Quella sera si sarebbe svolta la festa (o pigiama party, comunque la si volesse chiamare) organizzata in onore degli Ateniesi. Un modo per legare, per creare tra gli eterogenei membri una sorta di solidarietà, o magari solo per ripagarli della fatica compiuta per consegnare quattro parole, in apparenza insignificanti. Dal canto suo, Elhena dubitava assai che una missione e una festa successiva fossero sufficienti a farle superare la linea di demarcazione tra cortese conoscenza e amicizia con la maggior parte degli altri Ateniesi. Non si poteva dire che non si fosse avvicinata, almeno un pizzico, a persone di cui già si fidava, come Niahndra o Zoey o Eloise, ma nei confronti di altre, miss Rose e miss Von Eys in primis, la diffidenza era rimasta. Certo, non si immaginava affatto di invitarle a prendere un tè con i pasticcini.
Comunque, la festa era stata organizzata, si sarebbe svolta quella sera e chissà che non fosse l’occasione per muovere un passo ulteriore fuori dal guscio protettivo in cui la Tassa si sarebbe volentieri rintanata vita natural durante, se solo avesse permesso al suo Id di comandare. Non amava le feste, di qualunque genere fossero, persino al mini party organizzato da Leah qualche mese prima il disagio non l’aveva abbandonata. Alle feste si sentiva di troppo, faticava a gestire più di una persona alla volta, puntualmente si ritrovava a piluccare stuzzichini o a confondersi con la tappezzeria. Il fatto che non riuscisse mai a trovare un accompagnatore (o accompagnatrice) non faceva che peggiorare la situazione. Due fattori le impedivano di fare il primo passo, di prendere l’iniziativa e di essere lei stessa ad invitare qualcuno: la timidezza e l’educazione ricevuta.
La prima era una causa più che sufficiente. Se poi a questo si aggiungeva quanto le aveva inculcato nonna Patricia, nonostante le continue e accese proteste di Lysa, cioè che una ragazza di buona famiglia non andava in giro ad elemosinare un invito al ballo, il quadro poteva dirsi completo. Gli Attwater non erano nobili, abbastanza ricchi, collocati nell’alta borghesia magica, questo sì, ma non nobili. Tuttavia i Fitzwarren lo erano, al punto da sposarsi tra cugini per mantenere la purezza di sangue, con risultati talvolta disastrosi, e gli insegnamenti impartiti erano severi. Le donne potevano essere fiere, indipendenti, spesso più potenti dei loro fratelli o padri o cugini, ma esistevano linee da non superare. Fare il primo passo nell’invitare qualcuno, era fra queste.
Elhena, suo malgrado, aveva finito col fare sua tale convinzione. Del resto, a ben pensarci, si adattava a lei, da quando, bambina, aspettava con trepidazione che fossero gli altri a cominciare la conversazione.
Dunque, la sera ci sarebbe stata la festa e ancora non aveva deciso cosa indossare. Ottimo, scelta da ultimo minuto. Presentarsi in pigiama era fuori discussione. Probabilmente si sarebbe fatta un giretto a Diagon Alley nel pomeriggio e sarebbe passata da Vestiti e Vestiti. O, comunque fosse, qualcosa si sarebbe inventata. Ora, invece, qualcos’altro richiedeva la sua attenzione: Chris. Quel ragazzino, che tanto l’aveva incuriosita anni prima, era stato alquanto criptico nella sua missiva, ponendo l’accento su una parola “cambiamenti”.
La Tassa si strofinò gli occhi – dopo una settimana intensa, la sveglia aveva dovuto trillare per dieci minuti buoni prima che la ragazza si decidesse a scollare le palpebre e ancora il sonno si ostinava a farle la corte – andando a sistemare il cerchietto. Caso raro, i capelli cadevano liberi sulle spalle, freschi di shampoo. Nell’attesa aveva un libro aperto sulle ginocchia, quel “Apologia di un’ingiustizia” che Peverell le aveva regalato.