Mirrors, Concorso a tema Marzo 2015;

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<BloodyClaire>
view post Posted on 18/3/2015, 18:01




Spettrofobia: "Meglio conosciuta con il nome di Eisoptrofobia, è la paura persistente e irrazionale degli specchi, o del proprio riflesso. Le persone sofferenti di questa fobia possono preoccuparsi che [...] guardarsi allo specchio li metterà in contatto con un mondo soprannaturale, sito aldilà dello specchio stesso."


Vi sono regole non scritte a Hogwarts: gradini trappola, quadri che non vanno toccati, porte che non conducono da nessuna parte; e c’è un bagno, nell’ala est del primo piano, sul quale vige un tacito accordo tra gli studenti.
Non entrare.
Sul pavimento piastrellato di quel bagno umido Meredith appoggiò il suo zaino, ansimando e cercando di comandare al battito di rallentare la frenetica corsa e al respiro di riprendere il normale ritmo. Si appoggiò al bordo del lavabo in pietra, situato al centro della stanza, e chiuse gli occhi. Perché continuava a succedere? Non poteva dire che fosse un problema continuo, o frequente; si trattava più di una sorda ansia, un grido ovattato che nei momenti più impensabili si elevava alle sue orecchie, le perforava i timpani, le pugnalava il cervello. Sapeva che non era razionale, sapeva che non era vero. Sapeva di essere sola mentre faceva i compiti in biblioteca; sapeva di essere sola mentre si coricava a letto la sera; sapeva di essere sola mentre passeggiava per i corridoi, diretta all’una o all’altra classe. Ma l’istinto suggeriva altro, suggeriva voci nel silenzio, e passi nel vuoto, e ombre nella luce. A volte riusciva quasi a intravederla mentre girava un angolo o entrava in una classe, i capelli castani tagliati corti, come i suoi, gli occhi sfuggenti e veloci, come i suoi, vestita degli stessi vestiti che quel giorno portava. Possibile che l’avesse inseguita, sin dalle stradine fetenti di Nocturn Alley, fino a lì? Ombra tra le ombre, risatina soffocata nel silenzio mattutino.
Era il suo riflesso.
Gli attacchi di panico erano veloci ad arrivare, veloci a scomparire. Una leggera tachicardia, il respiro che si mozzava, poche gocce di freddo sudore che le appannavano la vista, poi il niente, la normalità, il respiro e il battito si regolarizzavano lasciandola impietrita di fronte ai suoi perché, ai suoi sospetti. Sospirò di nuovo e si avvicinò a uno dei lavandini a muro sormontati da specchi scrostati, controllando sospettosa la propria immagine come il gatto randagio osserva l’umano; per un attimo lo sguardo si fissò nei suoi stessi occhi, dall’altra parte del vetro, nelle iridi marroni incorniciate dalla bianca cornea, dalla pallore del suo volto. Era tutto a posto, non c’era nessun mondo aldilà dello specchio, e se anche, non c’era alcun modo che entrasse in contatto con lei. Esisteva una e una sola Meredith, e questo non poteva essere cambiato. La mano corse al pomello del rubinetto e un’ondata di acqua fredda si liberò istantaneamente dal tubo arrugginito; lasciò che passasse qualche secondo prima di tuffarci le mani, portandosi piccole polle al viso. Il gelo sembrava più efficace della migliore pozione, nel calmarla: sciacquava via dalla sua pelle le tensioni, le bruciava la pelle costringendola a ritirarsi nelle sicurezze del reale, del percepito, lontana dagli oscuri laghi dell'immaginazione nei quali la sua mente amava sguazzare.
Sentì un rivolo di acqua scorrerle lungo la manica, le punte dei capelli bagnate e spettinate, il colletto della divisa scolastica umido, ma non se ne curò. Solo dopo lunghi secondi la mano corse di nuovo al pomello, e il getto si arrestò. Respirò infiniti attimi tenendo il viso chino sul lavandino. Era tutto a posto, ora si sarebbe alzata, avrebbe ripreso il suo zaino e sarebbe andata alla prossima lezione. La aspettavano due lunghe ore perse nel tentativo di potare piante che non avevano la minima intenzione di essere potate, se non altro sarebbe servito a distrarla. Si appoggiò al lavabo, alzò il capo, e si impietrì di fronte ai bagliori gialli che splendevano nello specchio.
Un brivido le corse lungo tutto il corpo, e se il terrore non le avesse paralizzato i sensi avrebbe potuto accorgersi della sensazione del sangue che nella lotta per la vita fuggiva verso le gambe. I due bracieri si mossero, e da come la distanza tra i due non cambiava Meredith dedusse che si trattava di occhi, occhi appartenenti alla più grande delle creature, un mostro che fino a quel momento si era palesato solo negli incubi dei potenti e dei coraggiosi. Provò a gridare, e se non ci riuscì non fu per sua mancanza di volontà: i polmoni si erano bloccati, l’aria fluiva dentro di lei come un torrente in piena trascinando via la voce, i pensieri. Le sue mani presero infine l’iniziativa, spingendola via dal lavandino, ma le gambe non poterono seguire e l’intero corpo torcendosi volò a terra, le vesti che si impregnavano dell’acqua che bagnava il pavimento. Aveva avuto una possibilità, per quanto insulsa, di sfuggire al pericolo, di provare che meritava ancora di vivere. E l'aveva sprecata. In un momento di follia gli occhi corsero alla sua schiena, per vedere ciò in cui era inciampata e sapere cosa maledire nei suoi ultimi attimi di vita, e il panico la invase definitivamente cancellando ogni forma di ragione: ai suoi piedi giaceva un corpo di ragazzina, le braccia serrate sui fianchi quasi fosse legata, la faccia marmorea e gli occhiali rotti ancora sul volto, coperti parzialmente da capelli neri indomati. Solo allora, nel momento di ultima disperazione, riconoscendo di non potersi salvare, i polmoni le concessero di esprimere la paura. Gridò, e gridò, gli occhi serrati nella speranza di morire col buio nelle iridi piuttosto che rivedere quei freddi tizzoni. Gridò anche quando i polmoni cominciarono a bruciare, quando il sangue le raschiò la gola e il suo corpo fu scosso da tremiti. Infine la voce si spense. Il silenzio era tornato a regnare sul bagno, un silenzio depurato di ogni sussurro; solo, in un angolo, il picchiettare delle gocce d’acqua provenienti da un rubinetto guasto disturbava quell'inquietante pace. Meredith era ancora lì, per terra, le vesti bagnate e le mani sugli occhi, le gambe rannicchiate sul petto in un patetico tentativo di protezione. E tuttavia era viva, e poté accorgersene quando finalmente si decise a riaprire le palpebre. Era sola nel bagno. Lo sentiva. Il mostro, di qualsiasi cosa si fosse trattato, non era più lì, sparito negli incubi dai quali proveniva. E il corpo? Quella ragazzina, dai capelli neri e le membra impietrite, sul cui scomposto cadavere era inciampata?
Si alzò a sedere di scatto voltandosi verso il punto nel quale giaceva, ma non la trovò: c’era solo il suo zaino, riverso su un fianco, leggermente spostato rispetto a dove lo aveva lasciato. La bocca si aprì sorpresa, ma la mente cominciava già a fare i primi collegamenti; si era trattato semplicemente di un altro attacco di panico, la fantasia le aveva suggerito mostri là dove non c’era niente, cadaveri al posto di innocui zaini. Poteva essere? Due attacchi, così prossimi, così vividi? Nel suo cervello i due occhi gialli, freddi come quelli di un serpente, erano stampati in modo troppo chiaro, non poteva essersi immaginata tutto. Si alzò. Ed era veramente sola. Nessun mostro. Nessun cadavere. Raccolse lo zaino, si guardò intorno, e corse verso la porta del bagno. Voleva andarsene immediatamente, la paura le animava le gambe, ma prima di uscire non resistette alla tentazione di guardare di nuovo verso lo specchio; e fu sollevata nel vedere che solo il suo riflesso le rispondeva, imitando le sue espressioni e i suoi movimenti come la natura dettava. Si voltò e spinta la porta di legno corse via.
Fu un peccato che non si voltasse nuovamente: di certo non avrebbe dimenticato l'episodio tanto rapidamente, come poi avrebbe fatto, se avesse visto che il suo riflesso non si era affatto mosso da quando si era girata a guardarlo: freddo e immobile, teneva lo sguardo fisso sulla sua schiena, la guardava con un sorriso pietoso scivolare dietro la porta e scappare via. La seconda Meredith rimase lì per qualche secondo, a ridere contro il legno della porta ormai chiusa. Poi, soddisfatta, si avvicinò ad uno degli estremi dello specchio,

e sparì.
 
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