In nomine Muffin, Privata

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view post Posted on 15/6/2017, 22:18
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Osservare le linee che dividevano le pietre del soffitto era una pratica a cui William aveva fatto l'abitudine, non senza una certa riluttanza. Che fosse noioso lo aveva sempre saputo ma adesso la questione si era fatta anche frustrante. Ritrovatosi insonne e con una mente iperattiva, aveva imparato a riconoscere le curve sbilenche di quelle sagome grigiastre, gli angoli delle pietre nonché le variazioni di colore. Se prima poteva pretendere di dare un senso a quel passatempo, adesso non aveva alcuna scusante per perseverare. Lo sguardo spento andò fugacemente a cercare la postazione di Von Kraus per poi virare in direzione delle lancette dell'orologio, paralizzate qualche minuto dopo la mezzanotte. La sua assenza non era un'eccezione, di recente sembrava poco predisposto a rispettare il coprifuoco - qualora lo fosse mai stato. Wolfgang, invece, non era neanche da contemplare. Ammesso e concesso che tra loro vi fosse qualcosa in comune, inclusa la possibilità di dar vita alla più casuale delle conversazioni, la matricola era solita entrare in cancrena cerebrale al passare delle undici e trenta, puntuale come le idiozie di Levine. Non rimaneva che sforzarsi, incrociare le braccia dietro la testa e e pensare a qualcosa di noioso; ad esempio la sua partecipazione al corso speciale di Barrow, il ripasso del Gargollo sembrava una buona base di partenza per stimolare la necrosi dei neuroni. Dovette ricredersi. Il primo ricordo che balenò nella sua mente fu il rinnovato cameratismo con Minotaus, straordinariamente capace nel tirar fuori il suo sadismo complice in un frangente che stava portando William a perdere ogni interesse per quel corso. Fu poi il turno delle due Tassorosso, Hydra e Moran, entrambe sul piede della competizione, facili prede per un manichino affettuoso ma sfortunatamente non ricambiato dalla signorina Thalia. Quel ricordo in particolare dipinse sul Serpeverde un ghigno divertito.
La fiamma della candela iniziava a vacillare, scomodando le ombre della mobilia che - costrette - avevano preso a danzare nella penombra del dormitorio. Queste lo aiutarono a distrarsi, giusto il tempo di ripercorrere il suo bagaglio culturale al fine di accertarsi se vi fosse un incanto adeguato all'autostordimento. Fermato l'indice dei suoi pensieri per un istante, Black si ritrovò a scuotere lievemente il capo nel costatare che infliggersi volontariamente uno Stupeficium non sarebbe stata una grande trovata, anche qualora avesse avuto le competenze per esercitare lo schiantesimo. Decise dunque di tornare a Barrow e la sua classe, speranzoso di trovare nella parte teorica quella nota di morfina che fino a quel momento era venuta a mancare. Le argomentazioni erano state disparate, forse troppo vaghe per trovarvi un senso. Troppi studenti avevano espresso il loro parere, pochi in maniera pertinente, tutti spaziando in concetti troppo ampi per godere anche solo del privilegio del dubbio. Era sulla buona strada, l'ondeggiante percorso che lo avrebbe condotto a Morfeo se solo, in quel panorama immerso nelle tenebre, luminoso non avesse fatto la sua comparsa quel Muffin. lo studente sgranò gli occhi nel sentire quella snervante sensazione provenire dalla bocca dello stomaco. Ad un passo dall'ambito sonno, la richiesta di soccorso del suo intestino si fece pian piano assillante. Eloise, col suo maledetto dolce con scaglie di cioccolato, era riuscita a rovinare un momento prezioso; fastidiosa anche a distanza, senza distinzione di orari. Seguire l'orgoglio e rifiutare quel muffin gli era costato più di quanto avesse mai potuto mettere in preventivo. Ricercò l'autocontrollo, consapevole di come non fosse l'orario per uno spuntino e di quanto la situazione si fosse fatta surreale. Lo stomaco parve dissentire, affiancato dall'indisponente inumidirsi delle fauci. Aveva perso il controllo e, senza neanche rendersene conto, aveva già messo i piedi fuori dal letto. Senza alcun preavviso, era cominciata l'aspra diatriba tra il senso di responsabilità - che voleva imporgli di attendere la colazione del giorno seguente - e il pensiero cardine delle dodici e ventiquattro: il maledetto muffin.
Davanti a lui si dipinsero due scenari perfettamente nitidi. Nel primo il volto cinereo di Emily faceva sovrano, mostrando senza fronzoli il suo disappunto nel vedere i punti della propria casata diminuire a causa di una gita nelle cucine non programmata da parte dello studente modello William Black. Nel secondo si affacciava sfuggente la curiosità di ricercare quell'assurdo morbo che lo spingeva con cotanta ferocia a spezzare ogni logica al fine di soddisfare quel desiderio. Senza neanche troppe sorprese, fu quell'ultima visione ad avere la meglio. Non gli capitava spesso di avere occasione per esplorare certi lati della sua psiche o, più semplicemente, ogni scusa sarebbe stata sufficiente a placare il brontolio delle sue viscere.


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Inizialmente gli era parsa convincente l'idea di muoversi per i sotterranei in tenuta da notte, del resto il piano era quello di non farsi scoprire da anima viva, non era contemplato che qualcuno lo vedesse in ogni caso. Fortunatamente comprese di non essere disposto a perdere la faccia due volte nell'arco del medesimo quarto d'ora. Con la camicia bianca infilata nei pantaloni solo per metà ed un prezioso mantello della disillusione a coprirlo da occhi indiscreti, William si faceva strada lungo le scalinate che conducevano alla Sala Comune Tassorosso. Fu lungo il tragitto che trovò il quadro incriminato, quello di cui aveva sentito più volte parlare proprio durante i pasti. Tenendo la luce del Lumos quanto più fioca possibile, non gli era stato facile riconoscere quel dipinto. La scelta di usare una natura morta gli suonò tremendamente banale ma di certo aveva semplificato a coloro che erano venuti prima di lui la ricerca. Individuato il frutto - senza nascondere riluttanza e scetticismo - Black si trovò a solleticare la pera osservando con stupore i suoi effetti. Entrambe le sopracciglia del giovane si inarcarono nel vedere l'apertura affacciarsi al suo sguardo. Chiunque avesse pianificato il castello era semplicemente un'idiota. Fece dunque capolino all'interno delle Cucine mentre una domanda impulsiva si stagliava tra i suoi pensieri: ci era mai stato? Quattro anni ad Hogwarts e non era mai stato incuriosito dall'interno di quella struttura. Quotidianamente gli elfi sfornavano pasti elaborati per docenti e studenti di tutto il castello e il ragazzo comprese di non aver mai assistito in prima persona a quelle meccaniche. Gli risultò difficile non rimanere arenato in uno di quegli stupidi indovinelli: quanti elfi servono per preparare un cenone?
La punta della bacchetta si affacciò con discrezione dall'apertura del mantello, lasciando al Serpeverde la scelta di tempo necessaria a sancire il suo primo sguardo in quel luogo.La luce della bacchetta fu appena sufficiente ad illuminare parte della stanza e a delinearne i contorni. Era più grande di quanto avesse immaginato così come anche meno disordinata; difficile capire quanto in largo arrivasse la rigidità della Bennet ma era possibile che - grazie a quell'ordine - la sua ricerca avrebbe avuto vita breve. Non ne era certo ma gli sembrò di ricordare più di un vassoio ricco di dolci durante la cena e di certo la quantità di scarti giornalieri non era diminuita dagli anni precedenti. Curioso che William non fosse stato colpito da quella voglia molesta in quel momento, trovò quasi sadica la decisione del suo stomaco di far vivo quel desiderio proprio a quell'orario. Trovatosi a quel punto, era inutile tergiversare. Avvalendosi del Lumos, il ragazzo si accorse della presenza dei quattro tavoli, di dimensioni pari a quelli della sala grande. Comprese solo in quel momento che le cucine si trovavano perfettamente sotto la Sala Grande; fu chiaro allora che quei tavoli erano una sorta di passaporta per il cibo, ciò che dava senso all'apparizione delle pietanze all'interno della sala sopra di lui. Quei tavoli vuoti non potevano essere lontani dalla dispensa, ammesso che ve ne fosse una. Valeva la pena continuare, era ormai a un passo da quel muffin.

 
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view post Posted on 4/7/2019, 17:29
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Mya J. Lockhart
« Dormitorio Tassorosso - Cucine - Primi di giugno »



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All’interno di un corridoio fiocamente illuminato, si muovevano silenziose due creature.
Una più alta ed esile camminava al fianco di una seconda più bassa e quasi deforme. Due universi lontani che si erano trovati nella maniera più stramba.

Opi era un elfo domestico, che era stato abbandonato nella foresta nera in tenera età, e poi successivamente adottato dalla scuola. Portava sul volto i segni di quelle notti di vulnerabilità, in balia dei mostri che abitavano il folto del bosco. Si era salvato imparando a diventare silenzioso, immobile e quasi camaleontico. Si era adattato fin da subito, con paura certo, ma anche con volontà di sopravvivere. Questo aveva destato fin da subito l'attenzione della tassorosso, quando quella notte, allertata da un rumore sinistro, si era ritrovata faccia a faccia con quel piccolo mostriciattolo nascosto, o per meglio dire appostato, sotto al suo letto. Sapeva che gli elfi avevano il potere di materializzarsi un po’ ovunque, ma scoprirlo in quel modo le aveva comunque fatto perdere qualche anno di vita. L’elfo non si era messo a gridare fortunatamente, ma il suo agitarsi aveva creato comunque scompiglio in tutto il dormitorio. Mya aveva tranquillizzato le concasate ancora stordite dal sonno, e cercando di non farlo agitare ulteriormente aveva cercato di trascinarlo fuori. Ma la creatura si era dimenata più volte, raccogliendo le braccia smagrite attorno alle gambe e tornando ad assumere l’aspetto di una grezza pietra sbozzata e con le orecchie. Ripeteva bisbigliando « grembiule» irritando ancor di più la ragazza, che oramai aveva del tutto perso il sonno. Decisa a riportare quella creatura negli alloggi della servitù, Mya si infilò per metà di pancia sotto al letto, accendendo un lumos ma senza puntarlo direttamente verso la creatura. Seppure raggiunto da una luce fioca la tassorosso riuscì a scorgerne il gran numero di cicatrici che gli deturpavano il viso. Non che gli elfi eccellessero in bellezza, ma Opi era davvero bruttino persino per un elfo. Ed era...nudo. Quando la ragazza se ne accorse l’elfo si ritirò ancora più indietro, verso il fondo del letto, imbarazzato e vulnerabile. Così Opi si sentiva.« Grembiule» ripeté, e quelle parole finalmente assunsero per la ragazza un significato più specifico. La domanda era, come fosse potuto finire in quella stanza, un indumento tanto sudicio e inutile come il grembiule di un elfo domestico? Forse uno scherzo studentesco si rispose. « Opi rivuole il suo grembiule » asserì ora con un tono più deciso, quasi agguerrito, un tono così inusuale per uno della sua specie da accendere in Mya uno strano interesse.
« Io non ho il tuo grembiule… Opi » rispose, permettendosi una certa confidenza, sperando che questo bastasse a calmare l’elfo derubato. « Chi è stato a farti questo? Uno studente ? » sapeva di maltrattamenti continui agli elfi, motivo per il quale l’accesso alle cucine era stato interdetto agli studenti da secoli e l’entrata era stata codificata nell’assurdo atto di un solletico su tela che pochi conoscevano. Alquanto discutibile come misura di sicurezza ma aveva comunque limitato i soprusi.
« No, è stata l’ombra nera con occhi luminosi, ombra ha preso il grembiule buono di Opi e non lo vuole restituire » Mya, con i gomiti poggiati ancora a terra, si massaggiò le tempie ormai sfinita dal pensiero del sonno perso e di quello che stava perdendo, presa nelle avventure di un elfo un po’ matto. Buttò fuori un respiro più profondo e con ritrovata calma chiese alla creatura di descrivergli l’assalitore e la dinamica del furto. *Sherlock Holmes, versione bassifondi * pensò appuntando mentalmente tutti gli indizi forniti, fin quando la storia, per quanto assurda, assunse un barlume di senso. L’ombra che l’elfo aveva visto avvicinarsi era un felino, e se la materializzazione lo aveva condotto lì, con tutta probabilità stava parlando di Midnight, il suo gatto. A quanto raccontava il gatto aveva cercato di afferrare il grembiule dell’elfo, strattonandolo dalla tasca che questi aveva sul davanti, e dopo un tira e molla di diversi minuti Midnight aveva avuto la meglio e se ne era andato tutto soddisfatto col suo bottino fra i denti. Che cosa lo avesse portato ad un simile gesto era un mistero, quel gatto aberrava i contatti sociali quasi più della sua padrona, quindi a che pro lanciarsi in un confronto diretto con una creatura di poco più grande?
Mya, ragionato dunque sui fatti, aveva chiesto all’elfo di aspettare ancora un momento sotto al letto mentre cercava il suo prezioso tesoro. Midnight dormiva come sua strana abitudine sul baldacchino del letto, e lì solitamente portava tutte le sue conquiste di giornata, costringendo la tassina ad un controllo costante. Puntò dunque la bacchetta a mezz’aria richiamando mentalmente il pezzo di stoffa con un incantesimo di appello. Ci mise tre o quattro secondi ad arrivare come se qualcosa, o meglio qualcuno, lo avesse trattenuto. Un secondo dopo infatti vide comparire la testa del suo gatto da sopra al baldacchino, con un’espressione decisamente contrariata, un
“me la pagherai” lampeggiava vivido nei suoi occhi, luminosi come li aveva descritti l’elfo.
La tassorosso si osservò dunque la mano sinistra nel quale stringeva il logoro pezzo di tessuto, che scoprì essere in realtà una maglietta da bambini che l’elfo legava per le maniche alla vita come un grembiulino. Era tutto strappato dagli artigli del felino, che aveva divelto la piccola tasca per raggiungere quello che c’era all’interno, e Mya si sentì in parte responsabile per quell’inconveniente. Gli elfi erano assoggettati agli esseri umani, ma questo non poteva privarli della loro dignità, per quanto misera fosse nelle loro esistenze.
Così aveva proposto all’elfo uno scambio con qualcosa di simile che aveva, una sciarpa o una maglia di quidditch, ma Opi aveva rifiutato quasi con spavento per quell’offerta che a Mya appariva alquanto normale. Fortunatamente la tassorosso aveva un piano B, ma per metterlo in atto dovevano raggiungere le cucine.
Opi dunque si era allacciato il suo grembiule divelto e, tutto soddisfatto, aveva seguito docile la tassorosso prima fuori dalla camerata, e infine dalla sala comune.

Il solito consueto gesto sul quadro e la porta della cucina si aprì, lasciando entrare i nuovi ospiti.
La cucina era ancora avvolta dalle tenebre, ma l'elfo schioccò le dita e la prima torcia si incendiò, seguita poi da tutte le altre disposte lungo il perimetr. La cucina si dimostrò da subito sgombra e impeccabilmente ordinata, preoccupantemente impeccabile come ogni volta. Mai una pentola fuori posto o una macchia di sugo sui banconi da lavoro, niente di niente. Gli elfi meritavano davvero il riconoscimento di un lavoro ben fatto. E solitamente era lei quel Chaos che arrivava per mettere disordine, quando nelle notti insonni si chiudeva in quella cucina per ripassare pozioni e sperimentare in tranquillità, disperdendo sostanze qua e là. Ma quella notte no, l’incognita quella notte non era lei, né l’elfo.
Era una figura di spalle che avanzava fra i lunghi tavoli, sorpresa dal buio che fino ad un secondo prima aveva avvinto la stanza. Sulla punta della sua bacchetta un flebile lumos ancora persisteva, oramai reso totalmente inutile. Non aveva idea di chi fosse, né perchè fosse lì a tarda notte, dopotutto non era qualcosa che la riguardava. Le cucine per molti erano una zona neutrale, un luogo libero in cui si poteva fare un po’ quel che si voleva fintanto che si rispettavano le regole comuni del vivere civile. E soprattutto la regola base vietava l’uso della magia.
A meno che non si volesse far scattare un incantesimo che allertava repentinamente i professori.
Zona neutrale.
Ma perchè privarsi del piacere di sorprendere qualcuno?
« Ti consiglio di spegnere la bacchetta, se non vuoi goderti lo spettacolo di un Peverell in sottoveste » lo avvisò, prendendo posto vicino al tavolo più esterno e distante dalla posizione del ragazzo. Il piccolo elfo al suo fianco quasi non si vedeva oltre il limite dei tavoli, ma la seguiva trotterellando.
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Edited by mmmmmh - 4/7/2019, 18:44
 
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view post Posted on 9/7/2019, 12:06
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serpeverde IV anno 18 anni
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A muffin, a muffin... my kingdom for a muffin
William Black
Il grosso era fatto. Ormai all'interno delle cucine, William aveva poco da temere. Durante la sua carriera di prefetto nessuno gli aveva mai accennato al fatto di dover inserire certe zone del castello nel suo percorso di ronda notturna. Si tolse il mantello della disillusione, maledicendo ancora una volta il suo creatore per averlo reso eccessivamente caldo e pesante; quasi lo poggiò su uno dei quattro grandi tavoli presenti ma venne fermato dalla paura di vederlo smaterializzarsi al piano di sopra. Non sarebbe stato facile spiegare come un mantello della disillusione fosse finito sul tavolo dei Tassorosso prima dell'arrivo degli studenti. Si limitò dunque a poggiarlo su uno dei piani di lavoro della cucina per poi rimboccarsi le maniche e cominciare la ricerca. C'era un silenzio terapeutico, il castello - sempre in costante movimento - era finalmente immobile, al punto che quasi il giovane pensò di essere l'unico all'interno dell'intera struttura. Era una sensazione piacevole che ben si mescolava al profumo di pulito di quella stanza. Con quelle basi, una ricerca notturna non doveva essere poi così male. Peccato non avesse la più pallida idea di dove gli elfi tenessero le provviste o gli avanzi della sera. La cucina era così asettica e pulita da risultare dispersiva, non vi era la minima macchia o briciola che potesse indicare la presenza di questo o quell'altro ingrediente. I muffin - o in loro vece qualcosa di dolce - erano il chiaro obiettivo del Serpeverde e forse quel desiderio così nitido poteva essere la chiave di volta della sua ricerca. A patto che gli avanzi non fossero stati portati misteriosamente altrove, un incantesimo d'appello poteva fare al caso suo. Anche qualcosa di fisico avesse impedito il corretto percorso, con quel silenzio non sarebbe stato difficile trovare un indizio nel tonfo causato dall'impatto del dolcetto. Alzò la bacchetta in direzione di ciò che a parer suo assomigliava più una dispensa ed era pronto a lanciare l'incantesimo quando il repentino illuminarsi della stanza lo colse completamente di sorpresa, paralizzandolo e suscitandogli un lungo tremore che drizzò ogni singolo pelo del suo corpo. Un paio di secondi dopo e una voce femminile lo ammonì, concretizzando le sue paure di essere stato colto in fragrante. Non sarebbe stato facile trovare una scusa attendibile che giustificasse la sua presenza in cucina a tarda notte.
Si voltò lentamente, cercando di mantenere tutta la sua flemma e la sua compostezza. La sua mente era un traffico di pensieri che si muovevano avanti e indietro, molti dei quali assolutamente fuori dalle norme del buon senso. Obliviare il Prefetto, Caposcuola o Docente che fosse, stordirlo con uno schiantesimo, recuperare il mantello della disillusione e sperare nella cecità altrui; erano tutti piani che non avrebbero portato da nessuna parte ma gli bastò osservare la figura che aveva davanti affinché la sua mente tornasse ad una piatta calma. Mya Lockhart in compagnia di un elfo domestico seminudo, uno spettacolo tanto bizzarro quanto curioso, abbastanza curioso da spingere Black a volerne sapere di più.
Solo a quel punto il giovane metabolizzò la frase che aveva appena sentito. Non aveva idea di come il suo Lumos e la presenza di Peverell potessero essere collegate, non sapeva delle contromisure che il corpo docente aveva preso a proposito delle cucine ma in ogni caso non aveva alcun senso tenere attivo il suo incanto ora che le luci erano state accese. Come se non bastasse, il fatto che la ragazza fosse accompagnata da un elfo domestico e che si fosse accomodata con nonchalance, le conferiva una certo credito. «Nox.» La luce scaturita dalla punta della bacchetta si disperse in un fumo ascendente di particellari mentre l'espressione attonita del ragazzo si faceva pian piano più fredda e imperscrutabile. Per quanto ne sapeva, Mya non era un prefetto né le sembrava una particolarmente ligia ad un ferreo regolamento disciplinare; il fatto che poi anche lei non sembrasse voler attirare l'attenzione del preside, sembrava un chiaro indizio di come entrambi potessero condurre i loro affari senza che la notizia facesse il giro del castello. Ripensò all'ultimo incontro degno di nota con la Lockhart e ne rammentò il suo atteggiamento piccate, sicuramente giustificato dalle provocazioni di cui il Serpeverde era solito armarsi; di certo però la ragazza sembrava saperne più di lui sulle cucine e la presenza di un elfo superpartes non poteva che avvalorare quella tesi. La conclusione gli piombò sulla testa come un mattone: aveva bisogno di lei se voleva districarsi da quell'impaccio alimentare ma non era altrettanto sicuro di poter tenere a bada il suo sarcasmo. Racimolate le idee, non gli restò che sfoderare uno dei suoi sorrisi di circostanza e cercare di mettere le basi per una conversazione fruttuosa. «Le sottovesti variopinte di Peverell sono sempre un piacere per gli occhi - una breve pausa, il tempo di muovere un paio di passi verso la coppia - ma immagino sia meglio rimandare ad un'altra occasione.»
Probabilmente, che William avesse fame e volesse un muffin, a Mya non poteva importar di meno ma il Serpeverde non era altrettanto disposto a passare per idiota. Doveva trovare un modo per avvalersi del suo aiuto senza necessariamente passare per un ladro notturno di provviste. Incapace di trovare una risposta decente ai suoi stessi quesiti, il giovane pensò bene di prendere la cosa alla larga; ciononostante non riusciva a distogliere l'attenzione dall'elfo.
«Tu e il tuo compagno - si morse la lingua, decisamente non era in grado di frenare il suo sarcasmo - sembrate saperne più di me sulle cucine.»
Se aveva intenzione di porre la discussione su un piano quantomeno complice, se l'era giocata con l'ultima sparata. Tanto valeva cercare di distogliere l'attenzione, ammesso che fosse possibile.
«Non avete l'aria di chi ha un languorino notturno. A cosa devo la vostra compagnia?»

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view post Posted on 12/7/2019, 16:20
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Mya J. Lockhart
« Cucine - Primi di giugno »



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Quella serata aveva deciso di toglierle le ultime due cose che oramai davano una parvenza di normalità alla sua frenetica esistenza. Il sonno e la salute mentale.
I due fattori, se perfettamente combinati, le permettevano di allentare la tensione mentale accumulata durante le giornate (che oramai trascorreva chiusa in biblioteca o nelle aule di allenamento), di scaricare lo stress e far riposare fisicamente il corpo. E quando avveniva questo rilascio assoluto di endorfine, la ragazza riusciva a risvegliarsi al mattino con rinnovata carica, energica positività e senza quel bisogno ingestibile di portare morte e distruzione ovunque lei andasse.
Quella notte sfortunatamente la ragazza non avrebbe potuto giovare né dell'uno, né dell'altra. Lo aveva capito una mezz'ora prima, quando si era ritrovata a risolvere i casini causati dal suo gatto e dal suo bisogno di molestare gli elfi domestici, denudandoli.
Il sonno poi non si era dimostrato un alleato caparbio e ostinato, levando fin da subito le tende e lasciandola in uno stato di incredibile lucidità, fra le braccia di una vecchia amica, l'Insonnia. L'aveva combattuta strenuamente per anni, riuscendo a vincerla solamente portando il corpo allo sfinimento. Ma era bastato un momento di distrazione e lei si era ripresentata alla porta, con le sue due borse piene di pensieri ed elucubrazioni, decisa ad intrattenerla fino all'alba.

Il destino, spassoso amico dell'insonnia, le aveva però presentato un diversivo interessante.

Mya lo aveva osservato un istante più a lungo, prima di avvicinarsi alle sedute. Il ragazzo si era bloccato come un gatto che si ferma nel mezzo della strada, sorpreso dalla luce improvvisa e dalla sua voce, evidentemente inaspettata. Quale che fosse il motivo che lo aveva condotto nelle cucine, accompagnato dal buio e la solitudine, non doveva essere nulla di estremamente corretto, considerato il suo atteggiamento da ladro circospetto. Poco dietro la sua figura infatti era stato lasciato un mantello, che la tassorosso riconobbe a colpo d'occhio come l'artefatto più in voga degli ultimi anni. Oltretutto ne possedeva uno anche lei, un mantello vinto anni addietro in un torneo e mai sfruttato se non per nascondere oggetti al suo interno. Ma alla ragazza non riguardava, qualsiasi intenzione il ragazzo avesse ne avrebbe eventualmente pagato le conseguenze in prima persona, senza che lei sentisse il bisogno di fare la paladina della giustizia suprema. L'importante era impedirgli di usare la bacchetta a qualsiasi costo, o sarebbero stati sbattuti fuori entrambi e lei avrebbe dovuto cercare un posto migliore. Che a dirla tutta, non esisteva.
Distolse lo sguardo dal tipo mentre si avviava a prender posto sullo sgabello di legno, rimuginando fra sé circa l'eventualità di conoscerlo. I suoi tratti solleticavano la memoria della tassorosso che ne riconobbe la figura come quella di un serpeverde, di un anno più piccolo di lei (ma decisamente più fortunato in statura). Ma più che i suoi tratti, causa distanza e scarso interesse, fu la sua voce a riportarla ad un momento e un luogo esatti, il lago di Hogwarts, al ballo di un anno prima. Ricordava con fastidio quel momento, se non per la presenza diretta del ragazzo, per tutto il corollario di sentimenti che aveva dovuto affrontare quella sera. Il serpeverde era stato semplicemente la ciliegina sulla torta, finito per sfortunata sorte ad incappare in quell'essere odioso fuso come una Dafne ad un albero. Non ci era andata leggera con le parole, e ancor meno con i gesti, lo ricordava bene, per questo si stupì nel constatare che il ragazzo le rivolgeva la parola con estrema tranquillità.
* Probabilmente non ti ha riconosciuta * si era detta, avvalendosi di quella ipotetica parentesi di assoluzione. Il serpeverde d'altro canto, dopo aver accettato il fatto che la cucina fosse regolamentata da leggi non scritte, non aveva ripreso i suoi piani, quali essi fossero. Bensì aveva cambiato obiettivo e si era mosso nella sua direzione di qualche passo. Segnale di interazione, lampeggiò un allarme nella mente della tassorosso, che nel frattempo dissimulò egregiamente il fastidio dispiegando sul tavolo da lavoro il contenuto della sua tracolla. Un lenzuolino ripiegato, tre rocchetti di filo, un puntaspilli a pois con gli ippopotami, una forbice dalla punta decisamente vistosa e tagliente e un tagliafilo dall'impugnatura rossa. Il kit del piccolo chirurgo, in versione più sadica e rude.
Mentre sistemava le varie cose, ricercando qualcosa nel fondo della borsa, ascoltò le parole del serpeverde, lasciandosi scappare uno sbuffo a metà tra scherno e divertimento. Senza sollevare lo sguardo, ma sicura che il ragazzo la stesse osservando, rispose – Sulle cucine e su una moltitudine di altre cose oserei dire, a giudicare dal modo in cui ti muovevi poco fa -
Il sarcasmo era una dote naturale che Mya non aveva mai saputo contrastare, e a dirla tutta non ne vedeva neppure il motivo. Perchè rispondere con un semplice “Sì” quando potevi aggiungere un alto dosaggio di saccenza e pessimo umore? E in quanto a sarcasmo quel ragazzo le era (quasi) pari, seppure il suo fosse mascherato abilmente dietro un atteggiamento più serioso e di apparente eleganza. Meno diretto e spregiudicato, ma altrettanto sottile. Poteva anche essere un divertente break, glielo concedeva.
Alla nuova domanda però stranamente Mya non si portò sulla difensiva come faceva al suo solito. Un
“niente che ti riguardi” premeva sulle labbra come la battuta letta e riletta di un copione scopiazzato di un'opera che nessuno guardava più, eppure qualcosa la fermò. Qualcosa che aveva lo sguardo accigliato e la voce della Alistine, un rimprovero sussurrato alla sua coscienza, conseguenza forse del loro incontro ad Ars Arcana. Aveva deciso di provare, se non a cambiare (cosa che vedeva davvero molto improbabile) almeno a lasciare una feritoia aperta su quel muro che poneva sempre a priori fra lei e il resto del mondo. Una possibilità, che avrebbe potuto portare oltre la porta ulteriori fastidi e delusioni, ma lo doveva a quella tacita promessa.
- Un debito da ripagare, più o meno – si limitò a rispondere e con un cenno del viso indicò l'elfo al suo fianco, che piccolo nella sua massacrata figura la osservava annuendo. - Confidavo nella luce e nel silenzio, ma immagino che non si possa avere tutto – di nuovo il sarcasmo, irrinunciabile, e le pietre che ammassandosi puntavano a sigillare nuovamente il muro tenendo il mondo al di fuori. Quella voce tornò a prendere a sberle le sue sinapsi, convincendola a fare di meglio.
La tassorosso afferrò dunque il piccolo lenzuolino ripiegato sul tavolo e distendendolo con le braccia lo lasciò cadere sopra l'elfo disorientato, che si agitò cercando di tirare fuori la testa. Mya allungò le braccia lateralmente, a palmi aperti, indicando la piccola figura.
- Un numero di magia solo per lei Sir... - in quel momento realizzò di non ricordare affatto il nome del serpeverde, tanto brava con i visi e le voci, ma altrettanto distratta per nomi e affini. La sua mente evidentemente li classificava come informazioni superflue, e come tali le archiviava in un cassettino nascosto nella memoria, dal quale forse un giorno l'avrebbe tirato fuori. Magari risvegliandosi in piena notte con il pensiero
“Quel ragazzo. In cucina. Era William Black.”
Ma al momento quell'informazione le era negata e quindi la ragazza dovette camuffare quella scortese dimenticanza, velocizzando il ritmo della sua voce e riportando l'attenzione sull'anima dello show. - Stai per vedere un elfo nudo, un momento che capita una sola volta nella vita – disse con enfasi e convinzione la tassina, divertita dalle sue stesse parole e dall'espressione che a breve avrebbe visto dipingersi sul volto del ragazzo.
- Pronto? - agitò leggermente le mani, come un mago cialtrone pronto a far materializzare un coniglio da un cilindro.
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view post Posted on 19/7/2019, 21:25
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serpeverde IV anno 18 anni
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A muffin, a muffin... my kingdom for a muffin
William Black
La controrisposta della Tassorosso arrivò incalzante come un Riddikulus su un Molliccio, riuscendo a pizzicare il ragazzo che strinse i denti per non dare a vedere di esser stato colpito dalla frecciata. Cos'aveva il suo modo di muoversi che non andava? Di certo, avere delle competenze sulle azioni furtive in cucina non era per lui motivo di vanto. Avrebbe voluto dirglielo in faccia ma comprese immediatamente che avrebbe solo fatto la figura dell'idiota, colpito e affondato da una verità contro cui non poteva fare nulla: lei aveva la chiave per i Muffin, lui no. Ora che anche l'Accio gli era stato precluso, l'unica alternativa rimastagli era quella di mettere a soqquadro la cucina alla ricerca del dolce perduto ma anche così avrebbe finito per mostrare alla ragazza tutta la sua inettitudine in materia. Raramente William si era trovato in una simile situazione di svantaggio, al punto che l'idea più allettante divenne presto quella di fare dietrofront e tornarsene in sala comune a mani vuote e con la coda tra le gambe; anche in quel caso avrebbe fatto una magra figura, era palese come fosse appena entrato e andandosene in quel modo avrebbe soluto suscitato una grassa risata. Per chiunque altro sarebbe stato di una semplicità disarmante, bastava chiedere: "dove li tengono i dolci?" e tutto si sarebbe risolto in una manciata di secondi. Ma Black no, lui non si sarebbe mai abbassato a tanto. Per il momento, poteva solo osservare la ragazza e ragionare sulla situazione fino a raggiungere un'illuminazione che poteva anche non arrivare mai.
Si guardò attorno, nella futile e reiterato tentativo di trovare qualche indizio che potesse svoltargli la nottata ma non trovò nulla di rilevante se non nelle parole di Lockhart. Il silenzio, anche lei sperava di essere sola e William non era che un ingombro indesiderato; questo era un dettaglio prezioso, qualcosa che poteva tornargli utile. La osservò svuotare il contenuto della sua borsa sul tavolo: forbici, tagliafilo, un lenzuolo, del filo per cucire e un puntaspilli. Quell'ultimo utensile, dalla vistosa forma di ippopotamo, gli fece aggrottare la fronte e appiattire le labbra: era ancora troppo ingenuo per capire che una ragazza, sebbene ricoperta da un involucro di misantropia, rimaneva pur sempre tale. Magari l'aveva beccata in qualcosa di privato, possibilmente non avrebbe mai mostrato quell'ippopotamo in giro, men che meno ad uno sconosciuto. Forse, come al solito, stava costruendo troppi castelli di carte. Che fosse la fame?

Ad ogni modo, quel set poteva voler dire solo una cosa: Mya voleva cucirgli un vestito da quel lenzuolo. Si trattava forse del suo elfo? L'avrebbe liberato dalla sua schiavitù? Era una parteggiante del C.R.E.P.A.? Mya Lockhart?
L'espressione corrucciata e dubbiosa del ragazzo rese palese la confusione che albergava nella sua mente. William aveva un'idea tutta sua sugli elfi domestici, conosceva le loro condizioni ma teneva in considerazione anche la loro volontà di volerci rimanere. Il C.R.E.P.A., di fatto, era mosso da intenti egoisti, tutti tipici dell'uomo: volevano cambiare a forza la natura di creature che - a detta loro - si trovavano benissimo a sguazzare nel servilismo. A parte rarissime eccezioni, gli elfi non volevano essere liberati, avevano uno scopo nella loro volontà di rimanere fedeli ai loro padroni; per quanto controverse, quelle creature sentivano il bisogno di ricevere degli ordini, qualcosa che per l'uomo era difficile da comprendere ma che non gli arrogava il diritto di prendere decisioni per loro. Quando si parlava di elfi, Black non poteva far a meno di pensare ai suoi elfi domestici e all'affetto che lo legava a loro. Se davvero Mya stava cercando di liberare quell'elfo, lui si sarebbe assicurato che fosse per volere della creatura stessa.

Era pronto ad intervenire quando l'udire le parole "elfo" e "nudo" lo paralizzarono. Con gli occhi sgranati e la schiena rigida, il Serpeverde si rese conto che presto avrebbe assistito ad uno spettacolo non richiesto. «A-aspetta!» Impose le mani in avanti, rafforzando un concetto già espresso a parole. «Se quell'elfo ti appartiene e gli cuci un indumento, sarà libero. È quello che vuole anche lui?»
Non tutti si ponevano quella domanda, in molti davano per scontato che chiunque volesse essere liberato dalla propria schiavitù, ignorando il fatto che nel mondo magico esistevano creature che la pensavano diversamente.
Nella concitazione del momento, mentre una goccia di sudore freddo scendeva dalla fronte del ragazzo, dal suo stomaco prese ad echeggiare un brontolio facilmente riconoscibile, forte al punto da riempire l'intera stanza. Poi il silenzio e l'immobilità generale.

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view post Posted on 24/7/2019, 15:35
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Mya J. Lockhart
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Adorava venir presa in parola, letteralmente. L'ambigua situazione era senza dubbio favorita dalla scarsa conoscenza che entrambi i ragazzi avevano l'uno dell'altro, ma osservare lo sgomento e il raccapriccio che vestivano il volto fine di Black fu un vero toccasana per quel cuore insonne. E anche un discreto spasso.
Con le mani tese in avanti, a proteggere gli occhi da una visione disturbante e indesiderata, il serpeverde perse in parte la compostezza che fino a quel giorno gli aveva visto indossare, sostituendola con una rigidità di allarme. Alcuni stomaci erano evidentemente meno forti di altri, e le diversità un problema insormontabile. Cosa poteva avere mai di tanto diverso un elfo da una nonno novantenne raggrinzito e piegato dall'età?
La ragazza afferrò il telo con convinzione, come se non volesse sentire obiezioni al riguardo. Lo agitò un poco, confondendo con quel movimento il piccolo elfo che in tutta risposta cadde a terra sul sedere, sempre coperto dal lenzuolo come un fantasma. - Scusa Opi – gli disse offrendogli delicatamente la sua mano come supporto per rimettersi in piedi.
Nel frattempo la voce del ragazzo le arrivò come una stilettata nell'orecchio, concedendosi giusto un minimo tempo di elaborazione prima di scoppiare a ridere, guardando prima l'elfo e poi il ragazzo. Cos'era quella, una lezione di umanità forse? O di estremo senso del dovere? In entrambi i casi il fastidio che le provocava quell'atteggiamento accusatorio era quasi compensato dall'ilarità che le procurava l'immaginarsi padrona di un elfo domestico. Una sorta di codina sempre attaccata al corpo, che si scusava di continuo e che chiedeva cosa poteva fare per lei in ogni secondo, minuto, ora della sua intera esistenza. Come un cane a cui lanciare un bastone, e dopo ogni riporto ti chiedeva “di nuovo”, solo moltiplicato per l'eternità. No, gli elfi non facevano per Mya, li compativa e detestava quel loro incomprensibile servilismo, però a forza di conviverci negli anni aveva iniziato ad apprezzarli cercando di creare con loro un rapporto più rispettoso di quanto facessero tutti gli altri esseri umani. No, la tassorosso non avrebbe mai compiuto un gesto simile, ma il moro non la conosceva e di questo non poteva certo fargliene una colpa.
- Tranquillo paladino, riponi la scintillante armatura nell'armadio per questa sera – lo canzonò la ragazza con un mezzo sorrisetto in viso, per quella sua uscita un po' troppo teatrale. - Lui è Opi, un elfo del castello, non certo mio. E non ho assolutamente intenzione di assumermi la responsabilità delle sue pessime scelte al di fuori delle mura -
Anche perchè dubitava seriamente volesse lasciare il castello, dopo quello che aveva passato, e le violenze orribili che avevano deturpato a quel modo tutto il suo corpo erano di sicuro un monito. Era indubbiamente coraggioso, e quasi sfrontato come elfo domestico, ma la sua vita era ad Hogwarts. E Mya non aveva nessun bisogno di pesi e responsablità non richieste. Fece un cenno all'elfo di togliersi il suo cencioso grembiule e di porgerglielo, restando al riparo sotto il lenzuolo. Nel frattempo prese il rocchetto di filo e ne strappò un po', passandolo prima fra le labbra umide e poi nella cruna dell'ago per iniziare il rammendo. Il grembiule era davvero in pessime condizioni e a malapena si teneva insieme, la magia avrebbe senza dubbio favorito quel tipo di restauro. Ma principalmente in cucina ne era fatto divieto, e secondo punto per Opi quel panno sarebbe diventato uno sconosciuto, troppo nuovo e troppo pulito. Non sarebbe stato il suo grembiule, sarebbe stato al pari che regalargli la sciarpa o la sua maglia da quidditch. Andava sistemato alla meglio e con quello che disponeva, non c'era altro modo. *Stupido gatto, me la paghi questa*
Come se quel pensiero avesse potuto evocare il suo animale, un ruggito sommesso vibrò nella stanza, come un flebile eco, arrivandole con chiarezza all'orecchio. Sorpresa da quel suono gutturale e inquietante sollevò la testa dal rammendo, ipotizzando con qualche secondo di ritardo che l'epicentro di quel sisma aereo potesse essere proprio il serpeverde. Dopotutto erano nelle cucine, anche se l'atteggiamento di lui sicuro e spavaldo utilizzato poco prima per camuffare il reale interesse non aveva senso. Era quasi più sincero quel brontolio supplicante che chiedeva a gran voce di essere ascoltato, e accontentato.
La ragazza si evitò qualsiasi commento sarcastico sull'accaduto, preferendo continuare la sua opera. Prima terminava, prima poteva tornare a dormire. La doppia lezione al mattino non l'avrebbe risparmiata di certo. Abbassò semplicemente lo sguardo sull'elfo, poggiando le mani sulle gambe e guardandolo dritto negli occhi. - Opi puoi aiutare il nostro ospite mentre io finisco? -
“* Il nostro ospite? * si interrogò sull'utilizzo di quella particolare declinazione, quasi rivendicasse una territorialità che le spettava per anzianità. Se volevano condividere quello spazio la neutralità sarebbe dovuta bastare.
Nel frattempo il baldanzoso elfo era sgattaiolato fra i banchi, raggiungendo il serpeverde due tavoli più avanti. Era ovviamente ancora avvolto nel suo lenzuolo, per evitare di scandalizzare quel cuore puro.
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view post Posted on 16/8/2019, 18:27
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serpeverde IV anno 18 anni
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A muffin, a muffin... my kingdom for a muffin
William Black
*Fantastico* L’ironia cavalcava i suoi pensieri sancendo il proseguo di un episodio paradossale: lui, coperto di ridicolo, che aggrottava la fronte e serrava le labbra in un’espressione di rassegnata consapevolezza. Con quel discorso sull’elfo aveva fatto il passo più lungo della gamba; aveva fatto l’errore di parlare senza realmente conoscere la sua interlocutrice, trasportato dalla piega dinamica che la conversazione aveva preso tutto d’un tratto. Non era da lui. Non era da lui non riuscire a chiudere occhio a causa dell’immagine nitida di un muffin con scaglie di cioccolato, non era da lui vagare per le cucine nel cuore della notte, farsi sorprendere da una studentessa e finire deriso per aver preso troppo sul serio un argomento. Come se non bastasse, anche il suo stomaco aveva deciso di rincarare la dose rendendo la Tassorosso partecipe del suo appettito. Per chiunque altro non ci sarebbe stato nulla di male, per Black e le sue paranoie era scontato che la ragazza avrebbe avuto materiale a sufficienza per deriderlo senza che lui potesse ribattere. Per un secondo sperò ardentemente di essere l’inconsapevole protagonista di un incubo; l’idea di essere riuscito a prendere sonno, comodo sul suo letto del dormitorio, era una vana speranza a cui aggrapparsi alla ricerca di un futile sollievo.
Ritornò rapidamente alla realtà, stuzzicato dall'appellativo appena ricevuto. Paladino? William Black? Qualora avesse deciso di spostare le sue fantasie sul mondo della cavalleria, certo si sarebbe riconosciuto più nella figura di un cavaliere nero. L'idea di vestire di una scintillante armatura e imbracciare uno stendardo di fieri ideali lo rivoltava, accentuando il subbuglio allo stomaco. Di certo Lockhart sapeva come colpire nel segno, almeno questo aveva avuto modo di apprenderlo al loro primo incontro, sebbene le posizioni dei due fossero capovolte. Ripensarci gli diede modo di capire quanto il destino potesse essere beffardo, rivoltando le carte in tavola senza il minimo preavviso, per il mero gusto di farlo.

Era una fortuna che Mya fosse ben concentrata sul suo lavoro. In una simile situazione di imbarazzo, sostenere il suo sguardo fiero non gli sarebbe riuscito con la solita flemma. Così, invece, poteva esaminarne il viso, per una volta in un ambiente più illuminato e chiaro, ove poter osservare le curiose tonalità violacee dei suoi occhi, la forma gentile dei suoi tratti ove il tempo aveva scavato una maturità che non apparteneva ai ragazzi di quell'età. Doveva ammettere che Hogwarts celava nei suoi studenti un numero disarmante di piccole perle, tutte nascoste nell'accozzaglia di mediocrità che i grandi numeri di un'istituzione raccoglieva inevitabilmente. Ne rimase affascinato, così come in precedenza aveva fatto per altri studenti capaci di emanare un'aura ben definita. Se ci aveva messo così tanto a notarla, doveva essere per la sua propensione a voler passare inosservata, leggera come una corrente d'aria che oltrepassa una stanza, passando dalla finestra e uscendo dalla porta, trascinando dietro di sé un breve istante di appagante frescura.
Catturato da quei pensieri, non rispose alla provocazione, non ne avrebbe avuto modo in ogni caso, non dopo l'orchestra sinfonica imbastita dal suo stomaco. Al contrario, accettò di buon grado l'aiuto di Opi, il cui silenzio e sguardo confuso lo elevavano quasi a infante, suscitando quasi il desiderio di prenderlo per mano. Ciononostante, dall'alto di una rinnovata compostezza, lo sguardo di Black era severo e i muscoli della mascella vagamente contratti.

«Sono alla ricerca di due muffin, la farcitura non ha importanza. Puoi aiutarmi?» A differenza di quanto aveva preventivato, William non prese l'elfo da parte per porgli la sua domanda lontano dalle orecchie della Tassorosso, al contrario il suo tono fu autoritario e sicuro, come se avesse improvvisamente smesso di sentirsi in difetto per il fatto di esser stato colto in fragrante nelle cucine. Cosa era cambiato? Sottecchi, il Serpeverde tornò ad osservare la figura di Mya prima di seguire l'elfo che - silenziosamente - si era spostato verso la parte orientale della cucina. In un modo o nell'altro, adesso non si sentiva più in svantaggio; nelle parole della ragazza aveva trovato ciò di cui aveva bisogno: un'apertura, seppur stretta, era sufficiente a colmare le distanze. Sorrise sottecchi, una volta voltatosi per seguire l'elfo, che si smaterializzò improvvisamente, riapparendo solo qualche istante più tardi, con in mano un vassoio. Gli occhi grandi e languidi di Opi lo fissavano con un'espressione mista di paura e accondiscendenza, non troppo distante da quella di un cane domestico desideroso di rendere felice il suo padrone. Sul vassoio poggiavano due dolci, proprio come aveva richiesto. Uno dei due con scaglie di cioccolato, l'altro - a giudicare dalla buccia grattugiata sulla superficie, doveva essere al limone. Ringraziò Opi con un cenno del capo e afferrò il vassoio, tornando al tavolo in cui Lockhart stava lavorando. Poggiò entrambi i muffin sulla superficie, allungò una mano sulla sedia e si sedette di fronte alla ragazza, allungandole il dolcetto al limone.

Con i muscoli del viso perfettamente rilassati e una curvatura naturale delle labbra leggermente arricciata verso l'alto, William rimase in silenzio. Sapeva esattamente cosa dire e come comportarsi, aveva pronto il prossimo argomento della loro conversazione ma - per il momento - voleva solo godersi la sua reazione. Il muffin con le scaglie di cioccolato rimase lì, intoccato.
L'appetito era scomparso.

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view post Posted on 22/2/2020, 16:16
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Mya J. Lockhart
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Che ore erano?
Si chiese d'un tratto la tassorosso, sollevando per un momento la testa dal rammendo. Nella grande cucina non c'era alcun riferimento, non un singolo orologio che segnasse lo scorrere del tempo. Il cielo, appena oltre le alte finestre poste sul muro esterno, appariva come un denso mare di profonda oscurità. Non aveva controllato la sveglia sul suo comodino prima di lasciare la camerata, e questo dubbio le provocava ora una particolare sensazione, un'incertezza quasi eterea come quella di un sogno. Si ritrovò a chiedersi se non lo fosse davvero, e lei fosse in realtà ancora affondata di faccia nel suo cuscino, con un piede fuori dalle lenzuola a saggiare l'aria. Ma l'insonnia non era un ospite tanto cortese e discreto, era più la zia grassa che si piazza sul divano e vuole solo parlare dei tuoi insuccessi.
Quasi per ingenua sfida la ragazza lasciò scivolare l'ago dalla stoffa fino al suo dito, premendolo appena affinché la punta acuminata penetrasse oltre l'epidermide. Tanto delicato il tocco da non sentirne quasi il dolore, ma non abbastanza da non provocarne una piccola fuga sanguigna. Strofinò appena le dita fra loro e la minuscola goccia svanì, lasciandosi dietro solo quella muta certezza.

Distratta da quello sciocco gioco intrattenuto con sé stessa quasi non si avvide di ciò che i suoi compagni di disavventura avevano detto o fatto. Il loro scambio di battute le era arrivato come un brusio di sottofondo, inframmezzato solo dal rumore dei loro passi e da quello di ante che si aprivano. Fu l'odore aspro di un agrume a solleticarle l'olfatto, riportando la sua attenzione sul pianeta Terra. Spostò lo sguardo via dalle sue dita, dal rammendo e da qualsiasi pensiero avesse tenuto impegnata la sua mente in quel breve lasso di tempo. E si ritrovò ad osservare un curioso fagotto di burro e lievito vestito di giallo, lasciato con delicatezza a poca distanza dalla sua postazione di lavoro. Sul lato opposto del tavolo un soddisfatto e silenzioso serpeverde la osservava attento, quasi in cerca di una sua specifica reazione. Mya si trattenne su quello sguardo profondo un secondo di più, forse per stanchezza o per sincera curiosità. Gli occhi del ragazzo annegavano in un denso pozzo oscuro, tanto profondo da non lasciar fuggire neppure il più leggero dei riverberi di luce. Eppure non erano neri. Illuminati dalle tremolanti luci della cucina, le pupille rifrangevano scaglie di luce verdastra, come le facce sbozzate di una pietra preziosa. E la osservavano di sottecchi, con una discrezione alla quale non era abituata. Non erano molti gli studenti che decidevano di propria volontà di condividere il tavolo con lei, e ancor meno quelli che sostenevano i suoi atteggiamenti irriverenti. Il più delle volte erano semplicemente idioti, anche se questo non li giustificava affatto. Quindi la sua curiosità nasceva più dal bisogno di scoprire chi fosse in realtà quel ragazzo dall'aspetto e l'atteggiamento tanto impeccabile da risultarle quasi nauseante. Avvertiva l'irrefrenabile desiderio di infrangere quello specchio perfetto, di scoprire al tatto che in realtà quella superficie riflettente altro non era che un leggero velo d'acqua, pronto ad incresparsi sotto il più flebile vento.

Il piccolo cencio di stoffa trovò posto sulle ginocchia della ragazza, lasciandola libera di avvicinarsi maggiormente al bancone e di poggiarsi ad esso con i gomiti. Non amava essere sotto esame, non senza riservarsi la possibilità di poter fare altrettanto. Guardò con dubbio il curioso dono che le era stato offerto, enfatizzando appena le sue espressioni. Non era amante dei cibi dolci, ma doveva ammettere che quel pungente odore agrumato aveva stuzzicato il suo interesse. Allungò appena l'avambraccio sinistro sfiorando con un dito la soffice spuma bianca e gialla che faceva da topping al muffin. Ne colse una piccola quantità e con estrema calma la portò verso il viso, schiudendo appena le labbra e assaggiandone il contenuto con la punta della lingua. Limone, fresco, aspro. Quel sapore le stuzzicò un appetito che non sapeva di avere, ma aveva conservato abbastanza autocontrollo per ricordare che non si dava mai nulla per nulla. Lasciò dunque il dolce dono al suo posto, incrociando le braccia sul tavolo e tornando con l'attenzione al suo "ospite".
- Questo dovrebbe comprare il mio silenzio...oppure la mia compagnia ? - per quanto la sua voce fosse sempre macchiata da un naturale sarcasmo, in quella domanda c'era una sincera sfumatura di interesse. Se non nella risposta, quanto meno nel reale motivo. Quel ragazzo arrivato nelle cucine nel silenzio della notte in cerca di cibo, doveva aver già soddisfatto le sue necessità, e concluso il suo pellegrinaggio. Eppure restava, lo stomaco insoddisfatto, la bocca vuota di parole.
Lo specchio imperturbabile la osservava, rimandando solo immagini vuote. E questo la incuriosiva e indispettiva allo stesso tempo.
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