Variazioni sul tema., Colloquio di assunzione

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view post Posted on 26/1/2018, 21:07
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Urania Rue Donovan

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Hogwarts innevata mi diede la stessa piacevole sensazione di anni prima; anche perché l'inverno, fin da piccola, era sempre stata la mia stagione preferita.
La neve modifica ogni cosa. Nasconde lo sporco e il disordine e attutisce i rumori. Il vento, tagliente, costringe a camminare senza parlare, a concentrarsi sui propri passi e sulla propria direzione. Gli spostamenti sono drasticamente ridotti e si bramano i momenti di rilassatezza davanti ad un camino. I ritmi si dilatano e i pensieri hanno più spazio per prendere forma. Il tempo acquisisce una diversa importanza. Momenti sospesi.
Fermai il mio incedere, sollevando gli occhi verso il portone d'ingresso. Dischiusi le labbra per respirare e sentire il freddo fin dentro la gola; un brivido mi scivolò lungo la schiena, perdendosi nel caldo del mio ventre.
Durante la festa di Natale sulle Alpi, Dorian mi aveva parlato della situazione in cui versava Hogwarts nell'ultimo periodo. Alcuni professori avevano deciso di andare in pensione anticipatamente e, così, le cattedre erano rimaste scoperte. Sapere che Incantesimi era tra queste mi aveva spinto a fare domanda per sostenere il colloquio d'assunzione. La materia, in sé, mi aveva sempre affascinato. Era tra quelle che avevo studiato più volentieri e quella a cui avevo dedicato più tempo. Durante gli anni ad Hogwarts, però, non mi era mai venuto in mente di potermi ritrovare ad insegnarla; non mi immaginavo docente. Uscita da quel Castello, a diciassette anni, il mio unico desiderio era svolgere un lavoro avventuroso ed entusiasmante, mai identico a se stesso, in continuo mutamento. E credevo che essere Auror avrebbe appagato completamente questo bisogno. Mi sbagliavo. Erano passati alcuni anni e mi ero accorta di non sentirmi affatto completa. Lavorare al Quartier Generale continuava a piacermi molto - e avevo riscoperto in me un certo senso del dovere e della giustizia che, da recluta, non credevo di avere - ma l'idea dell'insegnamento aveva aperto nella mia mente nuove prospettive. Forse già l'assunzione di Dorian - e poi di Kappa - mi aveva permesso di osservare la cosa da lontano. Prima inconsciamente, poi con una certa dose di consapevolezza, mi ero ritrovata a desiderare di tornare ad Hogwarts; di studiare nuovamente quella materia a me tanto cara e di farlo con un bagaglio culturale diverso, che mi sarebbe servito anche per comunicare meglio con i ragazzi che si ritrovavano a doverla apprendere. L'idea mi entusiasmava e spaventava insieme.
Scossi appena la testa quando mi resi conto di aver fatto troppi passi avanti: dovevo prima superare il colloquio con il Preside.
Ripresi a camminare, superai il portone d'ingresso e venni riscaldata dal tepore dell'interno. Era mezzogiorno e mi ritrovai in pieno via vai di studenti di ogni Casa. Ero tornata ad Hogwarts per un ballo estivo tempo prima ma era da anni che non la vedevo per come l'avevo vissuta: in un giorno qualunque, indaffarata nelle faccende di sempre. Le divise, le chiacchiere, i profumi, i battibecchi; l'atmosfera sembrava sempre la stessa - eppure drasticamente cambiata. O forse ero io ad essere mutata?

"And never have I felt so deeply at one and the same time
so detached from myself and so present in the world."
- Albert Camus.



Ero stata solo un paio di volte nell'ufficio del Preside e mai per rimproveri o eventi nefasti. Certo era che non avrei mai pensato di tornarci con quello stato d'animo e quelle intenzioni. Voltai in uno dei tanti corridoi del secondo piano, quindi intravidi in lontananza i due Gargoyle. Mi ci ritrovai davanti ed esitai, osservando dapprima i graffi e i segni nella pietra quindi facendo un mezzo passo indietro, per avere nuovamente l'intera visuale dell'ingresso. Nella lettera di convocazione per il colloquio mi era stata comunicata la parola d'ordine per superare il primo ingresso, così la enunciai. I Gargoyle si aprirono, rivelandomi un'irta scala che, sapevo, si arrampicava fino al quinto piano del Castello. Era lì che si trovava l'Ufficio vero e proprio. Salii, lasciandomi trasportare dai pensieri, cullata dal ritmo costante dei miei passi. Una leggera ansia e una discreta paura mi stringevano lo stomaco ogni cinque passi ma cercavo di dirmi che era solo una chiacchierata con il professor Peverell e che dovevo essere tranquilla, me stessa. Avrei dimostrato naturalmente di essere adatta a quel ruolo. Sarebbe andato tutto bene.
Dopo alcuni minuti giunsi davanti alla porta di quercia intagliata. Respirai con decisione. Mi sistemai una ciocca sfuggita dalla pettinatura alta e composta in cui avevo costretto i miei capelli. Poi sollevai una mano e bussai con le nocche un paio di volte. Attesi. Se avessi sentito la sua voce invitarmi ad entrare, avrei aperto e l'avrei salutato con un sorriso nostalgico.




Eccomi, chiedo perdono per il ritardo.
ps. spero non sia un problema aver scritto di aver ricevuto la parola d'ordine via lettera.
 
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view post Posted on 26/1/2018, 23:26
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Lavorava di buona lena, alle prese con un codice papiraceo indubbiamente antico, che non osava nemmeno sfiorare con i guanti di seta bianca, che gli coprivano le sottili, e bianche mani. La lunga veste da camera zaffirea, coperta in parte di polvere, aveva ampie maniche, alla moda orientale, arrotolate sin oltre i gomiti, l’intero piano della scrivania era ricoperto da appunti, vergati con una calligrafia inclinata, e corsiva, agile e slanciata.
Il vecchio curvo sul codice, lo studiava attento a ogni particolare, passando di simbolo in simbolo, con metodica attenzione, dietro a un'enorme lente d'ingrandimento dorata, salvo tornare spesso in cima alla pagina, forse in cerca di conferme. Se l'era cavata relativamente celermente nel corso della mattinata, considerato il largo anticipo rispetto all'unico impegno fissato aveva ben pensato di dedicarsi ad altro. Non era finita come auspicato, il passatempo era finito con il dimostrarsi un vero e proprio lavoro. Che ora si era fatta? Quanto poteva già essere passato? Saranno state le 11? Di più, di meno? Era già quasi ora di pranzo, non aveva letto il giornale, aveva saltato allegramente la passeggiata, non aveva nemmeno aperto la posta, nulla di che non potesse attendere, c'era altro. Amalia, e Minerva non sembravano avessero accettato di buon grado la decisione, l'unico solidale alla decisione sembrava essere Winston, nella sua stoica regalità. Prima o poi sarebbe pur dovuto uscire da lì, era stata una promessa, l'avrebbe mantenuta, era solo una questione di tempo. Ma un The, prima del pranzo?
Era già arrivato gennaio, il parco sembrava aver silenziosamente recepito il messaggio, aveva sì iniziato i preparativi per la primavera, che presto o tardi sarebbe arrivata, ma con la dovuta calma, sotto un'abbondante serie di nevicate. Le passeggiate quotidiane erano diventate una lotta contro gli elementi atmosferici, e una sfida all'ingegno. Scortati da rotolanti pupazzi di neve si scavano il tragitto da un lato all'altro del parco. In fondo, era stato un mese tranquillo, un po' affollato? Una settimana tranquilla, ed una giornata tranquilla, Minerva assopita sul trespolo aveva smesso di interessarsi a lui già una buona mezz'ora prima, tra l'irritato e l'indispettito. Non si era mai entusiasmata troppo per il geroglifico, ma era anche comprensibile, in fondo.
Qualcosa di inaspettato lo interruppe improvvisamente, bussavano alla porta? Un altro esame? Si era dimenticato? No, non era periodo sicuramente, era appena cominciato l'anno, che diamine andava esaminato? E quindi? Negli ultimi tempi, da quando l'avevano spedito in piccionaia, qualcosa era cambiato. Qualcosa di importante, sostanziale. Che avessero temporaneamente chiuso la Biblioteca per un'infestazione, e dirottato lì il traffico in eccesso? Era stato declassato a deviazione? Per quanto, certo, d'alto profilo e borgo, era diventato una deviazione? Si sarebbe lamentato con quell'incompetente del Custode, zotico, maleducato, ed ignorante. Ovviamente un ventenne, sembrava una maledizione. Per quanto, indubbiamente, qualche centinaio di individui dovessero essere sotto tale soglia, per legge, o effettivamente vi sarebbe stato più di qualche problema irrisolto di fondo, non si capiva come fosse possibile che anche tutti gli altri dovessero essere sempre più prossimi a tale soglia. Tanto sarebbe valso abdicare, e tornare ad una forma anarchica pleistocenica dell'organizzazione sociale? Quello zotico non capiva nulla, anzi, era pure tocco, ma erano finite le scusanti, l'avrebbe impalato. Era tempo di tornare alla pratica?
Dopo un attimo di silenziosa tronfia riflessione, tornò a piegarsi sul codice.
A meno che, certo, effettivamente non fosse più tardi di quanto non preventivato.
E non fosse arrivata l'ospite attesa. Possibile?


Avanti!

 
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view post Posted on 29/1/2018, 11:37
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Urania Rue Donovan

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Attesi
una buona manciata di secondi, forse un minuto. Uno dei minuti più lunghi della mia vita. Mi domandai se avesse sentito il rumore delle mie nocche sul legno, se fosse troppo impegnato per ricevermi o se non fosse andato altrove richiamato da qualche urgenza. Mi morsi il labbro inferiore, spostando il peso da un piede all'altro, alzando per un attimo gli occhi al soffitto di pietra scura. Reclinando la testa all'indietro il collo, appena indolenzito, provò sollievo; così ruotai appena la testa a destra e a sinistra per massaggiarlo.
«Avanti!»
Riportai l'attenzione davanti a me. Poggiai le dita sul pomello del battente e spinsi, facendo un passo in avanti. Un profumo di polvere e carta invase le mie narici. Lame di luce tagliavano l'ambiente circolare e donavano un aspetto calmo e accogliente all'Ufficio. Sbattei le palpebre e lasciai che le mie pupille si abituassero al cambio di luminosità. Le pareti erano ricoperte di libri, quadri e arazzi; i ritratti avevano al solito da mormorare e le note di un'arpa carezzavano l'ambiente. Era simile eppure diverso da come lo ricordavo.
«Buongiorno professore» salutai con un leggero sorriso, chiudendomi la porta alle spalle.
La sua imponente scrivania si ergeva al centro della stanza, colma di oggetti di ogni tipo. E Peverell, chino su di essa, sembrava particolarmente concentrato su un papiro che non sfiorava neppure con i suoi guanti bianchi: doveva essere prezioso. «Sono Urania Donovan, per il colloquio» aggiunsi poi, non del tutto sicura che si ricordasse di me come studentessa - anche se erano passati appena cinque anni dal mio diploma.
Un ricordo attraversò per qualche istante la mia mente, portandomi via da quell'ufficio ma non da quel castello. Rividi una sua lezione, rividi entrambi più giovani, riascoltai la sua voce e mi parve perfino di sentire i profumi di quel giorno; un calamaio s'era rovesciato sul banco accanto al mio così l'odore d'inchiostro aveva pizzicato le mie narici durante tutta l'ora. Ma l'evento non mi aveva distratto: era rimasto sullo sfondo delle parole di Peverell e non mi era mai capitato di prestare particolare attenzione a quel liquido scuro. Era davvero difficile non trovare interessanti le lezioni di Storia della Magia, soprattutto quando a tenerle era una persona anziana dotata di passione e carisma. Avevo sempre avuto una buona opinione di lui e - proprio per questo - provavo due sentimenti molto diversi insieme: ero felice che il mio colloquio fosse proprio con lui e, al contempo, ero spaventata all'idea di deluderlo.
Un verso della fenice fece deviare i miei occhi su di lei. Stava appollaiata sul suo trespolo, a destra della scrivania. La guardai per un paio di secondi, bella e fiera, quindi spostai nuovamente lo sguardo sul Preside.
«Le volevo fare i miei complimenti per la nomina, anzitutto. Nessuno sarebbe stato più indicato» dissi sinceramente e quasi sovrappensiero. Nonostante Hogwarts ospitasse nelle sue mura diversi e venerandi insegnanti, non avrei pensato a nessun altro per quel ruolo tanto delicato.
Ero rimasta in piedi, poco distante dalla scrivania e dalla sedia, le mani congiunte morbidamente davanti alla mia esile figura, l'espressione più rilassata di quello che pensassi. Parlare, ancora prima che lui dicesse qualcosa, mi aveva aiutato a rompere il ghiaccio e la fissità che mi aggrovigliava lo stomaco. Nemmeno per il colloquio Auror ero stata così agitata - o forse sì? Ormai era passato qualche anno. E i sentimenti che provavo in quel momento mi apparivano necessariamente più turbolenti e forti di altri.


 
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view post Posted on 4/2/2018, 22:36
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E infine c'erano.
La pacchia infine era finita?
Quanto era durata? Troppo, o troppo poco?
In fondo era anche quella un'attività delicata di ricerca.
Certo, si trattava pur sempre di aver unito utile e dilettevole, ma non era poi così fondamentale, anzi. Era un pregio essere stati in grado di farlo, ma non toglieva nulla al fatto che pur sempre di lavoro di parlasse. Che poi il lavoro di uno storico non fosse per definizione lo stesso di un minatore, o per meglio dire se non metaforicamente, quella era tutta un'altra Storia. Sotto quell'ottica lavorava indefessamente dalla mattina alla sera, e spesso anche sino a notte inoltrata, in giornate che il più delle volte sembravano durare intere esistenze. E che forse era proprio così. Aveva sempre avuto un discreto, o a seconda dei punti di vista pessimo, rapporto con il Tempo. Se da un lato era il reggitore del mondo, ne determinava il passo, e l'evoluzione, dall'altra era un alleato volubile e flessibile, in più d'una circostanza sorprendente. Chi era il banchiere centrale del tempo? Quale logica seguivano le sue politiche monetarie? Sulla base di cosa era fissato il target d'inflazione, e di conseguenza gli interessi? Improvvisamente assorto, e perso in un qualche pensiero, assistette inerte all'aprirsi cauto della porta, e al suo sicuro richiudersi. Era arrivata. Un riflesso incondizionato maturato negli anni lo spinse ad alzarsi, a scostare la poltrona, a districarsi nella stoffa. E sin lì tutto bene. Iniziavano ora i giochi. Avrebbe potuto affermare di ricordare ogni dettaglio? No. Dal congedo non erano trascorsi pochi anni, e in fondo non avevano nemmeno mai avuto rapporti più che sostanziali. Ciò non toglieva che si fossero visti quasi tutti i giorni, per un buon numero di anni, il che era già qualcosa in fondo. Che avesse deciso di ripresentarsi in piena autonomia doveva pur essere emblematico di qualcosa. Non fosse stato per un altro dettaglio, ma ci sarebbero arrivati. Era quasi fatta?


Ah! Mademoiselle Donovan, benvenuta.
In effetti ha ragione, la aspettavo, prego si accomodi.
Le posso offrire qualcosa prima d'iniziare?


Sorrise gioviale, accennando alla coppia di poltrona. Stava seguendo metodicamente la guida ai primi passi, perchè avrebbe dovuto cambiare un protocollo che era sempre funzionato, non senza soddisfazioni? Non avevano premura, se non di maturare la migliore delle decisioni possibili, e per arrivarci c'era tutto un complesso, e in parte bislacco, rituale da inscenare. Non sarebbe certo stato il chiacchiericcio della stretta attualità a spingerlo a modificare ciò che sempre era stato fatto, o banalmente il moltiplicarsi degli impegni che richiedevano effettivamente una parte crescente della sua attenzione. Tornò a sedersi, battendo delicamente due colpetti sul piano della scrivania, con un'innocente asticella di legno. Un leggero sfolgorio, e un già una lastra di vetro spessa un pollice aveva isolato completamente quello che non sarebbe certo stato l'oggetto del contendere di quel dibattito.
Sorrise nuovamente alla giovane, alla sua seconda battuta.
Nessuno sarebbe stato più indicato?


La ringrazio della cortesia, mademoiselle. Ma a volte non abbiamo scelta, semplicemente. In fondo si tratta solo di aver ufficializzato un problema, se vuole. E immagino che dovessi aspettarmi che sarebbe accaduto, un giorno o l'altro. Ad ogni modo, fortunatamente non dobbiamo parlare dei crucci di un Vecchio, ma delle decisioni di una giovane donna. Mi dica, perchè è qui?

Salto doppio carpiato all'indietro, da trampolino?
C'era stata la rincorsa? Improbabile, era seduto...
Ma non cambiava la natura della domanda, e del resto.
O sì?

 
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Urania Rue Donovan

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Solo
quando il professore mi indicò una delle due poltrone presi posto. Non ero mai stata una persona precipitosa. Provavo una certa forma di rispetto verso gli ambienti in cui mi trovavo e nei confronti delle persone con cui mi interfacciavo. Difficilmente entravo prepotentemente in un luogo o invadevo con rapidità lo spazio personale di un individuo; forse perché gradivo che lo stesso si facesse con me. Questa caratteristica mi aveva aiutato non poco nel lavoro di Auror, dov'era molto facile farsi rapire dalla caoticità e dalla confusione di certi luoghi e situazioni. Restarne un attimo fuori, osservare dall'esterno con pazienza, era risultato utile.
«Del the andrà benissimo» accettai con un sorriso, felice che l'avesse proposto. Una bevanda calda accompagnava perfettamente una conversazione articolata. La gestualità legata al versare, all'attendere e al sorseggiare vantava un rapporto privilegiato con la buona riuscita di un colloquio. Ed io speravo sarebbe stato così anche in quell'occasione.
Peverell tornò a sedersi; con un gesto rapido e deciso fece comparire una lastra di vetro che andò ad assicurare il papiro da polvere e distrazioni. Ne fui lieta: del the scivolato per sbaglio su quel prezioso manufatto non avrebbe certo giovato alla mia assunzione. Ascoltai le successive parole dell'anziano professore. Concordai con lui pur non esprimendo a voce i miei pensieri: era solo questione di tempo prima che Peverell andasse a ricoprire quel ruolo. Sono quelle notizie che, quando ti giungono all'orecchio, non ti sorprendono più di tanto: annuisci, con un sorriso, alzando appena le spalle come se già le sapessi - tanto sicura che l'informazione è già immagazzinata nel tuo cervello, quasi che appartenga al presente ma anche un po' al passato. Fin dai tempi di Hogwarts e anche fuori da lì si parlava di quella possibilità; era stato tutto totalmente ovvio e naturale.
Ma era vero; non eravamo lì per parlare di quello. Divagare ulteriormente avrebbe portato la conversazione in convenevoli distanti dall'obiettivo principale di quella visita. Poggiai quindi i palmi delle mani sulle gambe, pronta ad arrivare subito al punto della situazione. Perché è qui?
«Per dimostrare di essere all'altezza di ricoprire il ruolo d'insegnante di Incantesimi» dissi con voce sicura ma calma e non troppo alta. «Ho svolto il lavoro di Auror per qualche anno e, benché mi abbia dato tanto, la possibilità di poter tornare ad Hogwarts e dedicarmi nuovamente allo studio e, quindi, all'insegnamento di questa materia ha generato in me un desiderio che non pensavo potesse appartenermi.»
Feci una pausa, spostando per un attimo lo sguardo sulla fenice. Fiera, sicura. Cominciai a parlare osservandola, rivedendomi idealmente in lei. Io a diciassette anni esibivo solamente una saggia calma: dentro ero un fuoco, vivo, vibrante - e lo ero ancora. Una contraddizione in termini, quello ero sempre stata. Irrequieta eppure posata. Mai contenta del tutto, mai soddisfatta eppure, in qualche modo, equilibrata. Oh, ma ero così impetuosa appena qualche anno prima! E ora, a 22 anni, cos'era cambiato? Erano state le avventure e le disavventure da Auror a formarmi? Era solo una questione di tempo e maturità? «Sa, quando ho lasciato queste mura l'unico bisogno che avevo era quello d'avventura. Desideravo un lavoro dinamico, pericoloso anche, dove poter misurare me stessa. Ma adesso... » Tornai a guardare il Preside con un mezzo sorriso. «Adesso qualcosa è cambiato. C'è anche qualcos'altro. Non mi aspettavo che potesse cambiare così il mio sentire» aggiunsi infine, quasi la mia risposta fosse diventata un'intima confessione.


 
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view post Posted on 15/2/2018, 17:36
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Era fatta.
E non lo era.
Erano in una di quelle zone grigie, in cui il futuro sembrava ancora terribilmente lontano, e incerto. Grigio, come il tempo, grigi erano anche gli occhi della giovane interlocutrice di quel giorno. Dall'altro lato della solida scrivania, un'utile ancora posta lì da uno degli esseri iperuranei a sancire un confine, un limite, tra quanto poteva essere detto, quanto era lecito sperare, e quanto sarebbe stato accettabile sperare. In realtà cos'era? Probabilmente nulla, se non l'ennesimo pezzo di antiquariato che sulle spalle di qualcuno era stato spinto sin lì. Era probabile che la vanità di un Vecchio avesse cambiato quanto ereditato dal precedente Preside, un modo come un altro di marcare il territorio. Un modo più elegante di altri, ma pur sempre un modo come tanti altri. Qual era il punto? C'era? Erano lì, si guardavano studiandosi con interesse, convenendo del più e del meno, affilando le armi dietro le trincee, pronti all'assalto all'arma bianca? Chi sarebbe rimasto in piedi? Qualcuno era in una posizione di vantaggio, se devi passare, e ti trovi davanti una trincea non era necessario scomodare Leonardo per intendere chi fosse in vantaggio. Eppure, la giovane donna aveva le energie per dare l'assalto, qualcosa che a parti invertite non sarebbe certo stato possibile. Un Vecchio all'assalto di una trincea a cosa avrebbe pensato? Non era necessario lo scontro? Era indispensabile espugnare l'intera linea di fortificazioni? In quanto tempo, e a che costi? Se negoziare un armistizio non sembrava certo la soluzione, doveva pur esservi altro. Un modo creativo per passare, un modo di uscir dalla tana del leone senza la pelliccia di lui, e con la pelle di lei.
Un The. Tutto sarebbe passato dal The?
O semplicemente l'avrebbe atteso. Era quello l'armistizio.
Cosa sarebbe seguito? Eppure, un'atmosfera distesa, e cordiale stava dipanando tutti i suoi effetti. Un sorriso cordiale accolse l'assenso dell'ospite, e un cenno al servizio da The non molto distante fece il resto. Era fatta? Erano già arrivati alla firma della pace? Tre baci, un abbraccio, una stretta di mano, e arrivederci? Come girava il mondo in quelle stanze? Era tanto eccentrico?


Eccellente, allora vada per un The.
Mi raccomando, sia chiara, e niente fraintendimenti*
Per me un The, e due di zucchero, grazie.


Il raffinato, ed insospettabile servizio blu e bianco cinese, poco distante sulla scrivania, si animò. La teiera sbuffando prese a riempire una tazzina, già in movimento, con tanto di piattino, in direzione del grazioso e prevedibile cliente, inseguita a ruota dalla delicata zuccheriera, che mulinando un cucchiaino d'argento, sembrava ansiosa di portare a compimento il suo uffizio, stanca di quella forzosa quiescienza, stanca delle chiacchiere, grata di aver un certo margine d'azione. Una volta pronta, la tazza dal liquido ambrato, e dalle vorticose spirali di vapore si fermò alla destra del mago. Un primo passo era infine compiuto. Era tempo di venire ad altro? La giovane Auror procedeva spedita. In quattro e quattr'otto aveva già concluso la cornice. Il perimetro era stato appena tracciato?

Capisco, dunque il fatto che voglia dimostrarlo, implica tra gli altri il fatto che io non la ritenga all'altezza, giusto? Il che in fondo potrebbe anche essere vero, sulla base degli indizi che possono essere in suo possesso, mi corregga se sbaglio. In realtà la faccenda è un po' diversa, un po' più complicata. In base a quello che so è effettivamente stata un Auror per le nostre istituzioni, ma temo che ai fini del nostro colloquio non sia particolarmente rilevante.

Nei panni della giovane, quanto sarebbe dovuto sembrare inopportuno, se non maleducato? Era sceso dalla parte sbagliata del tetto? Sapeva qualcosa che lei non sapeva? Era particolarmente simpatico semplicemente di natura? Un nuovo sorriso, cosa avrebbe celato? Sarebbe bastato indorare la pillola, per far digerire un'altra dose massiccia di complimenti? La borsa aveva aperto in parità, e quasi subito erano iniziate le fluttuazioni, sull'ottovolante era opportuno tenersi? O massimizzare le oscillazioni, e con esse le prese di beneficio? Come intuire quando a un massimo stava per seguire un minimo? E viceversa? Si trattava di scherzare con il fuoco?

O meglio, non del tutto. Quale crede che sia la principale funzione di un docente? E quale la migliore delle sue doti? Allo stesso tempo, quali tratti hanno o dovrebbero avere in comune un Auror, e un Docente? Dopo tutto è pur vero che lei è molto giovane, i desideri di quanti lascino il Castello sono comprensibilissimi, meno quelli di coloro che vi facciano ritorno.

Qual era la verità che stavano cercando?
Qual era il punto che inseguivano?
Esisteva davvero qualcosa?

 
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view post Posted on 11/3/2018, 19:16
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Urania Rue Donovan

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Parlare
in maniera limpida e diretta mi era sempre sembrata la maniera più sensata di interagire con qualcuno. Che si trattasse di questioni leggere o profonde, di poco conto o molto importanti, parlare con semplicità e chiarezza manteneva sempre una posizione di privilegio nella scala delle mie priorità. Certo, alcune discussioni esigevano una dinamica meno fluida - per il fatto di metter in scena un gioco, un particolare tira e molla - ma queste si circoscrivevano ad ambiti molto lontani da quello che, quel giorno, stavo affrontando.
Con Peverell si poteva dire di trovarsi in una situazione in cui non bisognava certo alludere o parlare per metà. Era evidente che il Preside volesse soppesare la mia persona e io dovevo dargli modo di farlo; senza giochetti.
Ciò che avevo detto era molto vero - e intimo, quasi. C'entrava con il cambio di un determinato sentire - ma anche con una svolta nella vita e un certo momento di consapevolezza e introspezione. Cosa volevo davvero? Cosa avevo voluto, cosa volevo cambiasse? Ero pronta per nuove responsabilità? Era tutto lì, davanti a noi e tra noi, come il servizio da the che si animava e ci allietava con i suoi vapori profumati.
«Per me del the senza zucchero, grazie» dissi rivolta alla porcellana. Ne seguii, poi, i movimenti precisi e consapevoli. Osservai la teiera servire il preside e me, con abilità e precisione; sperai solo di non aver offeso la zuccheriera.
«No, non implica che lei non mi ritenga all'altezza» esordii, rispondendo alla sua considerazione. «Io devo dimostrarle di esserne all'altezza perché lei mi conosce solo come studentessa e non benissimo. Per lei sono quasi un'estranea, si potrebbe dire. Una strega di ventidue anni con ottimi voti e un buon curriculum a cui potrebbe, potenzialmente, affidare una cattedra. Ci vogliono sempre prove e garanzie. O, almeno, io così ho imparato sulla mia stessa pelle. C'è sempre da dimostrare qualcosa, perfino a noi stessi» dissi.
Afferrai con due dita la tazzina di the fumante e ne portai il bordo alle labbra, sorseggiando lentamente e appena, non prima di aver soffiato a lungo sulla superficie. L'aroma non mi dispiaceva affatto; delicato e dolce ma anche deciso.
«La migliore funzione di un docente? La capacità di saper trasmettere qualcosa. Vede, non è ovviamente così scontato che da una divulgazione nasca una comprensione. E chi crede sia solo colpa degli uditori sbaglia di grosso. Un'insegnante può avere un enorme bagaglio culturale ed essere una persona dotata di notevole intelligenza ma sterile nel trasmettere qualcosa a chi ha di fronte. E' triste, frustrante... avere tanto da dire ma non saperlo dire» dissi, sfiorando con il polpastrello dell'indice la curva del manico della tazzina.
«Ho sempre pensato che un insegnante andasse anche oltre la lezione in sé. I compiti, le note sul registro. Gli esami. Una dote rara è trovare un insegnante che sia anche figura di riferimento per la crescita di uno studente in toto, non solo per la divulgazione fine a se stessa.» Feci una pausa, bevendo un sorso di the. Era tiepido, ora. E riuscii a cogliere aromi diversi che prima avevo solo intuito.
«Un Auror e un docente dovrebbero avere in comune una certa funzione salvifica. L'uno fisicamente, l'altro mentalmente. L'Auror s'immola per le cause per cui combatte, in prima linea, senza risparmiarsi; un docente, allo stesso modo, non dovrebbe mai risparmiarsi. Dovrebbe concedersi totalmente ai suoi studenti, salvandoli dall'incertezza, dall'ignoranza, dalla paura del futuro, dal senso di inadeguatezza. O almeno, sarebbe auspicabile» sorrisi infine, ammorbidendo la voce.




Chiedo scusa per l'enorme ritardo. Ho avuto diversi problemi questo mese.
 
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view post Posted on 17/3/2018, 17:59
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Beata gioventù?
Come altro avrebbe potuto definirla?
Il divertente dell'intera faccenda era che in fondo fosse perfettamente nella media di tutti gli altri. Possibile? Dall'era dei venerandi maestri, la cui barba doveva essere almeno alla cintola, e spesso lunga sino a terra, ormai erano arrivati a quella fase strana, in cui anche i brizzolati rischiavano di entrare nel novero più per sbaglio, che per altro. In assoluto quanto tutto quello potesse risultare e coincidere con il problema non era scontato appurarlo, valutarlo essere un problema sembrava semplicemente un atto di buon senso. In più, una seconda nota dolente era il comune background di una crescente quota di quei giovani, che dopo pochi trascorsi nel fare più o meno le stesse cose, erano tornati al Castello. Dove stesse l'arricchimento dell'humus e del sottobosco di una tale operazione probabilmente non era poi così evidente notarlo. Eppure... erano lì. Tra un The, un mezzo sorriso, e una parola cortese. Così andava il mondo. Procedevano tranquilli lungo quello che poteva essere considerato il viale d'ingresso a una ridente cittadina, utopisticamente disegnata da un qualche strambo architetto, che l'aveva punteggiato come una torta nuziale di alberi centenari lungo i suoi marciapiedi. La carrozza procedeva lungo la carreggiata di sinistra, a velocità moderata, guidato da un cocchiero in livrea. Procedeva accorto, prestando attenzione agli incroci, e frenando l'impulsività dei focosi cavalli, facendo scocchiare la frusta di tanto in tanto. Verso dove stavano andando? Dove conduceva quel viale? Quanto tempo avrebbero impiegato?
Sorrise alla giovane, mentre si concedeva un primo goccio di The.
Erano già arrivati al punto? Ironia della sorte il punto era sempre quello.
Quanto era passato dalla prima volta? Più di due millenni.
Nulla era veramente cambiato.


Affascinante risposta, è vero, la capacità di saper trasmettere qualcosa può essere effettivamente un elemento critico della figura di quest'ultimo, al pari della capacità di saper scrivere per uno scrittore. Eppure, per quanto non sia certo un dibattito particolarmente nuovo, ritengo che la questione sia aperta e di lunga data sul se ad avere la precedenza debba essere la forma o la sostanza. Mi spiego meglio, sarebbe preferibile un docente in grado di comunicare ma privo delle conoscenze necessarie, o un mago incredibilmente dotto, ma privo della capacità di comunicare? Ovviamente la via di mezzo è spesso la soluzione, ma se dovesse scegliere uno dei due estremi, quale preferirebbe?

Sul resto, sino a che punto avrebbero potuto concordare? Di chi era compito decidere in quali missioni immolarsi? Chi avrebe dovuto giudicare dove il gioco valesse la candela? Era un concetto sempre valido, o aveva delle deroghe previste e normate? Gli studenti potevano essere salvati? Era davvero compito di un docente farlo? Sulla base di cosa? E se non avesse potuto, voluto, e dovuto? Più la giovane proseguiva, e si avventurava per il il sentiero, più il Vecchio l'osservava interessato, e sorpreso. Immolarsi mentalmente. Una singolare scelta di parole, quanto meno, di questo gliene andava dato atto.

Immolarsi mentalmente, una scelta sicuramente forte. Che però muove da una serie di concetti forti, assiomi che dopo tutto potrebbero anche non esserlo. Se non è compito di un Auror giudicare, per quello ci sono i tribunali, e deve quindi limitarsi ad agire nel rispetto della legge, è valido lo stesso per un docente? Tutti gli studenti devono essere salvati? Tutti possono essere salvati? E anche in questo caso, ora della fine chi è chiamatoa a decidere e a giudicare?

Una domanda perniciosa?
Che razza di risposta inseguiva, e cosa era legittimo aspettarsi? Sarebbe stato sufficiente un quieto assenso, o una franca indifferenza, qual era il punto di quanto la giovane aveva sollevato, e l'interlocutore innalzato sull'altare? Sarebbero finiti con l'essere fulminati entrambi da Zeus, o ne avrebbero raccolto il favore?

 
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view post Posted on 10/4/2018, 17:25
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Bevvi
un po' di the, lentamente, ascoltando le parole del Preside. Ascoltare mi piaceva, mi era sempre piaciuto. Ero sempre stata più predisposta a quello che al momento in cui dovevo essere io a parlare, magari dicendo qualcosa su di me. Mi era capitato più volte di sentirmi dire ''di me sai molto, di te io so molto poco''. Era così con tutti. Non sentivo il bisogno di parlare di me ed espormi non mi piaceva; con i gesti e i fatti mostravo me stessa. Solo Dorian e Kappa riuscivano a vedermi anche attraverso i miei silenzi e questo aveva contribuito, inevitabilmente, ad avvicinarci. Nessuno di loro due mi forzava a parlare quando non volevo e io non ne avevo davvero bisogno quando bastava uno sguardo a comprenderci.
Per Peverell, ovviamente, non poteva essere così. Un colloquio, che aveva il sapore sia un'intervista che di una confessione, mi portava fuori di me, esponeva la mia interiorità e i miei pensieri al suo vaglio; mi costringeva a sentire il suono della mia voce più di quanto, normalmente, fossi abituata. E andava bene anche così, in fondo. Forse era quello che davvero mi serviva.
«Il dibattito non è certamente nuovo ed è difficile prendere una posizione netta in merito» esordii quando ebbe finito, non prima di essermi concessa qualche secondo per un altro sorso di the. «Ovvio, la via di mezzo sarebbe un'auspicabile soluzione ma io credo che, tra i due estremi, si debba preferire un insegnante poco dotto che abbia però la capacità di saper trasmettere qualcosa. Stimolare a. Invogliare a. Far appassionare. E' quello che manca ai ragazzi in età adolescenziale - ci siamo passati tutti. La maggior parte di noi è svogliata, non riesce ad appassionarsi a qualcosa di preciso, vaga privo di stimoli facendo tutto in maniera superficiale. Una guida è davvero necessaria. Le vere competenze possono arrivare anche in un secondo momento.»
Feci una pausa, mordendomi appena il labbro inferiore e osservando il liquido ambrato oscillare appena tra le pareti di ceramica.
«Una persona particolarmente dotta che non riesce a comunicare ciò che dovrebbe non è certo l'esempio che servirebbe in questo caso.» Alzai gli occhi verso il Preside, tornando a guardarlo. «Sarebbe sì un ottimo ricercatore; uno studioso eccelso, un individuo prezioso. Ma se tra lui ed un eventuale destinatario, preso nel momento più delicato della sua vita formativa, si vanificasse alcun contatto, il suo scopo si esaurirebbe. A che servirebbe? Sarebbe come guardarsi senza toccarsi, parlando due lingue diverse. Nessuno dei due, insegnante o studente, ne trarrebbe beneficio» conclusi infine, sperando di aver espresso limpidamente la mia opinione.
«Quanto al resto, il discorso diventa ancora più delicato» sorrisi, deglutendo appena, consapevole di essere su un terreno alquanto scivoloso. Certamente la discussione tra me e il professore non stava prendendo una piega lineare. «Immolarsi mentalmente, sì. Significa decidere di sacrificare la propria vita per tentare di salvare chi, giovane e spaesato, affida a noi il proprio futuro. Quanti di noi, ad undici anni, sono davvero consapevoli di se stessi e del dopo? Quanti a sedici? Quanti a quaranta?»
Bevvi l'ultimo sorso di te, lasciando che la tazza tintinnasse appena a contatto con il piattino. «E' una grande responsabilità - o, almeno, così mi è sempre parsa.» Ritornai con i pensieri sulle sue precise e insidiose domande, provando a dare una risposta quanto meno a me stessa. «Un docente non ha il compito di giudicare. Cioè, nei limiti della didattica è chiamato a farlo ma non parliamo di un giudizio sulla persona nel senso stretto del termine, secondo me. Un docente deve essere una guida - mi perdoni, torno a ripetermi - un timoniere durante una tempesta, impegnato a portare tutti in salvo governando la nave al meglio delle sue capacità. Però è ovvio che non tutti possono essere salvati. Ma questo l'insegnante non può saperlo; non può e non deve decidere chi merita. Un insegnante dovrebbe dare tutto ciò che può al meglio delle sue capacità. Il resto, come tutto nella vita, è pur sempre un'incognita.»



Rinnovo le mie scuse per aver tardato anche con questa risposta.
 
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view post Posted on 23/4/2018, 18:47
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Come sarebbe finita?
Un momento concordavano, l'altro non era più possibile.
La tempesta evocata si era infine concretizzata in mezzo a loro? Chi avrebbe infine scelto i salvati, e i perduti? Chi avesse diritto alla vita, e chi alla morte? Cosa poteva esserlo, cosa poteva essere sacrificato e non in nome di cosa? Un gioco bislacco di equilibri, una fune su cui tentare la traversata di un grande vuoto, nella speranza che un'improvvisa e inaspettata folata di vento non spazzasse via il grande sogno. La Giovane aveva ragione? Aveva torto? Come avrebbe potuto determinarlo? E se a sbagliarsi fosse stato lui stesso? Avrebbe avuto il coraggio di fare autocritica giunto a quel traguardo? Imbiancato, e ingrigito, armato di bastone, e confinato in piccionaia, era tempo di fare autocritica? Era necessaria? Sarebbe davvero arrivato il momento? Non era ancora giunto? Chi avrebbe giudicato i giudici? Come sarebbe stato possibile?
E del tutto inaspettatamente sorrise. Se ne stupì lui stesso. Aveva ragione? Dopo un secolo passato a credere, pensare e convincersi che dopotutto fosse un non dibattito, tanto era evidente quale fosse la soluzione all'arcano, ecco che la prima giovane Auror, capitata quasi per caso, sconfessava la solidità della sua convinzione, scuotendola alle fondamenta, ridestandola da una lunga fase letargica. Aveva ragione? Possibile, che fosse bastato così poco? Ma aveva davvero ragione? Contingentemente a quella situazione, e a quel particolare caso, era vero? Era un'eccezione a una regola confermata? Se c'era un'eccezione, perchè non un'altra o altre cento? E se il paradigma fosse finito con l'essere ribaltato? Possibile? Sarebbe stato disposto ad accettarlo? Con quale convinzione? A fronte dei problemi tipici della modernità, poteva avere ragione?
Tutto era radicalmente cambiato?
Un lungo sospiro salutò nuovamente la giovane donna.
Poteva avere anche ragione, dopo tutto.
Era quello il vero dramma?


Effettivamente potrebbe anche avere ragione. Non avevo mai preso in considerazione questo aspetto della faccenda. Anche se in effetti ammettere l'eventualità, mi crea diversi... problemi, per così dire. Le eccezioni, se mi passa il termine, non le ho mai apprezzate veramente. Da un lato hanno lo straordinario potere di portare equilibrio, laddove poteva non esserci, dall'altro sono l'anticamera del Caos. E temo di non esserne mai stato un entusiastico sostenitore.

Dove stava il limite?
Un primo sorso di The incontrò l'amaro di quel pensiero.
Una soluzione. C'era davvero una soluzione al problema? Era poi un problema? Qualcosa avrebbe pur dovuto decidere. Dov'era il limite che un pur valido impianto teorico infine trovava, confrontato con la realtà dei fatti? Poteva la teoria trovare impiego pratico, senza ammettere che in fondo esistessero delle eccezioni? Era lo stesso problema, solo ribaltato? No. Era diverso. Su quello non sarebbe sceso a compromessi. Non era semplicemente possibile invertire tutto, e rilanciare il problema esponenzialmente accresciuto.


Temo che su questo punto invece non mi abbia convinto. Nulla di più facile, dopotutto. Non tutti possono essere salvati, è vero. Ma diversamente da lei ritengo di dover avere voce in capitolo in tale decisione. Tutti devono avere le loro occasioni, ma qualora non fossero in grado di coglierle, o non volessero... qualcuno dovrebbe decidere dell'agonia. L'insegnante non è anche un giudice, di fatto? Non siamo comunque tutti giudici di tutto e tutti?

E poi...
Una nuova domanda.
In fin dei conti, la fornace andava alimentata.
Vi sarebbero riusciti? A sufficienza?
Domandava incantesimi...
Era un buon punto da cui ripartire.
Sarebbe bastato?


E mi dica, incantesimi. Qual è stato il più notevole cui abbia assistito negli ultimi anni? O se preferisce, quale ritiene che potenzialmente sia quello dagli usi più versatili, e intelligenti? Se potesse per l'appunto conoscerne uno solo, quale sceglierebbe?

Era un modo diverso d'intendendere il dilemma?
Non si questionava della preparazione del docente, non più.
Ma di quale potesse essere il miglior articolo nella sua faretra.
Esisteva una risposta? Cos'avrebbe scomodato?

 
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view post Posted on 27/4/2018, 07:58
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Quella
chiacchiera con the annesso stava diventando qualcosa di più - nonostante, dall'esterno, sembrassimo due persone intente a discutere di leggerezze. Il mio sguardo era rilassato, la mia voce pacata; mi concedevo dovute pause per assaporare la bevanda calda eppure, nel mio animo, tutto era inquieto.
Le risposte alle domande di Peverell erano state risposte anche per me, anche per le tacite domande sepolte dentro il mio io. Ero giunta lì con l'irrequietezza di aver bisogno d'altro, con la convinzione che la vita da Auror non facesse più per me. Che l'insegnamento, la vita al Castello, il ricongiungersi con una specifica parte di me potesse essere ciò che mi avrebbe reso felice. Ma l'irrequietezza era aumentata. Più il preside mi domandava, più scavavo a fondo dentro di me. Che fosse un indagare così lucido, il suo? Consapevole di aver portato a galla punti dolenti e dubbi esistenziali?
L'irrequietezza. Quella, in vero, mi aveva sempre accompagnato. Di me si diceva sempre che ero una persona sicura; non sbagliavano. Ma era più corretto dire che il mio atteggiamento era sicuro. Nel profondo, non c'era la stessa sicurezza; c'era, invece, una spasmodica ricerca. Una domanda costante. E, forse, per la prima volta, me ne accorgevo davvero.
Ero pronta per essere un insegnante? Un insegnante come io lo concepivo; la figura che finora avevo dipinto. Avevo l'esperienza, la forza, la tenacia, la determinazione per farlo? Ecco, mentre poggiavo la tazza sul piattino e sentivo il preside parlare, quella domanda mi premeva contro le tempie. Ero all'altezza di quella scelta? E, poi, era quello che avrebbe mi reso felice? Meno inquieta?
No.
«Contemplare le eventualità è sì affascinante ma, mi rendo conto, potenzialmente destabilizzante. Posso comprenderlo» dissi, sorridendo appena.
No, l'irrequietezza non mi avrebbe abbandonato.
«Tutti siamo giudici, è vero. Lo facciamo costantemente, con tutto ciò che abbiamo di fronte. Anche laddove non ne avremmo una minima competenza. E' naturale, è immediato, è così che è sempre andata. Ma non dovrebbe essere così, questo intendo.»
C'era anche adesso, quell'irrequietezza. Il suo braccio mi aveva afferrato e mi tirava con poca forza, ma senza mai mollare, verso un'altra direzione.
Infine, una nuova domanda. Una domanda quasi slegata dal contesto problematico che avevamo sollevato. La vedevo lì: galleggiava, sospesa, di un altro colore. Più tenue, più pacifico. La forma più regolare. L'aspetto più rassicurante.
«Un incantesimo?» gli feci eco per qualche secondo, spostando gli occhi in un punto imprecisato alle sue spalle. «Be', su due piedi direi la Materializzazione. Potrebbe sembrare semplice e banale, ma non è così. Se fossi costretta a poterne avere uno solo tutta la vita, sceglierei di avere la possibilità di spostarmi istantaneamente da un posto all'altro, per piacere o per bisogno impellente - come una fuga. Potrei salvare me stessa, potrei salvare altri portandoli via. Scegliere un incantesimo di attacco senza poter avere una difesa e viceversa mi pare una cattiva scelta. Ma le parlo come Auror, probabilmente» sorrisi infine, appoggiando le spalle allo schienale della sedia. Feci una pausa, prendendo un respiro. Parlai ancora sorridendo, con una calma abbastanza consapevole; lasciando, per un momento, l'irrequietezza da parte. «Che poi è il ruolo che, forse, mi si addice di più.»




 
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view post Posted on 10/5/2018, 09:23
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Tutta una questione di tempistiche?
Non c'era altra risposta che il Tempo non potesse dare?
Chi si sarebbe fatto carico del naufragio di quel colloquio? Poteva andare incompiuto? Si poteva prendere atto del fatto che i tempi non fossero ancora maturi, e che fosse necessario ulteriore tempo, qualche settimana, qualche mese, affinchè le volontà di entrambe le parti ne risultasse rafforzata significativamente? Altro tempo, però, cosa poteva significare? Era un evidente segnale di debolezza? Di indecisione? Quali ripercussioni avrebbe avuto su un secondo colloquio? Cosa si stava giocando? Mentre il discorso proseguiva, facendo il suo corso, strisciante sotto traccia quella nuova eventualità sembrava sempre più prender piede. Era ancora nulla, una fugace sensazione, eppure, sembrava sempre più iscriversi in quel contesto. Non sarebbe stato un processo dell'inquisizione. La giovane aveva tentato, salvo poi convincersi che forse non era ancora il momento di muovere quel passo. Beata gioventù? Era quella la risposta a tutto? Era giovane, incredibilmente giovane, forse semplicemente troppo per una scelta tanto radicale, che l'avrebbe portata se non letteralmente trascinata tanto lontano rispetto a dove si trovava in quel momento. Era quella la soluzione? Non un glaciale no, non uno sbagliato sì, un più semplice e transitorio arrivederci? Era un modo come un altro di rimettere gentilmente nelle mani dell'Auror il pallino di quella delicata situazione? Una non decisione? Quanto era accettabile per le parti? Davanti all'alternativa di un secco no era pur sempre un buon passo in avanti, ma quanto era stata seriamente contemplata la strada del no dalla giovane? Rispetto al sì, era invece una via di gran lunga più ridimensionata, e piana, 'di servizio', quanto era radicata la convinzione di ricevere un tappeto rosso, e un sì dalla giovane?
Non restava che tentare. Ormai era fatta.


La smaterializzazione.
Ottimo, un'altra risposta sicuramente sui generis, ma che penso meriti una riflessione. E credo che lo stesso meriti il nostro colloquio, se lei è d'accordo le proporrei un periodo a sua discrezione di 'riflessione' sul se ritirare temporaneamente la sua candidatura o lasciarla come tale. Proprio come gli Auror, è fondamentale che anche i Professori siano convinti di quanto stiano facendo, o debbano fare, e al momento credo di non riuscire a individuare tale risolutezza in lei. Quello che le propongo è quindi un arrivederci, lo trova accettabile? Può tranquillamente scrivermi quando avrà trovato una risposta più definitiva dell'attuale, e sarò lieto di riesaminare con lei la 'faccenda'.


Era finita?
Infine, dopo un tempo indefinito, la parola 'fine', seppur temporaneamente, era stata scritta? Vergata a caratteri sottili, in verde, controfirmata. Un accordo, che ricordava tanto un'astensione, ma che era comunque molto per molti. Forse in primo luogo proprio per la giovane Auror.

 
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view post Posted on 6/6/2018, 10:33
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Eravamo
arrivati ad un punto. In un modo o nell'altro, che l'esito fosse negativo o positivo, era finita. Guardavo attraverso le iridi del Preside e vedevo me stessa - forse più chiaramente, più lucidamente. Era stato un dialogo intenso e sui generis, che profumava solo di un colloquio di assunzione. E, infatti, talvolta mi era parso di parlare con me stessa, sola, attraverso lui. Una chiacchiera davanti al un the caldo mi aveva permesso di sondare il mio animo attraverso la messa a nudo di esso, seppur parziale. Una vittoria, in ogni caso. Potevo forse dire di essere più confusa di prima circa cosa avrei fatto della mia vita eppure c'era qualcosa che vedevo più chiaramente.
Non avevo alcuna fretta, ero giovane. La smania che mi accompagnava e la voglia di fuga non potevano e dovevano concretizzarsi nell'immediato. Un periodo di riflessione - certo, obiezione più che legittima. Più che doverosa. Non potevo avere quella cattedra, non dovevo averla. Non era il momento, per me. Non avrei dato il mio massimo e non sarei stata così utile al Castello, non nelle mie condizioni.
Ero sempre stata uno spirito libero. Piena di idee e propositi, desiderosa di scoprire e di avventurarmi nell'ignoto. Schiava, forse, di questi brividi. La sicurezza di un lavoro da docente, la stabilità di Hogwarts faceva davvero al caso mio? Potevo davvero trovare lì la mia felicità? Forse un giorno. Ma sì, quello non era il momento. E Peverell l'aveva capito ancor prima di me. Mi sentivo di poter dire che si era creata una sorta di stima reciproca, tra noi; ma questa non poteva influire sulla scelta di darmi una cattedra, non con tutti i dubbi che io per prima avevo e avevo messo a nudo senza filtri.
Mi sentivo bene, tutto sommato. Pensierosa, turbata - ma in positivo. Guardai il mio vecchio professore con un sorriso, ascoltando le sue ultime parole di congedo.
«Trovo che un arrivederci a tempo indeterminato sia la cosa migliore per entrambi. Ed entrambi lo sappiamo» cominciai, accarezzando lentamente il manico della tazzina con il polpastrello dell'indice. «Mi dispiace averle fatto perdere tempo ma voglio sinceramente dirle che per me non è stato inutile questo colloquio
Tornai a guardarlo. Mi accorsi, pur senza vedermi, di avere un viso per nulla teso, per nulla contrito. Nella mia mente c'era un groviglio - ma era il solito caotico affollarsi di idee e domande; era un urlo silenzioso che mi faceva sentire bene, viva. E andava bene così. Sì, andava bene così.
«Dalla nostra piacevole chiacchierata ho capito un'altra cosa riguardo me stessa - e scoprirsi è sempre un bene, non trova?»
Mi alzai lentamente e distesi la mano davanti a me per salutarlo con una stretta decisa e affettuosa. «Arrivederci, professore» dissi quindi, abbracciando felicemente la conclusione di quell'attimo.





Perdonami per il ritardo. Il mio è un post di chiusura. Grazie della bella chiacchierata!
 
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view post Posted on 20/6/2018, 11:24
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E così, com'era cominciata, così era anche finita.
Avrebbe potuto affermare non fosse successo nulla? Probabilmente no. Avrebbe potuto affermare di aver perso del tempo? Neanche quello. E a quanto pareva non era il solo, il che era sempre incoraggiante. Per quanto in quelle circostanze facesse anche in larga parte dei numerosi convenevoli dovuti, e necessari, era abbastanza sicuro vi fosse un qualche fondo di verità in quanto il Fato aveva voluto si andasse dipanando. Un arrivederci, che in cosa si sarebbe tradotto un giorno? Lontano quanto? Ancora troppo presto per dirlo, ma era probabile che sarebbe successo. Era il momento di iniziare a scommettere? Quali erano le quote? Avevano entrambi scoperto qualcosa, più di qualcosa che quel giorno sarebbe tornata utile, perchè se era vero che molte cose nel tempo cambiavano, era anche vero che quelle importanti rimanevano immutate, o quasi.


Ottimo Mademoiselle Donovan, è stato un piacere bere un The in sua compagnia, allora arrivederci. Sono certo che sino a quel giorno avrà modo di scoprire molto altro, anche su se stessa.

Strinse la mano deciso, con leggerezza.
Sorrideva sollevato, in fondo era andata bene.



Grazie a te, alla prossima!
 
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13 replies since 26/1/2018, 21:07   395 views
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