattino seguente, tuttavia, Niahndra scoprì che il rametto della libellula si era spezzato tra le sue mani. E allora apprese anche qualcos'altro, che l'amore è un atto di violenza. Come uccidere una pianta, dandole troppa acqua.

I have never been allowed to be holyI have never been forgiven for wanting
 
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