Odi et Amo, Concorso a Tema: Maggio 2017

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view post Posted on 31/5/2017, 21:34
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Molti luoghi ha la tua anima, ivi alberga natura magnanima. Di coraggio e lealtà fanne bandiera, di Grifondoro potrai essere fiera!

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Juliet Little stava passando per i corridoi della sua scuola. La Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Quella che oramai considerava come la sua seconda casa. Quella in cui poteva farsi valere, dimostrando le sue capacità. Ci stava lì da ben quattro anni, da quel lontano giorno in cui il Cappello Parlante l'aveva smistata a Grifondoro. La casa dei coraggiosi di cuore, la casa in cui era stata accolta benevolmente. La casa in cui il rosso la faceva da padrone. Camminava con i libri in mano con quei pensieri in testa. Si accorse di tutta la gente che la guardava. Non si turbò di avere tutti gli sguardi addosso, anzi la facevano sentire contenta, felice dei suoi traguardi che stava piano piano raggiungendo. Se fosse rimasta la ragazzina di prima, la Juliet che si imbarazza per un nonnulla, se la sarebbe data a gambe levate, letteralmente. Sì, la piccola Juliet si era fissata in testa di studiare e studiare per diventare una studentessa modello. Era molto popolare, per via dei suoi voti a scuola. Tutti i professori la elogiavano e ogni loro discorso era: "Impara da Juliet!" "Juliet di qui, Juliet di là" e via dicendo. Ma questa popolarità non le giovava. Anche se era contenta dei risultati che otteneva, soprattutto per la felicità dei suoi, non lo era per se stessa invece. Lei stava trascurando qualcosa a cui gli altri avevano l'accesso libero. Juliet stava trascurando quello che riguardava la sfera sociale, la vita sociale da adolescente. Anche se era popolare lei non aveva amici intimi con cui poter condividere le gioie e le paure che potevano affliggerla, e le prime cotte adolescenziali, e i pigiama party. Voleva vivere la vita come tutti gli altri. Lei gli invidiava da questo punto di vista. Potevano essere liberi. Lei invece non lo era. Non aveva il coraggio di ribellarsi ai suoi, perché se lo avesse fatto, si sarebbe sentita tremendamente in colpa e lei non voleva deludere nessuno, nevvero? Delle volte sentiva la necessità di mandare tutto a puttane all'aria per poter solo sentire l'ebbrezza di essere viva e capace ancora di sognare come faceva una volta. Ma tutto questo non lo poteva fare. Tutto sembrava remare contro di lei. Se lo avesse fatto avrebbe visto negli occhi dei suoi la delusione. E lei non voleva. Si guardò alla finestra che dava sul cortile interno del castello e quello che vedeva non le piaceva. Aveva una faccia contenta ma gli occhi erano tristi, specchi di un animo tormentato da mille dilemmi. Il viso, il sorriso stampato erano solo una facciata. Lei doveva seguire un percorso già tracciato. Doveva seguire i suoi genitori. Doveva, se non voleva restare mediocre, come lo era stata prima, fare tutto quello che le dicevano. Ecco, lei era così popolare per i voti, ma di amici veri, intimi non ne aveva. Anzi ce n'era sempre qualcuno che la prendeva in giro chiamandola "Racchia". Lei era sola con i suoi beneamati libri. Secondo i suoi genitori lei doveva eccellere in tutto facendo molti sacrifici, come l'amore e l'amicizia. L'amore. Quale sublime parola. Stava percorrendo i corridoi del castello quando i suoi pensieri cupi vennero interrotti da una voce: "Ecco la saccente-so-tutto-io. Ehi brutta cozza mezzosangue dove credi di andare?" il suo intercedere fu bloccato da un ragazzo un po' più alto di lei. Alzò gli occhi e in quel momento divenne rossa d'imbarazzo. Il ragazzo che le piaceva, da ben tre anni, se ne stava lì fermò a tenerla imprigionata tra il muro, dietro di lei e il suo petto, davanti a lei. Ma lei non doveva innamorarsi di questo ragazzo. Isaac Un purosangue che trattava gli altri come spazzatura, soprattutto la sottoscritta. Un ragazzo Serpeverde sempre con la sua combriccola di amici, se così si potevano definire, che causavano non pochi problemi a quelli diversi da loro. Perché si era innamorata di lui? Forse per via del suo fascino bello e dannato? Forse...Lei si era innamorata di lui perché credeva al colpo di fulmine. La prima volta che l'aveva visto era andata in iperventilazione solo guardandolo negli occhi magnetici. Quelli occhi che in quel momento esprimevano solo rabbia. Rabbia per qualcosa che lei stava facendo. "Come osi camminare dove sto io, brutta racchia?" le disse con la voce imperiosa e le buttò all'aria tutto. I suoi beneamati libri erano lì per terra. Non fece nulla, annichilita dalla sorpresa. Venne riscossa quando venne buttata a terra anche lei, dove erano i suoi libri e la sua tracolla. Ma non era stato lui a buttarla, ma una delle ragazze più belle della scuola: "Racchietta, ci si rivede. Continui a fare gli occhi dolci ai professori per avere bei voti, eh?" il suo viso, contornato di lacrime di dolore, fu alzato e si trovò faccia a faccia con Morgana. Il ghigno la diceva tutta sulla fine che poteva fare. "Bene bene, diverrai il mio oggetto e mi darai i tuoi compiti. Ah ecco, Trasfigurazione. Originale la tua risposta alla domanda numero uno. Che ne dite ragazzi della mia idea? La utilizziamo?" il suo piano era quello di sfruttare la ragazza rosso-oro, cercando di piegarla, come aveva fatto con altre. "No. Sarò io il suo padrone" disse Isaac, il ragazzo che le faceva battere il cuore, nonostante tutto. "Giocherò io con questa gattina" <i>Che la tortura abbia inizio. Juliet durò un mese a quelle condizioni, subendo tutte le angherie dal gruppo, mai poi un giorno cambiò tutto. Forse Godric aveva visto la sua adepta in quello stato e aveva avuto compassione o forse lei, una vera Grifondoro, aveva aperto gli occhi. Il giorno per la ribellione fu deciso. Si alzò da suo giaciglio e sistemandosi prese i vari compiti che doveva consegnare ai suoi aguzzini. Juliet diede loro ciò che volevano e un sorriso di scherno, sotto i baffi, spuntò, senza essere visto, sulle belle labbra rosate della ragazzina. Non sapevano cosa gli aspettava. Durante la lezione vennero consegnati i compiti e corretti a voce alta dal professore. Un silenzio tombale nacque quando cominciò a leggere il compito di Alexander. Una storia d'amore fatta di passione pura: "Troll!" <i>nessun commento da parte del malcapitato, neanche dai suoi amici, vittime dello stesso crudele destino. Sentiva i loro occhi sulla sua nuca, ma non se ne curò. Non doveva cedere. Odiava a tutti loro, dal primo all'ultimo. La sua vendetta si era compiuta. Poteva dirsi felice e appagata. Stava camminando con cuore più leggero, quando venne afferrata da due braccia e venne sospinta in un'aula abbandonata al terzo piano. Aveva paura ora, paura di ciò che le poteva accadere. E vide l'odio specchiarsi negli occhi del suo "padrone". Vi era l'odio, ma anche tristezza e qualcosa che assomigliava all'ammirazione. "Ti ho sempre odiata Little. Ho cercato in tutti i modi di piegarti alla mia volontà, ma non ci sono riuscito. Ti ho odiato perché sei perfetta. Ti ho odiato perché dovevo farlo. Ti ho odiato perché sei una saccente-so-tutto-io. Ti ho odiato perché sei una mezzosangue. Ti ho odiato perché non sei purosangue. Ti ho ammirato perché ne hai avuto di fegato oggi. Sapevi le conseguenze delle tue azioni e te ne se infischiata di ciò, facendo quello che ci hai fatto" mentre riversava quelle parole si avvicinava alla ragazza, che si era schiacciata contro il muro e si trovò con lui che quasi la pressava, facendole provare un dolore a lei sconosciuto, un dolore piacevole. Il suo cuore pompava alla grande battendo furiosamente nel petto. "Ti odio perché ti amo. Ti amo perché ti odio, e questo è..." il ragazzo non finì la frase poiché si trovò le dolci labbra di lei sulle sue. "E questo è l'amore, sciocco. Ti odio e ti amo perché sei sempre stato con me, anche nel male, soprattutto nel male. Ma non è forse vero che l'amore prende radici dall'odio?" e lui le sorrise apertamente concorde con ciò che ha detto. Juliet chiuse gli occhi e si avvicinò al ragazzo e bam, bam, un rumore diverso le colpì le orecchie. Forse il cuore ha avuto conferma di tutto ciò e stava per esplodere.<i> "Juliet...Juliet" <i>un dolore, lancinante la colpì e si chiese se sul cuore potesse nascere un bernoccolo, perché sembrava un dolore da bernoccolo quello. "Non le ripeto più. Signorina Little si svegli!" *Svegliarmi? Ma se sono sveglia e sto per baciare il bel ragazzo di cui sono innamorata* Aprì gli occhi e quello che vide fu il professore di Difesa Contro le Arti Oscure, Dorian, colpirla sulla testa con un libro "Ah ben tornata nel mondo dei vivi signorina Little. È da un'ora che cerchiamo di svegliarla. Bene, la lezione è finita andate in pace" Juliet si alzò e cercò di svignarsela, quando la voce del professore la fermò lì: "Non così in fretta signorina Little. Si sieda". La ragazza, mettendo una faccia da cane bastonato, la migliore che poteva in fare, si sedette al suo tavolo e si preparò ad ascoltare il verdetto di Dorian. Si vide il suddetto avvicinarsi e diventò rossa, per la vergogna e per l'imbarazzo "Quindi, secondo lei l'amore e l'odio sono la facce della stessa medaglia?" Vi era un po' di curiosità in quegli occhi magnetici e Juliet, volendo fare un'uscita di stile, disse soltanto: "Mi creda professore, la speranza è l'ultima a morire" e con quelle parole, accompagnate da un'occhiolino all'insegnante, si alzò dal suo posto e si diresse verso l'uscita. Un'uscita di scena vittoriosa. "Punizione con me signorina Little e venti punti in meno a Grifondoro per la sua sfacciataggine" *Mannaggia alla miserccia* pensò Juliet gaurdando il bel professore...
 
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