cielo, là fuori, era scuro e cupo e sembrava prepararsi ad una tempesta. Le nuvole trattenevano le ultime luci del tramonto e non c'era alcuna traccia della Luna. Il via vai cittadino non era calato ma solo mutato: quello frenetico delle ore diurne era stato sostituito da uno più lento e quasi
romantico, perché l'abbigliamento e i sorrisi denotavano impegni molto più lieti. Personalmente, non ero solita uscire e far tardi dopo il lavoro. Mi era talvolta capitato con Kappa e Didi ma, da quando Dorian era stabilmente ad Hogwarts, le nostre uscite si erano drasticamente ridotte - per non dire azzerate.
Poggiai entrambi i palmi sul davanzale e poi la fronte sul vetro, cercando di trovare un po' di sollievo dal caldo asfissiante che aveva fagocitato il mio ufficio. L'idea di dover restare ben oltre l'orario di lavoro, in sé, non mi turbava affatto. D'altronde, l'alternativa era un modesto appartamento vuoto e silenzioso - una condizione tendenzialmente nelle mie corde se non fosse una costante da ormai troppo tempo. Ecco, forse quello che spingeva la mia mente a impantanarsi in pensieri agrodolci era solo un po' di sana nostalgia. Nostalgia di Hogwarts, quando, benché appartenessimo a Case diverse, eravamo sempre insieme e tutto sembrava più facile.
Mi allontanai dalla finestra scrollando appena il capo. Quei pensieri erano anche figli dell'ultimo estenuante incarico per cui mi aspettava un rapporto ancora più estenuante. E la sola idea di doverlo ripercorrere e riportare su pergamena mi pareva davvero insormontabile. Ecco perché avevo rimandato. Ma si sa, gli impegni crescono e si moltiplicano quando fingi di dimenticarti di loro.
Mi voltai verso la scrivania e mi lasciai cadere sulla sedia, accavallando le gambe in alto con i talloni poggiati sull'angolo del tavolo; presi delle cartelle fra le mani e mi mordicchiai, assorta, il labbro inferiore. Notai - con rammarico - di avere anche altri due piccoli rapporti arretrati e altrettante scartoffie di poco conto da sistemare che, però, avevano creato un bel mucchietto compatto di carta. Di certo, non capitava spesso di starsene con le mani in mano in quegli Uffici.
Mi portai i capelli dietro le orecchie ma non recuperai una ciocca solitaria che scivolò davanti alla mia visuale, restando a penzolare qualche istante prima di fermarsi. Morsi più forte il labbro e mi decisi a continuare.
Mezz'ora dopo.
Sollevai la testa dal primo - e più importante - rapporto concluso con uno sbadiglio. Rimisi a posto la piuma e mi stropicciai gli occhi, sbadigliando ancora. Tesi le braccia al soffitto e distesi i muscoli, ruotando appena il collo. Guardando le mie dita sospese a mezz'aria le sorpresi macchiate d'inchiostro così mi pulii con un fazzoletto che trovai nel cassetto e, quando sbadigliai per l'ennesima volta, mi convinsi che era ora di correre ai ripari. Mi alzai, lasciai il mio ufficio e mi diressi verso la spazio comune del pianerottolo per preparare un caffè. Non avrei potuto continuare a lavorare senza berne un po'.
Udii alcune voci provenire dal fondo del corridoio, in direzione dei bagni, ma non ci badai; qualche ora prima avevo visto altri Auror restare, come me, per qualche straordinario. Anche la porta dell'ufficio di Kappa lasciava intravedere uno spiraglio di luce, perciò preparai un secondo caffè - sempre lungo, come lo prendevamo entrambi, ma il suo lo lasciai amaro. Bicchieri di carta alla mano, mi diressi verso la sua porta e bussai appena con la punta degli anfibi, abbassando poi la maniglia con il gomito destro.
Kappa era alla scrivania, chino sulle carte, in una posizione di disperata concentrazione non molto dissimile da quella che avevo da poco abbandonato.
« Pausa? » esordii sorridendogli, mi richiusi con un colpo d'anca la porta alle spalle e mi avvicinai alla sua scrivania.