Burning in water and drowning in flame

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view post Posted on 25/6/2015, 01:06
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Stava riponendo, per la seconda volta, i libri nella tracolla di pelle nera chiedendosi come diamine avesse fatto a farci stare comodamente tutto quando aveva lasciato i dormitori mentre, in quel momento, sembrava difficile trovare spazio persino per una piuma.
Emily sospirò sonoramente sistemando il tomo di pozioni in una nuova, ennesima, angolazione mentre cercava di ignorare le voci concitate di due concasati che, alle sue spalle, non dovevano aver realizzato che la loro Caposcuola fosse ancora presente in aula.
La Serpina si stava attardando, lo sapeva bene; che la voglia di uscire dalla stanza per ultima, senza sfilare sotto sguardi indiscreti, facendo in modo di restare indietro, coincidesse col non trovare un'adeguata posizione ai suoi oggetti in modo tale che la borsa riuscisse a chiudersi, era una insignificante fortuna.
E se sapesse che lo abbiamo noi? Secondo me sarebbe meglio lasciarlo qui.
Si tratta di un dannato libro che non dovremmo ricomprare!
Mh. Allora ne compriamo uno e dividiamo le spese. Tanto anche questo è in ottime condizioni.
Basta che gli strappi la prima pagina cosicché non si legga il nome.
Ma perché io scu--
Se Emily non avesse sbattuto la mano sul banco richiamando i due stolti, probabilmente non si sarebbero nemmeno resi conto che la ragazza potesse udirli. Certa di aver attirato l'attenzione, la giovane Caposcuola si voltò lentamente verso di loro, piegando di poco il capo con un'espressione di disappunto e fastidio sul volto pallido, e non fu sorpresa dello sguardo che i due Serpeverde le regalarono.
Accorciando le distanze tra i banchi, la fanciulla si avvicinò e, con un gesto fluido, allungò il braccio nudo aprendo il palmo come in attesa di ricevere qualcosa.

Non avete da studiare, voi? Se dovessi trovare uno dei vostri libri in una qualsivoglia aula, lo trasformerò in strisce di carta per farvi il nido del mio nuovo gufo.
Gli studenti non sembrarono certo contenti ma non osarono proferire parola alcuna e non perché Emily potesse fare in modo che la temessero fino a quel punto, più che altro erano le voci che giravano nei corridoi a convincerli di non opporsi ai voleri della ragazza, a maggior ragione se si trattava della Caposcuola con fin troppa fantasia in termini di punizioni.
Colpa tua che sbraiti come un ippogrifo che ha appena preso...
Ad Emily poco interessava di quel che era accaduto all'ippogrifo per colpa dell'unicorno, le bastò rilassare il respiro dopo essersi tolta quei due guastafeste di torno e capire a quale sbadato di turno appartenesse il libro in questione.
Tornò lentamente al proprio banco, stranamente in fondo all'aula dunque, e portandosi la tracolla semi-aperta sulla spalla, aprì delicatamente il tomo di pozioni. Un leggerò sorriso incredulo delineò le sue labbra severe e richiudendolo con uno scatto, se lo portò lungo il fianco mentre usciva dall'aula.

h. 12:30 p.m.

Raggiunse la Sala Grande senza molto appetito ma doveva costringersi a mettere qualcosa nello stomaco altrimenti, la lunga pila di compiti che attendevano di esser consegnati, sarebbe aumentata in modo esponenziale fino a raggiungere il punto di non ritorno perché lei, con ogni probabilità, sarebbe svenuta sul letto priva di energie.
Adocchiò Arya ed il perenne posto vuoto alla sua sinistra: non si era mai messe d'accordo al riguardo, non avevano mai deciso di ritrovarsi per pranzo o cena eppure, puntualmente, erano sedute l'una accanto all'altra. Emily le lasciava sempre spazio alla sua destra - e nessuno osava sedervisi, consapevoli di quegli strani, taciti e turbolenti appuntamenti, non sapeva come o quando quel rituale avesse avuto inizio ma le stava bene, ormai vi era così abituata che nei giorni di luna piena evitava di raggiungere la Sala Grande perché sapeva di doversi trovare un altro, qualsiasi posto presso la lunga tavola e che non sarebbe stato lo stesso, soprattutto ora che tutto era cambiato e lei si sentiva spesso a disagio a camminare per la Scuola con la stessa libertà a cui era avvezza prima. Nonostante ciò, agli occhi esterni, Emily Rose restava la solita studentessa Serpeverde, la solita Caposcuola, come se nulla di quanto accaduto da lì a pochi giorni prima, avesse potuto davvero stravolgere la sua vita.

Si lasciò cadere sulla panca, poggiando il libro di cui era da poco entrata in possesso sulla tracolla e senza potersi controllare sul momento, lasciò scivolare le iridi argentee sulla fila dei Tassorosso, inconsciamente alla ricerca di una testolina rossastra. Qualcuno le urtò la destra, nel tentativo di accaparrarsi l'ultimo pezzo di pane - qualcuno evidentemente troppo pigro per alzarsi, fare qualche metro, e raggiungere il ben più che pieno cestino poco distante e non conteso da nessuno - e lei fu costretta, più che volentieri, ad interrompere il contatto visivo che aveva instaurato con le divise giallo-nero. Improvvisamente sentì una morsa chiuderle definitivamente lo stomaco e sapendo che avrebbe finito per star male se si fosse sforzata nel mangiare, si limitò a bere del succo di zucca e dieci minuti dopo, animata dal bisogno di sdraiarsi sul letto e chiudere gli occhi, stava già scivolando silenziosamente lungo la parete per guadagnarsi l'uscita.

h. 13:00 p.m.

Aveva raggiunto i dormitori in tempo record e solo quando si chiuse la porta alle spalle, si ricordò di essersi allontanata senza dire nulla ad Arya. *Da quando te ne preoccupi?*, pensò per allontanare il lieve peso della scortesia che sapeva di aver compiuto e si diresse allo specchio ornato da lucenti smeraldi.
Si legò i capelli in un'alta coda e si sfilò la cravatta, gettandola con poca forza sul letto a baldacchino. Sbottonò la camicia dal basso, come era solita fare e quando si liberò di quella fastidiosa stoffa, sentì un leggero brivido percorrerle le membra: fuori poteva anche esservi un clima quasi estivo ma nei sotterranei l'umidità ed il freddo erano sempre presenti.
Indossò un maglione qualunque e si lasciò finalmente cadere sul letto; era presto, non poteva passare la giornata a quel modo e v'era persino una ronda serale ad aspettarla. Il ricordare i suoi doveri sembrò non piacerle e, difatti, con dei gesti che nulla avevano a che fare con la sua solita calma e leggiadria, la Serpina accumulò dei cuscini contro la parete e vi poggiò violentemente la schiena contro, incrociando le braccia al grembo mentre chiudeva gli occhi. Sentiva come il bisogno di calmarsi ma non capiva quale fosse la causa scatenante di quella irragionevole agitazione. Perché il cuore le batteva così velocemente? Il peggio non era, poi, passato?
Strinse le ginocchia al petto agguantandole con ambo le mani e vi poggiò la testa pesante; gli occhi cerulei caddero, stanchi, sulla tracolla che, tra le tante cose, aveva poggiato sul letto e, come conseguenza, sul libro di pozioni che aveva sequestrato.
Poteva restituirlo in Sala Grande, si disse, che sciocca a non averci pensato eppure, tutto sommato, non era proprio la scelta migliore: non poteva certamente incamminarsi lungo tutto il tavolo dei Tassi alla ricerca di lui. Sarebbe parso stupido e strambo, sopratutto dopo che...
...Ed eccola di nuovo, ora che credeva di aver regolarizzato il battito, quella stupida, fastidiosa, tachicardia; come i libri che aveva posizionato più e più volte nella borsa, anche lei sembrava non trovare pace e prendendo meccanicamente il tomo tra le affusolate dita della destra, si lasciò cadere nuovamente di schiena contro i guanciali.
Lo aprì, pensando di trovarvi chissà cosa, magari qualche appunto, un segnalibro, qualcosa che gli appartenesse; *Solo curiosità*, e non osò chiedersi cosa fosse peggio, se credere davvero a quella bugia oppure attendere il palesarsi della verità.
Incontrollabili, i pensieri la condussero a lui e a quel tempestoso pomeriggio primaverile: ricordava di averla invitata? Lo aveva desiderato davvero? Si era, forse, ricreduto? Perché lo aveva fatto?
Gettando il libro su un fianco, Emily arrivò alla conclusione che non le interessava davvero, era tornata da una pausa infernale e l'unica cosa che le serviva era pace e tranquillità. Raggomitolandosi su un fianco, con gli occhi chiari posati sul letto vuoto della sua compagna, si addormentò prima ancora di rendersi conto di quante bugie continuava a ripetersi per evitare ulteriori illusioni.

h. 17:00 p.m.

Aveva dormito per quasi tre ore quando il rumore della porta del dormitorio che veniva richiusa la svegliò di soprassalto. Emily si mise seduta stropicciandosi gli occhi, sentendosi più debole di prima, con la testa che doveva aver sbattuto ripetutamente contro la testiera del letto per quanto le doleva. Non c'era tempo per riprendersi:la ronda attendeva e doveva far rapporto nell'Ufficio dei Caposcuola per palesare, prima di ogni altra cosa, il suo ritorno al Castello e alle attività. In qualche modo, la sua vita doveva continuare e c'erano parecchie cose da mettere in ordine, sia riguardo la sua carriera scolastica, sia riguardo quanto accadeva al di fuori, oscuro a chiunque.
Si alzò frettolosamente, reggendosi con la mano dominante contro il legno della struttura a baldacchino, con la consapevolezza che avrebbe dato qualsiasi cosa per non lasciare la sua Sala Comune; nel tentativo di far mente locale su cosa sarebbe potuto servirle, lasciò cadere, per l'ennesima volta, lo sguardo sul libro del quarto anno.
*Dannato. Avrei dovuto lasciarlo nell'aula.* e con uno scatto repentino lo prese con sé prima che fosse pronta per lasciare il Dormitorio.

Aveva mezz'ora di tempo prima di iniziare a pattugliare il limitare della Foresta Proibita e sedendosi presso la scrivania nell'Ufficio dei Caposcuola - fortunatamente vuoto - pensò a risolvere le poche scartoffie che le toccavano prima di passare ad una pergamena dal piccolo formato: cosa poteva scrivergli? Doveva davvero scrivere qualcosa? Poteva lasciarlo semplicemente lì e lui l'avrebbe trovato eppure... La sua voce continuava a risuonarle nella mente, distorta dalla pioggia che bramava la sua pelle nuda... Cioè voglio dire. Sta piovendo e, non hai un ombrello. Anche se oddio certo sei una Strega, c'è l'Impervius, che cosa meravigliosa la Magia eh... Emily si ritrovò a sorridere, ricordando malinconicamente divertita quelle parole e subito prendeva forma la prima riga della nota che decise di lasciargli.
*Stupido*
Ecco... Vuoi uscire con me?
Aprì il libro alla pagina marcata da una leggera striscia di stoffa e vi lasciò il foglietto di pergamena scritto di getto, leggermente sporgente in modo tale che fosse notato al primo sguardo.


Si allontanò dall'ufficio lasciando le candele accese, dirigendosi verso gli Esterni, desiderando ardentemente di portare a termine la sua perlustrazione per poi raggiungere la riva del Lago Nero, sedersi sotto al suo amato Salice e lasciarsi carezzare dalla fresca brezza serale.
*Sei proprio uno stupido, Ra*




 
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view post Posted on 11/7/2015, 19:07
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» h. 01:15 p.m.

Non lo sopportava. Non lo sopportava davvero. Horus posò di malavoglia la tracolla a terra, sbuffando sonoramente. Aveva cercato ovunque, ma il volume di Pozioni sembrava esser sparito. Quanto detestava la sua testa sbadata?
Lo avrò dimenticato in aula... Si tranquillizzò, cercando di esser ragionevole e non cedere alle paranoie. Prese quindi un po' di patate dalla grossa scodella dorata al centro del tavolo imbandito e si servì di un paio di fette di roast-beef. Prima che potesse assaggiare il tutto —era da un po' che alternava momenti di fame a momenti in cui il cibo lo nauseava—, i suoi occhi saettarono verso il tavolo Serpeverde. Non lo faceva apposta, era più un riflesso automatico e spesso e volentieri, prima che potesse notare la fulva chioma di una certa Serpina, chinava il capo, timoroso di scoprire se ci fosse stata davvero o meno. In quel momento, tuttavia, quasi non si avvide del suo solito gesto e quando si ritrovò con la forchetta a mezz'aria e un pezzo di patata arrosto cadde sul piatto, si rese conto di quanto fosse imbecille. Scosse il capo, innervosito, e si decise ad attaccare il suo pranzo, scoprendosi affamato come un leone. Forse avrebbe preso anche un paio di mele, ecco.
O forse no? Forse non aveva poi tanta fame. Magari avrebbe dovuto fiondarsi nei sotterranei per cercare il libro prima che fosse troppo tardi e qualcuno lo trovasse prima di lui scoprendo che...
... No, no, avrebbe mangiato
con calma e poi sarebbe andato nei sotterranei. Dopodiché si sarebbe dedicato ai suoi affari, al lungo tema di Astronomia che doveva quantomeno incominciare e le solite scartoffie da sistemare nell'ufficio. Già, pensò mentre assaporava la carne, lui non aveva alcuna fretta e non c'era motivo per cui dovesse girovagare per il Castello a caso, con la (piccolissima) speranza di intravedere un volto familiare che non vedeva da un po'.
*Aspetta... cosa?!*

» h. 2.30 p.m.

Niente da fare, non c'era. Horus si accasciò sul banco vuoto dell'aula di Pozioni, mentre lo sconforto permeava ogni sua cellula.
*Sei un cretino, un imbecille, un deficiente, un maledetto troll, Horus Ra Sekhmeth.* Pensò con ferocia, mentre si reggeva la testa fra le mani. Sentì lo stomaco accartocciarsi e un enorme timore lo avvolse come un manto ghiacciato.
Non era poi così grave la perdita di un libro, tra l'altro neanche troppo raro. Non era un tipo da appuntarsi cose delle lezioni sulle pagine preziose di un testo, e sarebbe bastato tranquillamente comprarlo anche via Gufo. Eppure... c'era qualcosa, fra quelle pagine, che lui davvero non avrebbe dovuto permettersi il lusso di perdere. Il pensiero che quel libro sarebbe potuto capitare fra le mani sbagliate lo faceva raggelare. Cosa avrebbero pensato? Che era un idiota senza dubbio. Poi le voci sarebbero girate,
*Quali voci?!* lei l'avrebbe saputo e... addio. Non avrebbe mai potuto guardarla in faccia.
Oddio, e se invece l'avesse trovato proprio lei?
No, no, no. Lei sembrava essere ancora assente.
Ma perché diavolo non se l'era scritto da un'altra parte?
Disperato, Horus scosse il capo e fu quasi tentato di ululare come un poveraccio. Diamine, che testa si ritrovava? Non riusciva a concentrarsi su nulla, il suo umore era altalenante e si sentiva quanto mai in ansia ogni volta che pensava di poter incontrare Emily a caso. A volte si arrabbiava con se stesso e con ostinazione si diceva di aver esagerato, quel pomeriggio nell'Ars Arcana, che aveva fatto uno sbaglio. Altre volte si diceva che era solo per suo tornaconto personale, ecco perché si era deciso. Altre ancora, invece, si ritrovava a pensarci con un sorriso, ricordando il viso di lei imbarazzato, quell'amuleto stretto fra le esili dita, e ci rimuginava su, fantasticando su come sarebbe stata la loro uscita, come si sarebbe vestita lei e come sarebbe stato, in generale, vedersi lontani dalla Scuola, dai compiti, dalle spille.
Il Tassino sbuffò ancora, poggiando di botto le mani sul banco e tirandosi su.
Basta, si rimbrottò: aveva altro da fare e al diavolo il libro e il suo contenuto.
Tanto lei sembrava essere ancora assente, altrimenti gli avrebbe scritto. Non aveva detto così?

No che non lo ha detto. ... Urgh.
Beh, sì ecco... doveva esser lei a contattarlo. Non era mica un veggente!

» h. 4.30 p.m.

E se invece lei aveva detto qualcosa che a lui era sfuggito? Forse gli aveva detto "scrivimi quando mi vedi". Ma che senso avrebbe avuto?
Horus lasciò cadere la piuma con la quale stava scrivendo e una grossa macchia d'inchiostro nero si propagò sulla pergamena, insozzando il suo tema.

*Mai una gioia.*
Prese rapido la bacchetta e, con un paio di colpi e un Tergeo, assorbì tutto il pasticcio e guardò critico il suo scritto. Era in biblioteca da quasi un paio di ore buone e ancora non era a metà. Si distraeva, rileggeva le stesse righe del libro di Scamandro più di tre volte, senza comprenderle, e la sua mappa stellare faceva pena. Era arrivato al limite o forse era solo stanco. Si passò quindi la mano sugli occhi, massaggiandoli e passando poi alle tempie, che pulsavano in modo fastidioso. Sì, aveva bisogno di una dormita altrimenti non avrebbe concluso niente, si disse, cercando di tranquillizzarsi. Quasi a conferma di quel pensiero, Horus sbadigliò e fu così deciso a mollare il compito appena iniziato, sistemare il tutto e andarsene dalla biblioteca. Mentre camminava per i corridoi, tuttavia, venne fermato da un Tassino, alto un metro e uno starnuto, palesemente al primo anno, che gli corse incontro, in lacrime.
*Dei del cielo e adesso che c'è?
A quanto raccontava il marmocchio, Pix gli aveva rubato la borsa dei libri e lui non riusciva a riprendersela e si chiedeva se il suo Caposcuola potesse aiutarlo, perché lui non sapeva proprio come fare. Il signor Sekhmeth lo avrebbe aiutato?
« Perché non chiami Gazza? » Provò a chiedergli, sperando di potersela svignare molto meschinamente.
« Ma, Gazza, Pix non se lo fila! E poi lui puzza, sbava e mi sputacchia addosso quando parla... mi fa paura... » Rispose lui, con le guance arrossate dal pianto e la chioma biondo sporco arruffata.
*Alla faccia della sincerità.* « Va bene, dai, andiamo. » Fu costretto a cedere, avviandosi verso le scale. Il Tassino, rassicurato, lo tirò per la manica, e i due sfrecciarono davanti l'Ufficio dei Caposcuola, la cui porta si era appena chiusa.

» h. 6.30 p.m.

Era fradicio. F r a d i c i o. E se esisteva un termine ancor più bagnato di fradicio, beh Horus l'avrebbe dovuto inventare. Mentre lanciava la divisa, malamente asciugata con la bacchetta, nel cesto della lavanderia che gli Elfi avrebbero preso la sera stessa, Horus sbuffò infastidito, fiondandosi nella doccia calda e trovando in essa una panacea formidabile. C'era voluto molto più del previsto per convincere Pix a mollare la borsa del Tassino. Inizialmente Horus ci aveva provato con le buone, provando a parlargli e minacciandolo di chiamare il Barone Sanguinario se non fosse stato ragionevole. Lì per lì sembrò funzionare e il dispettoso poltergeist stava quasi per consegnargli la borsa di malavoglia quando, improvvisamente, il ragazzino si era lasciato scappare un: "Era ora!".
Non l'avesse mai detto: Pix si era imbufalito e aveva cominciato a mulinare la borsa sopra la testa, lanciando i libri come fossero razzi. Horus aveva evocato un Protego, salvando lui e il Tassorosso da numerosi bernoccoli, ma ben presto fu chiaro che la situazione sarebbe degenerata. Pix, infatti, era schizzato fuori dall'aula vuota dove si era nascosto e aveva cominciato a svolazzare rapido per tutti i corridoi, mentre lui, irritato, gli lanciava fatture una dietro l'altra. In una differente situazione, probabilmente, Horus non l'avrebbe mai fatto, più per una questione di furbizia, che per bontà, ma in quel momento era così nervoso che non riusciva più a ragionare. Alla fine, dopo più di quaranta minuti di corsa e i polmoni a tracolla per le mille rampe di scale che aveva dovuto fare, Horus era riuscito a individuare Pix ficcarsi in un bagno e lì aveva lanciato la borsa. Lieto che almeno la maratona fosse terminata (con tanti ringraziamenti da parte della milza), Horus entrò senza neanche accorgersi che quello era il famigerato bagno delle femmine: ci pensò Mirtilla Malcontenta a ricordarglielo, mandando in tilt una tubatura e puntandogliela addosso, bagnandolo da capo a piedi. "VIA DI QUI, MAIALE!" aveva urlato isterica e nevrotica mentre lui imprecava sonoramente e scappava via dal bagno con la borsa sotto braccio. Il Tassino era arrivato in quel momento e tutto riconoscente per aver riavuto ciò che gli era stato sottratto gli era saltellato intorno profondendosi in ringraziamenti. Alla fine, Horus, decisamente di malumore, era riuscito a svignarsela con il pensiero di un ulteriore ritardo dei propri compiti, una dormita sfumata e un probabile raffreddore per l'indomani.


» h 9.00 p.m.

Non era tardi, di più. Si era trascinato fin nella Sala Grande, dopo la doccia, per mangiare giusto qualcosa al volo per poi fiondarsi nell'ufficio dei Caposcuola non appena finito. Ormai il libro perduto era relegato in un piccolo angolo della sua stanca mente e poteva dire di averlo quasi dimenticato. Aprì la porta dell'ufficio trovandolo vuoto, illuminato a malapena da alcune candele consumate. Si lasciò cadere sulla poltrona della sua scrivania, chiudendo gli occhi e sospirando sonoramente. Avrebbe fatto tardissimo, se lo sentiva. Se non altro, convenne, era riuscito a distogliere un po' la testa da altri pensieri. Pensieri che, quando riaprì gli occhi, gli si presentarono davanti sotto forma di libro: quello che aveva perso e che ora era poggiato proprio innanzi a sé. Lo prese fra le mani, rigirandoselo fra le dita, incredulo. E quello quando lo aveva piazzato lì? Forse qualcuno lo aveva trovato? Curioso, e con un pizzico di timore, Horus aprì il volume, ritrovando un biglietto che prese fra le mani. Quando lesse il mittente, il cuore gli schizzò in gola ed il Tassino spalancò gli occhi, rileggendo quelle poche righe una decina di volte circa.
Panico.
Posò il biglietto sulla scrivania e poi, prendendo il libro per la copertina, lo scrollò, mentre le pagine sbatacchiavano a destra e sinistra.

*Occacchiooccacchiooccacchio!*
Niente. Il suo foglio non c'era. Lanciò il libro sul tavolo, nascondendo il viso tra le mani. Di tutte le centinaia di studenti di Hogwarts, proprio Emily doveva trovarlo? Era stata assente e doveva trovarlo proprio in quel momento? Aveva riso di lui, leggendo quanto aveva scritto? Lo avrebbe preso in giro? Riprese rapido il biglietto da lei scritto e lo rilesse ancora, girandolo poi per controllare che non ci fosse scritto altro sul retro. Forse, si disse, cercando di calmarsi, lei non aveva trovato nulla, altrimenti non avrebbe perso l'occasione di farci una battuta. O magari l'aveva trovato e l'aveva trovato un idiota, accartocciandolo o buttandolo.
... O forse il biglietto era ancora lì. Gli occhi gli caddero proprio sul volume che giaceva riverso sopra una pila di scartoffie e solo in quel momento si rese conto di un angolo di pergamena che spuntava da sotto la copertina del libro. Lo sfilò e sentendosi enormemente sollevato, si accasciò sulla sedia, senza forze.
Era lì. Lei non poteva averlo letto perché ora ricordava: lo aveva ficcato rapido in quel punto proprio perché temeva gli potesse scivolare. Horus sospirò, cominciando a ridere come uno scemo, passandosi la mano fra i capelli e rileggendo quanto aveva appuntato: una serie di luoghi, molti di essi sbarrati, in cui gli sarebbe piaciuto andare con lei. Aveva appuntato le passaporte disponibili, i vari parchi, sala da tè e giardini in cui avrebbe potuto portarla e alla fine si era ritrovato a cancellarli quasi tutti, timoroso di sbagliare o che fossero inadatti. Non aveva mai avuto, del resto, un appuntamento del genere e si sentiva sotto pressione: come ci si comportava? Dove si andava?
Rigirò il foglietto e lì rilesse quello che aveva aggiunto: una lettera abbozzata che avrebbe voluto spedirle se lei non si fosse fatta viva. Aveva scritto molto e, alla fine, aveva scarabocchiato il tutto, rendendolo praticamente illeggibile fatta eccezione per qualche parola sconnessa e il termine "Rose". In fin dei conti non era assolutamente nulla di eccessivo o imbarazzante, ma la sua paranoia era talmente grande da far diventare quel misero pezzo di carta confuso, come l'onta più grande che il suo orgoglio avesse mai potuto subire. Ora che la paura era stata scacciata, Horus poté davvero assaporare cosa voleva dire il biglietto che Emily gli aveva scritto: era tornata. Avrebbe potuto semplicemente lasciargli il libro e tanti saluti, eppure, seppur in modo irriverente, gli aveva lasciato una prova tangibile del suo ritorno. Si ritrovò a sorridere mentre, per l'ennesima volta, rileggeva quel piccolo scritto. Decise che in fondo Emily quel tanto atteso primo passo l'aveva fatto ed ora toccava a lui. Così, dal cassetto della scrivania, prese dei fogli di pergamena, calamaio e piuma e cominciò a buttar giù qualcosa.
Ci vollero ben cinque fogli —accartocciati qui e là—, prima che Horus riuscisse a decidere cosa scrivere. Alla fine lo ripiegò con cura, si alzò dalla scrivania e si diresse verso quella della sua collega, dove poggiò il suo biglietto in bella vista.



Lo guardò per un istante e sentì lo sciocco e irrefrenabile desiderio di prenderlo, strapparlo e riscriverlo ancora, ma si costrinse a girar sui tacchi, afferrare libro e messaggio e filarsela in Sala Comune.
L'indomani avrebbe imprecato contro se stesso per non aver fatto ciò che doveva e aver rimandato le questioni che doveva sbrigare, ma sentiva già la mente galoppare verso altri pensieri e rinnovate paure: il dado era stato tratto e tutte le conseguenze gli sarebbero rovinate addosso, presto o tardi, così come la valanga di timori, dubbi e prospettive che già da quella sera lo avrebbero assillato, facendolo sprofondare in uno stato di ansia pre-attesa insopportabile... ma in fondo estremamente dolce.

*Stupida Claire.
 
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