| Il vento soffiava impetuoso sulle cime dei rilievi che circondavano Hogwarts come solide mura difensive del tutto naturali, mentre le dense nuvole scure si apprestavano a celare alla vista l’ultimo spiraglio di azzurro. In lontananza, un lampo di luce illuminò il cielo, ormai plumbeo, e il rombo del tuono lo seguì in pochi istanti, colmando l’innaturale silenzio stabilitosi come una terza scomoda presenza tra le due studentesse. Del resto, quella pausa le aveva permesso di considerare un nuovo aspetto del caratterino di Megan, in netto contrasto con quanto si sarebbe, invece, aspettata: per quanto desiderasse sfidare la Corvonero, sino a spingerla laddove non sarebbe potuta facilmente tornare sui propri passi, era proprio quest’ultima ad aver osato maggiormente, additandola come un luogo comune vivente.
Nata e cresciuta in una famiglia troppo numerosa, per certi versi aveva accantonato l’idea di essere considerata “speciale” rispetto alle sorelle o ai cugini; l’intelligenza, la scaltrezza e le abilità in ambito magico di certo non le mancavano, ma il suo codice morale le impediva di elevare tutto ciò al rango di un vanto e, anzi, si limitava a proseguire la propria esistenza nell’ombra, senza smettere di nutrire costantemente la propria ambizione. D’altro canto, il suo aspetto rientrava pienamente nei canoni descritti dalla ragazzina e non poté fare a meno di incassare il colpo con un’evidente disappunto nello sguardo; le iridi grigio-azzurre si accesero di una vivida luce che aveva stravolto la maschera di falsa alterigia, così come il lampo aveva squarciato l’oscurità del cielo in tempesta. Per anni aveva sentito l’esigenza di eccellere in ogni ambito ed Hogwarts le aveva permesso di esprimersi in tal senso, come mai aveva potuto fare a Cork, nel grande - ed affollato - maniero di famiglia. La infastidiva, quindi, che una perfetta sconosciuta fosse riuscita a cancellare in un attimo la fatica profusa in quegli anni, paragonandola ai tanti che, al mondo, possedevano le medesime caratteristiche fisiche: il suo sguardo ardeva, ora, e la Corvonero avrebbe percepito istantaneamente di aver premuto un tasto dolente.«Ti piacciono i luoghi comuni, uh?» chiese, il tono secco di chi avrebbe desiderato spedirla gambe all’aria in un solo svolazzo di bacchetta ben eseguito «Non tutti gli Irlandesi hanno i capelli rossi, gli occhi chiari e le lentiggini.» spiegò rapidamente, distogliendo lo sguardo da lei per la prima volta dal loro arrivo al chiostro; seguì con estrema cura le linee oblique e diritte delle lastre di pietra fredda, posizionate a regola d’arte a formare un intricato mosaico bicolore, più chiaro nelle zone coperte dal tetto spiovente del piano superiore e più scure laddove migliaia di passi e gli agenti atmosferici avevano lasciato il segno del proprio passaggio. Al centro della piccola piazzetta quadrata, quattro panchine di pietra ingrigite dal tempo erano posizionate in modo da formare un cerchio. Da lì, il suo sguardo e la sua attenzione si concentrarono sugli archi trilobati del colonnato che correva lungo il perimetro; essi apparivano ai suoi occhi come splendidi merletti intrecciati da mani esperte e delicate che, se possibile, glieli facevano apprezzare ancor di più.
Sempre impeccabile, educata a non mostrare mai il velo di fitti pensieri che attraversavano la sua mente di continuo, la maggiore tra i discendenti dei Moran aveva imparato a proprie spese quanto gli anni dell’adolescenza potessero essere inclementi con le buone intenzioni. Crescendo, le ingiustizie e gli sgambetti di insegnanti e compagni avevano scalfito la superficie liscia del suo animo impassibile, scoprendo quanto - in fin dei conti - si celasse al di sotto di quello strato di norme e galateo. Domare la sua rabbia si era rivelato un processo difficoltoso sin dal principio, un percorso in continuo divenire, come se la frustrazione di dover accettare ciò che la vita aveva da offrirle fosse l’unica soluzione possibile. La sua ambizione ed il suo amor proprio, al contrario, ostacolavano fortemente la sua ricerca al compromesso perfetto. Così, dalle più varie esperienze che un’adolescente potesse vivere in un mondo come il loro - le discussioni con i genitori, con le sorelle ed i compagni, un incantesimo eseguito malamente ed una pozione lasciata troppo sul fuoco - si caratterizzavano di un’unica componente costante: il fatto che, quasi sempre, se ne andasse sbattendo la porta o, semplicemente, si chiudesse nel silenzio più totale. In quel caso, andarsene avrebbe significato mollare la presa, darla vinta alla controparte e perdere quella minima parvenza di supremazia dettata dalla Spilla appuntata al suo petto. Megan aveva quindi innescato un pericoloso meccanismo, atto ad esplodere alla minima sollecitazione; tale eventualità doveva essere evitata ad ogni costo. Da lì, dunque, era derivato il lungo silenzio, al fine di restaurare la calma nel suo animo combattuto ed evitare alla Corvonero una punizione esemplare per un reato mai davvero commesso.«In ogni caso hai avuto fortuna. Sono nata e cresciuta a Cork, nel sud-est dell’isola.» sospirò, tentando di abbozzare un sorriso quanto più educato possibile. Bisognava tener conto delle secolari rivalità tra il suo popolo e quello inglese: centinaia di anni costellati da grandi rivolte eclatanti, senza che un esito davvero soddisfacente per ambo le parti facesse capolino nei libri di storia; tutto si riduceva immancabilmente a piccole lotte quotidiane e, senza saperlo, Megan aveva premuto il grilletto di una pistola già carica di colpi.
Inspirò profondamente, certa che la ragazzina avrebbe rispettato il suo silenzio. Le piaceva pensare che Megan, a quel punto, avrebbe girato i tacchi e se ne sarebbe tornata in Sala Comune, sulla Torre di Divinazione, con il broncio tipico di chi aveva appena ricevuto una lezione coi fiocchi - e non solo metaforicamente. D’altro canto, sapeva perfettamente che non avrebbe avuto nient’altro che misere soddisfazioni da parte di quella ragazzina impertinente.«Stati Uniti.» aggiunse poi «Mia madre aveva ricevuto un incarico laggiù. Non è stato così… stimolante.»Terminò quella frase con l’amara consapevolezza di aver lasciato intravedere a Megan un pezzetto di sé, di quella sensazione di abbandono che sua madre non le aveva mai fatto mancare in sedici anni di vita. L’America, il sogno di molti curiosi, era divenuta ben presto il suo incubo: una madre assente ed un padre che, per forza di cose, aveva rinunciato a molto per dedicarsi completamente a lei. Aveva distolto lo sguardo ancora una volta, osservando le mani intrecciate sulle ginocchia: le nocche, biancastre, simboleggiavano quella tensione accumulata e faticosamente trattenuta, quando in realtà sarebbe bastato un nonnulla per rilasciare quelle emozioni a lungo sopite.«Uhm?» ancora un volta, Megan l’aveva riportata alla realtà, permettendole di abbandonare i pensieri negativi di quei frangenti. Le sarebbe sorto spontaneo sorridere divertita a quella domanda quasi sussurrata; invece, scelse di mantenere un’espressione distratta e noncurante, pronta a rispondere alla ragazzina con la sua vena sarcastica, la sua unica vera arma. «Oh no. Anche se stai facendo un ottimo lavoro per farmi cambiare idea.»Lo disse con leggerezza, senza davvero intendere un simile finale per quell’incontro. A quel punto, e solamente allora, gli angoli delle sue labbra tornarono a curvarsi nuovamente in sorriso.
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