Un lungo rettangolo di luce accendeva di una sfumatura calda il legno della scrivania, spezzandosi una volta raggiunto il bordo e continuando poi sulla moquette che ricopriva il pavimento. Le giornate si stavano accorciando e benché l’ora non fosse ancora tarda, gli ultimi raggi del sole si scioglievano in riflessi dorati e rossastri, portando con sé il profumo avvolgente dell’autunno.
Atena si trovava nel suo Ufficio al Quartier Generale. Il lavoro non mancava e anche quella sera si era dovuta trattenere al Ministero fino a tardi. Si stava abituando a quei ritmi serrati, non le pesavano, anzi il loro incedere incalzante era divenuto come un compagno la cui presenza era piacevole e rassicurante.
Seduta alla scrivania, sfogliava concentrata le pagine di un fascicolo, talvolta intingendo la penna nel calamaio e annotando qualcosa su un foglio a parte. I movimenti erano lenti e calmi, come l’aria che si distende man mano che arriva la sera. Fu il tin sommesso dell’ascensore, seguito da alcuni passi ovattati lungo il corridoio, a distogliere la ragazza dalla sua occupazione. Sollevò appena lo sguardo dal fascicolo - i pensieri ancora allacciati ai tratti d’inchiostro incisi sulla pergamena - come se gli occhi potessero captare meglio l’origine dei rumori che si erano intromessi nel silenzio della stanza.
Da un punto imprecisato oltre la porta socchiusa, giunse presto il suono indistinto di alcune voci: doveva trattarsi di colleghi da poco rientrati da una ronda o da un incarico serale, pensò tra sé, scrollando la testa e tornando a leggere la riga nel punto in cui l’aveva interrotta.
Non diede particolare peso a quella distrazione, finché le voci non si fecero sempre più concitate e una di queste sovrastò completamente le altre - imperiosa - tanto che Atena riuscì a comprenderne distintamente le parole."Mi vuoi ascoltare? Per tutte le corna di Cernunnos, donna, ne parli come se fossimo sposati!". Aggrottò le sopracciglia, sorpresa e sconcertata al tempo stesso per quel modo di esprimersi. Cosa stava succedendo? Lasciò il fascicolo sul tavolo e, alzatasi, percorse l’Ufficio fino alla porta, sporgendo la testa sul corridoio al fine di sincerarsi che non vi fossero problemi.
Fu in quel momento che da oltre il muro che le bloccava parte della visuale sull’Area Comune si stagliò, netto, un viso paonazzo solcato da una vena pulsante sulla fronte.
Lo riconobbe subito. Era lui. Aiden.
Ricordava molto bene - oh se la ricordava - la sfuriata che aveva fatto davanti a lei la sera del Ballo ad Hogwarts, qualche tempo prima: aveva perso completamente il controllo, urlando e farneticando, mentre il viso era sembrato sul punto di esplodere. Da quel giorno Atena aveva evitato quasi completamente ogni contatto con lui, limitandosi allo stretto necessario, che spesso si riduceva ad un’occhiata fortuita in segno di saluto quando lo incrociava nei corridoi o a brevi e concise battute quando il lavoro imponeva una comunicazione tra loro. Non gli portava rancore, questo no, né si poteva dire che fosse adirata con lui. Non sarebbe stato da lei: difficilmente i battibecchi la scalfivano, quando riguardavo persone alle quali non era particolarmente legata; preferiva semplicemente lasciarseli scivolare addosso, voltarsi e proseguire oltre. Senza rancore, senza rimorsi, ognuno per la propria strada. Era il suo modo di fare.
Dalla posizione in cui si trovava poteva scorgere di spalle i capelli scuri di una ragazza a lei sconosciuta e il collega continuare a comparire e scomparire da oltre il muro: la sua voce andava e veniva mentre percorreva a grandi falcate tutta la stanza - “Mi hai preso per un idiota, eh?” - avanti e indietro - “Ti prego, non farmi andare oltre con questa storia” - imprecando - “Dannazione, Daphne!” - urlando - “Perché mi hai fatto perdere il controllo?” - e diventando se possibile ancora più rosso - “Perché? Cazzo! Cazzo!”.
Atena fu dibattuta tra il lasciarsi andare ad un sorriso divertito o l’alzare gli occhi al cielo per un comportamento che considerava davvero sciocco e fuori luogo. Non sopportava le persone incapaci di mantenere il controllo.
Quando Aiden smise di sbottare, un’altra voce si sollevò nel tentativo di arginare la situazione. Fu con sollievo che riconobbe in essa quella di Urania. Nonostante non avesse avuto modo di approfondire il rapporto con lei, apprezzava molto il suo modo di fare, capace di andare dritto al sodo senza tuttavia scadere nell’arroganza, né perdere la calma. Diretto e controllato. Non poté fare a meno di provare un moto di approvazione alle sue parole. Per un attimo si chiese se fosse a conoscenza di quanto avvenuto con Aiden la sera del Ballo. Tuttavia, dovette ammetterlo, quel pensiero le procurò una stretta di imbarazzo. Era sempre stata una persona piuttosto riservata, non amava trovarsi al centro di attenzioni o essere protagonista di pettegolezzi.
Conscia del fatto che ormai, seppur involontariamente, aveva assistito all’intera conversazione, decise di intervenire a sua volta; tirarsi indietro in quel momento avrebbe significato origliare alle spalle dei colleghi e questo non le piaceva. Si avvicinò quindi all’Area Comune, lasciando il tempo a Daphne - doveva essere questo il nome della ragazza, nominata da Aiden - di rispondere alla sfuriata, com’era giusto che fosse.
Quando ebbe finito di parlare, posò una spalla allo stipite dell’entrata, incrociando le braccia. «Ehi, Weiss! Dì un po’, fai così con ogni ragazza che tenti di approcciare?» disse divertita, prima che lui potesse controbattere. Non lo fece con scherno, aveva intuito che tra i due doveva esserci del tenero e, nonostante il ragazzo non le ispirasse molta simpatia, non era sua intenzione peggiorare ulteriormente la relazione tra loro, né alimentare una discussione già abbastanza accesa; rincarare la dose si sarebbe rivelato controproducente. Al contrario, il tono volutamente scherzoso e leggero era volto a sciogliere la tensione che si era creata nell’aria, invitando a risolvere la questione con toni civili. Si limitò soltanto a scoccare un’occhiata penetrante al ragazzo nel momento in cui i loro occhi si incrociarono, prima di lasciare scivolare lo sguardo sul resto della stanza. «Se continui in questo modo ti farai venire un embolo! Ti sta sentendo l’intero Quartier Generale». Condì il tutto con un sorriso rilassato, che non lasciava dubbi sull’intento pacifico e pacificatore del suo intervento.