Come voleva il tè? Una domanda apparentemente banale, ma non poté fare a meno di chiedersi se non costituisse, in realtà, una sorta di prova. Una barista navigata come Astaroth era in grado di anticipare i desideri dei clienti, basandosi sull’osservazione di dettagli che sfuggivano ai più; la Strega poteva, inoltre, contare su una sorta di talento naturale, le cui potenzialità non erano ancora state esplorate a pieno. Sapeva, però, che i più si dilettassero con un
gioco di deduzione opposto, cioè quello di, partendo dai gusti della persona che avevano di fronte, cercare di cogliere qualche aspetto della sua personalità. Dorian stesso, a Parigi, aveva cercato di inquadrare Astaroth a partire dalla scelta del drink. In quel momento come allora, la Strega decise di non sottrarsi ad un’eventuale indagine.
Quale varietà di tè le avrebbe servito il Professore? Sicuramente non avrebbe avanzato pretese scortesi: se non le fosse stata offerta la possibilità di scegliere tra una rosa di varietà, non si sarebbe sbilanciata a fare richieste. Tendenzialmente, la Strega prediligeva i tè più scuri e più aromatici, e vi aggiungeva un goccio di latte o di panna per rendere la consistenza più cremosa ed esaltarne il gusto corposo; quanto ai tè meno fermentati, li sorseggiava con una fettina di limone, per esaltarne la proprietà rinvigorente. In ogni caso, non riuscì a scorgere né latte né limone nelle prossimità, perciò si limitò a rispondere: «
Per me niente zucchero, la ringrazio». Aveva imparato dalla nonna materna ad apprezzare il gusto amarognolo del tè e la patina tannica che lasciava sul palato; trovava che lo zucchero andasse a detrimento di un’esperienza sensoriale completamente appagante. In linea di massima, in ogni caso, la Strega non poteva definirsi un’amante del dolce; anche in fatto di alcolici aveva sviluppato, nel corso degli anni, una certa preferenza per i liquori più amari e aromatici e, al contrario, una latente avversione per i cocktail eccessivamente zuccherini.
Mentre le tazze andavano riempiendosi grazie all’instancabile servizio da tè incantato, la Strega iniziò a percepire una certa tensione. Che fosse frutto della sua immaginazione? La tazzina dal liquido ambrato volteggiò fino al tavolino, sotto lo sguardo di Astaroth, mentre lei ascoltava con un sorriso divertito la risposta del Docente. Infine, prima che potesse rendersene conto, i convenevoli erano terminati. Se il tè non fosse stato ancora bollente, la Strega ne avrebbe volentieri sorseggiato un po’, di modo da poter guadagnare qualche secondo per elaborare una risposta soddisfacente ad una domanda che, pure, era così semplice. Si morsicò appena l’interno del labbro inferiore: per un istante, la fiaschetta piena di rum che teneva in borsa si materializzò prepotente nei suoi pensieri.
Si aprivano così, dunque, le danze. Peverell le aveva teso la mano – un implicito invito – e poi, prima che lei potesse valutare le opzioni, le aveva rivolto una domanda a cui non poteva sottrarsi, incalzandola. Ma Astaroth era una maestra di volteggi, piroette, inchini e balzi; si lasciava accompagnare con leggerezza dal cavaliere, poggiandogli delicata una mano sulla spalla mentre lui le cingeva la vita. I ruoli tradizionali tendevano a venire sovvertiti, nel corso della danza: la sicurezza del cavaliere, solitamente, iniziava a vacillare dopo appena qualche passo, sotto lo sguardo ipnotico della dama che, entro la fine del brano, si ritrovava a guidare. In quel contesto, però, Astaroth non era certa di poter contare su buona parte delle armi nel suo arsenale: l’esito di quel ballo era assolutamente incerto.
Sorrise, senza distogliere lo sguardo dal volto dell’interlocutore. Perché si trovava lì? Per ragioni che nulla avevano a che fare con il desiderio di educare le giovani menti malleabili di decine di adolescenti; non aveva mai avvertito quel genere di vocazione e mai sarebbe potuto succedere. Stava sostenendo quel colloquio solo ed esclusivamente per se stessa e per le proprie aspirazioni. «
Immaginavo di dover essere io a porre questa domanda a lei, Preside» rispose, infine. Mitigò la sfrontatezza della propria risposta con l’accenno di una lieve risata, mentre abbassava lo sguardo sulle proprie mani intrecciate in grembo, a creare l’illusione di una crepa nella sua invulnerabilità. Prima di riprendere a parlare, riportò lo sguardo sul volto di Peverell e proseguì: «
Nel momento in cui ho saputo che la cattedra di Divinazione fosse vacante, il desiderio di fare ritorno ad Hogwarts si è annidato tra i miei pensieri, e non mi è stato più possibile sradicarlo». Abbassò lo sguardo per un istante sulla tazza di porcellana fumante, valutando quale fosse la maniera migliore per proseguire. Non era nelle sue corde mentire spudoratamente e, d’altronde, Peverell non le dava l’impressione di poter essere abbindolato con le solite quattro, vacue banalità. «
Ho sempre avvertito una certa affinità nei confronti della materia» continuò, abbassando appena il tono di voce, a sottolineare il carattere personale di quell’affermazione. «
Non mi sarei potuta perdonare se non avessi almeno provato a cogliere questa opportunità». Inspirò profondamente prima di proseguire. «
Certamente, non ho esperienze nel campo della didattica» ammise, senza distogliere lo sguardo dalla figura del Preside, «
ma conosco discretamente la disciplina». Si chiese se il tono modesto, per quanto affettato, non rischiasse di rivelarsi controproducente, perciò decise di accantonare quella parte, come un’attrice capricciosa, almeno per il momento. «
Per certi aspetti, l’esercito ogni giorno» disse con un sorriso, accennando al proprio
dono. Lasciò che lo sguardo, ora, si posasse sulla vetrata colorata che si trovava dietro alla scrivania; come se si stesse accingendo a raccontare una fiaba antichissima, piegò leggermente la testa sollevando appena il mento e socchiudendo gli occhi. «
La nonna mi diceva sempre che la nostra famiglia vantasse illustri Veggenti». Un sorriso accondiscendente le sollevò gli angoli della bocca e una luce divertita danzò per un istante nei suoi occhi verdi. «
Ovviamente, come potrà immaginare, la Vista non si manifesta da generazioni. Tuttavia,» disse, sollevando di appena un mezzo tono la voce e riportando lo sguardo su Peverell «
è vero che le donne con sangue Lilbourne tendono a manifestare alcune… doti». Raddrizzò la schiena e riaccavallò le gambe, sistemandosi la gonna. «
Ad esempio, io riesco ad anticipare, con una certa precisione, le ordinazioni dei miei clienti. Un dono che non ho mai approfondito quanto avrei potuto o dovuto» spiegò, concludendo con un sospiro. «
Mia nonna era abile nella tasseomanzia; quanto a mia madre, pare che di tanto in tanto facesse dei sogni premonitori». Aggrottò la fronte, perdendosi per un istante tra i ricordi e i pettegolezzi di un passato lontanissimo.
Astaroth era consapevole che non bastasse poter vantare un talento naturale per essere dei Docenti discreti. Ma non stava nemmeno a lei giudicare se fosse adatta ad occupare la cattedra vacante, altrimenti quel colloquio non avrebbe avuto luogo. «
Non mi sono presentata a questo colloquio con leggerezza, Preside. Sono consapevole che non basti millantare la Vista per garantirsi l’assunzione» lo rassicurò, rivolgendogli uno sguardo compassato.
Aveva risposto all’invito, porgendogli la mano; ora spettava a Peverell guidarla in quella danza dagli esiti incerti.