I spy with my little eye, Colloquio di assunzione

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Astaroth Morgenstern
view post Posted on 25/1/2018, 13:52





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Astaroth guardò la propria immagine riflessa nello specchio a parete: l’espressione severa, le sopracciglia sollevate, gli occhi intenti nella ricerca di un dettaglio fuori posto che non trovarono. La silhouette che la superficie riflettente restituiva allo sguardo scrupoloso della donna era sobria e al contempo sfacciatamente femminile, di una sensualità senza tempo, apparentemente priva di civetteria, ma calcolata in ogni singola curva, fino a corrispondere, né più e né meno, all’immagine che la Strega voleva trasmettere di sé. L’ampia gonna a ruota nera, lunga appena sotto al ginocchio, metteva in risalto la vita svelta e i polpacci affusolati, i cui muscoli, avvolti in sottili calze color pece, erano tesi nello sforzo – un male necessario – richiesto dai tacchi delle decolleté; una semplice camicia bianca con i bottoni di madreperla le cingeva il busto florido. L’unico tocco di colore era rappresentato da un sottile foulard di raso color smeraldo, che risaltava grazie al contrasto dei capelli color mogano di Astaroth.
Lo sguardo della donna scivolò distrattamente sul riflesso della sveglia sul comodino e lei sussultò. Se non si fosse data una mossa, avrebbe rischiato di fare tardi. Astaroth non era esattamente il genere di persona che si sarebbe potuta definire ligia al dovere o stacanovista, ma teneva abbastanza alle apparenze da risultare quantomeno sempre puntuale. Perciò, dopo aver lanciato un’ultima, rapida occhiata allo specchio, afferrò il cardigan di lana nero, il cappotto e la borsa, e si Smaterializzò ad Hogsmeade.


Nella fiumana di studenti che attraversavano i corridoi, Astaroth sperò di scorgere una chioma argentea familiare. In quel momento la compagnia di Nieve le avrebbe fatto piacere e le avrebbe permesso di distrarsi, almeno per qualche minuto, dalla febbrile attesa che le stava logorando i nervi. La Strega si era tolta il cappotto di lana, che ora era piegato tra le sue braccia conserte. Solo la punta arrotondata della scarpa, che batteva un ritmo frenetico sul pavimento di pietra, tradiva un certo nervosismo: l’espressione della donna era impenetrabile. Rivolse un sorriso carico di benevolente condiscendenza ad un paio di ragazzi più grandi che voltarono la testa verso di lei nel passarle accanto.
Se fosse bastato sbattere le ciglia e sorridere per ottenere il posto, Astaroth non dubitava che sarebbe riuscita a raggiungere l’obiettivo senza il minimo sforzo. Purtroppo, conosceva abbastanza Peverell da sapere che se anche avesse sbottonato la camicetta fino alle caviglie non avrebbe potuto persuadere il nuovo Preside ad assumerla. Per la prima volta, si sentiva esposta e in balìa dell’incertezza. Eppure, da quando Dorian l’aveva presa da parte al Ballo di Natale per comunicarle che la cattedra fosse vacante, la Strega non era più riuscita a distogliere la mente dal tarlo che a poco a poco si era insinuato tra i suoi pensieri.
Negli ultimi mesi, il lavoro ai Tre Manici di Scopa le era diventato pesante: non le dava modo di esercitare le proprie doti e non era all’altezza delle sue aspirazioni sociali. E, cosa ben peggiore, aveva iniziato ad annoiarla. Spillare Burrobirre e servire dolcetti erano diventati il suo incubo quotidiano. Quando son Ange le aveva parlato della cattedra di Divinazione, la Strega si era sciolta in una risata, convinta che l’amico si stesse divertendo a sue spese. Ma Dorian era serio. Così, l’idea si era a poco a poco annidata tra i suoi pensieri, trasformandosi da germe inerte a rigogliosa edera che l’aveva stretta tra le sue spire fino ad assillarla.
Professoressa Morgenstern. Oh, quanto suonava bene.
La Strega sospirò e si incamminò verso la scalinata di pietra che l’avrebbe portata verso l’ufficio del Preside. Un gruppo di studenti dell’ultimo anno si aprì per lasciarla passare e lei li gratificò con un sorriso, ma il suo sguardo li attraversò da parte a parte, come se fossero poco più che degli oggetti di arredamento. Cercò di concentrarsi sul ritmico alternarsi dei passi e sul rumore dei propri tacchi sulla pietra consumata. I soggetti che abitavano i quadri appesi alle pareti la seguivano con lo sguardo, scambiandosi di tanto in tanto qualche commento, o spostandosi nei quadri vicini per poterla studiare ancora un po’. Astaroth non prestava grande attenzione a quanto la circondava, ma alcuni di quei quadri le risultavano famigliari. Rispose allo sguardo insistente della dama ottocentesca con cui aveva litigato durante il suo quarto anno con una linguaccia; la dama si portò la mano guantata alla bocca, sdegnata, e le diede le spalle. Un sorriso si dipinse sulle labbra di Astaroth, e procedette un po’ più leggera: se tutto il resto era in balìa del Caso, almeno Hogwarts rimaneva una certezza costruita su solida pietra.


Dopo aver superato i gargoyle, la porta di pietra e la scalinata a chiocciola, Astaroth si trovò finalmente di fronte all’ostacolo finale. Fronteggiando la porta di quercia, la giovane si concesse un ultimo momento di debolezza: espirò lentamente, ad occhi chiusi, e si portò una mano al petto per accarezzare il ciondolo a forma di cuore con il ritratto di Charles. Riaprì gli occhi, raddrizzò la schiena e alzò la mano per bussare con colpi rapidi e decisi. Qualora le fosse stato concesso di entrare, la Strega avrebbe aperto la porta e, con un sorriso sicuro sulle labbra, avrebbe salutato Peverell:
«Buongiorno, Preside. Sono Astaroth Morgenstern.»






Mi scuso tantissimo per il ritardo. Mi impegno ad essere molto più rapida nelle risposte.
E grazie per l'opportunità <3.
 
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view post Posted on 26/1/2018, 17:06
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Una mattinata come tante altre.
Davanti all'allegro caminetto due comode poltrone in velluto rosso attendevano.
Alla sinistra di quella più a sinistra, e prossima alla scrivania, un tavolino, ingombro di quella che aveva tutta l'aria di essere una pila di pergamene, tutt'altro che appassionanti. Poco distante, sulla scrivania altre quattro pile sostavano in attesa, pronte a prendere il volo, come dal ponte di una portaerei. Dalle vetrate colorate filtrava luce a profusione, di quelli che in molti speravano fossero gli ultimi aneliti di estate. Si era protratta sin troppo, che fine aveva fatto l'autunno? Pensieroso, forse sulle sorti della stagione, forse sull'oceano di carte che l'attendeva, un vecchio Mago era in piedi, e dava le spalle alla luce, sorseggiando l'ennesimo goccio di The alla scrivania. Ebbene sì, era già quasi tempo di riprendere. Solo un attimo, una tazza e via. Un'irrispettosa e irriverente zuccheriera attendeva, facendo la hola, che nuovamente giungesse il suo turno. Tazza dopo tazza non era stato un pomeriggio peggiore di altri, andava riconosciuto, era stata mediamente occupata, e anche il suo Capo era stato stranamente permissivo. Che servisse una massiccia dose di zucchero per digerire quelle pergamene?
Sospirando, tornò a sedersi in poltrona. Il blu cyan della veste risaltava incredibilmente sul velluto rosso della seduta, e dello schienale, quasi fosse un'icona medievale. E l'immobilità con la quale leggeva un rotolo dietro l'altro aveva del sinistro. Tra un rotolo e l'altro un cupo borbottio, pochi tratti di piuma nell'angolo alto a destra, nemmeno il tempo per l'inchiostro rosso di asciugarsi, e avanti con il prossimo. Proprio come in una perfettamente oliata catena di montaggio al rialzarsi della piuma dal rotolo, questo schizzava lontano, vorticando intorno alla stanza, prima di adagiarsi sul lato destro della scrivania, dove due delle quattro pile attendevano, già vergate, e marchiate di rosso. Contemporaneamente dal lato sinistro un nuovo rotolo si muoveva alla volta del tavolino, svolazzando il più silenziosamente possibile, insinuandosi sul fondo di quelli in attesa di essere corretti. Compiti, compiti di Storia. O per meglio dire, il più delle volte non sensi messi per iscritto, per operare gratuita violenta su quelli che erano stati poveri agnelli, almeno idealmente. E se era ancora accettabile leggere inutili ma brevi fantasticherie, più si allungavano, quasi volendo controbilanciare l'idiozia espressa e svelata, più la probabilità di finire tra le fiamme cresceva. Due segmenti perpendicolari segnarono un'improvvisa e inaspettata fortuna su una buona sestina dei rotoli successivi. Dopo certe cose, ciò che seguiva non poteva che sembrare geniale. L'aveva valutato? Ne aveva tenuto debitamente conto?
Inaspettatamente, prima che la pendola battesse la mezza, qualcuno bussò alla porta.
Aveva appuntamenti? Qualcuno pronto a scusarsi di quella perdita di tempo?
Un problema? Una qualche richiesta? Nuove suppliche?
Un colloquio da lungo tempo rimandato?
Non mancavano le eventualità.


Avanti!

Tra gli svolazzi, una sinuosa 'S' prese forma al suo posto.
Già il rotolo volava via, e uno nuovo trovava posto.
Chi poteva essere?
Chi aveva scordato quella volta?
Un sinistro formicolio andava assumendo forma.
Qualcosa l'aveva scordato, ne sentiva quasi l'olezzo nell'aria.
Non era solo cedro, e resina, ma anche l'odore della dimenticanza.
Una fragranza dopo tutto che aveva imparato ad apprezzare nel corso degli anni. Ma non era destinato ad aspettare più di quel tanto,evidentemente la fretta curiosa di scoprire il seguito non era solo sua. Una giovane donna comparve dalla porta. Evidentemente doveva averla invitata lui, e sorridendo gli sovvenne infine anche il perchè. Morgenstern. Tutto si spiegava.


Ah! Mademoiselle Morgenstern, quale piacere rivederla!
Prego prego, si accomodi. Inconsciamente la aspettavo.
Sono al suo servizio, le posso offrire qualcosa?
Almeno per questa volta tocca a me...


Sorrise garbato, issandosi tra un'imprecazione e l'altra.
Tappeti, poltrone, tavoli e tuniche non erano mai andati d'accordo.
A questi erano andati aggiungendosi gli anni e la frittata era più che fatta.
Accennò alla seconda poltrona, o voleva restare in piedi per il resto del tempo? Con calma, ci sarebbero arrivati. Non c'era particolare premura.

 
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Astaroth Morgenstern
view post Posted on 27/1/2018, 14:32






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La voce famigliare del Preside le riportò alla memoria ricordi da tempo sepolti. Si trattava per lo più di esperienze che, all’epoca in cui le aveva vissute, erano state tutt’altro che piacevoli; ora, tuttavia, godevano di quel privilegio particolare riservato ai ricordi d’infanzia, per cui i tempi lontani vengono filtrati attraverso una lente rosea.
Non si poteva dire che le lezioni di Storia della Magia fossero tra le sue preferite, ai tempi della scuola. Più di qualche volta le era capitato di consegnare i compiti in ritardo o di vedersi restituire i rotoli di pergamena con valutazioni indecorose. In seguito all’ennesimo Troll, una volta, la nonna di Astaroth aveva inviato alla nipote una Strillettera agghiacciante, in cui la minacciava, di fronte a tutti gli studenti presenti nella Sala Grande, di ritirarla da scuola per farla assumere come sguattera in una famiglia Purosangue. L’allora tredicenne Strega era arrossita fino alla punta dei capelli; nonostante le lacrime che premevano per scendere, aveva continuato a spalmare il burro salato sulla fetta di toast, rispondendo alle risate dei suoi concasati con occhiate di fuoco.
La sua prima impressione, nell’entrare nell’ufficio di Peverell, fu che un artista sbadato avesse rovesciato dei colori ad olio sulla sua retina. Uno scarto significativo rispetto al grigio della nuda pietra e alla monocromia della torre. Il suo sguardo fu immediatamente catturato dalla veste blu del Preside: un colore primario, vivace, che ben si addiceva alla figura eccentrica del Mago; la luce filtrata attraverso le vetrate colorate le infuse un senso di serenità, e l’espressione della Strega si distese in un sorriso che, finalmente, si riflesse anche nei suoi occhi.
Mademoiselle. La galanteria di Peverell la mise a suo agio, e, per un istante, Astaroth si sentì quasi una sciocca ripensando al timore che aveva – quasi – rischiato di avere la meglio sulla sua sicurezza. Non sapeva se il Preside fosse sensibile al suo fascino, ma comprese che non fosse quello il momento di mettere alla prova l’inflessibilità del Docente. Il germe del dubbio, allora, iniziò a scavare: se non poteva fare affidamento sul proprio aspetto, alla Strega non rimaneva che armarsi esclusivamente della sostanza; e se non fosse stato abbastanza?
Mentre si dirigeva verso la poltrona che Peverell le aveva indicato, Astaroth si schiarì la gola con un certo vigore, nel tentativo di riacquistare una perfetta padronanza di sé e scacciare i tarli dell’insicurezza. Non era certamente il suo primo colloquio di lavoro, e non era più una studentessa in procinto di essere rimproverata dal Docente: era una Strega adulta; non l’attendeva un esame, ma un confronto tra pari. Infine, l’orgoglio tornò ad avere la meglio sull'incertezza: sedette sulla poltrona accavallando le gambe lentamente e sistemando la gonna di modo da evitare che si creassero pieghe; la sobrietà dell’abbigliamento scelto per l’occasione lasciava tutto all’immaginazione, ma la posa metteva in risalto i polpacci affusolati e le caviglie sottili della Strega. Sistemò il cappotto sullo schienale della poltrona e appoggiò la borsa accanto a sé.
«Sono al suo servizio, le posso offrire qualcosa? Almeno per questa volta tocca a me…» Astaroth rispose con un sorriso garbato al Preside, mentre lo guardava incespicare tra il mobilio dello studio. Il suo primo pensiero corse ad un buon bicchiere di Whiskey Incendiario, doppio, secco. Ma lo sguardo le cadde sul servizio da tè del Preside e sulla zuccheriera, ricordandole la vera ragione per cui si trovasse lì, quel pomeriggio. La Strega portò una mano al foulard che le avvolgeva delicato il collo, come per sistemare il fiocco.
«Un tè andrà benissimo, la ringrazio» rispose. Una luce maliziosa balenò per un istante nei suoi occhi e gli angoli della sua bocca si sollevarono appena, mentre con voce melliflua aggiungeva: «Qualcosa mi dice che, oltre ad essere un estimatore di vini rossi francesi, lei sappia apprezzare come pochi una buona tazza di tè».
La tazza di tè, inoltre, avrebbe potuto dar modo al Preside di mettere alla prova le doti di Tasseomanzia della candidata. Che fosse quello il suo piano?
Nonna Euridice si dilettava di lettura dei fondi di tè, e aveva un discreto talento. Astaroth aveva trascorso buona parte dell’infanzia a servire il tè alle attempate amiche dell’arcigna anziana, sotto il suo sguardo severo e attento. Quando la nipote fu abbastanza grande, Euridice prese l’abitudine di farla sedere su uno sgabello accanto alla sua poltrona e insegnarle ad aprire la mente abbastanza da riuscire a scorgere i segnali dell’Ignoto. «Tua madre, Priscilla, aveva un talento naturale, ovviamente ereditato dalla mia famiglia» era solita dirle, e gli occhi le si inumidivano un po’.
Astaroth guardò le pile di pergamene che sembravano aver impegnato il Mago prima del suo arrivo. «Ho interrotto la correzione dei compiti?» si ritrovò a chiedere, con una vena appena accennata d’ilarità nella voce. «Spero per il bene degli studenti che questo colloquio non turbi il suo buonumore, Professore, altrimenti potrei dovermi ritrovare a spillare più Burrobirre del solito per lenire le loro pene».





 
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view post Posted on 28/1/2018, 11:27
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La giovane Strega era lì con un obiettivo.
Almeno per una volta tutto era chiaro, tutto era noto a tutti.
Non c'erano strambi margini, strani voli pindarici, o strani percorsi da percorrere prima di imbattersi casualmente in quella che sarebbe stata una pallida spiegazione del perchè fossero lì. Nulla doveva essere ancora ammesso, o forse, solo quanto era davvero importante. In fondo, cosa sapeva? Che avesse fatto domanda per una cattedra. Quale? Divinazione? E sin lì nessun problema, il resto invece era tutta un'altra Storia. Con quanta sorpresa aveva ricevuto la lettera? Perchè l'aveva presentata? Cosa l'aveva spinta? Domande, mai pronunciate, che però pendevano come macigni in quel silenzio annichilente. Ce l'avrebbero fatta a vincerlo? Il silenzio aveva un che di rassicurante, un teso armistizio prima della ripresa di ostilità che in realtà tutti anelavano, ma nessuno voleva farsene carico. Vincere una guerra era qualcosa di bellissimo, così come bandire una crociata, mettersi anima e corpo nel progettarla sino ai suoi più banali dettagli, quanta biada sarebbe stata necessaria per i cavalli sulle navi da trasporto? Quanto olio per ungere i cannoni e le colubrine? Ma combatterla era decisamente tutta un'altra Storia. Lui stesso era troppo nobile d'animo, e aveva avuto una tale stima di se stesso sin dall'infanzia, da ritenere del tutto impossibile poter arrivare a combatterne una direttamente. Era un generale, anche nella più cruenta delle battaglie, sarebbe sempre servito qualcuno che dicesse e si facesse moralmente carico di pensare cosa era necessario fare. Farlo poi sarebbe stato compito di altri, erano in tanti per quello. Carne da cannone? Poco ci mancava, si sarebbe sempre fatto tutto il necessario per arrivare alla vittoria. E non avevano mai perso.
Ma era passato tanto tempo, le cariche dei Dragoni ormai avevano solo un che di leggendario, appartenevano a quel glorioso passato, che era sempre più glorioso, solo in quanto era sempre più passato. Eppure, nonostante si fosse ritirato nelle Highlands da ormai parecchi anni, pausa più pausa meno, nuove battaglie si presentavano ciclicamente e dovevano essere combattute. In quel caso qual era l'oggetto del contendere? Esisteva? Perchè erano lì, non era sufficiente? C'era dell'altro? Qual era la ragione ontologicamente più profonda di quel conflitto? Qual era il suo Wn (Omega, accento circonflesso, e ni)? L'avrebbero mai raggiunto? E a che costo? Il gioco valeva la candela? Sorrise, un The, era un'ottima idea.


Ottima scelta, e come lo gradisce il The? Mi raccomando, sia chiara, e non lasci margini per essere fraintesa. Un The, e due di zucchero, per me.

Il raffinato, ed insospettabile servizio blu e bianco cinese, poco distante sulla scrivania, si animò. La teiera sbuffando prese a riempire una tazzina, già in movimento, con tanto di piattino, in direzione del grazioso e prevedibile cliente, inseguita a ruota dalla delicata zuccheriera, che mulinando un cucchiaino d'argento, sembrava ansiosa di portare a compimento il suo uffizio, stanca di quella forzosa quiescienza, stanca delle chiacchiere, grata di aver un certo margine d'azione. Una volta pronta, la tazza dal liquido ambrato, e dalle vorticose spirali di vapore, prese la 'via delle Indie', galleggiando sino al già sovraccarico tavolino. Potevano veramente iniziare? Annuì sorridendo ai rotoli rigorosamente impilati da un lato, e agli altri ancora in attesa di giudizio.

In tutta onestà non ci penserei, in tanti anni ho imparato che alla più parte dei nostri graditi ospiti non dispiaccia affatto vedersi recapitare le notizie meno buone domani, piuttosto che non oggi. Lei potrà obiettare che si tratti esclusivamente di posticipare l'inevitabile, il che è vero, ma così va il mondo. Non tutto è semplicemente logico. Ma se la consola posso comunque dirle che molto peggio di come stava già andando è improbabile possa andare. Ad ogni modo, mi dica, cosa posso fare per lei?

Era giovane.
Era fuor di dubbio che lo fosse.
Quanti anni potevano essere trascorsi?
Non molti in fondo, forse cinque, forse sette.
Mentre sorrideva agli occhi verdi della strega, sembrava inevitabile trovarsi confrontato con la realtà dei fatti. Cosa sapeva davvero di quest'ultima? Probabilmente avrebbe dovuto interrogare Atlante, non poteva certo ricordare tutto di tutti, solo le cose importanti. Ma anche per quello sarebbe venuto tempo, non erano di fretta, con tutti i suoi vantaggi. E sì, arrivava dai Tre Manici. Non molto, ma comunque qualcosa. Era poi questione di lasciarsi sorprendere? Quanto meno, dopo un'infinita e interminabile sequela, non era un Auror. Quello era un lato positivo, dopo tutto.

 
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Astaroth Morgenstern
view post Posted on 3/2/2018, 12:47






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Come voleva il tè? Una domanda apparentemente banale, ma non poté fare a meno di chiedersi se non costituisse, in realtà, una sorta di prova. Una barista navigata come Astaroth era in grado di anticipare i desideri dei clienti, basandosi sull’osservazione di dettagli che sfuggivano ai più; la Strega poteva, inoltre, contare su una sorta di talento naturale, le cui potenzialità non erano ancora state esplorate a pieno. Sapeva, però, che i più si dilettassero con un gioco di deduzione opposto, cioè quello di, partendo dai gusti della persona che avevano di fronte, cercare di cogliere qualche aspetto della sua personalità. Dorian stesso, a Parigi, aveva cercato di inquadrare Astaroth a partire dalla scelta del drink. In quel momento come allora, la Strega decise di non sottrarsi ad un’eventuale indagine.
Quale varietà di tè le avrebbe servito il Professore? Sicuramente non avrebbe avanzato pretese scortesi: se non le fosse stata offerta la possibilità di scegliere tra una rosa di varietà, non si sarebbe sbilanciata a fare richieste. Tendenzialmente, la Strega prediligeva i tè più scuri e più aromatici, e vi aggiungeva un goccio di latte o di panna per rendere la consistenza più cremosa ed esaltarne il gusto corposo; quanto ai tè meno fermentati, li sorseggiava con una fettina di limone, per esaltarne la proprietà rinvigorente. In ogni caso, non riuscì a scorgere né latte né limone nelle prossimità, perciò si limitò a rispondere: «Per me niente zucchero, la ringrazio». Aveva imparato dalla nonna materna ad apprezzare il gusto amarognolo del tè e la patina tannica che lasciava sul palato; trovava che lo zucchero andasse a detrimento di un’esperienza sensoriale completamente appagante. In linea di massima, in ogni caso, la Strega non poteva definirsi un’amante del dolce; anche in fatto di alcolici aveva sviluppato, nel corso degli anni, una certa preferenza per i liquori più amari e aromatici e, al contrario, una latente avversione per i cocktail eccessivamente zuccherini.
Mentre le tazze andavano riempiendosi grazie all’instancabile servizio da tè incantato, la Strega iniziò a percepire una certa tensione. Che fosse frutto della sua immaginazione? La tazzina dal liquido ambrato volteggiò fino al tavolino, sotto lo sguardo di Astaroth, mentre lei ascoltava con un sorriso divertito la risposta del Docente. Infine, prima che potesse rendersene conto, i convenevoli erano terminati. Se il tè non fosse stato ancora bollente, la Strega ne avrebbe volentieri sorseggiato un po’, di modo da poter guadagnare qualche secondo per elaborare una risposta soddisfacente ad una domanda che, pure, era così semplice. Si morsicò appena l’interno del labbro inferiore: per un istante, la fiaschetta piena di rum che teneva in borsa si materializzò prepotente nei suoi pensieri.
Si aprivano così, dunque, le danze. Peverell le aveva teso la mano – un implicito invito – e poi, prima che lei potesse valutare le opzioni, le aveva rivolto una domanda a cui non poteva sottrarsi, incalzandola. Ma Astaroth era una maestra di volteggi, piroette, inchini e balzi; si lasciava accompagnare con leggerezza dal cavaliere, poggiandogli delicata una mano sulla spalla mentre lui le cingeva la vita. I ruoli tradizionali tendevano a venire sovvertiti, nel corso della danza: la sicurezza del cavaliere, solitamente, iniziava a vacillare dopo appena qualche passo, sotto lo sguardo ipnotico della dama che, entro la fine del brano, si ritrovava a guidare. In quel contesto, però, Astaroth non era certa di poter contare su buona parte delle armi nel suo arsenale: l’esito di quel ballo era assolutamente incerto.
Sorrise, senza distogliere lo sguardo dal volto dell’interlocutore. Perché si trovava lì? Per ragioni che nulla avevano a che fare con il desiderio di educare le giovani menti malleabili di decine di adolescenti; non aveva mai avvertito quel genere di vocazione e mai sarebbe potuto succedere. Stava sostenendo quel colloquio solo ed esclusivamente per se stessa e per le proprie aspirazioni. «Immaginavo di dover essere io a porre questa domanda a lei, Preside» rispose, infine. Mitigò la sfrontatezza della propria risposta con l’accenno di una lieve risata, mentre abbassava lo sguardo sulle proprie mani intrecciate in grembo, a creare l’illusione di una crepa nella sua invulnerabilità. Prima di riprendere a parlare, riportò lo sguardo sul volto di Peverell e proseguì: «Nel momento in cui ho saputo che la cattedra di Divinazione fosse vacante, il desiderio di fare ritorno ad Hogwarts si è annidato tra i miei pensieri, e non mi è stato più possibile sradicarlo». Abbassò lo sguardo per un istante sulla tazza di porcellana fumante, valutando quale fosse la maniera migliore per proseguire. Non era nelle sue corde mentire spudoratamente e, d’altronde, Peverell non le dava l’impressione di poter essere abbindolato con le solite quattro, vacue banalità. «Ho sempre avvertito una certa affinità nei confronti della materia» continuò, abbassando appena il tono di voce, a sottolineare il carattere personale di quell’affermazione. «Non mi sarei potuta perdonare se non avessi almeno provato a cogliere questa opportunità». Inspirò profondamente prima di proseguire. «Certamente, non ho esperienze nel campo della didattica» ammise, senza distogliere lo sguardo dalla figura del Preside, «ma conosco discretamente la disciplina». Si chiese se il tono modesto, per quanto affettato, non rischiasse di rivelarsi controproducente, perciò decise di accantonare quella parte, come un’attrice capricciosa, almeno per il momento. «Per certi aspetti, l’esercito ogni giorno» disse con un sorriso, accennando al proprio dono. Lasciò che lo sguardo, ora, si posasse sulla vetrata colorata che si trovava dietro alla scrivania; come se si stesse accingendo a raccontare una fiaba antichissima, piegò leggermente la testa sollevando appena il mento e socchiudendo gli occhi. «La nonna mi diceva sempre che la nostra famiglia vantasse illustri Veggenti». Un sorriso accondiscendente le sollevò gli angoli della bocca e una luce divertita danzò per un istante nei suoi occhi verdi. «Ovviamente, come potrà immaginare, la Vista non si manifesta da generazioni. Tuttavia,» disse, sollevando di appena un mezzo tono la voce e riportando lo sguardo su Peverell «è vero che le donne con sangue Lilbourne tendono a manifestare alcune… doti». Raddrizzò la schiena e riaccavallò le gambe, sistemandosi la gonna. «Ad esempio, io riesco ad anticipare, con una certa precisione, le ordinazioni dei miei clienti. Un dono che non ho mai approfondito quanto avrei potuto o dovuto» spiegò, concludendo con un sospiro. «Mia nonna era abile nella tasseomanzia; quanto a mia madre, pare che di tanto in tanto facesse dei sogni premonitori». Aggrottò la fronte, perdendosi per un istante tra i ricordi e i pettegolezzi di un passato lontanissimo.
Astaroth era consapevole che non bastasse poter vantare un talento naturale per essere dei Docenti discreti. Ma non stava nemmeno a lei giudicare se fosse adatta ad occupare la cattedra vacante, altrimenti quel colloquio non avrebbe avuto luogo. «Non mi sono presentata a questo colloquio con leggerezza, Preside. Sono consapevole che non basti millantare la Vista per garantirsi l’assunzione» lo rassicurò, rivolgendogli uno sguardo compassato.
Aveva risposto all’invito, porgendogli la mano; ora spettava a Peverell guidarla in quella danza dagli esiti incerti.






Chiedo perdono per il ritardo; la sessione incalza ; ;
 
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view post Posted on 10/2/2018, 14:54
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Gli anni passavano, ma non le domande.
Essenzialmente si era sempre ritenuto sufficiente curioso da risultare un buon osservatore. L'incedere inesorabile degli anni aveva contribuito da un lato nel corroborare e consolidare tale attività, ma dall'altro a radicalmente impigrire il soggetto, che ormai non ne faceva più l'uso che ne avrebbe fatto un tempo. Risultato? Le conclusioni che traeva di volta in volta erano tanto volatili, e frutto di un apparente caso, da essere tanto più simili a un indice di un mercato impazzito ed emergente, di quanto non sarebbe stato di gran lunga augurabile. Il portafoglio era stato alleggerito di tutte le posizioni difensive, per cavalcare il rally degli ultimi anni, per star dietro ai tempi sempre più serrati e frenetici, il beta era andato riducendosi drasticamente, e quanto era stato sacrificato in nome della generazione di alpha accettabili? Il risultato era chiaro e manifesto, volatilità sull'azionario, un Vix in risalita, i fondi ad esso incatenato che crollavano uno dopo l'altro. Si erano preparati a cogliere la risalita, a cavalcarne al meglio e al più lungo possibile l'onda, ma avevano dimenticato qualunque nozione di buon senso, predisponendo una qualche via di fuga. Ora erano ancora una volta nel mezzo della tempesta armati di una banana, e una matita. Quanto sarebbe stato risolutivo? In tutta onestà cosa avrebbe dovuto dire a quella giovane donna che ambiva a cambiare la sua esistenza? Ci sarebbe dovuto stare? Come avrebbe dovuto accogliere il trascinante entusiasmo tipico del primo eloquio? Come poteva sapere se si sarebbe trovata bene, e si sarebbero trovati bene chiusi in una delle torri di quell'antico Castello? Quanto avrebbe cambiato la loro Storia, e quella di molti altri, uelle poche parole dette e non dette in quei momenti? Ora della fine l'unico con cui avrebbe potuto prendersela era se stesso. Anche quello era indicativo? Non più di tante altre volte.
Iniziò a mescolare il The, mentre la giovane prendeva la parola. In fondo, per quanto avesse sempre amato il suono della propria voce, non era una di quelle tipiche circostanze in cui fosse protagonista. Per quanto la giovane sicuramente attendesse un qualche cenno, o una qualche parola anticipatrice di quanto sarebbe stato, in fondo non era lui che avrebbe fatto la differenza. Perchè aveva fatto domanda? E qual era la domanda principe cui sarebbero dovuti giungere, e trovare risposta? Tra un pensiero, e un rimuginio sorrise alla giovane. In fondo, era inutile farla più lunga di quanto non fosse, ancora prima del tempo. E dopo tutto rimaneva un inguaribile ottimista, pur nel pessimismo.


Capisco, ma voglio essere incredibilmente trasparente. Non so se l'abbia già sentito dire, ma sono terribilmente scettico su determinate cattedre che mi sono trovato ad ereditare. Altresì credo non sarebbe un buon momento per scontrarsi con il Ministero, il che ha creato le giuste condizioni quadro al mantenimento dello status quo. Perchè glielo dico? In parte perchè la vede molto da vicino, non ho mai frequentato più di qualche lezione di Divinazione. Ero consapevole di non avere alcun dono, e l'ho realizzato sorprendentemente in fretta. Il che mi spinge a domandarle in primo luogo quale sia il contributo che ritiene possa offrire tale disciplina alla formazione dei nostri Studenti. In secondo luogo, come anche in questo caso forse già saprà, sono un noto bibliofilo e teinomane. Vuole sbilanciarsi sul tipo di The? Certo, è vero, l'ha scelto una teiera per noi, ma se da un lato le posso assicurare che è altamente istruita, dall'altro attinge direttamente dalle mie scorte, e temo che per una sorta untuosa sudditanza serva a tutti quello che prenderei io. Quindi può tranquillamente assumere che sia il The, che le avrei chiesto io.

Cos'era?
Un primo passo verso cosa?
Da un lato era stata una confessione terribilmente sincera di come girasse il mondo, e di come la fortuna o meno le avesse arriso. Dall'altro era un netto mettere i paletti, rispetto a una serie di circostanze peggioranti del quadro. Dunque, aveva o non aveva una sponda? Qual era l'orientamento di fondo? Qual era l'impronta che avrebbe assunto l'epica vicenda? Avrebbe dovuto convincerlo, ma muovendo dal presupposto che sarebbe stata una discesa, o una salita? O semplicemente non aveva detto nulla? Il gioco di sguardi proseguiva, chi stava convincendo chi, a fare cosa? Cosa ne sarebbe scaturito? Assorto osservava la giovane interlocutrice. Avevano sempre avuto tutti una dannata fretta di uscire da quelle porte, eppure poi la sorte in un modo o nell'altro li riaccompagnava sin lì, e solo gli Dei sapevano quanto fosse poco scontato ritornarvi.

 
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Astaroth Morgenstern
view post Posted on 11/2/2018, 14:27






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Ascoltò con attenzione il discorso del Preside. Accolse lo scetticismo che trapelava dalle sue parole con un sorriso, chinando appena la testa di lato, pensierosa. Si sporse leggermente in avanti e distese le braccia, finché le mani, che teneva intrecciate in grembo, non arrivarono a poggiarsi sul ginocchio; il lieve cambiamento di posizione, che l’avvicinava all’uomo, voleva corrispondere alla piega che la conversazione sembrava stare prendendo.
Finalmente comprese la natura dell’inquietudine che l’aveva tormentata nei giorni precedenti, generalmente estranea ad una personalità come quella di Astaroth, così sicura di sé: il cammino verso la meta non sarebbe stato facile. La Strega avrebbe dovuto sudarsi la buona riuscita di quel colloquio.
La seconda parte del lungo discorso di Peverell incrinò ulteriormente la sicumera della donna. Possibile che avesse già commesso un errore così grossolano? Il pensiero che il Preside si aspettasse, da parte sua, una prova tangibile delle sue abilità non l’aveva sfiorata, nel momento in cui le aveva chiesto come preferisse il tè. Aveva previsto che fossero messe alla prova le sue doti come Tasseomante e così si era lasciata sfuggire un’occasione concreta per mettersi in una luce favorevole. Trattenne il respiro. Guardò la tazza che aveva di fronte, poi alzò lo sguardo sul viso del Preside. D’un tratto, si sentì pervadere da una strana calma, che andò diffondendosi, come un’onda di torpore, dal petto verso la punta delle dita. Sorrise nuovamente e si riempì lentamente i polmoni di ossigeno. Annuì sovrappensiero, mentre Peverell terminava di parlare.
Nel momento in cui l’inquietudine generalizzata e cieca si concretizzò in un ostacolo reale, Astaroth riuscì a liberarsene. Sperò, da quel momento in avanti, di essere in grado di incanalare fruttuosamente le energie contro specifici bersagli, promettendosi di non peccare più di superficialità.
Lo sguardo della donna ritornò sulla tazzina fumante. Il colore e l’aroma lieve di foglie di tè affumicate parlavano chiaramente: non poteva che trattarsi di una tipologia di Pu’ehr. Chiunque, ormai, avrebbe potuto indovinare, purché avesse una certa famigliarità con le varie tipologie di tè: Astaroth avrebbe dovuto dimostrare le proprie doti in un altro senso. «Non è la scelta del tè a costituire un’incognita,» si azzardò a dire «dal momento che si fa spedire questa varietà dalla Cina da anni, ormai». Sorrise con sicurezza: avrebbe continuato a volteggiare sulle note di quel valzer, a qualsiasi costo. Sarebbe arrivata al termine del colloquio, in un modo o nell’altro, piroettando leggiadra o pestando i piedi al suo cavaliere. «Non vedo, però, mi perdoni, il latte: solitamente ne aggiunge un goccio, oltre ai canonici due cucchiaini di zucchero. E neppure il limone, che ritiene esalti perfettamente il gusto affumicato di questo tipo di tè».
Astaroth raddrizzò la schiena, pronta ad affrontare la parte del discorso che la preoccupava maggiormente. Era tanto consapevole dei propri punti di forza quanto dei limiti, perciò non nutriva vane speranze di dar sfoggio di una tecnica retorica in grado di persuadere il Preside dell’utilità della cattedra. Ma, in fin dei conti, Peverell non intendeva, nel futuro immediato, cancellare la disciplina dal curriculum di studi. La cattedra sarebbe andata a qualcuno, prima o poi. Doveva unicamente preoccuparsi di essere lei quel qualcuno. Comprese, tuttavia, che, almeno in parte, la causa della disciplina coincideva con la propria: la convergenza assumeva tutti i tratti della motivazione, della passione, del genuino interesse.
«Non mi aspetto di essere io a farle cambiare idea, Professore» esordì, con un sorriso dimesso. «Ciò che posso fare, tuttavia, è portarle come esempio la mia modesta esperienza». Fece una breve pausa per ordinare i pensieri; corrugò appena la fronte e lasciò che lo sguardo si perdesse per qualche istante, fissando, ancora una volta, la tazza di tè, come se contenesse la chiave della sua riuscita. Tornò con lo sguardo sul Preside e iniziò a perorare la propria causa, nella speranza di riuscire sufficientemente convincente. «Come le accennavo prima, mia nonna fu una Tasseomante, e volle che io imparassi i rudimenti dell’arte prima ancora di entrare ad Hogwarts». Lasciò che un sorriso le increspasse le labbra e che lo sguardo vagasse per la stanza, come assorto nei ricordi. Ma Astaroth era tutt’altro che persa in idilliache reminiscenze: stava soppesando ogni parola e ogni gesto, scegliendo con cura quelli che le parevano più adatti. «Dubito che si ricordi di me, ai tempi della scuola» disse, accennando una risata imbarazzata e abbassando lo sguardo; se solo fosse stata in grado di arrossire a piacere. «Non sono mai stata una studentessa modello: può immaginare quanto la mia povera nonna abbia dovuto faticare prima di farmi entrare qualcosa in testa». Si scostò una ciocca di capelli dietro all’orecchio e proseguì. «Eppure, mi costringeva a rimanere ore e ore a guardare quei fondi indecifrabili, immobile, seduta su una sedia scomoda perché non potessi addormentarmi. Però, a poco a poco, qualcosa iniziò a cambiare». Non disse a Peverell che la ragione del cambiamento furono le minacce dell’anziana, o il fatto che, ad un certo punto, la megera avesse iniziato a punirla costringendola ad aiutare l’elfo domestico nelle faccende di casa. «Fu perché, una volta rimosse tutte le distrazioni, in quel momento rimanevo da sola con la mia tazza: ero costretta non solo a guardare, ma anche a vedere» disse, calcando l’accento su quell’ultima parola. «Lei sa quanto me che la Vista è rara, forse più di qualsiasi altra abilità magica innata. Ciò non impedisce, però, che la Divinazione possa fornire agli studenti degli strumenti utili: la pazienza, la tenacia, la capacità di osservazione, mirati ad uno sforzo interpretativo. A maggior ragione per gli studenti non provvisti della Vista, ai quali certi esercizi risultano particolarmente ostici». Verso la fine del discorso, il tono di voce si era leggermente alzato e la Strega si era ritrovata a gesticolare con la mano destra, descrivendo dei movimenti fluidi con il polso. Quando riprese a parlare, la voce era nuovamente composta: «Come tutte le materie, fornisce degli strumenti. Sta al singolo studente cercare di trarne il meglio. D’altronde, forse che tutti gli studenti sono destinati a diventare abili pozionisti, o storici della magia?» chiese con un sorriso. «Inoltre, lei afferma di essere un bibliofilo: è un uomo di cultura» incalzò immediatamente. «La Divinazione è un’arte profondamente radicata nella cultura magica, e non solo: persino i Babbani ne sono affascinati. La loro letteratura è costellata di figure come Cassandra o Tiresia, e certe pratiche divinatorie condizionavano persino l’attività politica, millenni fa. Al giorno d’oggi, per loro, queste figure sono nulla più che personaggi letterari». Astaroth sorrise, e sperò di non essere sul punto di fare un passo più lungo della gamba. Ma non era il momento di tirarsi indietro o esitare, perciò, dopo una breve pausa, riprese. «In tempi più o meno remoti, anche la storia magica è stata, pur marginalmente, condizionata da determinate profezie. Perciò, ritengo che sia, o sia stata, se vogliamo,» concesse con un gesto dimesso del capo «profondamente radicata nella vita delle comunità magiche di tutto il mondo, pur con modalità diverse. Dunque, la Divinazione dovrebbe far parte del bagaglio culturale di un giovane Mago o Strega, quantomeno nella funzione di una sorta di strumento di lettura – se non del presente – di certi momenti del passato».
Concluse la sua accorata filippica e rimase in silenzio. In attesa di una risposta del Preside, prese tra le mani la tazzina di tè, ormai non più bollente.







Ho spulciato le role più recenti alla ricerca di informazioni sul tè. Nello specifico, ho trovato indicazioni in Aquila non captat muscas.
 
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view post Posted on 15/2/2018, 17:37
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Quanto era stato prevedibile e scontato come inizio?
Cosa si era aspettata di trovare la giovane strega, e quanto aveva trovato? In fondo non si poteva certo affermare fosse una preclusione cieca e immotivata, quanto invece, un'incredibile operazione trasparenza non richiesta. Era stata messa in guardia, vuoi che l'avesse presa in simpatia, vuoi che gli piacesse giocare pulito con tutti i suoi ospiti? Era difficile affermare con sicurezza cosa potesse passare per l'anticamera di una mente vecchia e complessa, così come sembrava troppo complicato concordare di qualcosa? Si trattava di premiare l'onestà dimostrata, facendo buon viso a cattivo gioco, o semplicemente di fare il muso, alzarsi, e andarsene sdegnati? In fondo era nella condizione di poterlo davvero fare? Era altamente probabile di sì, ma la sfida era semplicemente di riuscire a convincere uno spettatore poco convinto. Niente di più e niente di meno. Aveva molto da vincere, e ben poco da perdere. Se anche non ci fosse riuscita era assai probabile si sarebbero rivisti, così com'era stato per anni, fuori da quelle mura, se vi fosse riuscita sarebbe accaduto lo stesso, ma tra quelle mura. Si poteva dunque affermare che solo poche migliaia di yarde si frapponessero tra i due risultati? Quanto potevano pesare? E quanto erano destinate a essere decisive per la giovane strega? Si era fatta avanti, non senza una certa sorpresa, evidentemente voleva il posto. Ma cos'era disposta a fare?
E poi era partita. Effettivamente era noto in certi ambienti le sue avventure, o per meglio dire disavventure, con il Ministero e l'ufficio delle dogane. Le casse di The sollevavano di continuo l'interesse dell'intera sezione, classici dipendenti pubblici svogliati e frustrati, in cerca di qualcuno su cui scaricare i propri crucci giornalieri. E il non essere riusciti in tanti anni a combinare mai nulla, se l'era sempre cavata, non aveva certo giovato ai già burrascosi rapporti alimentati da un odor di contrabbando di manufatti antichi. E la domanda: che fine avevano fatto latte, e limone? Non era poi così sovente che vi ricorresse, ma erano assenze da un lato manifeste, dall'altro giustificabili. Sorrise, prima di accennare una prima risposta. Lo era davvero?


Ha ragione, non sono molte le qualità di The che mi faccio spedire con regolarità, e i miei passati burrascosi con i doganieri immagino siano anch'esso noti nel suo mondo. Meglio così, un aspirante Docente non dovrebbe essere avvezzo a vivere in una torre d'avorio, il rischio è già sufficientemente forte in accademia, anche senza accrescerlo. Del resto è vero anche il resto, ma la soluzione è semplice: non tutti gli elementi del mio servizio da The sono... parimenti compatibili, per così dire. I più esuberanti mal tollerano gli altri, e almeno in pubblico cerchiamo di non dare spettacolo.

C'era poi il resto.
Cos'avrebbe dovuto replicare?
Avrebbe dovuto farlo? Tirare una riga sopra, e proseguire sereno? Quanto sarebbe stato cortese? Quanto percorribile? Tasseomanzia, non c'erano ancora arrivati, era vero. Eppure erano solo agli inizi, c'era tempo, c'era ancora tempo. Così come del resto, quanto era probabile si fosse dimenticato? Certo, non era più da un pezzo nel fiore degli anni, un minimo aiuto soprattutto sui nomi era sempre più necessario, in particolare se a far testo non era nemmeno più l'ultimo decennio. Più si risaliva nel tempo, più i nomi sfumavano, ma non i volti. Del resto, era anche vero che spesso non vi fosse poi chissà cosa da ricordare. Le generazioni si succedevano come le foglie in primavera, non era possibile e nemmeno probabile intrecciare una Storia con tutti. Quanto tempo sarebbe stato necessario? Quanto poteva reggere il paragone? Se anche non tutti erano destinati a diventare abili storici, era una motivazione valida per depennarla dal programma? Il fatto che invece non tutti avessero la Vista era incontrovertibile, e il classico elemento esogeno al sistema per definizione, cosa sarebbe stato possibile fare? Se non vedevi, non c'era mezzo di vedere, perchè ostinarsi? Ragionare in percentuali sarebbe stato particolarmente impietoso, del resto. Era forse il caso di mettere il dito nella piaga? La giovane non avrebbe comunque potuto farci nulla, non era nelle sue abilità, ma in sede di bilancio era comunque un dato da tenere in considerazione. Unì le dita con fare risoluto, prima di procedere. Qual era il punto, vero?


È vero, e a maggior ragione è un problema che dovremmo porci. La Vista non è una dote comune, anzi, probabilmente una delle più rare, altresì è pur vero che lasciare la possibilità di non abbia mai ucciso nessuno. Immagino concorderà con me che con un minimo d'impegno e di studio in molte delle altre nostre discipline sia possibile rimediare valutazioni accettabili, e discrete conoscenze, cosa che invece nel campo della Divinazione non sia possibile. Ciò nonostante, la Divinazione rimane un pezzo della nostra Storia. Per quanto i dotati siano rari esistono, così come le profezie, non stiamo negando la realtà. La vera domanda è se ha veramente riflettuto su quanto radicalmente cambierebbe la sua vita, a fronte di questa scelta. Cosa crede che significhi essere un docente della nostra scuola?

Era quello il punto?
Il The si avvicinava.

 
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Astaroth Morgenstern
view post Posted on 10/3/2018, 13:34






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Cosa avrebbe significato diventare Docente ad Hogwarts? Astaroth spostò lo sguardo da Peverell alla tazza di tè che teneva tra le mani e si mordicchiò la guancia, valutando la risposta. Riportò lo sguardo sul vecchio Professore. La vera domanda era: quale risposta sarebbe risultata più convincente al suo interlocutore? Se la Strega fosse stata trasparente, dall’inizio alla fine del colloquio, forse le sue probabilità di riuscita sarebbero drasticamente calate. O magari no? Il Preside avrebbe apprezzato la sua sincerità, qualora lei avesse deciso di riservargliela? D’altra parte, non veniva messa in discussione la sua preparazione, contrariamente a quanto si era aspettata nel momento in cui aveva ricevuto la risposta del Preside; a venire messa sotto attento scrutinio pareva essere lei, come individuo. In quel momento, Astaroth si sentiva estremamente motivata - al di là di quale fosse la natura reale delle sue motivazioni - e sperò di riuscire a convogliare un certo qual entusiasmo genuino nel proprio tono di voce.
Guadagnò qualche secondo avvicinando la tazzina alle labbra; lasciò che il vapore caldo le solleticasse il naso per un secondo e inspirò per sentire il profumo – amaro, legnoso, con una nota affumicata – della bevanda, prima di avvicinare il bordo di porcellana alle labbra e socchiuderle per permettere al tè di scivolarle sulla lingua.
Avrebbe dovuto dirgli che, per lei, diventare Docente avrebbe rappresentato un’occasione di ascesa sociale? Che lo stipendio le avrebbe permesso di condurre uno stile di vita maggiormente all’altezza delle sue aspirazioni, e che il titolo prestigioso le avrebbe aperto molte più porte, nell’aristocrazia magica inglese, di quante non ne aprisse il suo umile impiego come spillatrice di Burrobirre? Oppure avrebbe dovuto dichiararsi pervasa da una vocazione genuina all’insegnamento, che la spingeva a voler contribuire all’educazione delle giovani menti, il futuro della Grande Inghilterra, lungavitaalministroPompadour? Comunque fosse, era certa che il silenzio non avrebbe giocato a suo favore; riappoggiò la tazza sul piattino con un movimento lento, sorridendo. Prima di riprendere a parlare, cercò di incrociare lo sguardo di Peverell.
«Sono perfettamente consapevole dell’importanza del ruolo che andrei a ricoprire» esordì, con deliberata lentezza, per conferire una certa solennità alle proprie parole. «Qualora venissi assunta, abbandonerei il mio impiego come cameriera» proseguì, stando bene attenta a non rivelare alcuna emozione; il suo tono di voce sarebbe stato lo stesso se avesse parlato del tempo, ma, dietro a quelle parole, si nascondeva un fiume di pensieri, aspirazioni, desideri. «Mi rendo conto dell’abisso che corre tra il mondo dell’insegnamento e il bancone dei Tre Manici di Scopa, e la differenza non ha solo meri risvolti pratici.» Il suo sguardo si fece serio, l’espressione compìta; si rese conto che era arrivato il momento di cercare di incanalare un po’ della propria motivazione nella voce, di cercare di esternarla e, contemporaneamente, di plasmarla fino a farle assumere le sembianze di una passione ispirata. Contemporaneamente, si sarebbe assicurata di riuscire a limare il sentimento, per assicurarsi che non eccedesse lo stampo di ferro della misura. «I miei incarichi non si limiterebbero alle ore di lezione, e neppure al tempo destinato alla correzione dei compiti.» Fece scivolare deliberatamente lo sguardo sulle pergamene impilate sulla scrivania del Preside, poi tornò a cercare gli occhi dell’uomo. «Un buon Docente si rende disponibile a chiarire dubbi, ad ascoltare e indirizzare i discenti, ben al di fuori dell’orario di lavoro vero e proprio.» E poi? Naturalmente, c’era dell’altro. Un sorriso appena accennato le increspò le labbra. «Inoltre, mi perdoni la franchezza, dietro alla mia richiesta si celano anche alcune motivazioni puramente egoistiche» azzardò. Un po’ di sincerità non avrebbe potuto guastare, dopotutto. Nella giusta misura. «Hogwarts possiede una Biblioteca Magica di tutto rispetto; se avessi accesso ad essa, mi sarebbe possibile non solo affinare le mie conoscenze, ma anche mettere a disposizione degli Studenti un bagaglio di nozioni costantemente aggiornate.» Fece qualche secondo di pausa e spostò lo sguardo sulla finestra, il cui vetro multicolore scintillava catturando la luce. «Sono altresì consapevole che avrei delle responsabilità anche nei confronti della Scuola stessa, non solo dei suoi Studenti» disse. «Se il mio comportamento, all’interno di queste mura, deve essere impeccabile perché io mantenga il rispetto degli Studenti, all’esterno, l’immagine della Scuola dipende anche dagli ingranaggi che la fanno funzionare: i suoi Docenti.» Si morse appena la guancia e abbassò lo sguardo sulla tazza di tè di fronte a lei. Raddrizzò le spalle e tornò a guardare Peverell. «Sono responsabilità che sono disposta ad assumermi, in ogni caso. Non ho inoltrato la richiesta sulla scia di un impulso effimero, ma è stato frutto di attenta riflessione: sono pronta.» Sorrise e rimase in attesa: il prossimo passo spettava al suo interlocutore.





 
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view post Posted on 17/3/2018, 18:02
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In effetti avrebbe potuto non averci pensato lei.
Ma cosa avrebbe dovuto replicare lui? Vi aveva minimamente pensato? No, probabilmente non avrebbe dovuto, probabilmente non avrebbe nemmeno potuto. Non la conosceva, non si conoscevano, come avrebbe potuto determinare i cambiamenti in una vita che gli era apparentemente e completamente estranea? Avrebbe potuto vantare tanta insolenza, e tanta sfrontatezza tutta in una volta? Era compito di un giudice giudicare, ma quanti erano anche consapevoli del peso con il quale tale operazione venisse affrontata? Diversamente dagli altri, un giudice si faceva carico del penoso compito di certificare il giudizio stesso, e per questo era a sua volta giudicato. Considerato il costo che ogni giudizio richiedeva, ne conseguiva logicamente che tale attività fosse limitata all'indispensabile, per quanto il giudizio e il pregiudizio stesso fossero entrambi inevitabili forme dell'umana conoscenza. Il più reticente e riservato giudicatore finiva con l'essere il giudice stesso. Un paradosso? No, la semplice realtà. Eppure la questione rimaneva sul tavolo, sembrava destinato a continuare a farlo. Se erano lì per discutere di quello, dopo tutto tanto valeva affrontare la questione a cuor leggero, evitando in prospettiva rimorsi e ripensamenti. Se dunque da un lato effettivamente potevano essere individuati una serie di pro, almeno per la giovane Strega, dall'altra era pur vero che potessero celarsi tutta una serie di contro, non presi con la dovuta considerazione. Avrebbe potuto? Era compito suo dissuaderla?
Tutto sarebbe cambiato. Quanto fosse radicale quella scelta andava oltre l'immaginazione. Eppure, la domanda più logica era una soltanto. Le piaceva il suo attuale lavoro? Evidentemente sì, quindi perchè voleva cambiarlo? Avrebbe fatto la differenza? Il fatto che fosse in ogni caso incredibilmente giovane? Che peso poteva avere? Era tempo di metterla alla prova? In fondo, se era quello il punto, se voleva il posto, presto o tardi era inevitabile passare anche per di lì. O no? Da un certo punto di vista poteva essere considerato uno sviluppo clemente di una conversazione che per molti versi poteva risultare scomoda, da un altro sarebbe anche potuto concludersi con un disastro. Ma se la Strega era sicura e confidente nelle sue abilità, non avrebbe avuto nulla di cui temere. O almeno era logico che così andasse...


Immagino che almeno in parte abbia ragione, probabilmente io vedo più problemi di lei all'orizzonte di quanto non sarebbe legittimo aspettarsi, ma è pur vero che se da un lato sono molto più vecchio, dall'altro è lei ad essere la divinatrice, giusto? Non sottovaluti il fatto che quello che lei sta inseguendo sia un contratto magico incredibilmente oneroso e vincolante, lei è molto giovane, potrebbe stare sottovalutando molti elementi. E quella che noi stiamo cercando è una soluzione di lungo termine. I nostri Docenti hanno incredibilmente poco tempo libero, e un certo magnetismo rispetto a problemi e calamità, lei sta tentando di vincolarsi a qualcosa che ancora non conosce, senza probabilmente aver ancora fatto tutto quanto in suo potere. Ma una domanda, quello che lascia è un lavoro che le piace? In fondo potrebbe mancarle, tra le altre cose.

C'era poi la questione di quella tazza di The.
Una tazza in sospeso, ancora nel limbo. Ultimò di berla.
Tornò ad adagiarla sul piattino, posando entrambi al centro del piano della scrivania. Era un invito infine a farsi avanti? Un sorriso, tra il divertito e il compiaciuto.


Ottimo, mi dica quello che vede.
Sono tutto orecchi.


In parte sapeva già come la pensasse.
Non ne aveva fatto un particolare mistero.
Del resto, quanto quello sarebbe stato decisivo?
Se aveva già deciso era inutile, se non l'aveva fatto?
Quanto era probabile che uscisse di lì con una risposta fatta e finita? Quanto sarebbe stata lunga l'attesa? Qual era la prassi consolidata? Esisteva? Sembrava difficile che un centenario cambiasse 'modus' ogni volta, che si attenesse a un rigido schema, e quindi tutto fosse già protocollato? In quel caso, quanto avevano peso i singoli elementi? Aveva già deciso prima di vederla? Se sì, perchè si erano visti? Aveva solo da guadagnarci da quella lettura, o correva anche dei rischi?
Domande, domande senza risposta.

 
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Astaroth Morgenstern
view post Posted on 8/4/2018, 13:04






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Astaroth attese che il suo interlocutore finisse di parlare, limitandosi ad annuire, di tanto in tanto, con espressione compunta. Prima di rispondere, si concesse qualche secondo di riflessione. Aveva l’impressione che ogni sua risposta mancasse di cogliere nel segno, ma, d’altronde, non si era mai ritenuta un’abile oratrice. Tutto sommato, però, dal momento che si trovava ancora lì, nel pieno del colloquio, e non già fuori dalla porta, immaginò che le rimanesse aperto uno spiraglio di speranza. Impugnò la bacchetta e, senza scomodarsi, fece levitare la tazza di Peverell verso di sé, assieme al piattino su cui poggiava, senza distogliere lo sguardo da essa mentre rispondeva.
«Non metto in dubbio, esordì «considerati i tempi in cui viviamo e il clima di instabilità che aleggia nell’aria, soprattutto in seguito ai recenti fatti di cronaca, che un Docente debba essere pronto ad ogni eventualità.» Cercò di imprimere alla propria voce una nota di gravità e corrugò appena la fronte. «Sono altresì consapevole che, per il suo ruolo di istituzione, la Scuola possa facilmente trovarsi in mezzo a giochi di potere.» Appoggiò la bacchetta in grembo, poi afferrò con la mano destra il manico della tazza che levitava di fronte a lei e con la sinistra il piattino. Si assicurò che la quantità di liquido rimasta nella tazza fosse sufficiente e non eccessiva. Con un movimento deciso, girò tre volte in senso orario la tazza affinché le pareti di porcellana bianche fossero tappezzate di foglie di tè. Prese il piattino e, dopo averlo girato, vi coprì la tazza; poi, con un movimento sicuro, capovolse il tutto.
Appoggiò delicatamente la tazza in grembo, accanto alla bacchetta. Ci sarebbero voluti un paio di minuti prima che la tazza si asciugasse, e li avrebbe fatti fruttare. «Non sta forse già capitando?» proseguì la Strega, con un sorriso sornione. Dove sarebbe andata a parare? Le era parso di cogliere qualcosa, nelle parole del Preside, un accenno al Ministero e alle sue ingerenze nelle faccende riguardanti Hogwarts. «Il corpo Docenti vanta più Auror attualmente che nell’intera storia millenaria della Scuola.» Non era certa che fosse un’iperbole. «Sicuramente si tratta di Docenti validissimi» si affrettò ad aggiungere «e non metto in discussione il Suo giudizio. Qualora, inoltre, la Scuola si trovasse sotto attacco, sono certa che la loro presenza e il loro pronto intervento salverebbero le vite di decine di Studenti.» Abbassò lo sguardo sulla tazza e vi picchiettò con la punta delle dita, sovrappensiero, prima di tornare a guardare il Preside. «Quanto a me, gli interessi della Scuola sarebbero la mia esclusiva priorità» sorrise. Era arrivato il momento di girare la tazza.
Mentre scrutava le foglie secche in cerca di indizi, Astaroth rispose all’altra domanda del Preside. «Per quel che riguarda il mio attuale impiego, non si tratta del lavoro dei miei sogni. Non più, quantomeno» aggiunse. Rimase in silenzio per qualche istante. «Vedo una linea molto lunga: è in partenza? No,» si rispose da sola «è un viaggio ancora lontano. La linea è dritta, fino ad un certo punto, poi diventa frastagliata, a indicare pericoli od ostacoli.» Alzò lo sguardo e gli sorrise. «Vedo che la Scuola di Atene continua a prosperare» commentò. Tornò alla tazza e al proprio racconto. «Il mio talento e le mie capacità non vengono sfruttate al meglio, attualmente. Il mio estro creativo viene brutalmente mortificato: ogni Burrobirra spillata è… interessante» si lasciò sfuggire. Avvicinò la tazza verso il volto, di qualche centimetro, e continuò a rigirarla tra le mani, osservando da diverse angolazioni i segni che avevano attirato la sua attenzione. Sul fondo della tazza – dove si possono scrutare i segreti più intimi di un individuo – vide nitidamente due minuscole frecce che puntavano in direzioni opposte, iscritte in quello che sembrava un pesce. «La sirena rappresenta la tentazione, solitamente. Niente di straordinario. Ciò che mi incuriosisce sono queste due frecce» disse, indicando con l’unghia del mignolo il fondo della tazza, dopo averla voltata verso Peverell. «Direzioni opposte, diverse spinte dell’animo. Ad un certo punto, ha voltato le spalle a qualcosa che rappresenta, per lei, una tentazione.» Continuò a ispezionare il fondo della tazza. «Non vedo particolari simboli di incertezza, o di incostanza. Mi dà l’impressione di uno stato, in qualche modo, di equilibrio.»
Tornò a scrutare il fondo della tazza, ancora una volta, e proseguì con la risposta alla domanda del Preside. «Ho ricevuto diverse proposte di lavoro,» ammise, aggrottando la fronte «più stimolanti del mio impiego ai Tre Manici, ma sentivo che nessuna di esse fosse quella giusta per me.» Alzò lo sguardo per rivolgere il sorriso più mellifluo del suo arsenale al Preside. «D’altronde, sono io la Divinatrice» commentò, ricalcando le parole che Peverell stesso aveva usato. Non era improbabile che l’uomo avesse tentato di schernirla: poco innanzi le aveva fatto capire senza mezzi termini il proprio scetticismo. Desiderava impressionarlo con la propria lettura tasseomantica? «Purtroppo, però, non posso convincere un pubblico che parte già prevenuto» commentò senza perdere il sorriso, tornando a guardare la tazza. «Vedo successo e fortuna, nel suo futuro,» proseguì «quantomeno, per quanto concerne la sfera lavorativa» specificò. «E, accanto, una tela» soggiunse, aggrottando la fronte. «Una tela che, però, sta tessendo Lei.» Astaroth sollevò un sopracciglio e batté le palpebre un paio di volte. «Per la buona riuscita di questo progetto le servono collaboratori, alleati.» Sorrise. «Spero che ne avrà a sufficienza, quando verrà il momento.»





 
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view post Posted on 9/4/2018, 16:55
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Cosa sarebbe emerso da quella porcellana?
Qualunque cosa emergesse, quanto sarebbe stata scabrosa? Quanto imbarazzante? Eppure, era lui ad aver avanzato la richiesta. Sino a che punto ci credesse? Probabilmente un mistero. Combattuto tra un sano scetticismo, e una insanabile speranza. Del resto se doveva essere del tutto prevenuto sull'intero argomento, e fedele a quanto avesse sempre creduto... beh, a quel punto non si sarebbe nemmeno svolto il colloquio. Ma aveva la coscienza più che pulita, aveva messo le carte sul tavolo dall'inizio, giocavano alla luce del sole. Era solo una questione di convincimento, quanto fosse più o meno forte, e quanto ne sarebbe derivato. Vivevano periodi d'alta instabilità, chi era a generarla? Isolate le cause, tutto sarebbe proseguito come sempre? Era quella la chiave di volta? Com'era possibile raggiungere un tale obiettivo? Come individuare le fonti? E ancora una volta il punto: quanto era opportuno e necessario essere onesti, e a beneficio soprattutto di chi? Determinate risposte non era tenuto a darle alla giovane aspirante docente, e probabilmente sarebbe in ogni caso passato del tempo prima che giungesse il momento. Allo stesso tempo, eludere l'intera questione quanto era conveniente, e allo stesso tempo accettabile per l'interlocutrice? Come e quanto poteva suonare un silenzio, come un garbato 'non sono affari suoi'? Se in fin dei conti il primo ad aver sollevato la questione era proprio lui. E chi cercava di influenzare chi? Era un gioco, e come in molti giochi chi fosse destinato a vincere e chi a perdere non era detto. O almeno, non ancora.
E la tazza era la prima ad essere andata.
Al martirio? Era stato un martirio?


Potrà sembrarle una questione meramente di forma, ma non lo è. Un Docente non dovrebbe essere pronto a tutto, semplicemente le circostanze non dovrebbero renderlo necessario. Io sono nato in un mondo, che è ormai scomparso, incredibilmente più ordinato di quello attuale, in cui tutti sapevano cosa dovevano fare, e lo facevano. Oggi nessuno sa cosa dovrebbe fare, e quindi cerca di fare tutto. Mi segue? Per essere onesti, se gli Auror svolgessero il loro compito immagino che non sarebbe necessario avere degli altri Auror a infestare le nostre aule. Così come, del resto, i professori di questo Castello che vantino un passato da Auror non sono certo qui per loro meriti passati, o nell'eventualità di nuove 'avversità', ma per le loro capacità presenti. Per quanto concordi con lei che troppe coincidenze... stroppano.

Il dito nella piaga.
Quanto ci era voluto? Erano già caduti sulla buccia di banana. Quanto potesse poi veramente permettersi di prendersela? In fondo sì, in una discussione si dice molto, e spesso si gioca di iperboli, ma restavano i fatti. Non poteva inimicarsi eccessivamente il Ministero, aldilà che quella potesse sì essere uno scambio di opinioni davanti a un The e una burrobirra.


La veda così. La perdita di valori della nostra società sta man mano intaccando settori consistenti del suo tessuto sociale, i servitori dello stato non sono un'eccezione. Venendo meno l'efficacia di uno dei suoi principali poli, confrontato oggi a sfide tanto asimmetriche quanto aldilà dell'efficacia del suo operato, l'attenzione di tutti si concentra su un secondo polo: Hogwarts. Pur presentando anch'essa una serie di svantaggi, questi risultano ancora meglio gestibili di molti altri, da qui la... transumanza. Di chi è la colpa? Non lo so, è davvero di qualcuno di preciso? È di tutti, e quindi di nessuno? Probabilmente lo sapremo tra mezzo secolo.

E la tazza batté un colpo.
Eccola lì, sotto i riflettori, pronta a cantare la sua versione.
Cosa ne sarebbe uscito? Una scura verità che doveva essere messa a tacere, prima del disastro? Di quanti scheletri stavano parlando? E soprattutto, quanto era probabile che davvero uscisse qualcosa? Se era tutta una buffonata sarebbe dovuto essere il più tranquillo degli spettatori, tacitamente assorto, in paziente attesa. Eppure, non era così. Lo sguardo passava dalla Giovane alla tazza, in rapida successione. L'attesa, il formicolio che precede lo scontro. Il silenzio che anticipa l'inizio della sinfonia. E cosa sarebbe stata? Archi? Ottoni? A che ritmo? Quale sarebbe stata la nota d'apertura? E poi la lettura. Più la giovane proseguiva, più i tasselli andavano a incastrarsi. Quanto di quello che stesse dicendo fosse davvero frutto di una qualche arte, e quanto invece della pazienze opera di ascolto e rammendo? Del resto, da quanto tempo sapeva che si sarebbe dovuta presentare lì, a sostenere quel tipo di conversazione? Se aveva raccolto lui delle informazioni, perchè non avrebbe dovuto farlo lei? C'era qualcosa di male nel vendere al meglio la propria merce? Se da quella porcellana fosse uscito un lucente futuro da cuoco, in un ristorante fiorentino, cosa avrebbe dovuto pensare della giovane strega? Faceva parte del gioco. Inutile intestardirsi. Ma poteva funzionare.


Una lettura sicuramente interessante.
Discutibile, ma interessante. Del resto, la Divinatrice è lei, è vero. Così come è vero che molto debba accadere, e molto sia già accaduto. Sono in circolazione ormai da molti anni, risulta inevitabile doversi sporcare le mani, quando serve. E scusi la poca modestia, ma ho un certo fiuto per gli affari. Se le domandassi da un lato un buon motivo perchè dovrei assumerla, e dall'altro un buon motivo perchè non dovrei farlo, cosa mi risponderebbe?


Tele, ragni e alleati.
Cos'avevano in comune?
Qualcosa. Qualcosa doveva pur esserci.
Era ancora presto per capirlo?

 
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Astaroth Morgenstern
view post Posted on 9/4/2018, 20:45






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La domanda che seguì fece sollevare le sopracciglia ad Astaroth, che così lasciò trapelare, in parte, la propria sorpresa. Aveva affrontato molti colloqui negli anni precedenti, ma nessun datore di lavoro le aveva mai chiesto perché non avrebbe dovuto assumerla. La Strega aggrottò leggermente la fronte e annuì un paio di volte, ponderando la risposta. Poi sospirò e allungò il braccio verso il tavolo, per riporvi la tazza che aveva consultato. Ancora una volta, la persona che aveva di fronte stava cercando di ottenere da lei più di quanto si fosse aspettata di dover mettere a nudo. Aveva tanto da guadagnare, e altrettanto da perdere. Avrebbe dovuto rispondergli sinceramente? Sbuffò appena e un accenno di risata le sollevò per un istante gli angoli della bocca. Si appoggiò allo schienale della poltrona e lasciò che la gabbia toracica si dilatasse accogliendo quanto più ossigeno possibile; riaccavallò le gambe e incrociò le mani in grembo. Dopo aver espirato, infine, prese la parola.
«Partirò dalla Sua seconda domanda» esordì, con un sorriso, «per arrivare alla prima». Abbassò per un istante lo sguardo sulle proprie mani e sullo smeraldo incastonato nell’anello di fidanzamento. La consueta fitta nel petto incrinò per una frazione di secondo il suo sorriso; accarezzò la gemma con la punta del dito medio. Peverell si era sufficientemente esposto; l’avrebbe fatto anche Astaroth? «Fortunatamente, mi ha chiesto solo una buona ragione per non assumermi, altrimenti saremmo potuti rimanere qui fino a tarda notte» scherzò e la luce riflessa nelle sue pupille si fece giocosa. «Non dovrebbe assumermi perché sono mossa da forti ambizioni personali» disse, risparmiando ad entrambi inutili giri di parole. Fissò lo sguardo in quello del Preside. «Ma questa è anche la principale ragione per cui dovrebbe darmi la cattedra» proseguì, con voce sicura. Sperava di aver già dato prova, se non di non essere una ciarlatana, almeno di non essere la persona meno qualificata per ricoprire quel ruolo – se non altro, dal punto di vista della mera preparazione. Avrebbe potuto ripetere mille volte di avere la Vista, di essere interessata alla ricerca, di avere una passione per la didattica, ma quell’occasione era già passata, e sperava di averla colta con sufficiente abilità. Ora, stavano danzando su un terreno più pericoloso: avrebbe pestato il piede al cavaliere, o sarebbe riuscita a concludere quella danza movimentata con sufficiente grazia? «Se, da un lato, questo potrebbe portarmi a peccare di volubilità, dall’altro posso garantirLe che, finché le mie ambizioni e la direzione della Scuola – la Sua - coincideranno, farò di tutto per contribuire a dare lustro all’istituzione a cui il mio nome è legato.» Si umettò il labbro inferiore e proseguì. «Nel momento in cui decido di espormi, può stare certo che non solo non correrò il rischio di mandare a monte l’occasione, ma cercherò anche di sfruttarla nel modo migliore» disse, con enfasi. Prima di riprendere, attese qualche secondo, per riordinare le idee.
C’era la possibilità che il suo istinto l’avesse fallita, conducendola all'errore, ma era un rischio che aveva accettato consapevolmente. Aveva risposto con sincerità, sulla scia di un impulso che si originava nel plesso solare, per poi irradiarsi verso la bocca color ciliegia, passandole attraverso gli occhi, che ora brillavano di una luce vivace. Si sentiva accaldata, con le guance in fiamme. Avrebbe voluto spalancare la finestra e lasciare che il vento freddo le restituisse la piena padronanza di sé. In quel momento, più che Cassandra, profetessa inascoltata, sentiva scorrerle nel sangue il potere conturbante di Circe. Sorrise, con una lentezza che nulla lasciava trapelare della trepidazione interiore.
«Contemporaneamente, le mie ambizioni – modeste, eppure per me così preziose – non costituiscono in alcun modo una minaccia per Lei» aggiunse «ma credo che non ci sia bisogno, da parte mia, di rassicurarLa a questo proposito.»
E, ora, arrivava il nocciolo della questione.
«Anzi, qualcosa mi dice che Lei potrebbe trasformare la mia debolezza in un Suo punto di forza».






 
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view post Posted on 10/4/2018, 10:21
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Scopro Talenti, Risolvo Problemi

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La piega imprevista? Era quello?
Ne rimasero entrambi sorpresi, e non fecero molto per nasconderlo. In parte il Vecchio, quasi stupito dalla sua stessa domanda, circostanziatasi e apparsa sul tavolo quasi dal nulla, sospinta da un alito divino, innaturale. Una presenza epifanica, o fantasmatica che fosse, che aveva squarciato il normale procedere della discussione. Se il punto era seguire il manuale, era abbastanza sicuro che fosse appena venuto meno. E la Giovane, che non meno, sembrava essersi stupita per la medesima domanda. Più per la seconda parte che non la prima, ma poco importava. Era un colloquio barocco? Non c'entravano perle, di quello potevano essere relativamente certi, ma allo stesso tempo quella fisiologica necessità di stupire sembrava rimanere all'ordine del giorno. Qualcosa che non potevano permettersi di mollare? Sarebbe emersa una verità? Non era più un problema di tazze, o forse implicitamente lo era sempre stato, e sarebbe continuato ad esserlo? Cos'era la tazza? Cosa poteva essere? Cosa poteva e doveva aspirare ad essere quella stessa innocente tazza? Erano tutti delle tazze che si offrivano sull'altare, pronte per essere lette? Quali verità scomode o semi verità avrebbero rivelato, pur con tutte le reticenze del caso? Cosa la sorte prima ancora della stessa volontà avrebbe spinto a confessare? E poi... l'ambizione. Era il peggiore dei peccati confessabili? Un sorriso trapelò tra una confessione e l'altra. O forse la stessa. Dopotutto entro certi limiti non era promossa anche tra quelle mura la stessa ambizione? Non era ontologicamente iscritta nel codice genetico di un ampio pacchetto azionario del capitale del Castello? Si sarebbe tirato indietro? Tornò a farsi avanti, lasciando lo schienale della seduta che sino a quel momento l'aveva accolto come un porto un veliero durante una tempesta. Era tempo di agire?


Penso di aver capito, ma in piena coscienza non credo di poterla ritenere del tutto una buona ragione per non fare quello che ritengo più giusto. L'ambizione, al pari di molte altre pulsioni dell'animo umano effettivamente può costituire un pericolo se non controllata, ma questo immagino già lo sappia. Lei invece, ha particolari domande per me?

Anche quello era un altro passaggio dovuto.
Terminato quello che era stato un garbato terzo grado, per quanto di alchemico o mistico non si fosse visto poi molto, era tempo di andare avanti. Era poi davvero così? Quanto era accettabile farsi leggere il proprio destino in una tazza di The? Era l'apoteosi stessa della polvere, era null'altro che l'ennesima metafora, una stazione di passaggio, dalla polvere che erano alla polvere che sarebbero tornati, passando per la polvere di The? O era lo svilimento della bevanda degli antichi imperatori del Paese di mezzo, prestata a spettacoli da baraccone improvvisati in mezzo alla strada? Era o non era una minaccia? Sarebbe davvero potuta esserlo?


Ha ragione, non sottovaluto facilmente mai nessuno. Come afferma mi piace tessere tele, e sto giocando a diversi tavoli. È anche vero, però, che non la vedo come una minaccia, e mi auguro di non doverlo fare neanche in futuro. Il che mi spinge a domandarle: lunedì ha impegni? Se così non fosse, può iniziare. Se vuole le mostro la torre, prima che vada.

Era fatta?
Avrebbe accettato?
In fondo, non era quello che voleva?
Una fine imprevista? E la tentazione cui non aveva ceduto, sapeva già come sarebbe finito il colloquio? Aveva davvero senso interrogarsene? Che domanda era? Era tutta una questione di fede? Fede per che cosa? Se non lo sapeva, di cosa stavano discutendo? Ma come poteva in ogni caso saperlo? Non era certo razionalmente accettabile. Eppure... in fondo, a qualcosa bisognava pur credere. Ogni tanto, uno su un milione non era un semplice buffone.
Era davvero quello il caso?

 
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Astaroth Morgenstern
view post Posted on 12/4/2018, 10:45






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Mentre ascoltava le parole del Preside, sentì i muscoli rilassarsi e la tensione abbandonarla. Non si era resa conto di aver trattenuto il respiro, finché non avvertì la necessità di riempire i polmoni. Allora, un sorriso spontaneo si dipinse sulle sue labbra, e un formicolio le si diffuse per tutto il corpo, scaldandole le guance. I colori della stanza – la veste del preside, la vetrata – le parvero acquisire una nuova intensità; persino la vista delle pile di rotoli di pergamena, che avrebbero dovuto ricordarle le sue future responsabilità, contribuiva alla piacevolezza di quel momento.
Per un istante si chiese se non fosse il caso di dimostrare un minimo di ritrosia, ma il sollievo e la sensazione di leggerezza che provava non lasciavano spazio, in quel momento, a troppe affettazioni. Perciò si sciolse in una risata carezzevole e lasciò che una ciocca color mogano le scivolasse davanti al volto.
«Accetto volentieri la Sua offerta di un tour nella Torre» disse, alzandosi in piedi. Si sentiva leggera, come se avesse bevuto un paio di bicchieri di vino elfico. I piedi, stretti nelle scarpe con il tacco, sembravano camminare su piume d’oca. Mentre si voltava a recuperare il cappotto e la borsa, Astaroth si slegò dal collo la sciarpa e la ficcò sbrigativamente in una tasca. Finalmente, pensò, sentendo il collo finalmente libero da quella morsa soffocante. Si voltò verso il Preside con un sorriso smagliante. «Dubito che sia cambiata molto dall’ultima volta che vi ho messo piede» commentò, indossando il cappotto. «Questo posto ha la capacità di rimanere sempre uguale, almeno in apparenza.»
Avrebbe dovuto essere più esplicita? Nell’incertezza, mentre attendeva che il Preside le facesse strada, commentò: «Lunedì sarò puntuale. Pensavo di esordire con una lezione sul mogu, una pratica divinatoria che ho appreso a Taipei.» La sua voce si fece pensierosa. Sì, sarebbe stato un ottimo modo per iniziare: qualcosa che i suoi studenti non avrebbero trovato sul manuale.
Nella sua mente cominciarono a farsi strada una serie di pensieri, di progetti, di visioni, che prima aveva cercato di sopprimere. Non da ultimo, come avrebbe arredato il proprio ufficio? La visita alla Torre si rendeva assolutamente necessaria: doveva prendere le misure della stanza e farsi una mappa mentale della sistemazione di tutti i mobili, oggetti, libri che sarebbero andati a riempire il suo nuovo spazio. Giusto qualche giorno prima aveva adocchiato una scrivania in legno di mogano che avrebbe fatto al caso suo, su una rivista magica di arredamento.
Se il Preside le avesse offerto il braccio, lei vi si sarebbe appoggiata, non senza una vena lieve di civetteria – finalmente, la coquette in lei sarebbe uscita allo scoperto, dopo essere stata mortificata così a lungo, per tutta la durata del colloquio. Si sarebbe portata con sé quella leggerezza e quel senso di trionfo fino a sera, quando, comodamente distesa sul divano di Villa dei Gigli, avrebbe sorseggiato del Porto ascoltando musica.



 
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15 replies since 25/1/2018, 13:52   426 views
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