Nyctophilia, Privata

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view post Posted on 8/6/2017, 10:15
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Nyctophilia
Neve.
Se avesse dovuto paragonare la Notte a qualcosa, l’avrebbe paragonata alla neve. Un velo scuro, impalpabile, che lentamente si riversa nelle strade, ricopre le città, le montagne, gli angoli più sperduti e dimenticati del mondo. Addormenta i rumori. Rende più lievi le preoccupazioni, più profondi i respiri.
Si, la Notte le era sempre piaciuta. Ogni percezione era amplificata, durante la notte, sembrava di essere più vicini al cuore del mondo. Era come se si appoggiasse l’orecchio al ventre della Terra e si riuscisse ad avvertirne chiaramente il respiro. Lento, profondo. E sopra di Essa, una mano invisibile schiudeva il cielo, svelando alla vista i più lontani ed intimi misteri dell’Universo.
La Notte, per lei, era diversa dall’Oscurità. L’Oscurità la poteva paragonare a quel fumo sottile e grigio, che la mattina si appiccica alla neve appena caduta, rendendola stanca, vuota, insignificante. Quel fumo denso e invisibile che si avvinghia, languido, intorno ai fantasmi della gente. Un grido silenzioso e disperato, e graffi, nell’aria e sulla carne. L’Oscurità. Quella che non risiede in un oggetto o in luogo, ma prende dimora negli antri dimenticati e nei fondali melmosi che si trovano dentro l’essere di ciascuno. Una mano fatta di ombra che si aggrappa ad ogni brandello di anima e la trascina verso il basso. Affogandola.
Eppure, talvolta, nella Notte capita che i colori si confondano, i confini si spostino e l’Oscurità sia scambiata per una vecchia amica. Realtà e sogno si mescolano insieme, in un folle vortice in cui distinguere cosa sia una e cosa sia l’altro risulta quasi impossibile.
Ma anche la Notte ha i suoi Custodi. E quella notte, come tutte le notti, i Vigilanti avrebbero vegliato. Sarebbero stati all’altezza del loro compito?

Atena camminava sulla via principale di Diagon Alley. Il tramonto si stava spegnendo dietro l’orizzonte e il cielo iniziava già ad imbrunirsi. Aveva da poco lasciato il suo Ufficio al Ministero. Non era stata una giornata particolarmente faticosa, solo scartoffie e resoconti da compilare, un lavoro più mentale che fisico. Lungo la strada si era fermata a comprare un panino in un chiostro babbano -
«Signorina, vuole anche maionese, ketchup, mostarda, senape, salsa piccante, salsa al curry, insalata?» «Ma l’insalata non è una salsa!», l’aveva guardata allibito, come se avesse appena detto di aver visto una polpetta parlare. «Lasci stare, va benissimo così» gli aveva sorriso e si era allontanata, allungandogli alcune monete babbane. Aveva accompagnato la cena con un bicchiere di tè caldo, un piccolo piacere a cui non sapeva rinunciare, e si era poi incamminata verso la sua destinazione. Camminava senza fretta, era in anticipo. Un motivetto continuava a ronzarle per la testa e non riusciva a trattenersi dal canticchiarlo sottovoce, di tanto in tanto.
Diagon Alley mostrava una nuova veste, la sera. Non era più la strada animata da risa e schiamazzi, pullulante di cappelli, mantelli, sacchetti e sorrisi appagati. La vita si radunava intorno ai tavoli di un pub o in uno dei locali principali. I rumori chiassosi del giorno venivano sostituiti da un chiacchiericcio più attutito, ma pur sempre costante. Anche gli odori cambiavano, la sera. Non erano più gli odori di cose nuove - appena comprate -, di libri immacolati ed oggetti ancora confezionati nella loro carta scricchiolante. Vi era odore di zucchero e gelati, e talvolta l’aria portava il profumo fresco di terra bagnata, proveniente da chissà dove.
Ma la destinazione di Atena non era uno dei locali di Diagon Alley. Percorse la strada principale, fino a giungere davanti al grande edificio della Gringott, con il suo drago marmoreo a perenne monito e custodia. Oltrepassò anche la Banca, muovendo i primi passi in direzione di un vicolo buio e desolato. Ma non lo imboccò. Si sedette su una panchina, le gambe accavallate. Sul mantello aveva appuntato il suo Distintivo Auror, posizionato in prima linea, pronto anch'esso per la ronda notturna. Giocherellava con la bacchetta, ancora seguendo le fila di quel motivetto che sembrava non volerla lasciare.
Quella sera, infatti, non sarebbe stata da sola. Aspettava qualcuno.


«I’m not afraid of Darkness. Nothing is more Shining that Night. I always seem to come alive after Midnight. I feel like the world is mine»



 
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view post Posted on 10/6/2017, 18:46
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In lontananza il cielo imbruniva; l’orizzonte si era trasformato in un cumulo di tenebre che legava insieme terra e nuvole e avanzava nel silenzio assorbendo edifici e alberi. Il temporale si attorcigliava in cicloni serrati, ruggendo piano mentre una macchia si allargava sulle colline in lontananza. Era acqua, e la città stava per essere sommersa da una tempesta che avanzava alla rapidità dei cavalli della bufera.
I cittadini, imbacuccati in diversi strati di abiti caldi, impermeabili e cappelli, correvano ai ripari tra le imprecazioni astiose. Sui lati delle vie venivano distribuite cerate e calde coperte nelle quali i più poveri si avviluppavano con cura.
Dorian si strinse sul davanti i lembi del soprabito incedendo lentamente, con i movimenti di un ballerino addormentato, stranamente impassibile. Sentiva diffondersi all’intersezione dei nervi del proprio corpo un incantesimo che lo trasformava in cristallo.
Non aveva freddo nonostante i gradi crollassero e nell’invisibilità dell’aria fossero ormai percepibili a occhio nudo i mulinelli di vento.
Una donna anziana, davanti a lui, scosse appena la testa guardando tutti i lati del cielo e riassunse la conclusione che ognuno sembrava aver tratto in cuor suo:
«I temporali più grossi sfogano presto».
Molti automobilisti cercavano di trovare dei recessi che permettessero per quanto possibile di proteggere la vettura dal vento e dal primo attacco della grandine, e ognuno tentava di non guardare la muraglia scura all’orizzonte tremando di un freddo che aveva qualcosa di sinistro. Tutti gli altri si appiattivano sulla parete piana degli edifici sentendosi come topi in una nave.
Eppure si parlavano.
In quella serata apocalittica si cementava il legame che lega uomini e donne nel momento del timore, un piccolo braciere tremolante in mezzo alla tempesta.
Dorian si morse il labbro, vagamente disgustato da quella solidarietà benefica che nel momento dello sconforto scioglie il ghiaccio nel cuore della gente.

***


Diagon Alley, fino a pochi minuti prima gremita di persone che si godevano l’aria tiepida della primavera, in un attimo era diventata deserta, catturata in un letargo gelido e muto.
Un fulmine fendette il cielo per poi scomparire in un ultimo tratto a china di luce brillante; una deflagrazione così fragorosa da far tremare le pareti dei negozi lo accolse appena superata la linea degli ultimi edifici. Il tuono si era abbattuto con un ruggito e aveva colpito l’orizzonte come una frusta.
Era in ritardo.
Affrettò il passo senza mai togliere le mani di tasca; la facciata della Gringott balenava nella luce della tempesta circondata da vortici di foglie che si avvolgevano su se stesse in una danza lenta e densa, in una coreografia di movimenti strani e complessi.
«Una notte come questa sveglia tutti i fantasmi. Mi dia retta, rincasi al più presto!»
Un uomo si soffiò rumorosamente il naso in un vicolo alle sue spalle, e Dorian per un attimo trasalì, colto dalla vertigine dell’imprevisto.
Negli ultimi tempi Nocturne Alley era diventata, se possibile, ancora più pericolosa e il Ministero aveva smesso di assistere impassibilmente, deciso a rassicurare il Paese sul fatto che le voci di violenza e morte legate a quel sobborgo fossero false. E per farlo aveva convocato due tra gli auror più esperti, congedandoli momentaneamente dalle loro occupazioni.
Intravide Atena seduta su una panchina nella penombra, e si chiese se il temporale avesse sorpreso anche lei. Era elegante come una farfalla nel momento in cui si adagia su una rosa e gli sembrava priva di ogni tormento.
«Il maltempo, se possibile, ti rende ancora più bella».
Si fletté leggermente in avanti, in equilibrio sulla punta delle scarpe raffinate; si umettò le labbra con malizia, prima di inchinarsi al baciamano.
«Mi spiace averti fatta aspettare».
Splendente e diafano, il suo sorriso brillava come una perla attraverso le ali della tempesta.

Ho introdotto una piacevole (?) variazione sul tema. Spero che il coup de foudre théâtre sia di tuo gusto! ;)
 
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view post Posted on 15/6/2017, 22:06
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Nyctophilia
Un’improvvisa folata di vento sferzò con un ululato sommesso la strada principale di Diagon Alley, si insinuò nei vicoli solitari e rapidamente giunse sino a lei. I capelli le si scompigliarono disordinatamente, mentre i lembi del mantello si agitavano, intrappolati alla panchina dalla sua seduta. Atena guardò con un moto di apprensione il cielo. Le nuvole si stavano ammassando velocemente all’orizzonte, portando con sé il preludio di una tempesta del tutto imprevista. Non vi era luna ad illuminare quel scuro manto celeste, solo lampi che sobbollivano in lontananza. Maghi e Streghe che fino a poco prima animavano le strade o i locali sembravano essere stati spazzati via dal vento stesso; correvano alla ricerca di un riparo o si smaterializzavano con un colpo di bacchetta, lasciando solo un pop dietro di loro. I più temerari resistevano sull’uscio di una porta o affacciati ad una finestra, scrollando il capo con disappunto in direzione dei nuvoloni, carichi di pioggia e grandine. Ben presto un silenzio surreale cadde nelle strade ormai deserte. Tutt’intorno vibrava, palpabile, la tipica sospensione che precedeva ogni tempesta. Anche l’aria sapeva di pioggia.
La giovane Auror si chiese se il collega non fosse stato colto alla sprovvista dalla tempesta, o se il maltempo non avresse tardato il suo arrivo. Sperò anche - tra sé - che non venisse colpito da un fulmine, chissà perché a volte le venivano queste strane idee. A quel pensiero, come attirata da un muto richiamo, una saetta squarciò il cielo, abbattendosi dall’alto con il suo tuono, ultimo monito per coloro che ancora si attardavano sulle strade. Rabbrividì, colta di sorpresa da quel fragore. Tuttavia non era spaventata, i temporali avevano sempre esercitato un fascino particolare su di lei. Le piaceva quell’atmosfera carica di attesa e l’incanto che provocava il momento della liberazione improvvisa della pioggia, che scendeva a scrosci sormontando ogni altro rumore.
Non passò molto tempo che il profilo di Dorian apparve da dietro l’angolo delle candide mura della Gringott. Lo osservò avvicinarsi, le mani in tasca, avvolto nella sua consueta eleganza ed accompagnato da un mulinare di foglie. Quando fu vicino lo accolse con un sorriso.

«E tu sei sin troppo galante, come sempre» gli porse la mano, scrollando leggermente la testa con fare divertito. «Ma non è da gentiluomini far aspettare una ragazza» disse ammiccando scherzosamente. Non vi era traccia di rimprovero nella sua voce, tutt’altro. Nonostante talvolta amasse punzecchiarlo per i suoi modi di fare eccentrici ed altezzosi, apprezzava il collega. Lo considerava un ottimo Auror, nonché una persona colta ed elegante, qualità che non le passavano inosservate. E, nonostante tutto, anche quella sua particolare aura sopra le righe finiva per risultarle stranamente divertente.
Una volta terminati i convenzionali saluti, si alzò dalla panchina per affiancare il ragazzo ed apprestarsi ad iniziare il giro di ronda. Con un gesto della mano tentò di lisciarsi i vestiti, gesto che fece più per abitudine che per reale necessità, dato che il vento rese vano ogni tentativo.

«Tuoni e fulmini, siamo stati particolarmente fortunati. Può forse andare peggio?» commentò ironicamente, lanciando un’occhiata al vicolo che si inoltrava nel poco raccomandabile quartiere. Sapeva che quello non sarebbe stato un normale giro di ronda. Il Ministero era sempre particolarmente prudente quando si trattava di luoghi come Nocturn Alley. I loro occhi dovevano essere vigili più del solito e i loro orecchi attenti. Tornò a posare la sua attenzione su Dorian, lo sguardo rilassato. «Spero che il viaggio non ti abbia creato problemi. Hai cenato?» si informò. Dopo aver atteso la risposta, si sitemò un'ultima volta il mantello, allacciandolo con cura al collo. «Possiamo andare» disse una volta che fu pronta, accingendosi ad incamminarsi con lui lungo il vicolo.
Una pesante goccia di pioggia cadde allora sulla pietra accanto ai suoi piedi. La serata che li aspettava non prometteva nulla di buono.


«I’m not afraid of Darkness. Nothing is more Shining that Night. I always seem to come alive after Midnight. I feel like the world is mine»





Apprezzo, come sempre. ;) Ottima scelta anche della musica!
 
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view post Posted on 24/6/2017, 10:00
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«E tu sei sin troppo galante, come sempre».
Con le labbra morbide sfiorò appena il dorso della sua mano chiara, in un contatto fuggevole, ma Atena, con la sua simpatia leggera, sembrò non fare troppo caso al gesto e preferì rimproverarlo con fare affettuoso.
«Ma non è da gentiluomini far aspettare una ragazza»
Sorrise, rimettendosi in piedi senza mai smettere di fissarla.
Trattenne il respiro quando l’ennesimo tuono esplose sopra le loro teste, mentre con una di quelle lunghe dita affusolate correva a levarsi una ciocca ribelle dalla fronte.
Con la mano si lasciò andare in una carezza vellutata, e alcune gocce di umidità scivolarono dal suo soprabito per la lieve frizione.
«Hai ragione, Lil. Ma forse mi verrà in mente un modo per farmi perdonare...»
Dorian inarcò le sopracciglia, ammiccando con l'aria mascalzona di chi non è veramente mortificato; si passò la mano delicatamente fra i capelli della nuca con finto imbarazzo, scosse leggermente il capo ed infine, con gentilezza estrema, ribatté:
«In ogni caso non vorrei che ti bagnassi troppo…»
Amava la pioggia, il rumore degli scrosci d'acqua martellante sul tetto, i sentieri inondati, il cielo plumbeo, il vento, ma tollerava poco il giogo del pantano e del freddo, l’umidità che si incollava ai vestiti, ai capelli, senza mai dissiparsi del tutto. In un attimo sfilò la bacchetta dalla tasca interna della giacca e la agitò sopra le loro teste roteando morbidamente il polso, mentre i suoi abiti e quelli dell’amica si asciugavano all’istante diventando perfettamente impermeabili.
«Molto bene. Non sarei riuscito a perdonarmi se ti fossi ammalata per causa mia» concluse, alzando il mento come a volerle indicare il candido collo, coperto appena da un’ombra di stoffa leggera.
«Tuoni e fulmini, siamo stati particolarmente fortunati. Può forse andare peggio?»
Le scoccò un'occhiata furbescamente maliziosa e le porse la mano, per aiutarla a mettersi in piedi.
«Oh be’, ce la siamo vista brutta tante, troppe, volte! Ricordi le strill…»
In quel momento uno spilungone vestito completamente di nero, con un cappuccio in testa e grossi anfibi, emerse dal vicolo vicino, ma appena li vide si rituffò nell’ombra, con una certa sollecitudine.
«Deve essere uno specialista dell’ellissi nelle formule di cortesia» concluse Dorian, a cui il dettaglio non era sfuggito.
Comprese dall’espressione che colorò i lineamenti delicati di Atena, che probabilmente anche lei aveva avuto l'orrida sensazione di essere alle prese con una spiacevole questione, e che probabilmente le seguenti ore non sarebbero state particolarmente gradevoli. Ma ebbe l'accortezza di fare buon viso a cattivo gioco, tornando a guardarlo con grande rilassatezza.
«Spero che il viaggio non ti abbia creato problemi. Hai cenato?»
Chiese, mentre si ricomponeva, definitivamente pronta ad alzarsi.
«In effetti non ho cenato. Ora che mi ci fai pensare conosco un bistrò, proprio a due passi da qui. Magari più tardi possiamo indugiare...»
Le sorrise e con aria da cospiratore le porse il braccio. In quel momento era ben consapevole che più di un paio di occhi erano puntati su di loro, ma in qualità di auror erano stati addestrati proprio per sapersela cavare in ogni tipo di situazione.
«Possiamo andare»
Dorian affilò lo sguardo sui tetti delle case prospicenti, corrucciò le labbra e concluse candidamente:
«Permetti?»
Chiunque li stesse guardando avrebbe pensato a loro come a una coppia di amanti o di amici di vecchissima data, e vista la giovane età forse anche a due studenti dall’aria presuntuosa.
Una goccia d’acqua si infranse sul suolo e in quel momento il sorriso malizioso di Dorian assunse i contorni di una fossetta molto evocativa un dito sotto lo zigomo: era decisamente contento di poter recitare quella pièce proprio con lei.

Perdona immensamente il ritardo, ma come sai mi sto addottorando. Scusa anche le lambiccature eccessive, spero di aver fatto bene ad introdurre le "variazioni" di cui avevamo parlato. Un bacio.

Edited by Dørian - 27/6/2017, 21:18
 
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view post Posted on 28/6/2017, 08:07
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«Lo penso anch’io, Didi». Lo osservò con curiosità mentre si rialzava e, ostentando un finto imbarazzo, si passava la mano tra i capelli. I suoi movimenti erano delicati e misurati, tipici della sua personalità tutt’altro che comune. Non sembrava particolarmente convinto nel volersi farsi perdonare, e del resto nemmeno lei lo aveva rimproverato sul serio, ma avrebbe sempre potuto ricordargli quel piccolo pegno nel momento più opportuno.
Lasciò che con un colpo di bacchetta asciugasse i vestiti di entrambi, godendo della piacevole sensazione di ritrovato calore dovuta agli abiti di nuovo asciutti. Non le dava particolarmente fastidio la pioggia sugli abiti o sulla pelle. Era come un farsi contagiare da quell’atmosfera di sospesa leggerezza che la pioggia portava con sé. Lasciare che l’acqua portasse via i pensieri, le pesantezze, le regole convenzionali stesse, nello stesso modo in cui lavava via le scorie che incontrava sul suo percorso. Era un poter osare, un lasciarsi sorprendere e trasportare. Quella sera però il vento faceva sentire la sua presenza con sferzate fredde e insistenti, e l’umidità penetrava sin sotto la pelle. Lei stessa avrebbe - di lì a poco - compiuto quel gesto, se lui non l’avesse prontamente preceduta.

«Molto gentile da parte tua.» Pose la mano nella sua per aiutarsi a rialzarsi, mentre un sorriso divertito si disegnò sulle sue labbra, accompagnato da una scintilla maliziosa negli occhi. «Oh, non ricordarmi quella serata. Rimarrà nella storia del Quartier Generale, e non solo» disse ridendo. Seguì lo sguardo dell’amico mentre si posava sulla figura incappucciata sbucata dall’oscurità. Non aggiunse nulla a quanto detto dal collega, ma registrò quel dettaglio dentro di sé. Avrebbe tenuto gli occhi aperti, come sapeva che avrebbe fatto anche Dorian.
Quando entrambi furono pronti e lui le porse il braccio accettò di buon grado la sua offerta, ponendo con un gesto elegante il braccio intorno al suo.
«Perché no? Sarei curiosa di vedere questo tuo bistrò» disse con nonchalance, ricambiando lo sguardo cospiratore. Indugiò per un attimo sul suo volto, la fossetta scavata dal suo sorriso lo rendeva curiosamente più attraente del solito. «Spero solo che il menù non preveda esclusivamente broccoletti e gambi di sedano…» aggiunse riportando lo sguardo davanti a sé, un mezzo sorriso a incrinarle le labbra, senza riuscire a trattenersi dal cogliere l’occasione per stuzzicarlo. Sapeva infatti quanto amasse tenersi in forma e come talvolta non si esimesse dal bacchettare anche gli altri.
Mossero dunque i primi passi verso il vicolo che portava al cuore di Nocturn Alley, sancendo ufficialmente l’inizio del loro turno di ronda. Un lampo illuminò il cielo, proiettando bizzarre figure di ombre sui tetri muri delle case. In quel flash di luce la ragazza riuscì a scorgere, a qualche portone di distanza da loro, la sagoma incappucciata dell’uomo di poco prima. Era rasente al muro, all’angolo di un vicolo secondario. Li osservava con la coda nell’occhio e parlottava con un’altra persona, anch’essa avvolta in un mantello. Senza indugiare ulteriormente su di loro accarezzò il braccio del collega, voltandosi verso di lui alla ricerca di un contatto con i suoi occhi ambrati, per comprendere se li avesse notati. Fu un gesto che ad un osservatore esterno poteva sembrare semplice e naturale affetto tra due persone che si conoscevano da lungo tempo o tra le quali scorreva una certa intimità, ma che per loro doveva fungere da segno d’intesa.

«A proposito di cose per cui farsi perdonare…» riprese poco dopo, un guizzo divertito negli occhi. Erano in servizio, ma nulla impediva loro di parlare di cose più frivole. Del resto erano dei professionisti nel loro campo, perfettamente in grado di chiacchierare con leggerezza senza tuttavia distogliere l’attenzione da ciò che accadeva intorno a loro. Estrasse un foglietto dalla tasca e, tenendolo tra indice e medio, glielo porse. «Perché non mi spieghi cosa significa questo scherzo?» chiese sorridendo. Lo aveva trovato tra la sua posta, in una busta che portava lo stemma di Hogwarts. Non vi era nessun altro messaggio ad accompagnare quel foglietto, ma la calligrafia ordinata non lasciava dubbi su chi fosse l’autore.
Se Dorian lo avesse preso, avrebbe potuto leggervi chiaramente un nome e un lettera. E, lei ne era sicura, avrebbe riconosciuto subito quel foglietto:



«I’m not afraid of Darkness. Nothing is more Shining that Night. I always seem to come alive after Midnight. I feel like the world is mine»





Va benissimo così com'è, Did! ♥
 
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view post Posted on 30/6/2017, 23:04
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Sembrava che le belle giornate estive avessero avuto fine; un vento freddo frustava i vetri delle case dai quali si riverberava attutito un giallore smorto, appena visibile dalla strada. Le raffiche e la pioggia di quella tempestosa nottata, tuttavia, per due auror non significavano nulla, se non serenità e silenziosa quiete. La segretezza dell’incarico impediva loro di poter comunicare apertamente, per mezzo della parola, ma la complicità che li legava non dava adito ad alcun malinteso, uniti com’erano in quella singolare intimità.
«Perché no? Sarei curiosa di vedere questo tuo bistrò» rispose Atena con palpabile malizia.
«Spero solo che il menù non preveda esclusivamente broccoletti e gambi di sedano…»
Gli piaceva, aveva un suo singolare modo di fare, un suo particolare profumo, un tono e un accento decisamente seducenti.
«Forse, mia buona Madamigella Mc Linder, una grigliata di carne con qualche bella salsiccia ti renderebbe più rosea, lustra e rilassata rispetto ad un gambetto di sedano…» concluse Dorian con una risata, ammiccando con lo sguardo.
Il solo pensare ad una grossa costoletta d’agnello, ad un’aletta di pollo o di pernice ben rosolata gli strappò un lieve sospiro. A dire il vero andava in estasi anche per le verdure: in quel momento avrebbe affondato volentieri i denti nella cupoletta verde di un bel cespo di lattuga, o in una patatina un po’ grassottella che, stretta nell’abito del cartoccio, grossa e morbida, gli avrebbe regalato una cornucopia di sensazioni semplici, una cascata pastosa che gli si sarebbe sciolta sulla lingua.
Si addentrarono nel vicolo: alla vista di quelle sagome scure, brividi di terrore sarebbero corsi lungo il filo della schiena di chiunque, a maggior ragione in un momento come quello in cui i tuoni brontolavano; ma i due si scambiarono l’ennesima occhiata d’intesa, ben lungi dal fuggire via di corsa con la coda fra le gambe.
«Non aver paura, cucciolo. E’ solo un temporale» soggiunse con espressività, per calarsi meglio nella parte. Era comunque innegabile il tono volutamente allusivo con cui, enfatico, Dorian caricava le parole per provocare la collega: avrebbe adorato vedere il rossore fluirle alle guance, gli occhi illuminarsi e le labbra fremere per l’imbarazzo, ma Atena era una professionista, sapeva che sarebbe stata al gioco.
Studiò rapidamente la situazione, nonostante la strada fosse buia e umida. Le pareti aggettanti delle case non offrivano loro alcuna protezione, e gli uomini incappucciati appena li videro si zittirono, ostili, immobili. Ma Atena, ben lungi dal sentirsi preoccupata, dal pietrificarsi in una silente angoscia, seguitò a discorrere, come se le due presenze non la toccassero minimamente.
«A proposito di cose per cui farsi perdonare…»
Lui con un gesto leggero e giocoso le accarezzò la testa, e sorridendo la guardò nel modo più dolce del mondo, con il savoir-faire di un attore shakespeariano.
«Perché non mi spieghi cosa significa questo scherzo?»
Il lampo illuminò il volto parzialmente nascosto dal cappuccio di uno dei due: era scuro e vigoroso, tarchiato, dritto come un fuso, le guance butterate dai segni dell’acne e i denti storti, di un vago color limone. Naturalmente Dorian memorizzò a colpo d'occhio la sua fisionomia, mentre la ragazza estraeva un biglietto dalla tasca e glielo porgeva, divertita. Nonostante il suo modo di fare all’apparenza scanzonato, non gli sfuggiva alcun dettaglio.
Sfoderò il suo migliore sorriso da mascalzone, passandosi una mano tra i capelli – com’era solito fare – con finto imbarazzo: una di quelle espressioni così terribilmente irresistibili e, al tempo stesso, così candidamente innocenti da far cadere qualsiasi ragazzina pettegola, sciocchina, leziosa, letteralmente ai suoi piedi.
«Non è chiaro? Ti notificavo la bocciatura.»
E se la sua vanità era del tutto esacerbante, nessuno avrebbe potuto risentirsi per davvero di fronte alle delicate fossette che gli incidevano appena gli angoli della bocca.
«Nella speranza che passassi in studio per i corsi di recupero! C’è così tanto da fare, per arrivare alla sufficienza! E così poco tempo…»
Mentre parlavano e avanzavano verso i due, immediatamente si rese conto che l’uomo da poco identificato si era messo la mano in tasca. Nella migliore delle ipotesi a saggiare l’impugnatura della bacchetta, nella peggiore…
Dorian approfittò dell’attimo e con dolcezza, dando loro le spalle, avvicinò il suo volto a quello della giovane auror, sfiorandole appena l’orecchio con la guancia in un gesto di simulata confidenza tra amanti: voleva proteggerla e, al tempo stesso, provocarla.
«Dunque, siamo alla frutta. Preferisci il nano, o l’altro? Stai attenta però, abbiamo ancora una salsiccia in sospeso, non vorrei che ti facessi del male prima di poterla gradire…»
Si voltò nuovamente con un gesto morbido e il soprabito gli si sollevò nel vento come una coda di pavone trapunta di stelle. Impugnava la bacchetta con salda eleganza, pronto ad entrare in azione.
«Vediamo se stasera recuperi il debituccio formativo…»

Okok sono una birba. :ihih: Ma non puoi certo dire che non sia un post goloso. Che i benpensanti abbiano ciò che si aspettano!
 
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view post Posted on 9/7/2017, 19:29
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Nyctophilia
Era singolare quell’intima complicità - fatta di gesti misurati e battute provocatorie - che si era creata tra loro. Nel suo lavoro, lei lo sapeva bene, la sintonia con i colleghi era di fondamentale importanza per la riuscita di una missione o di un incarico, per quanto semplice e banale esso potesse essere. Agire in sinergia, come ballerini impegnati in un’elaborata coreografia, poteva decretare la riuscita o il fallimento di un obiettivo. Tra loro sembrava essersi stabilita la giusta intesa, complice forse il vento ululante di quella notte e la pioggia scrosciante, oppure i loro caratteri - sotto certi aspetti così diversi, ma a loro modo del tutto particolari. O semplicemente era un fatto di vibrazioni che si accordavano perfettamente tra loro. Dal canto suo, Atena trovava stranamente stimolante quell’inconsueta situazione.
Gli scoccò un’occhiata sorpresa per l’esplicita malizia nelle sue parole, addolcendo l’espressione solo alla sua risata finale.
«Per tua informazione, sono già abbastanza rilassata.» rispose dandogli un amichevole colpo sul fianco. «Oppure dovrei forse credere che non mi trovi abbastanza rosea e lustra? Potrei offendermi, sai.» concluse provocatoriamente riprendendo il consueto sorriso divertito.
Si inoltrarono nel vicolo. La pioggia sgorgava veloce dalle grondaie arrugginite, formando ampi rigagnoli ai margini della strada. I solchi delle vecchie pietre della pavimentazione, scavati ed arrotondati dal tempo, si erano già riempiti di agitate pozzanghere.
Si strinse di più al suo braccio, continuando ad accarezzarlo con tenerezza
«L’ultima persona che mi ha chiamata in quel modo ora probabilmente si trova in una cella ad Azkaban» disse con un tono di voce più basso, avvicinandosi ulteriormente a lui affinché potesse sentire ciò che gli diceva. Lo fissò per alcuni istanti per sondare la sua reazione, gli occhi accesi da un luccichio di leggera giocosità. Era successo qualche tempo prima, durante la sua prima missione da Auror. Il pozionista con cui aveva avuto a che fare l’aveva apostrofata in quel modo, rammaricandosi di dover affrontare un “cucciolo” e non un pezzo grosso del Quartier Generale. Sciocco presuntuoso.
Non le sfuggì l’immobile silenzio che era calato tra i due uomini al loro avvicinamento. Il modo in cui li osservavano era palesemente ostile e si chiese se di lì a poco non sarebbe stato inevitabile lo scontro. Tuttavia continuò a parlare mantenendo un’espressione rilassata per non destare sospetti. Il suo sguardo scivolava con naturalezza sulla strada davanti a lei, sui muri delle case e sulla pioggia sferzata dal vento, attenta di sottecchi ad ogni movimento delle due figure.
Con la stessa naturalezza con cui aveva accarezzato il paesaggio intorno a sé, tornò a posare lo sguardo su Dorian, curiosa di ascoltare la giustificazione che le avrebbe dato di quel biglietto. Con il suo consueto finto imbarazzo, l’amico si passò la mano tra i capelli. Era uno di quei gesti che lo caratterizzavano, come un abito elegante o un seducente profumo. Agli occhi di alcuni poteva sembrare un atteggiamento decisamente vanesio, ad altri semplicemente irresistibile. Non le passavano inosservati gli sguardi frivoli e voluttuosi delle giovani ragazzine che si posavano su di lui, quando era in sua compagnia, o i commenti che alcune giovani studentesse si sussurravano tra loro nelle vie di Hogsmeade, sul suo riguardo. Godeva di una certa popolarità, non v’era dubbio. Lei però era immune da tale facile seduzione, forte forse dal rapporto amicale e lavorativo che li legava. Il suo modo di fare la faceva semplicemente sorridere.
«Ma davvero? Se mi volevi nel tuo Ufficio ti bastava chiedermelo» disse ammiccando, mentre un mezzo sorriso le sollevava un angolo della bocca. Con quel biglietto Dorian aveva – consapevolmente o meno - dato inizio ad un giocoso affronto, che l’orgoglio della ragazza non avrebbe certo lasciato passare irrisolto.
Con la coda nell’occhio vide uno dei due uomini portarsi lentamente la mano alla tasca. Istintivamente fece per estrarre a sua volta la bacchetta da sotto il mantello, pronta a rispondere ad un eventuale attacco. Ma il gesto fu presto coperto dal corpo del Collega, che con scioltezza si era posto davanti a lei. Evidentemente anche lui aveva intuito le intenzioni dell’uomo.
Sentì un lieve calore espandersi sulle guance, colta di sorpresa da quell’inaspettata vicinanza. Ma durò solo un attimo e probabilmente Dorian non se ne sarebbe accorto, dal momento che in quella posizione il suo sguardo non poteva vederla in viso. Posò lievemente la mano sul suo fianco, le labbra quasi gli sfioravano il collo, tanto che i sensi di Atena potevano forse intuire il sapore della sua pelle.
«Io penso allo spilungone. Il nano lo lascio ai dilettanti» il calore di un sorriso provocatorio si disegnò sulle sue morbide labbra, sfiorandogli appena la pelle. Con la mano gli scostò lievemente una ciocca di capelli dalla fronte, un gesto compiuto con dolcezza e volutamente provocante. «Sii cauto» stavolta lasciò trapelare una nota di sincerità in quelle parole, si trattava pur sempre di un duello. «…tra i due quello più affamato sei tu, non vorrei che il pensiero di una calda pietanza ti distraesse troppo…» si affrettò ad aggiungere subito dopo, con l’accenno di un sorriso malizioso. Posò un’ultima volta lo sguardo sul suo viso, prima di scostarsi da lui e volgere la sua piena attenzione ai due uomini. Con un movimento sciolto e risoluto sfoderò la bacchetta, completando il gesto che aveva iniziato poco prima. «Osserva con attenzione, caro Professore, potrei sorprenderti». Era giunto il momento di continuare la loro sfida.

«I’m not afraid of Darkness. Nothing is more Shining that Night. I always seem to come alive after Midnight. I feel like the world is mine»





Chapeaux, Diddone caro!

 
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Statue di angeli, di figure piangenti e pallidi visi di marmo vegliavano su di loro dall’alto dei tetti; raggi di luna sciabordavano rimescolandosi all’impazzata con la pioggia. I lampi solcavano il cielo notturno ad intermittenze ormai irregolari, gettando una luce spettrale sui muri bianchi delle case.
Il cielo plumbeo sembrava un serpente illanguidito dal pasto eccessivo, i contenuti del suo stomaco, la pioggia radente e i rami d’oro dei fulmini, disegnavano con il movimento delle loro bianche lame il profilo degli edifici.
La Gringott si ergeva in lontananza come una sentinella di pietra, svettando sopra le piccole botteghe, e la sua armatura d’argento niellato brillava nella luce della tempesta. Il vento ruggiva nel viale ululando.
Solo un piccolo punto nero si muoveva nel vicolo. Via via che si avvicinava allo scheletro consunto di un vecchio edificio abbandonato, apparve chiaro, per l'inconsistenza del suo stesso colore, che possedeva quattro gambe; a ogni istante si distinguevano in modo sempre più evidente le figure dei due auror.
«Ma davvero? Se mi volevi nel tuo Ufficio ti bastava chiedermelo».
Un sorriso incise appena la bocca di Dorian: oh se la voleva. Ma non necessariamente nel suo ufficio. Non ebbe il tempo di risponderle che il mago davanti a loro, dopo aver scavato in profondità nella tasca penetrando giù dentro fino a oltre il polso, sfoderò una bacchetta dalla forma irregolare, tozza e corta, esclamando con voce risentita:
«Siete molto carini. Dico davvero. Mi dispiace quasi che domani mattina dovranno pulire i vostri pezzettini dalla strada.» Vanaglorioso, sciocco, incauto, aveva commesso l’errore di sottovalutarli.
«Io penso allo spilungone. Il nano lo lascio ai dilettanti» rispose ad alta voce Atena, indifferente.
Quando gli sfiorò i capelli, i loro sguardi si incrociarono in un attimo di imperscrutabile profondità; rimase incantato dalla chiara superficie trasparente dei suoi occhi, da quell’espressione di leggerezza che di solito si trova in quelli dei bambini.
«Dilettanti?»
«Sii cauto» aggiunse con più serietà.
Dorian soffriva di una malattia rara ed incurabile, una concupiscenza pretenziosa, spasimante affinché ciascuno dei suoi vizi venisse giustamente appagato.
«…Tra i due quello più affamato sei tu, non vorrei che il pensiero di una calda pietanza ti distraesse troppo…» E per un attimo gli parve proprio che la ragazza potesse leggergli nella mente.
Atena lo faceva ridere, lo stupiva; alternava momenti in cui era tremendamente seria ad altri in cui si faceva più maliziosa, ma sempre con l’eleganza distinta dell’allusione cifrata.
«Ho degustato così tanti piatti in vita mia che se mi facessi distrarre dal pensiero di questa nuova tentazione – appetitosa, non lo nego – la mia nomea di buongustaio ne sarebbe irrimediabilmente lesa… E poi via, non vorrai dirmi che non sei una buona forchetta...»
Le fece vibrare il sussurro della provocazione nell’orecchio; il suo profumo femminile, delicato e inebriante si effondeva a partire dalla pelle nuda del collo a ogni strofinio del mantello.
«Osserva con attenzione, caro Professore, potrei sorprenderti» lo incalzò l'auror, divertita.
In quel momento un lampo di luce rossa, una fiamma languente, esplose nella loro direzione, ma lui era pronto: con un morbido movimento del polso disegnò un cerchio in senso orario nell’aria; la maledizione si infranse contro lo scudo invisibile che aveva evocato con un rintocco profondo, come un sasso che genera delle increspature nell’acqua.
«Sembra che tu sia decisamente convinta di saperci fare… Spero che le mie aspettative non vengano deluse». Dorian scartò di lato con leggerezza, senza smettere di parlare, mentre un secondo fiotto di luce volò oltre le sue spalle per esplodere contro la parete di un’abitazione. Questa volta fu la sua bacchetta ad eseguire un fluido movimento di frusta, e una fiammeggiante stria purpurea colpì il petto del suo avversario, l’uomo tarchiato, che si afflosciò a terra e vi rimase, immobile.
L’altro mago iniziò furiosamente a scagliare contro di loro strali di energia bianca che li mancavano, ma che aprivano dei crateri sulle facciate delle case. Dorian sorrise. Era il turno di Atena.
 
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view post Posted on 31/7/2017, 18:31
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«Vi sono piatti talmente rari e raffinati la cui tentazione alimenterebbe la nomea di un buongustaio, anziché sminuirla» sussurrò a sua volta, accarezzandogli appena il collo con le labbra. Un contatto provocatorio, lungo appena il tempo di percepire il suo sapore, mischiato all’odore della pioggia di quella notte. «Per quanto mi riguarda, sono piuttosto esigente. Amo i gusti particolari, di tutto il resto faccio volentieri a meno». Forse, se non fossero stati sull’orlo di uno scontro o nel mezzo di una ronda, avrebbe potuto chiudere gli occhi e lasciare che il suo profumo le inebriasse i sensi, trasportata dal suono caldo e suadente della sua voce. Semplicemente abbandonarsi, come l’ultimo respiro esalato di chi apre le braccia e si lascia annegare, cullato dai flutti delle acque più profonde. Ma non era il mero soddisfacimento di un desiderio qualunque che cercava. La banalità la tediava, l’essere grigia mediocrità la infastidiva. Aveva un che di scialbo, come un piatto riscaldato. Non bastava allungare la mano per afferrarla e disdegnava a sua volta allungare la mano per afferrare il piacere facile. Insipido, insulso, frugale, inconsistente. La seduzione era un gioco più appassionante, una danza di intelletto, gesti misurati, complicità. Il poter fissare lo sguardo negli occhi dell’altro e scorgere al di là di essi qualcosa di celato, di intimo e - si - incredibilmente fragile. Allora sarebbe potuto durare anche solo un’ora o un minuto, avrebbe potuto restare solo una semplice provocazione e nulla di più, ma ne sarebbe valsa la pena.
Sempre attenta, alzò lo sguardo da sopra la spalla di Dorian. Anche lo spilungone aveva sfoderato la bacchetta. Il bagliore intermittente dei lampi lanciava riverberi di luce sul ghigno maligno dell’uomo, lasciando intravedere i lineamenti contorti in un’espressione stupida e insolente. Pensava davvero di avere qualche possibilità di vittoria contro di loro?
Il rumore di uno schiocco si andò ad aggiungere alle crepe dei fulmini nel cielo d’inchiostro e al brontolio dei tuoni sopra le loro teste. Un lampo di luce bianca passò accanto a loro, un attimo prima che i due Auror si separassero. Il teatro dello scontro aveva alzato il suo sipario. Il primo attore a meritarsi l’attenzione del palcoscenico fu Dorian. Schierato davanti a lei, lo osservò parare i colpi del proprio avversario, schegge sibilanti che fendevano la pioggia. I suoi movimenti erano rapidi e sicuri. Dorian era un professionista, lo sapeva, si fidava delle sue capacità come quelle di pochi altri. Bastarono un paio di incanti ben castati a mettere fuori gioco il nemico. Il pubblico applaudiva. Atena sorrise, fece un inchino con la testa. Era il suo turno.
Con un movimento fluido schivò alcune scintille che le passarono pericolosamente vicine, muovendosi quel tanto che bastava a schivare il loro raggio d’azione. L’avversario era piuttosto lento e la mira imprecisa, con un gesto rapido la giovane Auror si portò il braccio verso la spalla, una scoccata e la successiva luce rossa bastarono per disarmare il nemico. Il legnetto schizzò via, tintinnò sul freddo selciato, rotolò inerme sulla pietra, annegando infine in un rigagnolo d’acqua ai margini della strada. Varie emozioni si susseguirono allora sul volto dell’uomo, illuminate di volta in volta da un lampo di luce, in una lotta su chi tra di esse avrebbe vinto sull’altra. Dapprima venne la sorpresa - le sopracciglia alzate, gli occhi spalancati e la bocca aperta - ; poi fu la volta di un iroso risentimento, i muscoli divennero tesi, gli occhi socchiusi, i denti serrati; infine, la consapevolezza di essere disarmato prese il sopravvento. Le pupille si spostarono veloci vagliando le possibili vie di fuga, il labbro inferiore tremolò, e l’istinto di sopravvivenza ebbe la meglio su qualunque altra emozione. Intimorito, tentò quindi la fuga gettandosi verso un vicolo secondario, incespicando nelle vesti bagnate.
«Uno schiantesimo sarebbe troppo banale, non trovi?» disse al collega, dopo essersi goduta lo spettacolo di quelle maschere alternarsi sul viso dell’avversario. Senza indugiare oltre, con un movimento esperto puntò la bacchetta contro una delle tante statue angeliche che sorvegliavano la zona. Era una statua malridotta, in alcuni punti sgretolata dal tempo e dalle intemperie, annerita dal fumo e dall’incuria. Si trovava in una posizione più alta rispetto a loro, ma abbastanza vicina da permettere la buona riuscita dell’incantesimo, se la mira del castante fosse stata precisa. E lei lo era. Il polso si mosse elegantemente disegnando un cerchio in direzione della testa marmorea, un vortice risvegliò i pensieri assopiti, perduti nelle pieghe del tempo, assoggettandone la volontà; fluidamente proseguì con una stoccata decisa verso il cuore, un colpo in grado di scuotere la fredda pietra, infondendole un alito di vita. L’angelo aprì gli occhi, le ali fremettero al tremito del primo respiro degli immobili polmoni. Ma l’incanto non era ancora concluso. Senza distogliere né lo sguardo né l’attenzione, proiettò con sicurezza la bacchetta verso il fuggitivo, come la scoccata letale di una frusta. La statua si staccò dal suo piedistallo, obbedendo prontamente al comando. Un battito d’ali e come Angelo dell’Apocalisse in quel turbinio di pioggia e lampi, fu presto sopra l’uomo. Bastò un colpo ben assestato e quello cadde a terra, privo di sensi. Compiuto il suo dovere, l'angelo tornò a vegliare dall’alto quel luogo ormai desolato e privo di qualunque compassione celeste, un alito di vento portò con sé il soffio di vita che l’aveva animato e la statua tornò ad essere rigida pietra, occhi fissi verso il vuoto. Alimento del tempo.
Atena abbassò la bacchetta, rilassando i muscoli del viso. L’ultima nota dell’orchestra era stata suonata, lo spettacolo era concluso. Lo sguardo si posò di nuovo sul collega.
In quel momento il rumore di alcuni ciottoli che rotolano attirarono la sua attenzione. I colpi poco precisi degli avversari avevano provocato buchi e crepe nei muri intorno a loro e un cornicione - dalla parte opposta a quella in cui si trovava la statua angelica - stava per crollare su di loro.


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Dalla regia mi dicono che sono stata poco teatrale. E’ stato divertente.
 
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L’alta figura del malfattore, vestito con degli abiti logori e con un mantello nero rattoppato alla bell’e meglio, giganteggiava a pochi metri dalla ragazza. La sua espressione torva cedette lentamente il passo ad un sorriso sghembo quando si espresse con una forte inflessione continentale: «Mi dispiace doverti eliminare, ma dopo quello che ha fatto il tuo bel cavaliere, non ho scelta».
Guardando Dorian di spalle, chiunque avrebbe immaginato che fosse ricco, tanto era ben vestito. Aveva un portamento fiero, la testa alta e le spalle larghe, e riusciva a mantenersi superbo ed elegante anche nei momenti di maggiore rischio.
A quell’affermazione rimase in silenzio; impassibile. Tuttavia si accigliò, pensando fra sé che l'uomo non avrebbe avuto nemmeno il tempo per imprimersi nella mente il volto di Atena.
Avrebbe voluto farlo fuori con un rapido incantesimo, ma si rese ben presto conto che il suo intervento non era necessario: sebbene il suo aspetto suggerisse il paragone ad una delicata rosellina di campagna, i modi di fare della ragazza erano quanto mai autorevoli.
Si mosse con la grazia di un’etoile all’opéra: il suo viso era bianco come un prato di gigli, come il seno della luna quando dorme tra le braccia del mare, la sua bocca rossa come un melograno inciso da un coltello e i suoi occhi ardevano per la determinazione; dopo pochi attimi il mago aveva il fiatone e stringeva la bacchetta talmente forte che le nocche gli si erano arrossate, il palmo della mano e i polpastrelli sudati avevano lasciato le impronte sull’impugnatura nera. Era in piedi, ansante.
Atena danzava, ballava una sua personalissima variazione del Lago dei cigni, e quando s’esibì in un grand jeté l’arma dell'avversario volò definitivamente via.
Dorian studiava il suo modo di muoversi; per un rapido, squisito istante indugiò sulla curva snella dei suoi fianchi e una nota di passione lo portò a mordersi le labbra licenziosamente; detestava le pieghe di austera, pudica maestà del suo soprabito.
Ormai l’esito dello scontro era scritto, e la giovane richiamò la sua attenzione:
«Uno schiantesimo sarebbe troppo banale, non trovi?»
Lui, fintamente sbeffeggiante alzò un sopracciglio e rimase a guardare. Mosse la mano in una candida torsione del polso e in lontananza la statua di un angelo prese vita. Aveva capelli e ali di pietra screpolata, e le guance incipriate con un velo di argento fino. Dorian era piacevolmente colpito dall’eleganza di quella magia e stava per complimentarsi, quando la cariatide planò sul malcapitato con la foga di un idolo satanico e lo colpì sulla testa, fracassandogliela: si udì il suono secco di una zucca spezzata.
«Non avevo ricordi di aver assistito ad una trasfigurazione tanto delicata.» rise, osservando l’angelo che tornava a dormire il suo eterno sonno.
Si rese conto che Atena non era morbida come la viola e dolce come il croco, e quell'angolatura inedita del suo carattere lo appagò di un piacere proibito.
«Suppongo che il debituccio formativo si possa considerare del tutto saldato...»
In quel momento il cornicione sopra le loro teste scricchiolò minacciosamente, iniziando a deteriorarsi, e l’intera parete alla loro destra crollò.
Pochi istanti dopo, si udì un terribile schianto e un rumore di mattoni frantumati; ma Dorian aveva già preso la ragazza tra le braccia e si era lanciato in avanti con l’agilità di un leone: il cuore gli batteva all’impazzata e il sangue aveva preso a scorrergli nelle vene come se avesse avuto una volontà propria.
Furono investiti da una pioggia di scintille e schegge di pietra e rotolarono per diversi metri, ma lui le fece schermo con il proprio corpo.
Nell’impatto, urtò la schiena contro il selciato freddo e la botta gli tolse il fiato; i frantumi aguzzi che si levavano dal terreno gli lacerarono il soprabito, il maglione scuro e la pelle tenera del dorso.
Per il dolore alzò la testa, scoprendo il collo, e i riccioli neri gli si riversarono all’indietro, sulle spalle nude.
Posò i suoi occhi scuri su Atena, allentando la presa che si trasformò in un abbraccio più morbido.
Quasi senza accorgersene, ruzzolando, lasciandosi e riprendendosi nella caduta, addossati a terra, confondendosi tra i detriti e la polvere grigia, si ritrovarono avvinti in una sorta di attrazione magnetica. Il sangue nelle vene di Dorian pulsava ad uno stesso ritmo che, dettato dal suo cuore, raggiungeva ogni anfratto caldo del corpo.
Avvicinando il suo volto a quello della donna le sorrise, senza curarsi del fatto che stesse ormai copiosamente sanguinando dalle spalle e dalla schiena.
«…Anche se non ti muovi con la grazia del tuo angioletto.»
Concluse malizioso, confortandola con una carezza sfrontata sulle scapole: avvertì sulle nocche le onde morbide dei suoi capelli; il suo profumo aveva tutta la fragranza e la libertà di un fiore.

Che delicatezze, che garbo, che gusto! Per farmi perdonare del ritardo ti permetto anche di buttare un occhio ai miei guizzanti muscoletti. :*-*:
 
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view post Posted on 12/8/2017, 12:07
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Osservò con curiosità la reazione di Dorian all’esito del duello. Sapeva di aver scelto un incanto non comune, colorendo quella sfida con un pizzico di giocosa teatralità. «Sono lieta di aver incontrato il tuo apprezzamento e di aver saldato il mio debito, Professore» scherzò, sorridendo di rimando.
Un sinistro scricchiolio precedette un suono più sordo, un misto tra un cigolio e il rumore di qualcosa che si rompe, portando Atena a voltarsi verso la parete alla loro destra. Il cornicione stava oscillando pericolosamente e i mattoni stavano già iniziavano a sgretolarsi, incapaci di reggere quel peso in così precario equilibrio. Il suo sguardo - percorso da un guizzo di apprensione - corse veloce a cercare quello di Dorian, i muscoli tesi pronti alla fuga; anche il ragazzo si era accorto del pericolo e nel tempo di un battito di cuore si era lanciato su di lei, con l’agilità e la prontezza di riflessi che solo un professionista nel loro lavoro poteva avere.
Detriti e schegge appuntite inondarono il vicolo, l’aria si riempì di una polvere densa, dall’odore pungente e penetrante tipico della pietra sgretolata e della ruggine. Nella caduta una sbarra di ferro appuntita, probabilmente ciò che restava di una vecchia grondaia o di una trave portante, le si impigliò nella manica, strappando la stoffa e lasciando la pelle del braccio scoperta. Rotolarono lungo il selciato avvinti nella medesima stretta; tentarono di rialzarsi, per poi incespicare, tornare a cercarsi e ritrovarsi di nuovo a terra. Il fianco colpì una pietra sporgente in una fitta di dolore, e la pelle del braccio si graffiò al contatto ruvido con il suolo. Infine, le pietre arrestarono la loro caduta, lo schianto che aveva turbato con prepotenza la notte cessò e le nuvole di polvere iniziarono a depositarsi lente a terra. Atena aveva affondato il viso nel petto del ragazzo, stringendosi a lui. Le sue braccia e il suo corpo l’avevano avvolta, proteggendola dalle macerie ed attutendo i colpi della caduta. Il suo respiro si era fatto più affannato e poteva sentire distintamente il cuore di Dorian martellare contro il suo orecchio, allo stesso ritmo del suo. Un ritmo dettato dalla foga del pericolo, un ritmo forse accelerato dall’attrazione che li aveva uniti.
Poi l’abbraccio si fece più morbido. Anche lei allentò la presa, sollevando il viso, ma senza scostarsi da lui.
«Nemmeno tu hai la grazia di una farfalla» sorrise a sua volta. Con la mano gli tolse della polvere dalla guancia, in una carezza che percorse la curva del suo sorriso, scivolando sul mento e sfiorando il bordo del labbro. Per un istante, sotto il suo tocco, si lasciò invadere dal calore piacevole di un desiderio. «Stai bene?» chiese, interrogando i suoi occhi scuri. Si accorse che l’abito gli si era strappato all’altezza delle spalle e vide del sangue uscire dalla ferita apertasi sotto di esso. «Dorian…» ebbe la sensazione di una goccia di pioggia gelida sulla pelle «…stai sanguinando.» Si scostò, svincolandosi dal suo abbraccio e dal contatto con il suo corpo. Quel movimento le procurò una fitta di dolore al fianco, nel punto in cui aveva sbattuto contro la pietra, lasciandosi sfuggire un fremito involontario. «Vieni, siediti» disse, ignorando lo spasmo e cercando di non darlo a vedere. Lui avrebbe potuto sottrarsi a quella richiesta, ma Atena si mosse prontamente per aiutarlo ad alzarsi - con fermezza e movimenti attenti a non ledere ulteriormente le ferite - e difficilmente avrebbe potuto opporre resistenza. Si mise al suo fianco: le ferite si espandevano dalle spalle fino al dorso. Non sembravano particolarmente profonde, ma abbastanza da sanguinare e macchiare i vestiti strappati. Provò una morsa allo stomaco, una sorta di languore pungente. L’impatto doveva essere stato violento. Con un colpo della bacchetta andò a tagliare un lembo del suo mantello e puntandola su di esso fece scaturire un getto d’acqua, finché la stoffa non ne fu completamente intrisa. Indirizzandogli un sorriso rassicurante, iniziò a pulire la pelle intorno ai tagli, togliendo la polvere ed il sangue. I movimenti erano lenti e attenti, come un pittore che anziché spandere il suo colore sulla tela, lo toglieva. Con delicatezza tamponò le ferite, fino a quando non fu sicura che il flusso del sangue si fosse arrestato. «Sciocco, esci incolume da un duello e ti lasci ferire in una caduta». Lo rimproverò con tenerezza, posando il capo al suo, lasciandosi andare ad un gesto di sollievo e intimità. Per un attimo aveva avuto timore. Respirò il profumo morbido dei suoi capelli. Con la mano sfiorò i lembi lacerati del soprabito, accarezzando la pelle liscia delle spalle e della schiena. La muscolatura disegnava curve perfette, le dita scivolavano su di esse in modo naturale, come seguendo un percorso tracciato solo per loro, forme complementari che combaciavano alla perfezione. Girò appena la testa, il naso vicino alla sua guancia. «I vestiti si sono sgualciti» disse con una nota di rammarico nella voce. Sapeva quanto ci teneva.

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Cinque giorni non sono ritardo. :gelato: Io ne ho impiegati ben 7 e ti mostro solo un braccio, che disgraziata! Mi farò perdonare.


Edited by Atena McLinder - 12/8/2017, 13:25
 
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view post Posted on 16/8/2017, 18:49
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Sotto la pioggia battente, il mondo andava loro incontro volando, mentre rimanevano immobili. La linea verticale di un fulmine divise il cielo a metà e su ogni cosa si riverberò un bagliore grigio. Dorian respirava affannosamente, senza parlare; attorno a loro la polvere dei detriti si gonfiava e si dissolveva nell’aria in volute e spirali. Gli era entrata negli occhi, nelle narici e gli aveva graffiato la gola facendolo tossire.
Per un attimo rimasero in silenzio, né la luminosità pallida e ultraterrena del lampo, né il tuono che lo seguì, facendo tremare con la sua potenza l’intera Londra, li distolsero. Poi Atena – incurante degli scrosci che le scivolavano sul soprabito senza bagnarlo e delle raffiche di vento che le scompigliavano i capelli – sorrise, pulendogli delicatamente le guance da quell’ombra di fuliggine che gli aveva inzaccherato il viso e gli abiti nella caduta.
«Nemmeno tu hai la grazia di una farfalla» aggiunse.
Sul faccino aggraziato della ragazza scomparve l'ombra della paura, lasciando il posto ad una luce furba nello sguardo, e Dorian accompagnò alle sue parole un sorriso compiaciuto: «Ma sono sempre bellissimo».
Socchiuse gli occhi, godendosi quella carezza, poi allungò la mano verso una delle sue ciocche scure, la avvolse attorno al suo indice e sussurrò invitante:
«Non sapevo preferissi stare sopra…» si atteggiò a pensieroso ed indeciso – quella situazione, pensandoci, non aveva precedenti – infine rise e le cinse la vita in un abbraccio morbido.
«In effetti sei un gioiello raro, quindi chiuderò un occhio, per questa volta. Ma non abituarti».
In quel momento sospirò, percependo un bruciore molto forte alla schiena. Il sangue luccicava come una distesa di gemme iniziando a scivolare sul suo petto in un fiume di porpora tiepida.
Se la camicia slacciata sapientemente fino a metà petto scopriva le sue carte migliori, rendendolo sicuro di sé anche in quel momento, comunque gli sfuggì una piega debole delle labbra, qualcosa che somigliava ad una smorfia di dolore.
«Stai bene?» lui tossì senza rispondere, spostando la testa nel tentativo affannoso di prendere aria e il sangue sgorgò a fiotti dalla ferita, lasciandolo senza fiato.
«Dorian…» le sorrise, sentendo la testa farsi pesante «…stai sanguinando» e cercò di tamponarsi la spalla con quel poco che restava dei suoi abiti. I pantaloni erano strappati sulle ginocchia e gli scoprivano buona parte della coscia muscolosa, la camicia, il maglione e il soprabito non erano in condizioni migliori, rovinati dal sangue.
«Vieni, siediti» Atena si spostò e Dorian con il suo aiuto si tirò su, ma a quel movimento seguì una nuova fitta che gli fece sgranare gli occhi; aprì e chiuse la bocca, incapace di rispondere.
«Sciocco, esci incolume da un duello e ti lasci ferire in una caduta» si appoggiò a lei e accolse la sensazione delle sue mani fresche sulla schiena nuda. Sussultò appena, sentendo il bagnato del mantello sulla pelle scorticata. Si prendeva cura di lui con una dolcezza che gli alleggerì l’animo dalla croce del dolore e che lo fece sentire stranamente tranquillo. Le sue mani scivolavano lungo la colonna vertebrale, carezzava a fior di pelle i muscoli irrigiditi, delineava il contorno delle spalle e la curva del collo con la sapienza antica e silenziosa con cui la pioggia, nel suo serico abbraccio, porta lenimento anche alla terra più arida.
«I vestiti si sono sgualciti».
Le ferite si stavano asciugando e Dorian, voltandosi verso di lei, le trattenne dolcemente la mano restituendole un debole sorriso di ringraziamento, carico di sottintesi più di mille parole tutte uguali.
«Il che, forse, ha qualcosa di provvidenziale» gli tornò alle narici il suo profumo; quell’effluvio lavava via l’odore di polvere e detriti inebriandolo con la sua freschezza.
«Atena, mostrami il braccio» aveva notato solo in quel momento che nella caduta anche lei si era ferita; le prese delicatamente il polso e lo sfiorò con aria seria, per assicurarsi che non fosse rotto. Poi le schiuse il pugno e saggiò la pelle morbidissima del palmo con la punta delle dita, guardandola negli occhi per sincerarsi di non averle fatto male.
«E’ soltanto un graffio, sei fortunata» concluse con un sospiro.
Sopra di loro, il cielo, completamente coperto dalle grandi calligrafie delle nuvole, iniziava pian piano a rasserenarsi; il giorno dopo, una grande alba bagnata avrebbe rischiarato Londra con le sue trasparenze tramutando gli edifici in vetro argentato. Passato il temporale ogni cosa subiva una strana metamorfosi; gli elementi del mondo risultavano sublimati e apparivano nella nudità delle loro energie sostanziali e una dimensione splendida diventava per poche ore visibile all’uomo.
«Dobbiamo andare, Atena. Non siamo in condizione di proseguire, non questa sera». Si rimise in piedi malfermo, con il viso affaticato dal dolore, pallidissimo, ma ravvivato dalle premure ricevute e l’aiutò ad alzarsi stringendole saldamente il braccio illeso, cercando il più possibile di non essere brusco.
«Credo che nessuno si offenda se a questo punto ti invito a cena…» il sorriso precedette le sue parole e una malizia furtiva, un po’ sfacciata, tornò a colorargli l’espressione; eppure Dorian tese l’orecchio oltre la propria sfrontatezza e gli parve come di udire il battito del cuore timido e fragile. Un tum-tum impercettibile, proprio là, in fondo all’anima.

 
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Folate di vento avevano vorticato intorno a loro, gonfiando nuvoli di polvere e lasciandoli ricadere a terra, dove la pioggia li aveva presto trasformati in pesante fanghiglia sul fondo delle pozzanghere.
Sedevano l’uno accanto all’altra, mentre il brontolio del temporale rotolava sempre più lontano e lo scroscio ininterrotto della pioggia si trasformava in fili d’acqua leggeri. La calma ritrovata lavava via lo spavento e il dolore delle ferite, al pari delle ultime tracce vermiglie che – allungate sul terreno – si disperdevano chissà dove. Anche il vento ormai si era fatto più debole, come se i grandi polmoni del mondo si stessero lentamente addormentando, esausti dopo uno sforzo immane; sbuffi solitari – sospiri lenti e profondi di un’immensa creatura assopita – giungevano di tanto in tanto a scompigliare loro i capelli: le ciocche scure dei due si confondevano allora tra loro, talvolta ricadendo sulle guance, talvolta accarezzando le labbra, talvolta insinuando l’odore della pioggia tra il profumo dei loro respiri.
Atena sollevò istintivamente le dita dalla pelle del ragazzo, portando lo sguardo su di lui quando le prese la mano, nel timore di avergli fatto male. Solo incontrando il suo debole sorriso e i lineamenti di nuovo rilassati, si addolcì a sua volta; scosse appena il capo, non vi era alcun bisogno di un ringraziamento.
«Immagino dipenda dai punti di vista». Stette alcuni istanti così, sorprendendosi del senso di sicurezza che riusciva a trasmettergli la sua vicinanza e godendo del calore intimo e fragile di quel contatto.
Una nuova folata di vento giunse fino a loro, preceduta dal frusciare di foglie in lontananza e dal fischio sommesso dall’aria che si infiltrava nelle crepe delle abitazioni. La pioggia leggera veniva sospinta contro i vetri delle finestre, ma ormai aveva perso la sua foga e il suono che produceva era poco più di un picchiettio di sottofondo, confuso in mille altri rumori attutiti. Atena si passò una mano tra i capelli, sistemandosi le ciocche scompigliate; solo allora, sentendo il bruciore che quel movimento le procurava, si ricordò della ferita al braccio: la manica - che nella caduta si era strappata fino quasi alla spalla - ricadeva floscia, lasciando scoperta la pelle graffiata dal ruvido terreno. Anche Dorian doveva averlo notato, perché prima che potesse obiettare qualunque cosa iniziò ad esaminarle il polso. Sorrise appena per quel gesto di premura, un’attenzione che, nella sua indole, difficilmente avrebbe richiesto o ricercato. Di rado mostrava le sue debolezze, era abituata a dipendere più da se stessa che dagli altri. Lasciò che le schiudesse la mano, i polpastrelli scivolarono sulla pelle, sfiorandola lievemente, un tocco delicato e stranamente piacevole. Aveva fissato lo sguardo nei suoi occhi, concedendosi per un attimo di essere cullata altrove da quel mare ambrato, verso un posto lontano, o estremamente vicino; osservando con attenzione vi poteva scorgere il riflesso azzurro dei suoi occhi, in un angolo in alto, come una stella di zaffiro in un cielo straniero in cui i colori erano capovolti
. «E’ solo grazie a te» diede voce ad un pensiero che si era fatto sempre più ridondante, accarezzando a sua volta i bordi delle dita affusolate e fermandosi quando i palmi arrivarono a congiungersi.
Veloce come era arrivato, il temporale sembrava essersi dileguato. Le nuvole sopra di loro si stavano assottigliando e il nero cupo del cielo lasciava il posto ad un grigio più tenue, lacerato di tanto in tanto da un blu profondo. Probabilmente avrebbero fatto meglio a lasciare quel posto, proseguendo la ronda in un altro momento, e le parole di Dorian sembrarono anticipare il suo pensiero.
«Si, hai ragione, dobbiamo andare.» disse con un sospiro, non lo avrebbe trattenuto in quel luogo un momento in più, non in quelle condizioni. Fece appena in tempo a raccogliere la bacchetta e posare a terra il pezzo di stoffa del mantello, che lui si era già alzato. Si accorse che era pallidissimo, come il candore del riflesso della luna dietro una nuvola grigia. Con il suo aiuto si rialzò, facendo scivolare la mano sotto il suo avambraccio per sincerarsi che lo sforzo non fosse eccessivo per lui e sorreggerlo se necessario.
Ben presto un sorriso malizioso tornò a ravvivargli il volto e lei, nonostante tutto, si compiacque nel vederlo.
«Mmm Dorian Midnight con i vestiti strappati e sporchi di fango che invita una ragazza dal singolare fascino» sorrise scherzosamente «a cena. Il mondo è forse sull’orlo di un’apocalisse? O forse devo ritenermi fortunata ad essere una delle poche persone che abbia mai assistito a questo raro evento?» disse divertita, un luccichio allegro le accese lo sguardo. «Vediamo un po’…» arricciò le labbra, portandosi l’indice sul mento, e ostentando un’aria fintamente pensierosa lo scrutò da cima a fondo; poi schiuse le labbra in un sorriso e avvicinandosi con il fare di un’esperta di alta moda gli sistemò il colletto della camicia. «Si, così va decisamente meglio, la tua reputazione resterà intatta» scherzò, ridendo. «Va bene» disse poi, facendosi più seria. Sapeva che aveva bisogno di riposo e di riprendere le forze. «Ma farai meglio a reggerti a me, sarai anche bellissimo ma conciato così si può quasi dire che tu abbia un piede nella fossa…» tornò a sorridere, facendogli scivolare le braccia intorno al collo, in un gesto forse azzardato «…non vorrei che svenissi prima ancora di assaggiare l’antipasto» concluse con tono suadente, lanciandogli un’occhiata complice. Eppure, ascoltando con attenzione, poteva ancora sentire l’eco di un fremito che per un brevissimo istante aveva percorso quell’antro nascosto e dimenticato. Proprio laggiù, in fondo, dove l’aria era spessa e il silenzio regnava immobile.

«I’m not afraid of Darkness. Nothing is more Shining that Night. I always seem to come alive after Midnight. I feel like the world is mine»


 
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view post Posted on 7/9/2017, 17:19
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Gli sfuggì una piega lieve delle labbra, qualcosa che ricordava un sorriso. Affondò i palmi in quel che rimaneva delle tasche e studiò divertito Atena alle prese con il colletto della sua camicia. Poi si lasciò cingere dalle sue braccia tiepide, sussultando per quel contatto fugace, così diverso rispetto agli amplessi torridi, voluttuosi e intensi a cui era avvezzo, eppure profondamente intimo.
Dopo aver meditato in silenzio per qualche istante, alzò piano lo sguardo – gli bruciava l’idea di mostrarsi ferito e vulnerabile – ma il sorriso divertito della ragazza, gli occhi celesti più sfocati e luminosi del solito, le labbra tumide e i capelli scompigliati lo fecero stranamente sentire a proprio agio, spingendolo a desiderare, al contempo, di sfidare le leggi della fisica e del buoncostume, proprio lì, in quel vicolo.
Tacque, scaldato da quella complicità che li circondava come un’aura elettrica, fino a quando un lampo di rovente malizia infranse il momento di pace, screziando i loro volti con i colori della voluttà e del languore.
«… non vorrei che svenissi prima ancora di assaggiare l’antipasto» sussurrò lei con leggerezza, senza lasciare che la sfrontatezza prendesse il sopravvento. E la provocazione lo raggiunse. Precisa, netta, consapevole.
Con un gesto sicuro delle dita, Dorian, scrollando le spalle con finta noncuranza, fece passare mano a mano ciascun bottone della giacca nelle asole distrutte; il cotone impolverato gli si tese addosso, alterando ulteriormente la stiratura in piegoline disordinate – il vento della sera intanto gli aveva irrigidito i muscoli del petto scoperto, vezzeggiandoli in una carezza fredda un po’ fastidiosa.
Poi, d’improvviso, le afferrò dolcemente il mento con una mano e la costrinse a fissarlo negli occhi: questa volta delineando una nuova passione, che non si limitava a una complicità maliziosa, ma che in fondo rispecchiava il rapporto intenso e eccitante che avevano avuto fin dalla prima volta che si erano parlati.
Voleva che le fosse chiaro, da quel momento, che il tempo delle provocazioni era finito, che stava suscitando il suo desiderio, e che lui l’avrebbe avuta.
Lui. Profumo, tabacco, pioggia, pelle.
«Oh, non ti devi preoccupare; cercherò di resistere almeno fino al dessert...»
Concluse con voce più roca, mentre faceva scorrere la mano dal mento alla sua gola, invitandola a piegare la testa di lato, per accarezzare piano quella pelle tenera. Senza mai sconcentrarsi, posò le labbra su ciò che aveva appena sfiorato, e prese a lasciare baci lenti e umidi sul sentiero tracciato dalle dita. Sfiorò col naso la base del collo, lambì con la lingua i contorni delle sue clavicole. Poggiò la mano sulla sua schiena, attirandola a sé in modo che i loro corpi sfregassero l’uno contro l’altro – il suo petto nudo contro il soprabito caldo di lei – quindi posò la bocca sulla sua e la succhiò dolcemente, per lasciarle il segno del passaggio.
Sapone, profumo, pioggia, pelle. Lei.
Alla fine la distanza tra loro era stata colmata.
«Nel dubbio, ho pensato che avresti gradito un aperitivo» le sorrise con falsa ingenuità e si morse il labbro in un gesto provocante, per riassaporare il sentore dolce della sua bocca sulla propria.
Sciolse la presa e, dopo averle donato una nuova carezza, cercò la bacchetta nella tasca del pantalone. La strada ormai era silenziosa come una tomba e la luna la inondava con la sua luce d’argento. Mosse il polso con morbidezza e d’improvviso i loro vestiti tornarono perfettamente integri; ogni elegante costrizione fu ripristinata e Dorian riacquistò il consueto fascino.
Terminò l'allacciatura dei bottoni come se nulla fosse capitato, combattuto tra la voglia di apparire elegante e l'inconscio desiderio di strapparsi via gli abiti del tutto, per tornare a sentire il tocco della pelle nuda di Atena sulla propria.
Nel silenzio le case sembravano tante teste addormentate, indifferenti al chiarore tremolante che istante dopo istante si irradiava dall’alto scivolando giù dal cielo. Qualche lampione era acceso, e si poteva quasi sentire il brusio sommesso degli insetti che vi ronzavano attorno, affamati di luce.
«Se non ricordo male il ristorantino di cui ti parlavo dovrebbe essere proprio qui dietro…»
Ricordava distintamente il piccolo edificio dalle pareti color cipria situato all’intersezione tra Diagon e Notturn Alley. Nonostante fosse un bistrot semplice, la cucina non mancava mai di eleganza e aveva sempre quel non so che di caratteristico. Sostanziosa e nutriente, evocava insieme i piaceri del palato e quelli dell’amore.
«Che sciocco! Non ti ho chiesto, ma magari avevi altri piani... o altri appetiti...» la puzecchiò divertito, iniziando a camminare al suo fianco.

Lils, scusami per il ritardo enorme, ma qua è una giostra e volevo prendermi tutto il tempo per risponderti ben benino! (Ho cercato di farmi perdonare. )
Ricordo che il nostro annuncio è ancora valido: se qualche malintenzionato vuole contribuire a rendere la ronda più intrigante si senta libero di contattarci. Tecnicamente stiamo ancora procedendo verso il ristò. :gelato:


Edited by Dørian - 7/9/2017, 22:03
 
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view post Posted on 19/9/2017, 15:29
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Nyctophilia
Lentamente, vincendo una naturale titubanza, Dorian alzò lo sguardo. Per un brevissimo istante i suoi occhi sembrarono mostrarsi senza difese, rischiarati di una fragilità rara, sino a quel momento rimasta celata in qualche antro di un mondo sconosciuto. Atena sollevò piano una mano e con delicatezza gli accarezzò la tempia con il dorso dell’indice. Pochi secondi, un solo singhiozzo senza tempo.
Lo osservò mentre lui, con finta noncuranza - un atteggiamento che la faceva sempre sorridere, come si fa davanti ad un bambino un po’ troppo sicuro di sé - si sistemò l’allacciatura della giacca. Le sue dita scorsero lungo il bordo, un bottone per volta, ed alcuni granelli di polvere scivolarono pigramente lungo la stoffa, posandosi poi su altre pieghe, più in basso.
Alzò lentamente il viso quando lui cercò nuovamente il suo sguardo, sobbalzando appena per il modo in cui l’aria sembrò improvvisamente condensarsi intorno a loro, svelando i contorni netti di qualcosa che la giocosa complicità del loro rapporto aveva sinora tenuto offuscato. Di qualcosa che, nonostante tutto, era sempre stato presente. Piegò il capo di lato, accogliendo la sua carezza, sorprendendosi di come la sua pelle sembrasse aspettare il suo tocco, e chiudendo gli occhi lasciò che le sue labbra tracciassero un percorso lungo il collo. Lento. Caldo. Preciso. I loro sguardi si incontrarono di nuovo, spogli da ogni esitazione – eppure, Atena sentì qualcosa tremolare in lei, come la titubanza di una difesa ora lasciata a sua volta cadere; poi le posò una mano sulla schiena e l’attirò a sé. Il suo profumo l’avvolse, inebriandola, e seguendo un istinto - quasi un bisogno - naturale avvicinò il viso al suo e con le labbra gli sfiorò l’angolo della bocca; indugiò alcuni istanti, respirando il suo stesso respiro. Dorian si avvicinò ulteriormente. Labbra morbide contro le proprie, sapore di lui, nient’altro. Mosse a sua volta le labbra, rubando una goccia di rugiada da uno stelo, dolcemente, in un bacio che solo alla fine si concesse un fremito più intenso.
Non vi era più alcuna distanza, tra loro, quando infine si scostarono.
Lui le sorrise, ostentando una finta innocenza, e la velatura che aveva reso lucido lo sguardo di Atena lentamente si dileguò, come le nuvole spesse si erano lentamente dileguate, sopra di loro, lasciando il posto alla luce tenera della luna.
«Non male per un moribondo» sussurrò, specchiando sulle labbra lo stesso sorriso che aveva incrinato quelle di lui. Si sciolse quindi dal suo abbraccio, facendogli scivolare le mani sulle spalle e sul petto – un tocco caldo attraverso la stoffa sottile della camicia, in un gesto che inconsciamente voleva prolungare quel contatto e la sensazione del suo corpo contro il proprio – mentre il mondo che li circondava tornava ad esistere intorno a loro.
Si voltò verso il vicolo e a quanto era rimasto della parete crollata. Lo spettacolo era alquanto desolante; la pioggia aveva lasciato un velo di lucida trasparenza sulla superficie irregolare delle pietre e rettangoli tremolanti riflettevano la debole luce che proveniva dai lampioni vicini, rendendole quasi iridescenti. Ora, nel bagliore silenzioso della luna, somigliavano quasi ad antiche rovine, addormentate nella pace che solo l’immobilità riesce a conferire. Atena respirò a pieni polmoni l’aria fresca della notte, provando, in quel momento più che mai, il bisogno di sentire nuovamente i piedi ben saldi a terra e i pensieri tornare al loro ordine.
La voce di Dorian le fece riportare l'attenzione su di lui. I vestiti erano tornati integri, preziosi nella loro consueta eleganza, conferendogli un’aria di pulita compostezza. Il suo stesso volto sembrava aver riacquistato colore, abbandonando il pallore e la prostrazione causata delle ferite. Ne fu sollevata.
«Va bene, fai pure strada» rispose al suo invito. Non conosceva molti locali nelle immediate vicinanze in cui si potesse consumare un pasto decente; Nocturn Alley brulicava di pub e locande, ma si trattava per lo più di luoghi malfamati, locali dalle mura spesse e poco illuminate, frequentati da gente poco raccomandabile ed impregnati dell’odore acre di fumo e sudore. Decisamente non i posti più adatti al loro scopo. Si fidò quindi di Dorian, il cui buon gusto raramente falliva.
Iniziò a camminare con passo sicuro al suo fianco.
«Non così in fretta, Mr. Midnight» rispose alla provocazione, stuzzicandolo a sua volta «Sono ancora in tempo per cambiare idea. Ti ricordo inoltre che a quest’ora, tecnicamente, dovrei - dovremmo - essere al lavoro» lo rimproverò, ma la sua espressione rivelava che stava soltanto giocando. Poi, arrestando il passo come ricordandosi di qualcosa di importante, aggiunse «Piuttosto, dove sono finite le buone maniere?» gli porse una mano, invitandolo a porgerle a sua volta il braccio, come si confà ad un gentiluomo. Divertita si morse un labbro, sovrappensiero, e il sapore di lui tornò a invaderle la mente.

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