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Quinn_
view post Posted on 1/3/2017, 19:21




Era quasi scontato ritrovarsi lì dopo tanti anni, nello stesso luogo che tanto gli aveva dato e altrettanto gli aveva portato via. Quando aveva deciso di far ritorno nella cara e vecchia Londra, mai avrebbe pensato di ripercorrere le tappe della sua adolescenza, che ebbe inizio prima degli anni previsti.
Il passaggio per giungere a Diagon Alley attraverso il retro di quella bettola, conosciuta col nome di Paiolo Magico, era ancora lì dopo tutto il tempo trascorso; la lunga e dinoccolata via del villaggio si estendeva sotto i suoi occhi come aveva fatto per sette anni di fila, lasciando che i negozi, sproporzionati e diversi fra loro, ne segnassero il confine. Con le mani in tasca e lo sguardo assente, Blay la attraversò ricordando i suoi primi acquisti, quando era solo un ragazzino timido e indifeso che ne aveva passate a sufficienza per disincantarsi a dovere.
Era stato in quell'occasione che il giovane si era recato presso la bottega di Olivander, unico negozio in cui era entrato una sola volta ai tempi della sua istruzione. La bacchetta che aveva acquistato ben tredici anni prima aveva iniziato a dare di matto da un paio di mesi a quella parte e Blay aveva approfittato di quel viaggio della memoria per sistemare le cose. Non aveva dovuto sostituirla, fortunatamente, si era trattato solo di una misera e veloce riparazione.
Era incredibile l'affetto che nutriva nei confronti di quella stecca di legno. Come se fosse molto più importante di qualsiasi essere vivente che avesse avuto a che fare con lui.
Leviamo anche il "come se".
Ecco, per l'appunto.
Dopo Diagon Alley fu il momento di Hogsmeade, non appena il ragazzo decise di trovare un modo per giungervi che andasse oltre la possibilità di confondersi tra gli studenti in procinto di salire a bordo dell'Espresso per Hogwarts. Sarebbe stato difficile, in effetti, rendere credibile la messa in scena, vista l'altezza sproporzionata di Blay per un ragazzo di diciassette anni e l'espressione di un uomo che ne aveva viste davvero tante. Ma quest'ultima, in verità, l'aveva sempre avuta.
Avrebbe voluto fermarsi a bere un Idromele ai Tre Manici di Scopa -amava quella bevanda e amava la ricetta di Madama Rosmerta: il miglior idromele del mondo magico, il suo!-, così come avrebbe voluto soffermarsi a guardare in lontananza le punte delle torri del castello che si stagliavano sfocate contro il cielo nuvoloso.
Il clima di quelle parti gli era mancato: umido, freddo e perennemente coordinato a sciarpe, guanti e berretti. Fortuna che con la sua carnagione eccessivamente chiara non avesse mai richiesto la presenza eccessiva del sole.
Optò, dunque, per il posto in cui si era recato più di frequente quando, nei suoi anni da studente, aveva di che pensare. Si isolava, trovava la quiete, si domandava se qualcuno avrebbe mai avuto il coraggio di cercarlo in quella casa "stregata" e si metteva il cuore in pace: nessuno lo aveva mai cercato e altrettanti avrebbero iniziato a farlo dopo quella bravata.
E così fu la prima volta, la seconda e così via.
Il senso di solitudine divenne quasi confortante col passare degli anni, quasi come se confidare in quella compagnia inesistente fosse inebriante e allo stesso tempo necessario: si verificava esattamente ciò che si aspettava, senza mai rimanere deluso dalle sue previsioni.
Con movenze lente e calibrate, quasi avesse timore che persino un suo respiro accentuato potesse buttar giù l'intera struttura traballante, Blay entrò nella Stamberga e salì i gradini, uno alla volta, storcendo di tanto in tanto il naso a causa dell'odore di legno marcio e muffa che ricoprivano l'intera casa. Con una mano in tasca e l'altra che scivolava pigramente sulla balaustra del primo piano, Blay rammentò il giorno in cui, anni prima, aveva partecipato alla sua prima scazzottata, proprio in quella casa. Proprio in quella stanza.
La riconobbe all'istante e con uno slancio si affrettò a spalancare la porta che, nel muoversi dopo evidentemente tanto tempo, produsse uno stridulo e familiare rumore.
Ai tempi indossava un maglione verde smeraldo e dei jeans strappati sulle ginocchia, degli anfibi e una sciarpa nera. Aveva fatto sparire la spilla da Prefetto per non perderla, aveva seguito il ragazzo che solitamente lo prendeva a spallate nei corridoi della scuola e si erano fronteggiati in quella stanza, lontani dalle autorità scolastiche e accompagnati dai fischi e dalle urla dei compagni.
Alla fine di quello scontro, Blay tornò con il setto nasale deviato e il maglione sporco di sangue, ma per lo meno l'altro era finito K.O. Peccato che quella bravata gli costò la spilla.
Sorrise tra sé e sé nel ripensarci: il rammarico per aver deluso il Preside e gli insegnanti era stata cocente, ma la soddisfazione di aver vinto quel piccolo duello aveva avuto la meglio dopo soli pochi minuti.
Indossava i jeans anche in quell'occasione, solo che non presentavano strappi di alcun tipo. Gli anfibi erano anch'essi presenti e al posto del maglione indossava una maglia nera a maniche corte e una felpa grigia aperta sul torace. Niente sciarpe, ancora una volta niente spille e niente sangue, un piercing in più sul sopracciglio, qualche chilo di muscolatura ad abbellire la visuale e un ghigno strafottente ad illuminargli il bel volto.
A quel punto si sedette su un materasso da cui spuntavano le molle, sollevò un polverone e decise di rimanersene lì, godendo della solitudine tipica di quel posto e sperando in un'altra scazzottata o in qualcos'altro di uguale impatto.
 
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view post Posted on 2/3/2017, 19:17
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«E' una cosa sbagliata.»
Uno sguardo alle proprie spalle, poi via.
«Una cosa sbagliata, assolutamente sbagliata
Forse ripeterlo avrebbe acceso una lampadina nella mente del ragazzo, stile una di quella raffigurazioni carine e simpatiche che aveva visto da bambino nella raccolta di Beda il Bardo. Anche se in quel momento, doveva ammetterlo, più che il Genio di una storia mozzafiato, Oliver si sentiva come il Ceppo Ghignante senza fiato. Letteralmente. «Dannazione, dannazione, dannazione!» mormorò tra sé e sé, un filo di voce a confermare l'errore che stava compiendo. Era un Caposcuola. Non uno studente qualsiasi, neanche uno del primo anno, un novellino appena giunto al castello per iniziare il suo percorso scolastico nel migliore dei modi. Era un Caposcuola. Una figura importante, quasi fondamentale nella gerarchia di Hogwarts. Non che Oliver percepisse quel ruolo come una posizione di potere, figuriamoci, erano più doveri e compiti da portare a termine che altro, i vantaggi esistevano ma non erano un'esagerazione. Ma non era quello né il caso né il momento esatto per fare il punto della situazione. Il corso di Divinazione era appena concluso, Oliver aveva salutato con gentilezza la professoressa Serna e si era diretto rapidamente, forse anche troppo, verso il pianoterra dell'imponente castello nel quale da tempo dimorava. Tra le mani stringeva una Mappa dall'aria consunta, gli angoli piegati come le classiche orecchie che i suoi compagni di classe facevano ai propri libri, martoriandoli con carta e scritte di poco conto. A differenza loro, Oliver era impeccabile in qualsiasi altra cosa, incluse la calligrafia e la cura dei testi, scolastici o meno che fossero non faceva poi chissà quale differenza. Eppure, la pergamena nascosta tra le dita della mano destra non sembrava nuova di zecca, niente affatto. L'utilizzo quasi quotidiano da parte di Oliver l'aveva sgualcita abbastanza da non farla apparire, non più perlomeno, nel suo splendore d'inizio; anche il profumo di carta ed inchiostro non si sentiva più, perso anche per colpa di una macchia di caffè sulla parte più bassa del foglio, colpa di un incidente da parte di un concasato, non di certo dal Caposcuola. Aveva consultato così tante volte la Mappa del Passaggio da averne memorizzato la struttura meglio di quanto potesse credere. E a quel punto, dopo aver sperimentato alcuni percorsi segreti in prima persona, Oliver si era detto pronto per il migliore in assoluto: avrebbe raggiunto la Stamberga Strillante proprio quel giorno. «Via, Brior, via.» Non aveva mai parlato tra sé, non era di certo un sinonimo di lucidità per lui. Eppure, da quando era uscito all'esterno del castello, trotterellando velocemente verso il Platano Picchiatore come da indicazione sulla Mappa, Oliver non riusciva a smettere di darsi consigli, accuse e speranze di tornare indietro, come se parlare al suo Io più segreto potesse essere di buon auspicio o almeno potesse fargli cambiare idea. Ma la curiosità tanto innata nel suo spirito, come un degno adepto di Godric Grifondoro, era di sicuro più forte. Ed era da tempo immemore, doveva ammetterlo, che programmava quella gita fuori dall'ordinario. Aveva pensato di chiedere a Fred, suo migliore amico, di accompagnarlo e di partire insieme all'avventura, tuttavia l'altro studente adesso era Prefetto e di certo Oliver non voleva che passasse dei guai. Neanche lui lo desiderava, a conti fatti, ma era pronto a correre il rischio per sé soltanto, piuttosto che spingere qualcun altro nella tana del pericolo nonché della possibilità di essere espulso. Fu quel pensiero a farlo rabbrividire. Un'occhiata intorno e poi giunse al Platano Picchiatore. Aveva già programmato tutto: se si fosse presentato allo scoperto, l'albero magico lo avrebbe fatto volare metri e metri lontano come se niente fosse, sollevandolo al pari di un sacco di patate bello consistente. Avvolto nel Mantello della Disillusione, Oliver era dunque completamente invisibile, cosa che gli aveva assicurato un'uscita silenziosa dal castello, lontano da qualsiasi sguardo indiscreto. Pochi attimi dopo trafficava con l'ingresso segreto, sulla Mappa non era scritto. Impiegò più di dieci minuti, durante i quali si era avvicinato - tremando a dispetto del coraggio di cui si vantava - al tronco del Platano, sperando di non risvegliarlo in alcun modo. Fu quando tastò la corteccia, trovando finalmente il sistema per accedere al passaggio segreto, che il figlio della Natura si riscosse dal suo torpore e cominciò ad agitarsi come un polpo gigante e particolarmente pericoloso. Oliver ebbe appena il tempo di soffocare un grido, quando tre liane spoglie a causa dell'Inverno ancora in corso lo sferzarono con una tale violenza da mozzargli il fiato. «Te l'avevo detto!» fu l'unica frase che riuscì ad esprimere. E la cosa strana era che fosse rivolta esattamente a se stesso. Sanguinante al braccio sinistro, scorticato ad altezza spalla dopo che il Mantello gli era scivolato di lato e il maglione stracciato dal ramo ribelle, si gettò come una lepre direttamente nel buco d'ingresso del tronco. Cominciò a percorrerlo a gattoni, cozzando il capo verso l'alto più e più volte, fin quando le scale comparvero alla sua vista e i rumori del Platano divennero un sottofondo musicale lontano. Trasse un respiro di sollievo, conscio di essere messo male e di non sapere come diavolo uscire di lì. Il braccio sanguinava copiosamente, per fortuna aveva il Dittamo con sé. Eppure, anche in quello stato martoriato, Oliver sentì l'adrenalina scorrere con più forza nel suo corpo, risvegliando ogni fibra della sua persona. Gli occhi scrutarono la stanza, senza comprenderne molti dettagli a causa di polvere e teli bianchi stracciati su quella che dava l'aria di essere mobilia antica, molto antica. Fece qualche passo, trattenendo il dolore mentre stringeva i denti, senza per questo evitare di sorridere come un bambino al seguito di una marachella vera e propria. Avanzò di poco, lasciando che dalla pelle ferita cadessero delle gocce di sangue. Tra i capelli ricci e scuri del Caposcuola c'erano foglie e rametti spezzati a causa del breve scontro con il Platano Picchiatore, i vestiti erano sporchi di terra, così come parte delle gote, ma per il resto era rosso come un peperone e aveva un'espressione luminosa in volto. La curiosità era una benedizione per davvero. Camminò ancora un po', sentendo il pavimento scricchiolare. Aveva letto abbastanza sulla Stamberga Strillante da considerarla non solo una casa spettrale, quanto una fonte immensa di ispirazione per testi di canzoni, mistero ed emozione allo stato puro. Doveva sembrare strana la sua figura, a metà invisibile per il Mantello della Disillusione sulla spalla destra, quella non ferita, e a metà visibile nel corpo al lato sinistro, dove il sangue stava macchiando sempre più i vestiti e il braccio. Doveva curarsi in fretta, lo sapeva. Ma quando un rumore giunse dal piano di sopra, il cuore perse qualche battito. Era un Fantasma? Le voci erano vere, allora? Un altro passo, poi si fermò. «C'è qualcuno?» chiese, ma non fu certo di essere stato chiaro. Parve sussurrare più qualcosa di simile ad un soffio del vento, un sospiro vero e proprio mischiato a qualche sillaba. Era lui lo Spettro, forse?

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Quinn_
view post Posted on 4/3/2017, 13:08




Aveva avuto diverse occasioni per redimersi da quell'episodio che lo aveva condotto all'inevitabile perdita della spilla da Prefetto, invero uno dei suoi rimorsi più grandi, forse il peggiore. Dopo la scazzottata di quel pomeriggio, Blay Harmstrong dovette subirsi una dopo l'altra le ramanzine dei suoi insegnanti, lasciando per ultima quella del Preside. Blay, ai tempi solo un quindicenne, credeva di aver timore che l'uomo gli urlasse contro, strappandogli la spilla attentamente appuntata sul petto e insultandolo come in realtà sarebbe stato difficile fare.
Così, quando il ragazzo entrò nello studio ovale e attese ciò che temeva, si disse sorpreso nel notare un'espressione ferma e cauta, forse un tantino più tesa del solito, illuminata da uno sguardo carico di disapprovazione che non trovò sfogo in parole. L'uomo allungò la mano in direzione di Blay, il quale poggiò su di essa la spilla e lasciò lo studio senza dire una parola.
Col trascorrere degli anni, l'irlandese si era reso conto del perché quell'episodio lo avesse lasciato con tanto amaro in bocca: alle parole si può controbattere, ma il silenzio era un nemico contro cui non si aveva scampo.
Dall'accaduto molte cose cambiarono, lo stesso Blay dovette accettare la realtà dei fatti: il Preside non lo aveva certo privato del ruolo di Prefetto solo perché il ragazzo aveva preso a pugni un compagno con il solo intento di difendersi. La verità era che, da un po' di tempo, Blay aveva iniziato a isolarsi dai compagni, a chiudersi sempre più in se stesso e a palesare un atteggiamento aggressivo, a tratti addirittura violento, cosa di cui il Responsabile della Casa di Serpeverde si era reso conto, informandone il Preside.
Che Blay Harmstrong non fosse un ragazzo cattivo era un fatto risaputo da tutti, ma c'era da dire che i suoi cambiamenti d'umore mettevano a disagio chi non lo conosceva e destabilizzavano i suoi amici.

Nel ripensare a quei momenti, il ventiquattrenne non potè fare a meno di provare una certa nostalgia per quegli anni. Ricordava precisamente ciò che aveva provato nel ricevere la spilla da Prefetto, un moto di soddisfazione personale e orgoglio che nessun altro, ad eccezione del corpo insegnanti, aveva mai palesato nei suoi confronti. Non mirava a quella spilla, in realtà non aveva mai ricercato la gloria o il successo, in fondo i suoi genitori non gli avrebbero di certo fatto le congratulazioni per i traguardi ottenuti in ambito scolastico, dunque perché preoccuparsi? Eppure, essere riuscito in qualcosa solo con le sue forze ricevendo l'approvazione di qualcuno pur senza averla chiesta, fu un'esperienza memorabile, forse la migliore della sua breve vita.
Sovrappensiero afferrò un pacchetto rettangolare che emergeva dalla tasca destra dei jeans, lo aprì e ne estrasse una sigaretta con le labbra, riponendolo poi al suo posto; con la stessa mano cercò nella tasca di dietro l'accendino, costringendosi a piegare il ginocchio destro e a sollevare leggermente il bacino, in modo da arrivare a destinazione senza problemi. Si accese la sigaretta e lasciò l'accendino sul materasso, mettendosi comodo con la mano sinistra dietro la nuca a mo di appoggio, la gamba sinistra a penzoloni dal materasso e quella destra piegata per sorreggerlo.
Nonostante amasse la magia e la considerasse essenziale nella sua quotidianità, vi erano alcune cose che preferiva fare alla "vecchia maniera". Il vizio di fumare era comparso all'età di sedici anni, quando i quattro ragazzi con cui condivideva il dormitorio erano riusciti a sgraffignare da Arnold Burton un pacchetto di sigarette. Blay le conosceva, ovviamente, avendo trascorso i suoi primi undici anni di vita nel mondo dei Babbani, ma gli altri ne apparivano incuriositi oltre il livello consentito. Era stato il passatempo di una sera, ma Blay sapeva che iniziare a fumare sarebbe stata l'ennesimo fattore nella sua vita che i genitori non avrebbero approvato.
Quindi lo fece.
Tralasciò il fatto che anche suo padre fumava. I sigari, però, e di tanto in tanto la pipa, quando intendeva dedicare una serata a se stesso e al relax, leggendo il suo amato giornale e indossando ridicole pantofole rosa che gli aveva regalato la figlia per Natale.
Il signor Harmstrong amava qualsiasi cosa i suoi bambini facessero per lui, purché i gemelli aprissero e chiudessero tale categoria.
Blay fece un tiro, aspirò e dopo pochi attimi si divertì a creare piccoli cerchi di fumo sopra la sua testa, sentendosi più a casa in quella dimora diroccata che non nell'appartamento che aveva a Londra. A breve avrebbe cambiato domicilio, o per lo meno lo sperava considerando che nel giro di pochi giorni sarebbe andato a tenere un colloquio per un prestito alla Gringott. Aveva un progetto, un'aspirazione, ma l'immaginazione e la voglia di fare non erano sufficienti a sopravvivere: servivano i soldi, cosa che i suoi genitori avevano in quantità ma che non si erano mai offerti di dargli.
Non che lui glene avesse mai chiesti.
Fu un rumore al piano di sotto a fargli smettere di pensare al presente e al passato, costringendolo a sporgersi leggermente in avanti, come se ciò potesse bastare a scorgere la presenza di qualcuno al piano terra.
Non sentendo o vedendo alcunché, tornò nella posizione precedente facendo scricchiolare le assi del pavimento e rischiando di sedersi su una molla del materasso, quando una voce lo fece sobbalzare appena, portandolo a pungersi proprio contro l'estremità appuntita di quella molla.

Porca troia!
La sigaretta gli scivolò via dalle labbra, cadendo sul materasso e bruciacchiane il punto di contatto, mentre con la mano destra si massaggiava il fianco dolorante. Dopo un attimo di esitazione afferrò la sigaretta e se la riportò alle labbra, mentre, rialzandosi, cercava con lo sguardo l'intruso.
Si avviò verso la porta, con un timore che in futuro avrebbe negato di aver nutrito. Non aveva paura dei fantasmi, certo che no, ma perché rischiare di incontrarne uno? Con cautela si portò contro la balaustra del primo piano della catapecchia, sporgendosi con un senso di inquietudine che tendeva ad aumentare di secondo in secondo, fino a notare un ragazzino dai capelli scuri che appariva timoroso quanto lui.
Tirò un sospiro di sollievo abbassando le palpebre per un momento, passandosi una mano sul volto e tenendo in bilico la sigaretta tra le labbra; poi riaprì gli occhi e si rivolse al giovane.

Ehi, ragazzo, tutto bene? Non dovresti essere a scuola?
Non che gli importasse davvero di quel moccioso, ma ci teneva a farlo sloggiare il prima possibile. Poi la fronte si aggrottò, lo sguardo si fece più sottile e le dita della mano destra andarono ad agguantare in un gesto ormai consolidato la sigaretta per allontanarla dalla bocca.
E' sangue quello?
Grandioso, ci mancava solo che qualcuno gli desse la colpa di non aver soccorso un ragazzino ferito.
Maledizione.
 
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view post Posted on 18/3/2017, 18:57
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*Il Dittamo, mi serve il Dittamo*
Era un pensiero costante, fisso, che si alternava ad altre idee favorite da una fantasia piuttosto fervida, la stessa fantasia che in un momento come quello non sembrava di grande utilità. Oliver si chiese dove fosse finito. Insomma, era conscio di essere alla Stamberga Strillante, la direzione era stata seguita nel migliore dei modi (nella più lauta accezione del termine), la Mappa del Passaggio non avrebbe mentito in alcun caso, eppure. C'era un eppure. «Shh» parve sussurrare più a se stesso che a qualcuno nelle vicinanze. Chi avrebbe potuto incontrare, a conti fatti? Uno spettro, come suggerivano le dicerie riguardo quel luogo? Oppure qualcuno di più simile ai Fantasmi che conosceva di quanto avesse mai effettivamente creduto? Per un attimo, un solo attimo, al sentire lo scricchiolio apparentemente così vicino, Oliver immaginò di ritrovarsi presto faccia a faccia con una versione meno amichevole di Ser Nicholas, il famoso Spirito che albergava nella Sala Comune di sua appartenenza. Forse in nome di Godric Grifondoro avrebbe potuto vantare un aiuto o una richiesta del genere? O si era cacciato nei guai da sé, cosa molto probabile? Tentennò abbastanza da far scambiare l'urlo emesso non appena sentita un'altra voce risponderci con un respiro trattenuto in malo modo. O almeno sperava di aver dato quell'impressione; il coraggio era il suo valore preferito, la sua dote migliore, ciò per cui si sentiva orgoglioso e per cui accettava la vita che gli era stata donata, giorno dopo giorno, cercando di presentarsi come un Eroe agli occhi del suo invisibile (ma tangibile, almeno per il suo vero animo) fondatore nonché esempio unico. Non avrebbe mai pensato, ecco, di poter addirittura gridare alla presenza di qualcuno. E non perché voleva apparire come il classico studente forte e impavido come nessun altro nell'intero Mondo Magico, quanto per il banale motivo nonché esatta constatazione di non poterlo fare: i Brior non urlavano, era una sorta di eredità genetica, quasi una condizione da porre come emblema da seguire istante dopo istante. La sua famiglia, dedita al galateo da così tanto tempo e con così tanta intensità, non avrebbe permesso un'espressione del tutto fuori luogo come quella. Ma era pur vero che il pizzicore al braccio sinistro, ancora sanguinante, era più incessante di quanto creduto inizialmente. Era messo male ed era stata tutta colpa del Platano Picchiatore. Neanche la Signora Grassa avrebbe difeso un ingresso in modo così violento. Il che era tutto dire. «Chi siete?» domandò, la voce leggermente incrinata. Emozione, paura, preoccupazione? Forse un insieme, il cuore martellava a tal punto nel petto da non dare l'impressione di disdegnare alcun sentimento tra quelli citati. Tra l'altro, non capitava tutti i giorni di incontrare uno Spettro apparentemente in carne ed ossa né di accedere ad un passaggio segreto con un braccio sanguinante, un albero infernale e una Spilla da Caposcuola appuntata sul petto a descrivere esattamente uno stereotipo vivente. Ma anche in una situazione drastica come quella, il galateo tardava a morire, spingendo il ragazzo a formulare una richiesta con la forma di cortesia, che si perse però un attimo dopo. «Se non sei un Fantasma, io...» La testa girò vorticosamente, per un attimo il pavimento in legno scricchiolante divenne il tetto e quest'ultimo, come in un gioco illusorio non particolarmente divertente, assunse tutt'altra direzione nonché forma. Oliver spostò il peso dalla gamba destra alla sinistra, notando il Mantello della Disillusione che gli scivolava via dalla spalla destra, quella intatta, così da scoprirlo del tutto. Non aveva avuto modo di studiare attentamente la figura incontrata nella Casa Stregata, il solo sollevare la testa verso le scale che conducevano ai presunti piani superiori lo aveva destabilizzato a tal punto da fargli perdere l'equilibrio delle stesse gambe. Aveva perso troppo sangue per reggersi in piedi come se niente fosse e sapeva che la sua sete di curiosità rientrasse tra le cause di quella perdita di tempo importante. Cadde a terra, le ginocchia piegate in malo modo sotto di sé, le mani che premevano sul pavimento polveroso come alla ricerca di un nuovo appiglio. La spalla bruciava, la testa girava come mai prima di allora e il pensiero di dover stringere la bacchetta magica per salvarsi prima di svenire fu soltanto un ricordo irraggiungibile. Un attimo dopo, ferito profondamente, Oliver Brior perse i sensi e la testa ricadde sul fagotto formato dal Mantello lì vicino.

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view post Posted on 1/4/2017, 16:08




Non tutti gli esseri umani hanno un dono, ma alcuni sono di certo più dotati di altri, che si tratti di un'abilità, di una capacità o di una semplice predisposizione a fare qualcosa.
Ebbene, il dono di Blay Harmstrong non era l'altruismo.
E su questo nessuno avrebbe potuto mai dire diversamente.
Considerando il fatto che nella sua vita qualunque cosa avesse ottenuto era riuscito nell'intento unicamente con le proprie forze, era stato convinto -dal corso degli eventi- che "chi fa da sé fa per tre", motivo per cui un intervento esterno avrebbe potuto solo peggiorare le cose.
Tuttavia, non era uno sciocco. Un asociale, permaloso e orgoglioso ragazzo, ma non sciocco. Era inevitabile che prima o poi nella sua vita si presentassero delle circostanze in cui, nolente più che volente, si sarebbe trovato a dare una mano a qualcuno, qualcuno che non gli avrebbe giovato in alcun modo.
Non era forse questo l'altruismo? Non attendersi nulla in cambio di una buona azione?
In un'altra occasione, Blay avrebbe osservato quel ragazzo che pareva dovesse rigettare il pranzo e la cena del giorno precedente e avrebbe buttato fuori la lingua in un'espressione di puro disgusto facendo spallucce, poi si sarebbe infilato nuovamente la sigaretta in bocca, le mani in tasca e se ne sarebbe andato, ringraziando il cielo di non aver avuto figli e, soprattutto, di non avere alcuna intenzione di averne.
Neppure in un futuro meno immediato.
Ma era pur vero che, viste le condizioni in cui si trovava quel ragazzino, se l'adulto lì presente non avesse fatto qualcosa per aiutarlo, di certo sarebbe finito nei guai. E Blay non voleva rogne di nessun genere, soprattutto visto il giro di affari che portava avanti in quella zona. Un controllo dagli Auror, così come l'ispezione del locale che sarebbe seguita, erano cose di cui, al momento, l'irlandese poteva fare tranquillamente a meno. E senza complimenti.
-Tu? Tu cosa, ragazzino petulante? Cristo, che palle.
Pronunciò le ultime parole in un sospiro misto al sussurro della voce profonda, mentre spegneva la sigaretta sulla suola della scarpa e se la infilava dietro l'orecchio destro. Con incedere rapido, scense uno ad uno i gradini di quelle scale diroccate che, da tempo, si domandava come facessero a non crollare. Il suo unico intento, a quel punto, era afferrare il ragazzo dal braccio ferito -tanto per marcare ulteriormente le proprie intenzioni- e rispedirlo da dove era arrivato; le alternative erano due: l'entrata principale, da cui sarebbe stato possibile uscire stando però attenti a non farsi scoprire dai vigilanti, o dal passaggio segreto, sempre se esisteva ancora. In tal caso, tuttavia, dall'altra parte il ragazzo avrebbe avuto a che fare col Platano Picchiatore e, nel valutare la sua ferita, qualcosa avrebbe detto a Blay che quel moccioso non avrebbe avuto alcuna possibilità di farcela da solo.
Tra le due alternative era nettamente migliore la prima.

-Ora ascoltami bene: non voglio guai, quindi muovi il culo e sparisci da qui prima che...
Non fece in tempo a completare la frase che il ragazzo sembrò perdere l'equilibrio, cosa che avrebbe dovuto spingere Blay a farsi avanti per sorreggerlo. Il rosso, invece, si fermò sul posto senza la minima intenzione di aiutare il ragazzo, quasi a domandarsi cosa avrebbe dovuto fare altrimenti.
-Ehi... no, ehi, ragazzo, non osare perdere i sensi! Sul serio, ti prenderò a calci pur di tenerti sveglio!
Lo guardò crollare sulle ginocchia e, un attimo dopo, svenire.
Il respiro del ragazzo fu l'unico rumore che sembrò spezzare il silenzio anomalo della stamberga, questo perché il rumore delle rotelle che si muovevano senza sosta nel cervello di Blay era solo nella sua testa. Rimase immobile per qualche secondo, ragionando sul da farsi.
Poi imprecò.

-Merda!
Era diventato il suo intercalare preferito.

Una ventina di minuti e una serie di macchie di sangue dopo, Blay se ne stava poggiato con la schiena contro la parete, con il ginocchio destro piegato a mezz'aria e il piede poggiato su una rientranza della stessa. Con la seconda sigaretta tra le dita -l'altra l'aveva probabilmente persa durante il tentativo di trascinare il ragazzo fino al piano di sopra-, il suo sguardo ceruleo osservava il moro, alla ricerca di qualunque segnale che quello si stesse risvegliando.
Il respiro era lento e calibrato, sembrava quasi che se la godesse a riposare in pieno pomeriggio, quello stronzo. Blay digrignò i denti serrando le labbra e inspirò una manciata di fumo misto all'odore di polvere di quella catapecchia.
Aveva impiegato quasi cinque minuti a ripulire il materasso per dargli una parvenza di decenza, in modo da evitare che la sporcizia infettasse la ferita del ragazzo; poi ci aveva messo sopra quest'ultimo e si era dedicato a ripulirgli il braccio. Era un bel taglio, doveva riconoscerlo.
Aveva praticato un Epismendo per far cessare la fuoriuscita di sangue, ma non aveva nulla di meglio di una minuscola fiaschetta di brandy nella tasca della felpa per disinfettare la ferita. Dopodiché aveva provveduto a bendare il tutto tramite un Ferula e si era allontanato per evitare di uccidere il ragazzo e vanificare i propri sforzi.
Il suo pomeriggio era stato decisamente rovinato.
Nel preoccuparsi di salvare le apparenze rimettendo la fiaschetta al suo posto, Blay notò una spilla familiare brillare sul petto del moro. Familiare ma non troppo: quel moccioso era, a quanto pareva, uno dei Caposcuola di Hogwarts e questo rivelava la sua età: diciassette anni di sbagli madornali.
Blay non era molto informato circa i metodi contraccettivi del mondo magico, ma avrebbe volentieri distribuito preservativi gratis alla gente -babbani o maghi che fossero- per evitare che venissero al mondo persone tanto stupide.
Ad ogni modo, la spilla che aveva portato lui con tanto orgoglio in passato era quella da Prefetto... non era mai arrivato allo step successivo.
Fu a un cenno della testa del ragazzo che l'irlandese allungò il collo per constatare che si stesse risvegliando.

-Ehi, bella addormentata, che ne dici di rimetterti in piedi e levarti dai coglioni?
Ne aveva avuto decisamente abbastanza di fare da babysitter a un ragazzino in piena crisi adolescenziale. E per fortuna non era una ragazza.
 
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view post Posted on 1/4/2017, 16:43
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*Dove sono?*
La domanda non suonò come tale, sembrava essere più un'affermazione che un quesito. Quando gli occhi si aprirono, Oliver cercò immediatamente di mettere a fuoco la scena che gli si presentava di fronte, ma ad eccezione di un insieme di macchioline scure non fu in grado di afferrare al volo la visione d'insieme. Si chiese, per un attimo soltanto, se non fosse preda dell'ennesima sensazione di disagio e di mistero che il suo Dono evocava da un po' di mesi a quella parte, tuttavia non ne ebbe conferma e ne fu abbastanza sollevato. Aveva perso i sensi, probabilmente. Non ricordava nulla se non le forze che gli venivano meno, il sospiro quasi infastidito appena fuoriuscito dalle sue labbra e poi il Vuoto. Il buio era diventato il colore predominante di quel posto, ovunque fosse capitato, ovunque si trovasse nel presente. Gli parve di riconoscere la voce di Fred, il suo migliore amico, e con un ultimo inutile tentativo di rimettersi in piedi, provò a scorgere in ogni direzione, gli occhi verdi che saettavano da un punto all'altro, alla frenetica ricerca dell'altro studente. Se fosse stato davvero in grado di individuarlo, Fred lo avrebbe aiutato senza dubbio, e con un pizzico di buona volontà l'avrebbe condotto al castello. Di certo Oliver non avrebbe fatto tappa in Infermeria; odiava quella sala, o almeno aveva deciso di scambiare la paura con l'odio, perché era estremamente più facile da quel punto di vista. Si sarebbe rintanato in Sala Comune, lontano da occhiate e volti indiscreti, per poi far fronte alla ferita con qualche utile Incantesimo di Guarigione e il suo immancabile, fedele e perfetto... «Dittamo» concluse, ad alta voce. Non fu molto chiaro l'esatto istante in cui la Ragione scelse di ripartire con tutte le rotelle che governavano, più o meno, la mente del giovane Caposcuola. Quindici anni soltanto - era ancora in tenera età, doveva ammetterlo - e ancora si affidava al cuore per qualsiasi decisione, cosa che avrebbe facilmente spiegato la sua sete di curiosità innata e la sua stolta ricerca di condanna nel centro della Stamberga Strillante. Aveva sognato di visitare quella baracca da così tanto tempo da aver perso il conto dei giorni e delle promesse fatte a se stesso per organizzare l'avventura ribelle. Ed ora che vi era riuscito, in un certo senso con più danni di quanti fossero stati effettivamente in programma, non provava altro che dolore e una sensazione fastidiosa, come di disagio. Quando finalmente aprì gli occhi, la stanza si presentò in maniera più nitida, mentre una voce sconosciuta si rivelò del tutto diversa da quella familiare e amichevole di Fred, che aveva sognato - forse era un sogno, forse altro - poco prima. Tentò di mettersi a sedere di scatto, e lo fece così velocemente da percepire un giramento di testa violento, a tal punto da lasciarsi immediatamente ricadere all'indietro di nuovo. Ovunque, percepiva un odore stantio, come di polvere e legno, ma non era affatto un profumo gradevole. Arricciò il naso, trattenendo uno starnuto, cercando di inclinare almeno il capo per capire chi diavolo fosse nei paraggi con lui. Era uno studente? Se davvero fosse stato un alunno di Hogwarts, le cose si sarebbero complicate: non solo il Caposcuola era in difetto, ma anche qualcuno cui avrebbe dovuto fare da esempio per il suo ruolo. Agì d'istinto non appena lo sguardo si posò su un volto sconosciuto, ma che per alcuni tratti somigliava a quello di un Corvonero con il quale aveva stretto amicizia. Piegatosi leggermente avanti, i denti che si strofinavano gli uni contro gli altri per allontanare il dolore al braccio, Oliver fece scorrere le mani alla ricerca della bacchetta. La estrasse dalla tasca laterale e la puntò, in una strana posizione supina, verso l'intruso di fronte. «Chi... sei?» Si schiarì la voce, per niente preoccupato di risultare poco galante in una situazione del genere. Si puntellò sui gomiti ancor di più, la testa che girava ancora, la bacchetta rivolta verso l'altro. «Modera i toni o questo lurido posto avrà presto un altro Fantasma!» Ohoh, non scherzava. Affatto. «Come sei entrato? Chi sei? Il mantello, la borsa... dov'è la mia borsa?» Sospirò bruscamente, poi sbuffò come mai aveva fatto prima d'allora. Era sempre più nervoso e non era neanche sicuro di potersi fidare di quel perfetto sconosciuto. E poi odiava, eccome se l'odiava, chiunque parlasse in quel modo così grezzo, così poco raffinato. Non trovò nulla di ciò che aveva chiesto e ad ogni tentativo di rialzarsi dal letto improvvisato, la testa non sembrava essere dello stesso parere. «Dannazione! Accio!» Un solo movimento, un solo suono. La borsa era al piano inferiore, raggiunse al volo la stanza e cadde a qualche metro di distanza da Oliver, cozzando contro una sedia distrutta dal tempo. La seguì con lo sguardo e questa volta moderò a sua volta l'intensità della voce. «Il Dittamo, mi serve il Dittamo, non...» Osservò il braccio sinistro per la prima volta da quando si era risvegliato. Sorpreso, sollevò lo sguardo - senza rivolgere la bacchetta altrove, però - verso l'altro. «Sei stato tu? Mi hai curato tu?»

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Quinn_
view post Posted on 1/4/2017, 21:14




Nonostante fosse spesso indeciso sul da farsi, era alquanto improbabile che Blay Harmstrong si pentisse di una propria decisione. Naturalmente a tutto vi era una prima volta, e in quelle circostanze l'irlandese non poté fare a meno di domandarsi il perché di ciò che aveva fatto: perché aveva aiutato quel ragazzino a rimettersi in forma? Perché aveva atteso in quella catapecchia fino al momento del suo risveglio? Perché non lo aveva semplicemente lasciato sul pavimento polveroso, svenuto e inerme?
Tanti perché e una sola risposta: per quanto Blay fosse asociale, egocentrico e talvolta arrogante, non era cattivo. Non lo era mai stato.
Non trascorse troppo tempo prima che il ragazzino si svegliasse. La cosa più difficile -quanto meno per lui- sembrava essere quella di capire dove fosse e con chi. Lo sguardo stralunato, le labbra strette mentre i denti digrignavano per colpa di un fastidio, forse del dolore al braccio, infine la spiacevole sorpresa di ritrovarsi di fronte a un estraneo, completamente smarrito e indifeso... beh, quasi completamente.
Il ragazzino impiegò più tempo e forze del necessario per estrarre la bacchetta e, nel constatare ciò, Blay rimase perfettamente immobile al suo posto, ad eccezione fatta per la mano destra, le cui dita afferrarono la sigaretta e la allontanarono dalle labbra, dopo che il ragazzo ebbe aspirato una boccata di fumo.
Notando le condizioni del Caposcuola, Blay avrebbe dovuto preoccuparsi delle sue minacce solo nel caso in cui quello avesse deciso di schiantare la sedia che si trovava nell'angolo opposto della stanza; era convinto che la mira del giovane, quanto meno in quel momento, non fosse tra le migliori.
A seguito della minaccia di morte, le narici dell'irlandese fremettero dal divertimento, mentre le labbra si piegavano in un mezzo sorriso che lasciava intravedere parte della dentatura perfetta. Era divertente notare la sicurezza della nuova generazione.

-Stai scherzando, vero?
Disse senza preoccuparsi di dissimulare la risata tramite un colpo di tosse. I suoi occhi non consideravano neppure la bacchetta puntata su di lui, in fondo era piuttosto sicuro che il suo interlocutore non l'avrebbe usata.
-Credi che sia il tuo fattorino, per caso? Dove sono la borsa e il mantello... tu sei fuori di testa.
Il rosso scosse il capo e abbassò lo sguardo nel momento in cui lasciò cadere la sigaretta sul pavimento e la spense col tacco dello scarponcino, mentre si infilava una mano in tasca ed estraeva la bacchetta dal lato nascosto alla vista del giovane. Gli sarebbe piaciuto rimanere a giocare ancora un po' col Caposcuola ma... no, no in verità non ne aveva alcuna voglia. Così, nel momento stesso in cui il ragazzo si rese conto, senza abbassare la bacchetta, di ciò che aveva fatto Blay per lui, questo sollevò la propria e la puntò in direzione del moro, pronunciando la formula dell'incantesimo di disarmo.
-Ti ho curato io, sì. Dunque che ne dici di comportarti da persona civile e ringraziarmi, invece di fare il cretino? Dubito che tu possa rappresentare un pericolo per me in condizioni normali, figurati adesso... ma questo non significa che tollererò nuovamente una simile presa di posizione. Ci siamo capiti?
Non attese la risposta. Non lo faceva mai. Le sue domande erano generalmente tutte retoriche e, quando la risposta non coincideva con quella che si aspettava, le conseguenze potevano essere varie, per la maggior parte positive per lui e negative per qualcun altro.
-Che diavolo ci fa qui un Caposcuola di Hogwarts? Se volevi fare colpo su una ragazza ti assicuro che con quel braccio così conciato farai solo una pessima figura.
Disse quelle parole sorridendo, senza preoccuparsi ancora una volta di nascondere il divertimento. Avrebbe continuato con quell'atteggiamento nella speranza che il ragazzino si intimorisse o iniziasse a sentirsi a disagio, in modo da convincersi ad andarsene il prima possibile. Se ciò non avesse funzionato, Blay sarebbe ricorso alle vecchie e cattive maniere: lo avrebbe rispedito a scuola a suon di calci.
 
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view post Posted on 2/4/2017, 11:11
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Dov'era finita l'eleganza? Dove l'interesse per il prossimo? Dove l'educazione? Domande varie e vane frullavano nella mente già fin troppo in subbuglio del giovane Grifondoro; se solo avesse avuto un'idea meno brillante rispetto a quella di intrufolarsi in un luogo disperato e sconosciuto come quello, con ogni probabilità il presente sarebbe stato diverso. Per un attimo si chiese se non fosse stato un errore non portare con sé qualche artefatto magico di profondo valore. Mentre la borsa attirava nuovamente il suo sguardo, la bacchetta puntata verso l'intruso-forse-non-tanto-intruso, i pensieri del ragazzo vorticarono in maniera vertiginosa, macinando rapidamente gli ultimi frammenti di ricordi di poco prima. Si era accasciato al suolo del primo piano o del pianoterra, non ne era sicuro, quella per lui era la sua prima visita - e forse anche l'ultima - alla Stamberga Strillante; dai lividi che percepiva su più punti del corpo, quasi ebbe l'impressione di essere stato trascinato, e non sollevato di garbo, per giungere in quella polverosa stanza da letto. Tuto sommato, era stato aiutato, ciò significava che l'uomo di fronte - per quanto poco gentile e del tutto digiuno di protocollo o anche solo di una minima parte di norme comportamentali, come nel suo stesso caso - non fosse poi chissà quale nemico fuori dall'ordinario. Oliver tentò di mettersi in piedi, eppure non vi riuscì per l'ennesima volta. Stava per rispondere a tono al tizio dall'identità sconosciuta, quando l'istinto reagì prima di qualsiasi altra cosa. L'Incantesimo Protettivo si erse in tutto il suo fascio di luce alla formula appena sussurrata - ma con decisione - dell'adepto di Godric, al seguito chiaramente di perfetta realizzazione nei movimenti e nell'intento; quella elettrica luminosità azzurrina si plasmò in uno scudo che sferzò l'aria di fronte a sé, leggermente, bloccando qualsiasi offensiva gli fosse stata ritorta contro. Per un attimo, la bacchetta in legno d'Abete parve sfilare di un centimetro dalle dita della mano destra di Oliver, ma fu abbastanza veloce da stringerla a sé con più forza. Gli era bastato osservare l'altro Mago minacciarlo, a sua volta, con la bacchetta puntata contro la sua figura per reagire nell'immediato; ed era sicuro, ma preferì tenere per sé quella considerazione onde evitare di risultare ancor più pazzo del solito, di aver appena sperimentato un'affinità particolarmente intensa nei riguardi della sua stessa bacchetta: il legno d'Abete era tra i migliori, soltanto un'anima temeraria avrebbe potuto gestirla nel migliore dei modi. Finalmente, prima un passo e poi un altro, Oliver fu in grado di sollevarsi dal letto per sedersi sulla sua punta più estrema, le gambe penzoloni e la schiena in parte ricurva. «Prova a Disarmarmi di nuovo e vedremo chi dei due sia il vero pericolo per l'altro.» C'era rabbia nella sua voce, non tanto per la serie di epiteti e di parole poco garbate che l'altro continuava a pronunciare nei suoi riguardi, quanto per il suo giudizio affrettato verso lo studente. Era un Caposcuola, non era di certo un novellino qualsiasi! E, ancor più, era un adepto di Godric nonché dell'Esercito di Studenti, nel suo arsenale c'erano più Incantesimi Offensivi di quanti il Mago straniero potesse immaginare. Un solo movimento - a prescindere dal braccio sinistro malmesso - e quel tipetto sfortunato si sarebbe ritrovato appeso alla parete di quella dimora così poco familiare. «Non sottovalutarmi. Ho affrontato un Kappa senza reggermi in piedi ed ero al mio primo anno scolastico. E per favore, evita di parlare come un cafone di prim'ordine!» Stava esagerando? Forse sì, ma stranamente non aveva paura; se anche fossero giunti ad un duello, Oliver avrebbe saputo giocare le sue carte. Certo, era in netta difficoltà per la ferita profonda al braccio, però non si sarebbe lasciato sconfiggere così facilmente. Storse il naso per l'ennesima volta, convinto di non aver trovato affatto il Paradiso che attendeva nella Stamberga Strillante. Non c'era mistero, non più ormai, soltanto polvere su polvere e un alone di antichità senza eguali. Non si chiese come facesse l'altro a sapere del suo ruolo da Caposcuola, la spilla parlava da sé. Si domandò, tuttavia, perché diavolo ci fosse già qualcuno in quella casa stregata. «Bene, facciamo così. Io la smetto di accusarti, tu la smetti di istigarmi.» Con un cenno del capo, come ad assicurare le sue stesse intenzioni, Oliver abbassò leggermente la bacchetta magica, poggiandola sulla gamba destra; non avrebbe impiegato troppo a difendersi, se fosse stato necessario di lì a breve. Sospirò, senza riuscire a nascondere una smorfia per il dolore. Aveva perso troppo sangue e la ferita doveva essere curata meglio.
«Ho già una ragazza, grazie, non devo fare conquiste. C'è la tua anima gemella da queste parti, invece? Magari una Dama Spettrale stile fumatrice incallita?» chiese, ma fu più una richiesta retorica che altro. Voleva la sua borsa, voleva il suo Mantello della Disillusione, voleva andarsene. Oppure no? La curiosità temprò il pulsare del braccio sinistro, zampillando fin nel cuore del Mago. «Il mio nome è Oliver Brior, Caposcuola Grifondoro, e sono qui per... affaracci miei.» Sollevò la mano sinistra come a scacciare un insetto molesto; era un segno di scusa, come a voler cancellare le ultime parole dette. «Pardon, non era mia intenzione essere così maleducato, ma sai, non mi sembra di aver avuto grande accoglienza. Comunque... sì, grazie per questo» aggiunse in fretta, un tantino imbarazzato, indicando il braccio fasciato. Era una strana situazione, di sicuro un incontro fuori dall'ordinario: un ragazzino seduto sul bordo di un letto fatiscente, un Mago con una sigaretta come migliore amica all'apparenza. «Con chi ho il piacere di parlare?» E finalmente abbozzò un sorriso; tutto sommato era un momento unico nel suo genere, nel suo stravagante genere.

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