Legacy, Concorso di Scrittura: La Grande Guerra

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view post Posted on 20/5/2017, 14:20
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Da
quanto ero distesa lì? E dov'era, poi, che ero? Ero ancora?
Sbattei le palpebre ma non vidi nulla. Solo nero. Una fitta lancinante si fece spazio tra i nervi della mia nuca così contrassi la fronte. Deglutii. Sbattei ancora la palpebre e sollevai appena il capo; un velo opaco tratteneva delle figure nere e indistinte che si muovevano caotiche - ma non c'era alcun suono. Sembrava di guardare uno spettacolo di ombre cinesi. Sentii di nuovo le dita così mi artigliai al suolo, umido e polveroso. Feci pressione per continuare a salire col busto, sbattendo freneticamente le palpebre come se potessi cancellare quello stordimento più rapidamente. Un fischio mi trafisse le orecchie e strinsi i denti, aspettando che lasciasse il posto ai suoni di ciò che avevo intorno. Quando questi tornarono, tornò una certa consapevolezza.
Rivissi la scena di qualche istante prima. Un uomo con una maschera sporca di sangue e abiti neri mi aveva schiantato con una potenza tale da farmi volare all'indietro di una decina di metri. Un suono sordo aveva decretato la mia sconfitta. Dov'era la bacchetta? Mossi troppo rapidamente il capo a destra e a sinistra ed ebbi un giramento; poi la vidi, qualche metro da me, conficcata sotto un cadavere che mi fissava. Occhi di giada sbarrati. Perché quell'uomo non aveva ucciso anche me? Mi spostai carponi verso l'unico oggetto da cui non potevo assolutamente separarmi, non in quel momento; tutto il resto, forse, l'avevo già perso.
Quando al Quartier Generale era arrivata la notizia di ciò che stava succedendo al Castello, non c'era stato molto tempo per pensare. Non c'erano state scuse o attenuanti di sorta; non importava se avevi dormito solo un'ora la notte precedente, se eri debilitato dall'ultimo incarico o se avevi promesso ai tuoi affetti che avresti cercato di non rischiare, ancora una volta. Niente aveva più senso, niente valeva più di un giuramento e di una responsabilità che, adesso, richiamava a compiere il sacrificio più grande.
Quanti sarebbero morti quella notte?
Quanti erano già morti mentre io mi rialzavo dalla polvere e afferravo la mia bacchetta?
Quanti bambini?
Come quello lì, in piedi, paralizzato dalla paura, le nocche sporche di sangue che stringevano furiose un lembo del maglione ormai logoro. Le lacrime, sul suo viso, s'erano seccate e fuse con la terra scura dei giardini dietro le serre di Erbologia.
Mi alzai di scatto, ignorando il dolore, tenendo gli occhi fissi su quel simbolo di purezza infranto. Corsi da lui e quando i suoi occhi castani incontrarono i miei ebbi perfino la forza di sorridere.
« Dammi la mano » e mi uscii una voce roca, graffiata, così sorrisi ancora perché volevo che quel bambino potesse pensare che poteva andare meglio di così. Che sarebbe necessariamente andata meglio di così. O forse, era il mio egoismo a cercare di trovare, ancora una volta, un motivo per non lasciarmi andare.
« Il sangue » mormorò lui, toccandosi il naso. « Ti esce sangue. »
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Mi toccai dove lui s'indicava e mi ritrovai i polpastrelli anneriti screziati di rosso vivo; mi tamponai con il braccio, impregnando la stoffa della camicia.
« Sono sciocchezze » sorrisi ancora. « Forza! » esclamai con più vigore e lo presi per il polso, trascinandolo con me.
Lo guardavo, piccolo e spaventato alle mie spalle, poi guardavo attorno a me, rapida, cercando di passare nei posti più sicuri. Sentii d'un tratto le sue dita cercare le mie e gliele strinsi con urgenza, pur senza vederlo, mentre cercavo di pensare solamente a trovare un posto sicuro dove lasciarlo.
Vidi un gruppo di studenti di Case diverse spostarsi verso il fondo del Castello insieme al professore di Incantesimi, così accelerai per raggiungerli. A pochi passi da loro, un ragazzino si voltò e ci vide, ma i suoi occhi si concentrarono fin da subito sulla figura minuta che spuntava per metà da dietro il mio corpo.
« Matt! » urlò e si staccò dal gruppo, venendomi incontro. Matt lasciò la mia mano e corse verso l'amico, abbracciandolo. Si strinsero con disperazione.
« Tornate dagli altri, restate uniti, restate al sicuro » gli dissi raggiungendoli e Matt mi guardò di nuovo, annuendo.
« Sei un Auror, giusto? »
« Sì. »
« Stai attenta anche tu! »
Sorrisi debolmente. « Ma certo, io sto sempre attenta » e lo dissi quasi a me stessa perché i bambini andarono subito via e io restai lì a fissare le loro schiene e a ripensare a tante, troppe cose. Ma non c'era tempo per pensare ancora.
Mi mossi rapida in direzione della Sala Grande. Scansai diversi incantesimi e attaccai a mia volta. Le scene che vidi fecero vacillare il mio senso di giustizia e pensai lucidamente di usare a mia volta le Maledizioni Senza Perdono. Tutti quei fasci di luce verde scagliati contro corpi giovani e inesperti, folgorati nell'attimo della loro spensieratezza, impressi per sempre dietro le mie iridi. O i vampiri, fuori controllo, che divoravano i colli lattei di giovani studentesse. Non avevo mai visto tanto orrore. Come restare lucidi? Come restare giusti?
Intercettai l'ennesimo gruppo di studenti terrorizzati, tenuti in ostaggio dagli incantesimi di un Mangiamorte. Corsi. Puntai la bacchetta ancor prima di arrivare e lanciai un Confringo alle sue gambe; l'esplosione gli fece perdere l'equilibrio e un crack sonoro mi annunciò anche la rottura di una delle sue ginocchia. Cadde all'indietro e mi urlò contro, spostando la bacchetta su di me.
« Perstringo! » pronunciai, contraendo i muscoli fino allo spasmo e ruotando di scatto polso e avambraccio. Il Mangiamorte si accartocciò su se stesso ed emise un ringhio soffocato. Lo disarmai e dissi ai ragazzi di andare in un posto più sicuro.
Mi voltai a sinistra, intercettando con la coda dell'occhio un braccio teso verso di me. Evitai quella dannata luce verde per un soffio. Fissai il mio nemico, ancora una volta mascherato e incappucciato, lanciare una seconda volta l'Anatema che Uccide. Lo evitai ancora e lanciai uno Schiantesimo quasi gridando, con tutta l'energia che mi restava, sbalzandolo contro il bordo di un tavolo. Lo osservai per qualche secondo ma non si rialzò.
« Rue! »
Mi girai di scatto quando sentii la voce di Charlie. Due anni più grande di me, da quando ero al Quartier Generale avevamo sempre fatto coppia negli incarichi più o meno importanti ma, proprio quando mi era arrivata la comunicazione di correre ad Hogwarts, lui non era con me. Mi ero chiesta dove fosse e come stesse. Sapevo che era lì a combattere anche lui e il pensiero che fosse morto mi aveva tormentato fino a quel momento, come un tarlo costante che, ad un certo punto, quasi non senti più.
« Stai bene » più che una domanda la mia era una dolce costatazione. Lo fissai rapidamente e poi spostai l'attenzione alle sue spalle come, ero sicura, lui aveva appena fatto con me. Come faceva sempre.
« Marc è caduto, anche Anthony. Vanessa è ferita gravemente » disse rapido e per un attimo mi concessi di spostare gli occhi nei suoi. Spalancati, freddi, privi di sentimento alcuno. « Tu hai visto qualcuno? »
« No » sussurrai, distogliendo nuovamente lo sguardo. Alle spalle di Charlie un Mangiamorte era appena caduto e c'era un attimo sospeso di calma irreale. Sembrava perfino che i rumori assordanti delle grida di dolore e piacere con cui si moriva e si colpiva fossero cessate di botto. « Sei il primo che incontro dei nostri. »
Pensai ad Anthony, a quando beveva il cappuccino e i suoi baffi ne trattenevano la schiuma; continuava a parlare serio e composto ogni volta, noncurante, ed io ne ridevo sempre. Marc e le sue ammiratici, perché tutte le donne in pericolo che aiutava poi s'innamoravano di lui; il suo ufficio era sempre un via vai di gufi. Vanessa, la più piccola, ancora recluta, che mi chiedeva costanti consigli e non sapeva nemmeno redigere un rapporto.
Mi sporsi, d'istinto, verso Charlie e lo baciai sulla guancia ad appena un centimetro dalle labbra. Quando mi allontanai, lui mi fissava con una disperazione troppo intensa da riuscire a farsene carico. Dovevo andare, non potevamo combattere insieme. Non quella volta.
« Ci vediamo dopo. »
Mi voltai senza esitare e attraversai la navata della Sala Grande, proteggendomi da alcuni attacchi, lanciandone altri. Uscii, mi diressi verso le urla che provenivano dalla mia destra. Difesi l'ennesimo ragazzino - incapace perfino di disarmare un suo compagno nei duelli scolastici. E poi ancora, un gruppo di tre ragazze. Mi affiancai quindi ad un professore e vincemmo su due Mangiamorte a cui poi spezzammo la bacchetta. E ancora, ancora, ancora. Quando sarebbe finita? E perché, io, non morivo? Ero più brava? Più fortunata? Più forte? Cos'avevo più di Marc, Anthony o Vanessa? La mia vita contava di più di quel bambino morto di cui stavo scavalcando il corpo?
Quale sarebbe stata l'eredità di quei gesti, di quelle scelte, di quelle morti? Chi sarebbe venuto dopo a raccogliere i pezzi e a rimettere in piedi qualcosa di così irrimediabilmente infranto? Com'eravamo arrivati a quello? Come lo avevamo permesso?
Ma, come avevo ormai capito, non c'era tempo per pensare.
Strinsi di più la bacchetta tra le mani e lanciai un altro incantesimo.



 
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