| « Dormitorio Tassorosso - Cucine - Primi di giugno » All’interno di un corridoio fiocamente illuminato, si muovevano silenziose due creature. Una più alta ed esile camminava al fianco di una seconda più bassa e quasi deforme. Due universi lontani che si erano trovati nella maniera più stramba.
Opi era un elfo domestico, che era stato abbandonato nella foresta nera in tenera età, e poi successivamente adottato dalla scuola. Portava sul volto i segni di quelle notti di vulnerabilità, in balia dei mostri che abitavano il folto del bosco. Si era salvato imparando a diventare silenzioso, immobile e quasi camaleontico. Si era adattato fin da subito, con paura certo, ma anche con volontà di sopravvivere. Questo aveva destato fin da subito l'attenzione della tassorosso, quando quella notte, allertata da un rumore sinistro, si era ritrovata faccia a faccia con quel piccolo mostriciattolo nascosto, o per meglio dire appostato, sotto al suo letto. Sapeva che gli elfi avevano il potere di materializzarsi un po’ ovunque, ma scoprirlo in quel modo le aveva comunque fatto perdere qualche anno di vita. L’elfo non si era messo a gridare fortunatamente, ma il suo agitarsi aveva creato comunque scompiglio in tutto il dormitorio. Mya aveva tranquillizzato le concasate ancora stordite dal sonno, e cercando di non farlo agitare ulteriormente aveva cercato di trascinarlo fuori. Ma la creatura si era dimenata più volte, raccogliendo le braccia smagrite attorno alle gambe e tornando ad assumere l’aspetto di una grezza pietra sbozzata e con le orecchie. Ripeteva bisbigliando « grembiule» irritando ancor di più la ragazza, che oramai aveva del tutto perso il sonno. Decisa a riportare quella creatura negli alloggi della servitù, Mya si infilò per metà di pancia sotto al letto, accendendo un lumos ma senza puntarlo direttamente verso la creatura. Seppure raggiunto da una luce fioca la tassorosso riuscì a scorgerne il gran numero di cicatrici che gli deturpavano il viso. Non che gli elfi eccellessero in bellezza, ma Opi era davvero bruttino persino per un elfo. Ed era...nudo. Quando la ragazza se ne accorse l’elfo si ritirò ancora più indietro, verso il fondo del letto, imbarazzato e vulnerabile. Così Opi si sentiva.« Grembiule» ripeté, e quelle parole finalmente assunsero per la ragazza un significato più specifico. La domanda era, come fosse potuto finire in quella stanza, un indumento tanto sudicio e inutile come il grembiule di un elfo domestico? Forse uno scherzo studentesco si rispose. « Opi rivuole il suo grembiule » asserì ora con un tono più deciso, quasi agguerrito, un tono così inusuale per uno della sua specie da accendere in Mya uno strano interesse. « Io non ho il tuo grembiule… Opi » rispose, permettendosi una certa confidenza, sperando che questo bastasse a calmare l’elfo derubato. « Chi è stato a farti questo? Uno studente ? » sapeva di maltrattamenti continui agli elfi, motivo per il quale l’accesso alle cucine era stato interdetto agli studenti da secoli e l’entrata era stata codificata nell’assurdo atto di un solletico su tela che pochi conoscevano. Alquanto discutibile come misura di sicurezza ma aveva comunque limitato i soprusi. « No, è stata l’ombra nera con occhi luminosi, ombra ha preso il grembiule buono di Opi e non lo vuole restituire » Mya, con i gomiti poggiati ancora a terra, si massaggiò le tempie ormai sfinita dal pensiero del sonno perso e di quello che stava perdendo, presa nelle avventure di un elfo un po’ matto. Buttò fuori un respiro più profondo e con ritrovata calma chiese alla creatura di descrivergli l’assalitore e la dinamica del furto. *Sherlock Holmes, versione bassifondi * pensò appuntando mentalmente tutti gli indizi forniti, fin quando la storia, per quanto assurda, assunse un barlume di senso. L’ombra che l’elfo aveva visto avvicinarsi era un felino, e se la materializzazione lo aveva condotto lì, con tutta probabilità stava parlando di Midnight, il suo gatto. A quanto raccontava il gatto aveva cercato di afferrare il grembiule dell’elfo, strattonandolo dalla tasca che questi aveva sul davanti, e dopo un tira e molla di diversi minuti Midnight aveva avuto la meglio e se ne era andato tutto soddisfatto col suo bottino fra i denti. Che cosa lo avesse portato ad un simile gesto era un mistero, quel gatto aberrava i contatti sociali quasi più della sua padrona, quindi a che pro lanciarsi in un confronto diretto con una creatura di poco più grande? Mya, ragionato dunque sui fatti, aveva chiesto all’elfo di aspettare ancora un momento sotto al letto mentre cercava il suo prezioso tesoro. Midnight dormiva come sua strana abitudine sul baldacchino del letto, e lì solitamente portava tutte le sue conquiste di giornata, costringendo la tassina ad un controllo costante. Puntò dunque la bacchetta a mezz’aria richiamando mentalmente il pezzo di stoffa con un incantesimo di appello. Ci mise tre o quattro secondi ad arrivare come se qualcosa, o meglio qualcuno, lo avesse trattenuto. Un secondo dopo infatti vide comparire la testa del suo gatto da sopra al baldacchino, con un’espressione decisamente contrariata, un “me la pagherai” lampeggiava vivido nei suoi occhi, luminosi come li aveva descritti l’elfo. La tassorosso si osservò dunque la mano sinistra nel quale stringeva il logoro pezzo di tessuto, che scoprì essere in realtà una maglietta da bambini che l’elfo legava per le maniche alla vita come un grembiulino. Era tutto strappato dagli artigli del felino, che aveva divelto la piccola tasca per raggiungere quello che c’era all’interno, e Mya si sentì in parte responsabile per quell’inconveniente. Gli elfi erano assoggettati agli esseri umani, ma questo non poteva privarli della loro dignità, per quanto misera fosse nelle loro esistenze. Così aveva proposto all’elfo uno scambio con qualcosa di simile che aveva, una sciarpa o una maglia di quidditch, ma Opi aveva rifiutato quasi con spavento per quell’offerta che a Mya appariva alquanto normale. Fortunatamente la tassorosso aveva un piano B, ma per metterlo in atto dovevano raggiungere le cucine. Opi dunque si era allacciato il suo grembiule divelto e, tutto soddisfatto, aveva seguito docile la tassorosso prima fuori dalla camerata, e infine dalla sala comune.
Il solito consueto gesto sul quadro e la porta della cucina si aprì, lasciando entrare i nuovi ospiti. La cucina era ancora avvolta dalle tenebre, ma l'elfo schioccò le dita e la prima torcia si incendiò, seguita poi da tutte le altre disposte lungo il perimetr. La cucina si dimostrò da subito sgombra e impeccabilmente ordinata, preoccupantemente impeccabile come ogni volta. Mai una pentola fuori posto o una macchia di sugo sui banconi da lavoro, niente di niente. Gli elfi meritavano davvero il riconoscimento di un lavoro ben fatto. E solitamente era lei quel Chaos che arrivava per mettere disordine, quando nelle notti insonni si chiudeva in quella cucina per ripassare pozioni e sperimentare in tranquillità, disperdendo sostanze qua e là. Ma quella notte no, l’incognita quella notte non era lei, né l’elfo. Era una figura di spalle che avanzava fra i lunghi tavoli, sorpresa dal buio che fino ad un secondo prima aveva avvinto la stanza. Sulla punta della sua bacchetta un flebile lumos ancora persisteva, oramai reso totalmente inutile. Non aveva idea di chi fosse, né perchè fosse lì a tarda notte, dopotutto non era qualcosa che la riguardava. Le cucine per molti erano una zona neutrale, un luogo libero in cui si poteva fare un po’ quel che si voleva fintanto che si rispettavano le regole comuni del vivere civile. E soprattutto la regola base vietava l’uso della magia. A meno che non si volesse far scattare un incantesimo che allertava repentinamente i professori. Zona neutrale. Ma perchè privarsi del piacere di sorprendere qualcuno? « Ti consiglio di spegnere la bacchetta, se non vuoi goderti lo spettacolo di un Peverell in sottoveste » lo avvisò, prendendo posto vicino al tavolo più esterno e distante dalla posizione del ragazzo. Il piccolo elfo al suo fianco quasi non si vedeva oltre il limite dei tavoli, ma la seguiva trotterellando. Edited by mmmmmh - 4/7/2019, 18:44
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