Dreams and dedication are a powerful combination, Quartier Generale Auror

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view post Posted on 4/9/2017, 22:55
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Ancora faticava a credere che fosse riuscita a diventare un Auror. Era stato un colloquio faticoso, aveva detto di sé cose che non avrebbe mai voluto, ma sapeva che per ottenere ciò che sognava da quasi tutta la vita avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa. Per quella volta era stata la sua riservatezza, aveva rinunciato al suo segreto. Aveva raccontato a Rhaegar ciò che l'aveva spinta a viaggiare per il mondo, inizialmente si era sentita a disagio ma era felice che l'uomo l'avesse spinta a liberarsi del peso che portava nel cuore.
I suoi genitori avrebbero sempre voluto che diventasse un Medimago come loro, avrebbe potuto aiutare le persone anche in quel modo, certo, ma si era opposta con tutta sé stessa al volere della sua famiglia. Lei doveva fare l'Auror.
Bridget e Ludovic Chevalier adoravano salvare le vite dei maghi, ma non potevano più farlo da sei anni, il sangue dava loro alla testa.
Scosse la testa per scacciare quei pensieri dalla sua mente, avrebbe dovuto pensare al futuro, non rimuginare sul passato, ora che era ciò che voleva doveva solo godersi la sua nuova vita, doveva solo trovare il coraggio di dire ad Aiden che aveva ottenuto il lavoro. Era consapevole che suo padre era morto in una missione, non voleva che lui fosse perennemente in pensiero per lei, e soprattutto che si allontanasse da lei solo per il lavoro che faceva. Quelle giornate erano un turbine di emozioni e pensieri.
La signora Griffiths per poco non le organizzava una festa per il nuovo lavoro, Chocolat la faceva preoccupare con la sua eccessiva tranquillità, non parlava con il rosso da giorni e aveva paura che il suo ufficio fosse inadeguato.
L'aveva ridipinto, decorato con ciò che più le piaceva (per trovare il tappeto ci avevo messo un'eternità), era elegante ma ogni tanto le veniva in mente che potesse essere poco professionale.
La vecchietta con cui viveva le aveva regalato un sacco di libri che non aveva ancora avuto la possibilità di portare interamente al Quartier Generale, anche quel giorno ne stava trasportando un bel po', erano due scatoloni impossibili da trasportare col Wingardium Leviosa. Erano veramente ingombranti, più che pesanti, e fu questione di un attimo. Inciampò sui suoi stessi piedi rischiando di far cadere tutto, bloccandosi solo grazie al sostegno del muro.
*Evita di spaccarti la faccia prima ancora di andare in missione.*
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view post Posted on 5/9/2017, 12:08
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Aiden Weiss
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«Ci è andata veramente di lusso oggi, Rue.» esclamò il rosso mentre al fianco della collega facevano il loro ingresso al Quartier Generale. «A parte qualche detrito qua e là... Quel mattone sullo stinco lo sentirò tutto domani mattina. Ad ogni modo, niente rapporto per le prossime due ore, sono stufo di tutti quei documenti. E la mia testa al momento è altrove!»
Zoppicava appena per quello che era stato un mattone che gli era caduto addosso durante quella corsa tra i vicoli di Londra. Un malvivente che vendeva articoli illegali era stato fermato, ma nella fuga iniziale aveva cercato di far esplodere la palazzina in cui si trovava, sperando di fermare i due Auror. Aiden non aveva previsto la cosa e ciò lo aveva fatto arrabbiare parecchio: odiava essere colto impreparato dall’avversario, era una cosa che proprio non tollerava. Se solo quel Murtagh Rose, il vecchio amico di suo padre e ora suo mentore, fosse stato più presente, forse Aiden avrebbe evitato molti errori commessi di recente.
Aveva i capelli imploverati, che aveva recentemente fatto rasare su entrambi i lati, e sulla giacca di pelle. La catenella che gli pendeva su un fianco, agganciata ai jeans, tintinnò con vigore mentre avanzavano verso la Sala Comune per godersi una meritata pausa. Aveva voglia di caffé e magari di una fetta di torta di mele e cannella che aveva accuratamente nascosto nel frigorifero comune. Sperò solo che Kappa non fosse arrivato per primo, divorandosi ciò che restava del dolce come un mastino che non veniva nutrito da giorni.
Sospirò e si stiracchiò le membra dopo essersi tolto la giacca e gettatola con poca cura su un divanetto. Poi aprì il frigorifero e trafficò tra gli scaffali stracolmi di cose da mangiare o da bere, trovando finalmente il piattino con le fette rimaste del dolce.
«Sia benedetta Morrigan! Il dolce è salvo!» esclamò con un sorriso rilassato, felice che nessuno l’avesse toccato. Si voltò verso Urania, mentre già alzava una fetta per portarsela alla bocca, avida di trangugiarsi quella peribatezza. «Ne vuoi una? Siamo fortunati oggi, Kappa non l’ha scovata!» ridacchiò e poi addentò la sua fetta senza aspettarsi una risposta dalla collega dai capelli scuri. Piuttosto mugolò estasiato per quell’esplosione di gusti che permise al rosso di raggiungere il Nirvana in pochi secondi.
Da giorni non faceva altro che pensare a Daphne, del loro appuntamento e dei giorni che aveva passato rinchiuso in quel posto senza riuscire a contattarla. Era stato un tale strazio, sul punto di impazzire e di avere un attacco isterico, questo perché le mancava da morire. Quella donna aveva preso possesso del suo cuore e della sua mente con una prepotenza tale da essere paragonata ad un uragano.
Chissà cosa stava facendo in quel momento…
Aiden si preparò un caffè al volo, lungo e amaro come piaceva a lui, per poi sedersi accanto a Rue reggendo la tazza e il piattino con il dolce, posando infine sulla propria gamba, di modo da dare alla collega la possibilità di impossessarsi di una fetta in un qualsiasi momento. Prese un lungo sorso e fissò un punto indefinito davanti a sé - era sovrappensiero - mentre si grattò distrattamente la nuca.
«Tu invece sei tutta intera?» domandò, ricordandosi di non essersi ancora accertato delle condizioni di Urania. Una cosa inaccettabile da parte sua, ma il pensiero di Daphne occupava gran parte dei suoi pensieri, soprattutto perché non aveva ancora avuto modo di raccontarle la verità sul suo vero lavoro, quello di essere un Auror.


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Concordato con Urania.
Spero di non aver toppato ancora una volta il code ^^"

 
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view post Posted on 6/9/2017, 16:14
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Urania Rue Donovan

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Il
Quartier Generale Auror al tramonto aveva qualcosa di bellissimo e terribile insieme. La luce calda, accogliente e tenue penetrava dalle finestre e decorava i contorni di tutte le cose; stimolava quasi al riposo e al pensiero. Ma rientrare lì al tramonto significava aver trascorso una giornata lunga e faticosa sul campo, il più delle volte non esattamente soddisfacente.
Quella volta me l'ero cavata discretamente bene anche se per Aiden non poteva dirsi esattamente lo stesso. Benché avessimo messo in scacco quel trafficante, il mio collega s'era beccato un mattone sullo stinco che per qualche minuto l'aveva messo seriamente fuori gioco.
«Sì, il rapporto può aspettare» gli dissi, osservando il suo pantalone sporco e leggermente strappato nel punto incriminato. «Però passa dall'infermeria prima che la situazione peggiori. Domani siamo di nuovo fuori insieme» feci alla fine, lasciandomi cadere stancamente sul divano della zona comune.
Aiden sembrò non ascoltarmi; si tolse la giacca, la gettò noncurante sul divano accanto al mio e si diresse verso il mini frigorifero. Distorsi l'espressione in un evidente disappunto. Non mi preoccupava particolarmente la sua salute in quanto persona - non ero così empatica con chi conoscevo poco; ciò che mi disturbava era il fatto di potermi ritrovare a fare da balia ad un collega non perfettamente in grado di badare a se stesso. Ma era uno dei compromessi a cui abituarsi: come Auror non lavoravi quasi mai da sola e per me era ancora difficile accettarlo completamente.
«Sia benedetta Morrigan! Il dolce è salvo!»
Mi venne da ridere; in fondo quel ragazzo sapeva essere veramente buffo. Ero sicura che avesse pensato a quel dolce durante tutto il nostro rientro, altro che cura della ferita! Scossi poi la testa alla sua domanda.
«Povero Kappa» obiettai, «non è certo lusinghiero pensare che rubi i dolci altrui» aggiunsi con il sorriso ancora sulle labbra. Sentirlo mugolare di piacere mentre divorava senza troppi complimenti quella fetta di torta mi disgusto un po', dato che avevo lo stomaco completamente chiuso (spesso mi capitava dopo una missione). Mi alzai, perciò, diretta alla caffettiera, sperando che quell'aroma pungente potesse venire in mio soccorso. Qualcuno doveva averlo fatto da poco perché la caraffa era ancora bollente. Presi la mia tazza (verdeacqua, dove il primo giorno avevo inciso il mio nome) e me ne versai un po'.
Tornai a sedermi, stavolta sul bracciolo. Incrociai le gambe e presi il primo lungo sorso. Aiden occupò un posto poco distante da me e sollevò gli occhi dalla sua torta e dal suo caffè solo dopo qualche istante.
«Tu invece sei tutta intera?»
«Sì» gli sorrisi, «sono solo stanca» dissi, stropicciandomi per un attimo l'occhio sinistro. «È un periodo un po' serrato e pare io non riesca mai a riposarmi del tutto» continuai, leggermente persa nei miei pensieri. Quindi bevvi un altro sorso di caffè, decidendo di non pensarci.





Edited by .Urania - 7/9/2017, 11:19
 
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view post Posted on 6/9/2017, 18:10
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Sospirò pesantemente prima di fare il suo ingresso nell'ufficio che le era stato assegnato. Ci era voluto qualche minuto perché la tachicardia sparisse, si era quasi rotta il naso per terra, dieci minuti prima.
Appoggiò i due scatoloni per terra, per poi iniziare a mettere i libri al loro posto sui vari scaffali, bloccandosi nel leggere un titolo che attirò immediatamente la sua attenzione: "La torre nera". Era il libro che Aiden stava leggendo prima di dover inseguire Chocolat nel parco, che cosa ci faceva tra i polverosi libri della signora Griffiths? Lo appoggiò delicatamente sulla scrivania per poi concludere il lavoro iniziato.

---

Ci avevo messo poco più di quindici minuti a svuotare gli scatoloni e a riempire le mensole della libreria alla destra del caminetto. Mise le mani sui fianchi ammirando soddisfatta il lavoro fatto.
«Bene, vediamo di cosa parli, libro.» Esclamò come se il tomo che si trovava sulla scrivani potesse capirla. *E ne approfitto per prendermi un tè in Sala Comune, già che ci sono. Dovrebbe essere vuota...*
Prese il suo MP3 (quell'aggeggio babbano che aveva scoperto tanti anni prima e che era diventato praticamente il suo migliore amico) e si infilò le cuffie nelle orecchie facendo partire una playlist casuale.
Aprì il libro e si avviò senza guardare troppo dove stava andando verso la Sala Comune, il racconto si era rivelato troppo interessante perché lei potesse guardarsi intorno.
Entrò senza accorgersi della presenza di altre due persone all'interno, diretta all'armadietto che aveva capito contenere le tazze prendendo quella rosa chiaro con scritto Daphne, portata direttamente da casa, ma notando che non c'era tè si versò un po' di caffè che sembrava ancora caldo. Solo allora si accorse della presenza di qualcun altro lì dentro. Alzò leggermente lo sguardo dal libro per poi voltarsi e notare una ragazza seduta sul bracciolo della poltrona. Sembrava più giovane di lei e aveva qualcosa di familiare ma non si concesse del tempo per rifletterci, non voleva sembrare maleducata. Si tolse velocemente le cuffie.
«Perdonami, stavo ascoltando la musica, non mi sono acc-» si bloccò notando che stava parlando con qualcun altro, perciò voltò la testa sentendosi il terreno mancarle sotto i piedi quando vide il suo interlocutore.
«Aiden?» Chiese confusa con gli occhi sgranati. Non riusciva a capire, che ci faceva un impiegato del Dipartimento per la regolazione e il controllo delle Creature Magiche lì?
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view post Posted on 7/9/2017, 09:43
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Aiden Weiss
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Aiden comprendeva perfettamente le preoccupazioni di Urania. Quando una squadra usciva dal Quartier Generale, ci si aspettava la massima cooperazione per riuscire nel loro lavoro senza subire pesanti ripercussioni, perciò capì che la frase di Urania era stata per lo più dovuta dal fatto che volesse un partner in salute piuttosto che qualcuno incapace di badare alla propria persona. Ma capiva anche che Urania probabilmente non voleva andare oltre al legame lavorativo, quello tra colleghi, per evitare ripercussioni che avrebbe potuto pesarle sull’anima e inoltre aveva già Dorian e Christopher come amici, il che probabilmente le bastava.
Non poteva dirsi così di Aiden: non aveva amici tra gli Auror, uno o due fuori dal Ministero forse, e questo volgeva a suo sfavore. Aveva visto cosa succedeva agli Auror senza amici, gli era bastato il ricordo del fratello del suo mentore per capirlo… Eppure, ancora non riusciva a legare con nessuno, oppure erano gli altri a non volerlo. Ad ogni modo, Aiden sapeva che prima o poi tutti i muri sarebbero stati abbattuti e stretto amicizia con i propri compagni d’avventura.
Il fulvo sorrise rassicurante alla collega. «Non preoccuparti, stasera devo andare a trovare mio fratello maggiore, è un Medimago, saprà come rimettermi in sesto di un battibaleno. Per ora mi farò bastare del ghiaccio.» spiegò con assoluta calma.
Vedendo il segno di risposta alla sua gentile offerta, Aiden sorrise alla collega con uno dei suoi tipici sorrisi scherzosi. «Ehi, guarda che stavo scherzando. So perfettamente che Kappa non lo farebbe mai, volevo solo scherzarci su per non badare troppo a questa stanchezza persistente.» Emise un sospiro e si ricordò di prendere anche un sacchetto con il ghiaccio.
Il divanetto che condivideva in parte con Urania - sì, perché lei aveva scelto di accomodarsi sul bracciolo - era abbastanza comodo sebbene fosse assai profondo e quindi capace di farti sprofondare al suo interno, inglobandoti. Accavallò le gambe, con quella dolorante sopra di modo da adagiarci sopra il sacchetto con il ghiaccio e mugolando un sospiro quando percepì la sensazione di freddo. Sebbene fosse piuttosto coraiceo, Aiden aveva come la sensazione che se non si appellasse alle capacità del fratello, probabilmente il mattino dopo avrebbe trovato un bel livido e dolori pronti ad affliggerlo ad ogni passo. Non era certamente il caso di rischiare di andare in missione con una gamba che gli causava problemi, soprattutto se con lui c’era un’altra persona a cui doveva guardare le spalle.
Prese un altro sorso di caffé. «Non sei l’unica.» mormorò a seguito delle parole di Rue. «Ci sono stati giorni in cui mi sono trattenuto fino a notte fonda e mi sono addormentato sul divanetto che ho in ufficio piuttosto che tornare a casa spaccato perché la stanchezza ha prevalso sulla mia concentrazione.» spiegò brevemente. Nessun Mago abbastanza saggio e prudente avrebbe intrapreso una Smaterializzazione nel pieno della stanchezza e Aiden non era per nulla sprovveduto.
Si passò una mano tra i capelli che costituiva il suo ciuffo rosso e gli spinse all’indietro, sospirando profondamente. Era veramente stanco e oltremodo affamato. Cosa avrebbe dato per una pizza gigante?
«Ehi, che ne dici se prima di cimentarci con quello scocciante rapporto andassi a prendere una pizza gigante? Per lo meno la nostra materia grigia non avrà di che lamentarsi se introduciamo qualche fonte energetica.» propose con un sorriso speranzoso. Non voleva di certo annoiarsi con lo stomaco vuoto e il suo magistrale appetito ormai doveva essere noto a tutto il Quartier Generale, perciò non sarebbe risultata una novità. In più voleva assicurarsi che Urania mangiasse qualcosa visto che aveva rifiutato una fetta di dolce e considerando che, secondo il modesto parere di sua zia, chi non mangiava qualcosa di dolce nell'arco della giornata non aveva mangiato abbastanza nei giorni seguenti. Proprio per questo voleva assicurarsene, sebbene il parere di sua zia fosse bizzarro, ma piuttosto perché Aiden era di natura assai premurosa.
Il dialogo con Rue sembrò essere interrotto dall’improvvisa introduzione di una terza voce, a lui assai familiare, giovane e femminile. Volse lo sguardo verso la fonte da cui era partita la voce, finché il profilo di Daphne non gli si stagliò dinanzi. I suoi capelli rossi, quegli occhi azzurri increduli di trovarlo proprio lì e la pelle candida e punteggiata da una miriade di eferidi, oltre che all’incantevole outfit, la fecero apparire bellissima agli occhi del rosso.
Aiden era incredulo quanto lei e il cuore fece un balzo nel realizzare di essere appena incappato in un guaio, in un grosso guaio. Quando l’aveva incontrata la prima volta aveva omesso di dirle la verità perché non si era fidato subito della giovane donna, poi aveva scoperto di essere praticamente innamorato della Strega d’America e aveva evitato di dirle la verità anche al loro primo appuntamento per non rovinare l’atmosfera. Ma si era sempre promesso che non appena l’avesse rivista glielo avrebbe detto, ma mai si sarebbe aspettato che tale occasione sarebbe capitata appunto al Quartier Generale.
Lo sguardo incredulo di Aiden mutò in pochi secondi e divenne incredibilmente serio. In un altro contesto le avrebbe sorriso come un coglione, ma sapeva - in cuor suo - che avrebbe innescato una bomba che avrebbe causato molti danni, il particolare sul loro rapporto.
Si alzò lentamente e mosse un passo, tra l’incerto e lo zoppicante, verso di lei. «Daphne? Che ci fai qui?» Poi si rese conto di aver fatto una domanda davvero idiota. Sospirò e lasciò perdere, passando a oltre il discorso. Era palese del perché fosse lì, era appena stata assunta e i visitatori non si fermavano di certo nella Sala Comune, ma andavano dritti nell’ufficio del Capo Auror. «Senti, io...» iniziò il discorso con una leggera ma momentanea nota incerta, per poi farsi più sicura. Mise le mani nelle tasche dei jeans. «Posso spiegare ogni cosa. Io sono perfettamente consapevole che ho detto una piccola bugia...» Minimizzare non fu il massimo, ma per Aiden fu spontaneo farlo. Sperò solo che lei capisse. «Ma l’ho fatto per proteggere entrambi. Ovviamente te lo avrei detto, sul serio, ma non ci siamo più visti dal nostro appuntamento. E non volevo dirtelo tramite gufo, volevo vederti...» Deglutì a vuoto. Lei avrebbe capito la situazione? «Lo capisci, vero? Non potevo fare diversamente e non sono nemmeno un Auror che va’ in giro con il Distintivo in mostra. Nemmeno posso permettermelo e questo già lo sai. A parte il dettaglio sul mio vero lavoro, ti ho sempre raccontato la verità. Sempre...» Fece un altro passo e allungò la mano per prenderle la sua. «Puoi biasimarmi se ti ho detto una piccola bugia per proteggere entrambi?»


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Urania Rue Donovan

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L'
odore del caffè mi pizzicò le narici prima che mi concedessi un altro sorso. Annuii ad Aiden quando mi rassicurò sul fatto che si sarebbe curato. I ritmi ultimamente erano serrati e non si poteva abbassare la guardia e trascurarsi.
«Avevo capito scherzassi, tranquillo» dissi poi, riferendomi a Kappa e la torta. «Anche la mia era una battuta» precisai con un sorriso. Sapevo che la mia ironia spesso non veniva colta, poco male. Bevvi dell'altro caffè.
Sulle successive parole del mio collega mi misi a riflettere, conscia di aver espresso solo in parte - un accenno appena - il mio recente malessere. Mi passai i polpastrelli sulle labbra, sovrappensiero. Aiden non poteva capire. E non poteva, in vero, nessuno per davvero. Forse solo Kappa, dato che mi ero lasciata andare, per qualche minuto, al Ballo. Gli avevo detto di Horus ma poi non c'era stato tempo di parlare della cosa in maniera approfondita. Non gli avevo detto nemmeno il nome, a pensarci. Mi ero un po' lamentata, appoggiandomi a lui, cercando conforto nel suo profumo familiare e accogliente. Così avevo asciugato le lacrime, gli avevo sorriso e avevo afferrato un calice di Acquaviola. Tutto giù, in un solo sorso.
Credevo fermamente che mi sarebbe passata del tutto, prima o poi. E già crederci mi dava una certa forza. Certo, quando permettevo ai miei pensieri di indugiare mi ritrovavo preda di sentimenti fastidiosi e contrastanti; in quei frangenti, mi pareva di vivere in ritardo una specie di adolescenza. Dubbi, ansie e incertezze mi afferravano la gola e mi costringevano a piangere, ancora. Nemmeno Rosalie mi avrebbe riconosciuto conciata in quello stato.
Ad onor del vero, a distanza di qualche mese sembrava già andare meglio: il fastidio e la rabbia avevano lasciato il posto ad un principio di rassegnazione. Ero abbastanza forte e lungimirante, nonostante quegli scompensi, da poter capire da sola che non dovevo farne un dramma. Sì, non avevo mai provato certi sentimenti. Che fosse amore o qualcosa di molto simile, non m'importava. Dargli un nome non mi avrebbe aiutato a stare meglio quindi non mi arrovellavo con altri scomodi pensieri. Mi sentivo sì frustrata dall'incapacità di passare avanti; di andare con altri uomini, semplicemente, come avevo sempre fatto. Pur avendo capito come stavano le cose, continuavo a volerlo. Volevo Horus in una maniera totale e necessaria, urgente. Mi morsi l'interno della guancia, infastidita dalle contraddizioni alimentate dai miei ricordi.
Spostai le dita sulle tempie, chiudendo per un attimo gli occhi. «Be' in realtà...» accennai, concentrandomi sulla parola pizza, capace di annullare magicamente ogni malessere. Ma non potei finire la frase.
«Perdonami, stavo ascoltando la musica, non mi sono acc-»
Sollevai lo sguardo e notai una ragazza dai capelli rossi poco distante da noi. Le sorrisi, come per dire che non c'era alcun bisogno di scusarsi. Aveva dei tratti estremamente familiari eppure la collegavo a ricordi lontani, sbiaditi, persi nel tempo. Una suggestione particolare che mi rapii completamente.
«Aiden?»
La osservai spostare l'attenzione sul mio collega e stupirsi non poco. Era palesemente sorpresa da quell'incontro ed, evidentemente, lo conosceva. Era una sua amica? Mi pareva di ricordarla perché l'avevo vista, in altri contesti, insieme ad Aiden? E perché era lì, al Quartier Generale? Era una neoassunta?
Quindi, il ragazzo al mio fianco parlò. E pian piano molte cose vennero a galla. Dalle sue parole intuii potesse essere una conoscenza recente; da come la guardò, da come le si avvicinò, capii dovesse esserci qualcosa di più. Per non parlare di quelle spiacevoli confessioni di cui mi stavo ritrovando spettatrice. Come avrebbe reagito lei? E chi era veramente Daphne?
Bevvi un altro sorso di caffè.



 
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view post Posted on 12/9/2017, 17:46
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Daphne non riusciva ad accettare l'idea che non sapeva tutto di Aiden, come poteva se lo conosceva da così poco? Ma non si capacitava di come lui potesse averle mentito con così tanta spudoratezza.
Ascoltò tutto ciò che Aiden aveva da dirle mentre osservava impassibile il caffè nella sua tazza muoversi leggermente a causa del tremore della sua mano. Appena il rosso finì di giustificarsi Daphne appoggiò con estrema lentezza la tazza sul tavolo per poi voltarsi con sguardo gelido, spaventoso. Non era mai stata così fredda, non era da lei nascondere le sue emozioni ma era ciò che più temeva: non avrebbe dovuto permettere a quell'uomo di avvicinarsi così tanto a lei.
Sospirò per poi spostare lo sguardo negli occhi blu di lui «Ti avevo chiesto una sola cosa, la più importante per me: non mentirmi. Non penso di non averti fornito la possibilità di correggere la bugia che mi hai detto quando ci siamo conosciuti.» La frase detta con tono distaccato, non era arrabbiato, era... deluso, ferito.
«Dipendente del dipartimento per la regolazione e il controllo delle Creature Magiche, certo... Te lo sei studiato bene. Ti ho forse chiesto di proteggermi?» chiese retoricamente. «Le cazzate non le sopporto Weiss. Se non avessi iniziato a lavorare qui un giorno mi sarei potuta ritrovare qualche Auror che bussava alla mia porta per dirmi che eri morto in una missione, come tuo padre, e io non avrei nemmeno saputo cosa dire perché non sarei stata a conoscenza del tuo vero lavoro.» Tremò, sia per la rabbia che per il terrore che il suo pensiero potesse diventare realtà un giorno, ne sarebbe morta. Cercava di apparire tranquilla solo perché c'era quella ragazza che stava assistendo alla scena, ma dentro stava ribollendo, era furiosa. Spostò lo sguardo sulla bruna, era così familiare, fu un attimo, le sembrò di averla già vista.
«Perdonaci la sceneggiata, Rue» impallidì. Rue? Che significava? Non aveva controllato il suo corpo, le era sfuggito, come un lapsus.
«Io non so... Mi è venuto spontaneo» si giustificò mordendosi l'interno della guancia.
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Sperò davvero che Urania accettasse la proposta della pizza gigante, così ne avrebbe prese tre o quattro di gusti diversi, così non si sarebbe sentito troppo in colpa se fosse arrivato a mangiarne più di lei, lasciandola a bocca asciutta; non sarebbe stato carino, quindi la tattica di più pizze era l’unica per mangiare tanto quanto un reggimento.
Si era accorta la collega che aveva finalmente messo su una buona dose di massa muscolare tra nutrizione abbondante e tanta palestra? In confronto ai primi tempi, in cui era palesemente denutrito, ora era in perfetta forma fisica.
Ma la fame era scomparsa nel momento stesso in cui percepì l’atrito tra lui e Daphne, mentre Rue se ne stava beatamente a bere caffè e a osservarli discutere come una vecchia coppia di sposi.
Era vero, come biasimare Daphne per ciò che aveva evitato di dirle e di averle promesso di non dire menzogne?
Vederla così fredda lo fece star male, si sentiva così in colpa… Le strinse la mano, guardandola supplichevole. «Te l’ho detto! Daphne, per l’amor del cielo, te l'ho detto!» farfugliò cercando di farla ragionare, usando dei toni dolci per placarla. «Non volevo rovinare l’appuntamento! Diavolo, siamo stati così bene…» Avrebbe voluto tapparle la bocca con un bacio, così si sarebbe stata zitta e avrebbe smesso di riprenderlo per ogni minimo sbaglio. Possibile che non lo comprendesse affatto?
La afferrò per le spalle, scrollandola appena per farla zittire: doveva ascoltarlo! La vena gli pulsava pericolosamente sulla tempia, segno tangibile che stava letteralmente per perdere la pazienza.
«Mi vuoi ascoltare? Per tutte le corna di Cernunnos, donna, ne parli come se fossimo sposati!» sbottò. Il paragone che lei aveva fatto in merito alla possibilità che potesse morire come suo padre gli aveva fatto salire il sangue al cervello. Come poteva pensare che fosse così stupido da morire come suo padre quando invece si era premunito proprio per evitarlo?
«Mi hai preso per un idiota, eh? Credi davvero che mi lascerei ammazzare come mio padre? Oh ho, ma è qui che ti sbagli!» Ebbe uno scatto furioso che andò a palesare il suo intento di voler includere pure gli altri nella cerchia di chi non lo aveva compreso. «Si sbagliano tutti su questo! Perché credi che tenga nascosta la mia identità da Auror? Perché secondo te non mostro mai il Distintivo come tutti o del perché non porto l’anello di mio padre come vorrei?» Era furioso e non avrebbe mai voluto esserlo, non con lei, non davanti a lei e a nessun altro, nemmeno davanti a Rue. Mostrare la sua rabbia era come mostrare il proprio demone e già lo aveva mostrato ad Atena, non era il caso di mostrarlo a tutto il Quartier Generale.
«Ti prego, non farmi andare oltre con questa storia, tirerei fuori soltanto cose che devo tenere per me, cose che ho giurato di non dire...» Si morse un labbro, iniziando ad andare avanti e indietro sul posto, non sapendo come placarsi. Faceva respiri profondi, i pugni serrati, ma uscivano solo ringhi sordi. Era come un animale in trappola e voleva fuggire… Fuggire davvero lontano...
«Dannazione, Daphne! Perché mi hai fatto perdere il controllo? Perché? Cazzo! Cazzo!» Si mise le mani nei capelli, non sapendo come ristabilire il suo equilibrio. Perché era dannatamente così suscettibile?
Nemmeno sentì quello che Daphne disse a Rue, era troppo instabile, arrabbiato o semplicemente non voleva ammettere che invece era in preda ad una crisi di panico. Non era da lui mostrare le proprie paure, non in quel modo, ma ora temeva un allontanamento di Daphne, di non avere più il suo amore...
Amore... Lui la amava, glielo aveva già detto e glielo avrebbe sempre ripetuto. Ma l’idea di non vivere quell’amore perché rovinato da una bugia creata a fin di bene, per proteggerla, lo stava letteralmente distruggendo.
«E comunque, cara miss Woods, non mi avevi detto che avresti fatto domanda per diventare Auror! Da quel che mi risulta siamo pari!» sbottò, puntandole un dito contro.
Il petto vibrò pericolosamente, scosso da un potente fremito: quello di volerla baciare. Quelle dannate labbra lo stavano chiamando!

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Urania Rue Donovan

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Posai
la tazza di caffè sul tavolo che avevo di fronte e mi accigliai appena. Dopo lo sguardo tra i due, dopo l'incertezza di lei e lo stupore del mio collega, dalle loro bocche era fuoriuscito un fiume di parole che, inevitabilmente, aveva coinvolto anche me. Non amavo i litigi, io per prima cercavo di tenermene alla larga. Raramente ne ero protagonista - escludendo quelli risalenti ad anni prima, dove più che a parole si risolveva a pugni. Da quando mi ero calmata, si erano calmate anche le mie interazioni sociali. Il mio carattere si era addolcito, la mia voce s'era abbassata ancora di più e tutto di me trasmetteva una certa calma - cosa che di me apprezzavo particolarmente. Non era facilissimo che perdessi il controllo, non più come una volta. Ma non si poteva dire lo stesso per quei due. O, magari, i motivi scatenati erano davvero seri e preoccupanti per portarli ad agire in quel modo.
Compresi bene a cosa si riferissero. Non fu difficile capire che il mio collega avesse detto una grossa bugia, ora frantumatasi davanti ai propri occhi nella maniera peggiore. Ecco, io difficilmente dicevo grandi bugie. Ero molto diretta e quando la verità non piaceva, be', a me non piaceva quella persona. Semplice. Perché complicarsi la vita? Bisognava essere chiari con i propri sentimenti e con quelli degli altri e se son rose fioriranno, come avrebbe detto saggiamente qualche nonna.
Perciò, non biasimavo quella Dafne per aver sbroccato in quel modo - certo, magari avrebbe potuto portarsi Aiden in un posto più riservato e non straparlare al centro del Quartier Generale. Ma non tutti, mi resi conto, possedevano il mio senso estremo della privacy.
Quando Aiden parlò, mi venne naturale pensare che anche il mio collega avesse un pizzico di ragione: aveva detto quella bugia, come lui stesso sosteneva, non certo con cattive intenzioni. Era difficile schierarsi e, di certo, non l'avrei fatto. Avevo lucidamente e in fretta deciso di defilarmi quando quella donna si voltò verso di me, scusandosi. Ma non furono le sue parole a trattenermi, affatto. Fu il nome con cui mi chiamò. Rue. Improvvisamente, la sensazione di averla già vista fece capolino nuovamente dietro la mia fronte, premendo e protestando affinché ne appurassi la veridicità. Com'era possibile tutto ciò? Che addirittura conoscesse il mio soprannome e che le fosse venuto fuori con così tanta naturalezza? E che io non ricordassi dove e quanto avevamo avuto modo di conoscerci.
«Io non so... Mi è venuto spontaneo»
Deglutii e la guardai a fondo, solcando con le pupille i suoi lineamenti e ripescando episodi sparsi e lontani dalla mia memoria. Mi parve di vedere il volto di una ragazzina, giusto per qualche attimo. Sbattei le palpebre quando la voce di Aiden mi riportò alla realtà.
Era evidente. Stava avendo una crisi di rabbia e panico. Kappa mi aveva accennato che, al Ballo di fine anno ad Hogwarts, il nostro collega avesse perso la pazienza in modo altrettanto plateale, bruciando il suo cilindro e congedandosi bruscamente da lui. Personalmente, non l'avevo mai visto così accorato, così livido di nervosismo e la cosa, inutile negarlo, mi preoccupò. Non pensai davvero che potesse arrivare a mettere le mani addosso a quella ragazza ma non riuscii più ad andarmene. Mi concentrai su di lui, sul suo caotico andirivieni e sul suo brusco cambio umorale, fatto di ramanzine, sfoghi e poi battute.
«Dannazione, Daphne! Perché mi hai fatto perdere il controllo? Perché? Cazzo! Cazzo!»
Doveva necessariamente calmarsi. Per lei, per lui stesso, per me e per tutto il Quartier Generale. Non c'erano molti colleghi in giro, era vero, ma molti erano dietro i loro uffici a lavorare e non era il caso né di allarmarli né di fare uno show.
«Aiden, adesso calmati» dissi severa, cercando i suoi occhi. «Stai esagerando. Non dare il peggio di te, rilassati e affronta la cosa con lucidità» aggiunsi, con tono deciso e diretto.




scusate il ritardo, è un periodo un po' pieno!
 
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Odiava i litigi, l'essere la causa dei malesseri altrui e i toni troppo alti, ma una cosa detestava ancor d più: le bugie. E Aiden non poteva certo fingere di essere all'oscuro di quel piccolo particolare che caratterizzava il suo carattere, in fondo era ciò che gli aveva detto di evitare.
«L'appuntamento, giusto... Avrei preferito che lo rovinassi piuttosto di scoprire da sola sta cazzata.» La voce glaciale la faceva apparire fredda e distaccata, probabilmente dopo si sarebbe resa conto di aver perso le staffe e di aver lasciato trapelare il lato peggiore di sé, ma in quel momento era troppo ferita perché potesse anche solo immaginare di pensarlo.
«Non c'è il rischio che ci possiamo sposare, sappilo» rispose prontamente con fare menefreghista, non era lei a parlare.
Vederlo perdere il controllo le aveva fatto dimenticare perfino la scena che era avvenuta poco prima con Rue, aveva avuto una vaga idea di dove l'aveva già vista ma avrebbero affrontato l'argomento in un altro momento, perché sicuramente di lì a qualche attimo Aiden sarebbe andato fuori di sé.
«Esattamente, calmati. Io ho omesso, non ho spudoratamente mentito» disse per poi sentirsi malissimo all'altezza dello stomaco, era davvero lei quella che parlava? Guardò intensamente il liquido ancora tiepido che teneva in mano per poi berne un sorso piccolo con fare schifato, non ne era un'amante ma sentiva la necessità di fare qualcosa per distrarsi, per non dover sostenere lo sguardo del rosso.
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Atena McLinder
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Un lungo rettangolo di luce accendeva di una sfumatura calda il legno della scrivania, spezzandosi una volta raggiunto il bordo e continuando poi sulla moquette che ricopriva il pavimento. Le giornate si stavano accorciando e benché l’ora non fosse ancora tarda, gli ultimi raggi del sole si scioglievano in riflessi dorati e rossastri, portando con sé il profumo avvolgente dell’autunno.
Atena si trovava nel suo Ufficio al Quartier Generale. Il lavoro non mancava e anche quella sera si era dovuta trattenere al Ministero fino a tardi. Si stava abituando a quei ritmi serrati, non le pesavano, anzi il loro incedere incalzante era divenuto come un compagno la cui presenza era piacevole e rassicurante.
Seduta alla scrivania, sfogliava concentrata le pagine di un fascicolo, talvolta intingendo la penna nel calamaio e annotando qualcosa su un foglio a parte. I movimenti erano lenti e calmi, come l’aria che si distende man mano che arriva la sera. Fu il
tin sommesso dell’ascensore, seguito da alcuni passi ovattati lungo il corridoio, a distogliere la ragazza dalla sua occupazione. Sollevò appena lo sguardo dal fascicolo - i pensieri ancora allacciati ai tratti d’inchiostro incisi sulla pergamena - come se gli occhi potessero captare meglio l’origine dei rumori che si erano intromessi nel silenzio della stanza.
Da un punto imprecisato oltre la porta socchiusa, giunse presto il suono indistinto di alcune voci: doveva trattarsi di colleghi da poco rientrati da una ronda o da un incarico serale, pensò tra sé, scrollando la testa e tornando a leggere la riga nel punto in cui l’aveva interrotta.
Non diede particolare peso a quella distrazione, finché le voci non si fecero sempre più concitate e una di queste sovrastò completamente le altre - imperiosa - tanto che Atena riuscì a comprenderne distintamente le parole.
"Mi vuoi ascoltare? Per tutte le corna di Cernunnos, donna, ne parli come se fossimo sposati!". Aggrottò le sopracciglia, sorpresa e sconcertata al tempo stesso per quel modo di esprimersi. Cosa stava succedendo? Lasciò il fascicolo sul tavolo e, alzatasi, percorse l’Ufficio fino alla porta, sporgendo la testa sul corridoio al fine di sincerarsi che non vi fossero problemi.
Fu in quel momento che da oltre il muro che le bloccava parte della visuale sull’Area Comune si stagliò, netto, un viso paonazzo solcato da una vena pulsante sulla fronte.
Lo riconobbe subito. Era lui. Aiden.
Ricordava molto bene - oh se la ricordava - la sfuriata che aveva fatto davanti a lei la sera del Ballo ad Hogwarts, qualche tempo prima: aveva perso completamente il controllo, urlando e farneticando, mentre il viso era sembrato sul punto di esplodere. Da quel giorno Atena aveva evitato quasi completamente ogni contatto con lui, limitandosi allo stretto necessario, che spesso si riduceva ad un’occhiata fortuita in segno di saluto quando lo incrociava nei corridoi o a brevi e concise battute quando il lavoro imponeva una comunicazione tra loro. Non gli portava rancore, questo no, né si poteva dire che fosse adirata con lui. Non sarebbe stato da lei: difficilmente i battibecchi la scalfivano, quando riguardavo persone alle quali non era particolarmente legata; preferiva semplicemente lasciarseli scivolare addosso, voltarsi e proseguire oltre. Senza rancore, senza rimorsi, ognuno per la propria strada. Era il suo modo di fare.
Dalla posizione in cui si trovava poteva scorgere di spalle i capelli scuri di una ragazza a lei sconosciuta e il collega continuare a comparire e scomparire da oltre il muro: la sua voce andava e veniva mentre percorreva a grandi falcate tutta la stanza -
“Mi hai preso per un idiota, eh?” - avanti e indietro - “Ti prego, non farmi andare oltre con questa storia” - imprecando - “Dannazione, Daphne!” - urlando - “Perché mi hai fatto perdere il controllo?” - e diventando se possibile ancora più rosso - “Perché? Cazzo! Cazzo!”.
Atena fu dibattuta tra il lasciarsi andare ad un sorriso divertito o l’alzare gli occhi al cielo per un comportamento che considerava davvero sciocco e fuori luogo. Non sopportava le persone incapaci di mantenere il controllo.
Quando Aiden smise di sbottare, un’altra voce si sollevò nel tentativo di arginare la situazione. Fu con sollievo che riconobbe in essa quella di Urania. Nonostante non avesse avuto modo di approfondire il rapporto con lei, apprezzava molto il suo modo di fare, capace di andare dritto al sodo senza tuttavia scadere nell’arroganza, né perdere la calma. Diretto e controllato. Non poté fare a meno di provare un moto di approvazione alle sue parole. Per un attimo si chiese se fosse a conoscenza di quanto avvenuto con Aiden la sera del Ballo. Tuttavia, dovette ammetterlo, quel pensiero le procurò una stretta di imbarazzo. Era sempre stata una persona piuttosto riservata, non amava trovarsi al centro di attenzioni o essere protagonista di pettegolezzi.
Conscia del fatto che ormai, seppur involontariamente, aveva assistito all’intera conversazione, decise di intervenire a sua volta; tirarsi indietro in quel momento avrebbe significato origliare alle spalle dei colleghi e questo non le piaceva. Si avvicinò quindi all’Area Comune, lasciando il tempo a Daphne - doveva essere questo il nome della ragazza, nominata da Aiden - di rispondere alla sfuriata, com’era giusto che fosse.
Quando ebbe finito di parlare, posò una spalla allo stipite dell’entrata, incrociando le braccia.
«Ehi, Weiss! Dì un po’, fai così con ogni ragazza che tenti di approcciare?» disse divertita, prima che lui potesse controbattere. Non lo fece con scherno, aveva intuito che tra i due doveva esserci del tenero e, nonostante il ragazzo non le ispirasse molta simpatia, non era sua intenzione peggiorare ulteriormente la relazione tra loro, né alimentare una discussione già abbastanza accesa; rincarare la dose si sarebbe rivelato controproducente. Al contrario, il tono volutamente scherzoso e leggero era volto a sciogliere la tensione che si era creata nell’aria, invitando a risolvere la questione con toni civili. Si limitò soltanto a scoccare un’occhiata penetrante al ragazzo nel momento in cui i loro occhi si incrociarono, prima di lasciare scivolare lo sguardo sul resto della stanza. «Se continui in questo modo ti farai venire un embolo! Ti sta sentendo l’intero Quartier Generale». Condì il tutto con un sorriso rilassato, che non lasciava dubbi sull’intento pacifico e pacificatore del suo intervento.

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Oplà! :flower:
 
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When the snow falls, the fox tries to survive.

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Aiden Weiss
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La tempesta che aleggiava nella Sala Comune del Quartier Generale sembrò bruscamente quietarsi. La voce di Urania - prima ovattata e distante alle orecchie di Aiden - si fecero vive e improvvise come un colpo di frusta.
Lo sguardo si volse lentamente verso la propria collega, gli occhi palesemente increduli, incapace di reagire in una qualsiasi maniera. Riusciva ancora a percepirne l’eco nella propria mente, riuscendo a raggiungere la parte razionale di Aiden, quella rimasta offuscata dalla rabbia.
Rimase zitto e fermo sul posto, come se dovesse impiegare il proprio tempo per tradurre il messaggio. Invece era semplicemente per placarsi e richiamare il proprio autocontrollo. Infine - con estrema lentezza - prese a sedersi nel primo divano a portata di mano, come un cane fedele che eseguiva gli ordini del padrone alla perfezione.
Nello stesso momento in cui percepì la morbidezza del divano, la voce di Atena sopraggiunse alle sue orecchie e per poco non sussultò dalla sorpresa. Non l’aveva minimamente sentita arrivare. Il tono era decisamente calibrato da non infastidirlo ulteriormente, questo Aiden lo capì dopo qualche secondo che la guardò con una strana calma. Con il tempo il rosso aveva imparato a riconoscere le battute, ormai non perdeva più le staffe per simili sciocchezze.
«No...» mormorò asciutto alla domanda della collega. «Solo con quelle che non riescono a comprendermi...» Poteva sembrare una frase mirata a stuzzicare, eppure Aiden la disse con estrema pacatezza e senza la minima malizia. E c’era del vero in essa: due donne erano lì con lui e non lo avevano ancora compreso davvero. Non che serbasse rancore verso Atena, alla fine era stata una sua scelta rifiutare la sua amicizia, ma verso Daphne era tutt’altra storia…
Lo sguardo vagò prima su Daphne, poi su Urania e infine su Atena. Se Daphne era riuscita a provocargli rabbia e delusione, Urania era riuscita a placarlo, ma la presenza di Atena risvegliò in Aiden il pentimento.
Tornò per un secondo a guardare Urania negli occhi. «Scusami per la sfuriata...» si scusò, con palese sincerità.
Si sistemò meglio sul divano e infine trovò la forza di guardare Daphne e risponderle con altrettanta glacialità, ma restando calmo, sebbene avvertisse un vuoto nel petto.
Già, l’appuntamento. Fino a prima non aveva pensato all’amaro finale, a come lei fosse fuggita via come una codarda di fronte ai suoi sentimenti. Aveva passato giorni a cercare di lenire il dolore, buttandosi a capofitto nel proprio lavoro, ripensando agli avvertimenti di sua madre: ogni Auror prima o poi doveva scegliere cosa sacrificare per svolgere al meglio il proprio dovere, perciò Aiden capì che non c’era speranza di vivere l’amore.
Per enfatizzare che era ancora molto arrabbiato con Daphne, si limitò a serrare la mascella. «Rovinare? A quello ci hai già pensato tu, mi pare...» mormorò. «Benché i miei sentimenti per te mi abbiano spinto ad essere frettoloso, inesperto come sono su quel campo, avresti potuto dirmi di no. Un no, Daphne, sarebbe stato meglio che vederti fuggire via con il mio cuore alla stregua di una ladra. Ma in un certo senso, ti devo ringraziare per avermi fatto capire quanto te ne importasse del mio amore e - di conseguenza - del fatto che non mi ami affatto.» Serrò le labbra con disappunto.
Ed è così che finisce la mia promessa… Non c’è nessuna donna adatta a me, nessuna attesa, nessun freno… Sono un uomo come un’altro adesso. pensò. Ad ogni azione corrisponde una reazione: Daphne era fuggita via da lui, distruggendolo; ora niente sarebbe stato più lo stesso, lui non sarebbe stato più lo stesso.
«Sei libera… Libera dai miei sentimenti, libera di fare come meglio credi. Preferisco rinunciare, dimenticare, piuttosto che vivere una relazione sterile. Non che abbia mai voluto toccarti in quel modo, non senza il tuo volere… ma rifiutare i miei baci mi ha fatto sentire… inadeguato.» confessò, la voce distrutta. Aveva gli occhi che luccicavano, ma ancora non vi era traccia di lacrime sulle sue guance. Era nervoso e distrutto, benché sarebbe stato difficile dimenticarla, perché ancora l’amava. «Quindi… Quindi da adesso ti vedrò solo come una collega e basta. Se non sei d’accordo, poco importa, ma io devo dimenticarti… per il bene di tutti!»
Si morse un labbro e si passò una mano sulla faccia, per aiutarsi a schiarirsi le idee. Poi si alzò e andò a recuperare la tazza del suo caffè, osservandone il liquido. «Ti avrò detto anche una bugia, mirata a proteggerti e su questo potresti anche capire che ero ignaro appunto delle tue intenzioni di intraprendere la carriera da Auror, quindi non potevo sapere che non avevi bisogno della mia protezione.» Fece una lunga pausa poi, dopo un pesante sospiro, riprese. «Quindi, ora dimmi: continui a non comprendere la mia azione o vuoi ancora insistere che ho sbagliato a tenerti all’oscuro?»
Attese.
Il caffè che giaceva sul fondo della tazza era diventato freddo come la voragine che ora aveva al posto del cuore. Non sarebbe mai stato cattivo, questo no di certo, ma non avrebbe più amato, non finché il Fato non fosse riuscito a decretare una sorte diversa.
Attese.

PS: 178 ☘ PC: 129 ☘ PM: 124 ☘ EXP: 27

Intanto, benvenuta Atenina :flower:
Poi… sorpresa! Aiden si è calmato e immagino non come ve lo aspettavate. :ihih: Così come il resto u.u
 
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view post Posted on 17/10/2017, 16:52
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Urania Rue Donovan

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Le
parole che Daphne usò furono molto incisive. Il viso di lei era contratto dalla severità e dalla risolutezza; non sembrava esserci spazio per il perdono o il ripensamento. Parlò in maniera sicura e diretta, senza fronzoli o esitazioni. Non pareva la classica lite tra fidanzati: i toni alti eppure categorici suggerivano che non sarebbe finita in una riappacificazione - non tanto facilmente, almeno. Ed io, in tutto ciò, ero incredibilmente fuori posto. L'unica cosa che mi tratteneva dall'andarmene era l'aver visto Aiden oltremodo alterato. Non mi piacevano le persone che perdevano il controllo, forse perché io ero estremamente padrona della mia persona, in qualsiasi contesto. Mi premeva assicurarmi che lo sfogo del mio collega giungesse ad una fine; quindi, mi sarei fatta da parte.
Alcuni passi ai bordi dell'Area Comune mi fecero alzare il capo. Atena era lì, la spalla appoggiata allo stipite e l'aria rilassata; le sorrisi e, quando parlò, soffocai una leggera risata. Dorian mi aveva raccontato del Ballo per filo e per segno, soffermandosi in particolare sul momento che aveva riguardato lui, Atena e Aiden. Molti non-detti aleggiavano in quell'aria ancora turbata dalle urla. Era prevedibile che qualcuno accorresse - e fui felice che quel qualcuno fosse Atena. Pur non avendo avuto molti scambi con lei, esclusi quelli lavorativi, la trovavo in gamba e la sua presenza non mi dispiaceva affatto. Trovavo perfino mi assomigliasse, per certi versi. Non era facile, per me, trovare empatia con altre donne ma con lei avevo sempre percepito una certa affinità.
Sentii Aiden farfugliare qualcosa tra sé, sulla scia delle parole di Atena, ma non colsi. Si voltò poi verso di me, scusandosi. Gli sorrisi, un sorriso leggermente teso e incerto, perché non riuscivo a capire se davvero si fosse calmato. Quando si sedette sul divano e si rilassò visibilmente, rilassai anch'io i muscoli del trapezio. Portai le mani in tasca e spostai lo sguardo da Daphne ad Aiden.
«Forse-»
Non riuscii a parlare perché il mio collega riprese la sua invettiva, con toni per fortuna più morbidi. Parlò di amore e di una fuga, del rifiuto di un bacio; capii qualcosa, quel tanto che mi permise di rafforzare la tesi secondo cui quella lite pareva averli portati al capolinea.
Aiden era chiaramente distrutto. Privo di forze, amareggiato, sconfitto - eppure cercava ancora in lei una risposta, un chiarimento. Forse era vero amore, forse ci aveva sperato. Forse, lei lo avrebbe capito e avrebbero ricominciato? Le relazioni umane erano sempre state il mio limite, il mio sconosciuto. Come facevano due persone a capirsi, modellandosi a vicenda per vivere in maniera affiatata? Bisognava lavorarci o le cose venivano da sé? La mia unica fonte di riferimento erano Kappa e Dorian, con cui mi sembrava di essere amica da sempre. Il nostro era un rapporto estremamente forte e intenso, che ancora mi stupiva. Ma come avevo - come avevamo fatto? Come poter replicare una simile intesa? E come trovarsi nel giusto momento, nel giusto tempo, a coglierla? Tempismi sbagliati e discorsi sull'amore portarono inevitabilmente la mia mente verso Horus.


 
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view post Posted on 24/10/2017, 17:19
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Si scostò un ciuffo di capelli rossi da davanti gli occhi per poi voltarsi verso la voce della donna che se ne stava appoggiata allo stipite della porta ad osservare la sfuriata di Aiden. Cosa avrebbe potuto pensare di lei che era appena arrivata e già aveva combinato non pochi casini?
«Ehi, Weiss! Dì un po’, fai così con ogni ragazza che tenti di approcciare? Se continui in questo modo ti farai venire un embolo! Ti sta sentendo l’intero Quartier Generale». Era chiaro che il sorriso finale avesse l'unica funzione di ammorbidire delle parole intenzionate a fargli capire che stava esagerando, soprattutto lì, dove chiunque si sarebbe potuto fermare ad osservare la scena travolto dalla curiosità.
Si perse la risposta del rosso ma non ci fece troppo caso, semplicemente stava riflettendo se fosse giusto essere così arrabbiata con lui. Aveva avuto i suoi cinque minuti di rabbia, un po' di tempo per sfogarsi per la menzogna ma continuando l'argomento era cambiato, stavano arrivando ai suoi stessi sensi di colpa, sensi di colpa per essere scappata come una codarda di fronte alla paura di mostrare i suoi veri sentimenti. *Innamorarsi è così brutto?* Ci rifletté un secondo ma il suo pensiero fu interrotto dalla voce di Aiden che nel frattempo si era spostato sul divanetto.
«Rovinare? A quello ci hai già pensato tu, mi pare...» *E' la fine?* Sospirò amareggiata guardandolo negli occhi sebbene si sentisse malissimo. «Benché i miei sentimenti per te mi abbiano spinto ad essere frettoloso, inesperto come sono su quel campo, avresti potuto dirmi di no. Un no, Daphne, sarebbe stato meglio che vederti fuggire via con il mio cuore alla stregua di una ladra. Ma in un certo senso, ti devo ringraziare per avermi fatto capire quanto te ne importasse del mio amore e - di conseguenza - del fatto che non mi ami affatto.»
Ascoltò il resto del discorso imperterrita mentre ogni parola le perforava il cuore come una lama appuntita. Perché Aiden aveva perfettamente ragione.
«Non credo che parlarne qui e ora sia la cosa migliore, se vuoi possiamo discuterne un'altra volta ma oggi abbia già dato troppo spettacolo. Lascerò correre la bugia ma non fare il melodrammatico, ti ho spiegato i miei motivi e te li rispiegherò se me ne darai la possibilità» disse cercando di apparire fredda solo agli occhi delle due ragazze perché la lucentezza dei suoi occhi avrebbe spiegato molte cose ad Aiden, lo stava praticamente supplicando.
*Sei una stupida.*
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view post Posted on 2/11/2017, 17:24
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Atena McLinder
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Aiden si lasciò andare sul divano, lo spirito affranto, tanto quanto la stanchezza che sembrava essere calata sulle sue membra. Atena si rilassò, il momento peggiore sembrava essere passato. Ricordava come, anche la sera del Ballo, dopo la sfuriata si fosse spento all’improvviso, con una rapidità tale da far sorgere il dubbio che quanto successo non fosse altro che un sogno o una strana allucinazione.
“No... Solo con quelle che non riescono a comprendermi...” iniziò lui, con tono pacato. Atena si lasciò sfuggire un sorriso divertito, alzando appena gli occhi al cielo. Per quanto la riguardava, aveva compreso abbastanza di lui e del suo modo di fare; tuttavia non disse nulla, prendendo atto della sua indole la questione aveva finito per assumere un’importanza pressoché nulla per lei e non era certo il caso di dare adito a ulteriori, inutili, discussioni.
Il ragazzo continuò a parlare, scusandosi con Urania prima – gesto che apprezzò – e rivolgendosi a Daphne, poi. Disse molte cose, che lei faticò a comprendere fino in fondo, non essendo a conoscenza delle reali vicende che li avevano interessati. Parlò di delusioni, di baci, di bugie. Le sue parole esprimevano rabbia e amarezza. Pensò che le conclusioni a cui giunse fossero piuttosto avventate e la sua decisione di chiudere la relazione alquanto affrettata e contraddittoria. Ma in fondo chi era lei per poterlo pensare, senza conoscere la realtà dei fatti? Evidentemente dovevano trascinarsi del rancore da vicende passate. Non stava a lei giudicare.
Fu poi il turno di Daphne. La ragazza sembrò altrettanto ferita, il tono con cui parlò fu freddo e deciso, tra i due dovevano esserci stati molti malintesi. Eppure non poté che darle ragione e approvare il suo ragionamento: forse avrebbero fatto meglio a risolvere le questioni in sospeso da soli, parlandone con serenità in un luogo tranquillo; non tanto perché restando nell’Area Comune chiunque avrebbe potuto sentirli, né perché quell’inconveniente la infastidisse; piuttosto, pensava che quella situazione doveva essere alquanto imbarazzante per entrambi – parlare dei propri problemi di fronti a colleghi o sconosciuti poteva mettere davvero a disagio – ma nello stesso tempo riteneva fondamentale che avessero l’opportunità di chiarirsi, a prescindere dalla decisione che avrebbero preso sulla loro relazione. I cerchi lasciati aperti non potevano che ingigantire i problemi man mano che il tempo passava, dando inizio ad un circolo vizioso senza fine.
Tornò a posare lo sguardo su Urania. In quel momento sembrava seguire il filo di un pensiero, ma anche lei dava l’impressione di essere più tranquilla e rilassata ora che i toni si erano fatti più morbidi. Si chiese se fosse stato il caso di restare ancora o se avesse fatto meglio a tornare nel suo Ufficio.

«Prendo solo una tazza di the» disse infine, muovendo alcuni passi verso il tavolo «tolgo presto il disturbo e vi lascio alle vostre faccende» concluse con tono affabile, cercando ancora una volta di alleggerire la tensione nell’aria. Mentre versava la bevanda calda in una tazza rivolse un sorriso a Daphne, con l’intento di mettere a suo agio la nuova arrivata e rassicurarla sul fatto che quella vicenda non avrebbe influito in alcun modo sull’opinione che avrebbe potuto avere di lei: si era messa nei suoi panni e quella situazione non doveva certo essere gradevole. «Ah, io sono Atena» aggiunge subito dopo, mentre versava mezzo cucchiaino di zucchero nel the, per evitare che un silenzio imbarazzante potesse calare nella stanza «mi dispiace che il nostro primo incontro sia stato un po’ turbolento, ma sono sicura che avremo modo di rimediare. Il mio Ufficio è laggiù» fece un cenno verso la porta in fondo al corridoio «nel caso avessi bisogno di qualcosa, non farti alcun problema». Cercò di essere gentile e accogliente, sperando che il suo intento fosse chiaro e di non sembrare fuori luogo in quella discussione.

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