Here comes a thought.
Pur con le sue molto superficiali conoscenze di psicologia, tutte da terze fonti e vari sentito dire, la Tassina ricordava come tutti nel settore fossero d'accordo su un punto: trasformare il passato traumatico in parole e racconto era il primo passo verso la chiarezza e la guarigione.
Peccato che la cura rischiava di essere peggiore del male stesso.
That may alarm you
La paura del dolore blocca la voce. Meglio che i ricordi spiacevoli se ne stiano nascosti sottoterra, aggiungendo strati su strati, toppe su toppe per evitare fuoriuscite. Poco importava che il tutto rischiasse di esplodere al momento meno opportuno.
What someone said,
Raccontare fu come spurgare una ferita. Incidere un bubbone. Faceva un male cane, si imprecava contro il mondo, ma alla fine avere una ferita pulita e pronta a guarire era la ricompensa.
And how it harmed you
Elhena vide i fantasmi nel descrivere le scene, in una sequenza che non avrebbe mai potuto cambiare. Parte del problema stava in quello, nel vedere i suoi errori di bambina con gli occhi di una nuova esperienza. Avrebbe voluto avere una Giratempo per afferrare per il polso quella ragazzina, trascinarla via prima che la situazione precipitasse.
Si chiese come sarebbe evoluta la sua vita se quel giorno non fosse andata a Nocturn Alley. Forse ora non sarebbe stata un soldato di un esercito di studenti chiamati a combattere il male quando l'unica cosa a cui avrebbero dovuto pensare erano le cotte e i compiti.
Forse avrebbe potuto togliere un trauma a quelli già vissuti; ma c'era anche la possibilità che l'episodio a Nocturn Alley e quanto ne era derivato l'avesse salvata da un destino peggiore. Se ogni scelta determinava il futuro, era impossibile prevedere le conseguenze di ogni singolo cambiamento.
La ragazza poteva però concentrarsi sul presente, in un negozio che un tempo le aveva fatto tremare le ginocchia e che ora, di minuto in minuto, diventava un po' meno buio e faceva un po' meno paura. Almeno poteva tentare. Più raccontava, più le immagini sbiadivano, infine liberate dalla sua memoria. L'emozione che un tempo era stata violentemente associata ad esse trovava una nuova pace.
Seguì con lo sguardo l’ombra della se stessa tredicenne uscire dalla porta. Non era però ancora il tempo perché se ne andasse del tutto, c’erano ancora delle domande in sospeso, dei fili da ri-allacciare. Tempo e luogo non erano tuttavia ancora pronti.
Elhena era di fatto ancora lontana dall'aver accettato l'accaduto - probabilmente ci sarebbero voluti altri anni - ma quando giunse alla fine del racconto, si accorse di una cosa molto semplice, eppure di grandissima importanza. Era ancora viva. Quella bambina era ancora viva, era sopravvissuta per diventare una giovane forse con qualche ansia, ma forte di nuove esperienze. Aveva imparato molto, vissuto nuove avventure, sperimentato abbastanza da collezionare qualche cicatrice in più. Ora osava immaginare che sarebbe stata in grado di contrastare quel vecchio garzone.
Le venne quasi da sorridere nel vedere Camillo raddrizzare la postura, un piccolo gesto che poteva significare tanto.
“Grazie.” Le servirono un paio di colpi di tosse per ritrovare la voce. Parlare tanto le aveva reso la gola secca. Poi, sorrise, un sorriso un po’ triste, il genere che si riserva alle condoglianze ai funerali. Era comunque un inizio. “Non importa. Avere qualcuno a cui raccontare è già stato utile” continuò per rassicurare il ragazzo. Come si era sentita? Spaventata. Impotente. Terrorizzata. Inutile. Ogni tentativo che aveva compiuto per tirarsi fuori dai guai, ogni accenno di voler combattere, era stato prontamente distrutto sul nascere. Del resto, in retrospettiva, non aveva avuto speranze fin dall’inizio; lei, una debole studentessa del secondo anno, contro un mago che probabilmente maneggiava la magia oscura da anni. “Ora mi sento meglio. E non solo grazie a questo ciondolo.”
Per quanto il monile la stesse aiutando non poco a tenere a bada il panico, la scoperta che non ci fosse alcun “mostro nell’armadio” nascosto nel retrobottega pronto a saltarle addosso, unita alla nuova chiarezza che l’elaborazione del trauma aveva portato, stava già facendo miracoli. A voler usare un aggettivo, Elhena si sentiva svuotata, un po’ tremolante come avviene dopo un lungo pianto.
Aveva pianto tanto quel giorno. Sentì qualche nuova lacrima solleticarle le ciglia.
Per testare la sua ipotesi sul non temere più il negozio come prima, si costrinse ad allentare la presa sul gioiello, per finire col depositarlo sul bancone. Il risultato fu l’unico possibile in quel frangente: un duro scontro con la realtà. Metà del coraggio che aveva creduto di possedere si dissolse nell’istante in cui le sue dita abbandonarono la gemma. Di nuovo lo stomaco si torse d’ansia e la gola si fece un po’ più stretta.
Eppure, nessuna nausea sorse a riempirle la bocca dell’amaro gusto dell’acido, né la sua vista si appannò. Le gambe tremolavano un poco, ma era lungi dal violento sussultare che le aveva colte anni prima.
La Tassina si costrinse a respirare, dove ogni respiro le permetteva di tenere la schiena un po’ più dritta e la posa un po’ più salda.
Fatica e dolore si superavano anche senza aiutini.
Si irrigidì quando Camillo le chiese se voleva vendetta, se desiderava uccidere quell’uomo. Gli stessi ricordi fugaci di una cucina invasa dal sole di agosto e del discorso di sua madre che le avevano attraversato la mente quel pomeriggio di Febbraio da Magie Sinister, tornarono a fare capolino, quasi in uno strano gioco di scatole cinesi, un flashback contenuto in un altro flashback.
Era l’ombra di un ricordo, una frase ormai priva di immagini, mantenuta in vita più dai resoconti esterni che da una vera e intima memoria. Sette anni erodevano non poco i ricordi.
Il nucleo rimaneva pur sempre lo stesso: la promessa di non uccidere.“No” rispose, in un monosillabo malinconico. “All’epoca volevo solo andare a casa tutta intera e dopo c’è stato altro a cui pensare.” Aveva passato la notte dopo il suo arruolamento a fissare il soffitto finché il cervello non si era scollegato da solo, spingendo via i ricordi ancora così freschi da farla piangere di paura, e se non voleva pensare a quell’uomo, allora non c’era spazio nemmeno per immaginare una vendetta. A ripensarci, era assurda la velocità con cui si era re-inserita nel flusso delle cose e della vita quotidiana.
“Non lo vorrei nemmeno ora” aggiunse, tamburellando distrattamente sul bancone. “
Non sono io. Non voglio uccidere.”La voce si fece appena più veloce, l’accenno a un altro tormento, la paura di trovarsi a doversi scontrare per la vita con persone che aveva considerato amici. Guardò Camillo, ben consapevole che, per quanto la stesse aiutando, lei non poteva essere sicura di nulla.
Per quanto l’immagine di Breendbergh tra i seguaci di Voldemort fosse troppo assurda per essere pensabile.
“Non servirebbe a nulla. Non mi restituirebbe il tempo perso.”
E se si parlava di una punizione per il male fatto, allora non era compito suo eseguire la sentenza. Non ne aveva né l’esperienza, né il diritto. Era il suo personale egoismo. Le avevano tolto la neutralità, non ancora la volontà di non togliere una vita, per quanto malvagia fosse.
Esistevano i tribunali e, per quanto un po' traballante, esisteva ancora una giustizia. Anche i Mangiamorte avevano diritto a un processo.
and saddling up anyway