| × Off-Game × × LegendaNarrazione"Pensieri" «Dialoghi»Molon Labe Il volere era potere: chiunque abbia mai pronunciato quella frase non si era di certo sbagliato, tant'è che l'unica cosa che l'Akuma tenne bene in mente nel mentre le sue emozioni venivano fuori e la bacchetta si muoveva verso i 4 lati dell'orizzonte, era propria quella: energia, determinazione, decisione. Niente era perso finché non tutto era perso: ogni vita poteva e meritava di essere salvata, finché non era morta del tutto. Probabilmente era uno degli altri motti dell'Akuma, - stupidi, avrebbe detto qualcuno, - che quest'ultimo cercava di applicare in ogni momento e in ogni occasione: solo la morte, il disfacimento completo avrebbe portato Raven a perdere. Quella sarebbe stata la sconfitta finale: tutte le altre delusioni erano soltanto dei passi indietro. Qualcosa che non avrebbe mai influito o comportato un effetto più o meno certo sulla vittoria. Non si tenne cura dei suoi occhi, né dello studio che questi facevano di lui: poteva perdere tutte le battaglie, ma alla fine dei conti vincere la guerra principale. Non badò nemmeno per un istante a quegli occhi, silenziosi nel loro essere e al contempo fugaci, vivi, accesi. Non sapeva che cosa aveva fatto; non gli importava che cosa avrebbe fatto ed era ovvio che non vi era tempo alcuno né per le domande, né per le risposte. Il tempo scorreva e insieme al tempo scorrevano via le possibilità, nascoste e bruciate dalle ombre e fiamme. Non l'avrebbe abbandonata, non l'avrebbe lasciata: se quella donna era mandata dalla Provvidenza che ogni cosa divorava e ogni cosa costruiva, non poteva semplicemente lasciare che la donna dai vestiti strappati fosse morta: la Provvidenza glie l'avrebbe fatta pagare. Era saggio mettersi a difesa di una perfetta sconosciuta che lo aveva trovato chissà come? Ovviamente no, ma Shirentsu Raven e la Saggezza erano due binari distinti già da moltissimi anni: non seguiva più la Ragione, figlia dei pensieri e intricate intuizioni. Non gli interessava la logica, se non in determinate situazioni. Era il cuore a interessagli ed era davvero l'unica cosa che gli importava: spremere l'ultimo goccia di succo da quel muscolo pulsante. Soffrire, davvero e fino alla fine, al di là delle prove e degli ostacoli che il Destino gli avrebbe messo davanti ancora, ancora e ancora.
Fu con quel suo cuore che recepì il messaggio e spinse la maledizione fino alla fine, per quanto necessario, mettendoci il necessario, spingendosi di nuovo oltre sé stesso e creando, creando e di nuovo creando finché ogni cosa non sarebbe stata del tutto annullata e quella macchia nera non sarebbe scomparsa senza lasciare la minima traccia. Era un'altra battaglia, un'altra sfida: ma era la battaglia finale per quella donna. Quella battaglia decisiva che dipendeva dall'Akuma: se l'avesse persa, la strada delle sofferenze e dei dolori sarebbe finita per lei. - "Avanti," - spinse i propri pensieri cercando di far scomparire quel sortilegio del tutto per lasciarsi andare a un attimo di riposo che non ci sarebbe stato finché quel nemico, - immedesimato proprio in quel braccio, - non fosse scomparso. Combattere in quelle condizioni, finito e allo stremo, sarebbe stato difficile: le ultime energie erano anche quelle che donavano all'Akuma le ultime forze e lui, a sua volta, le donava verso quell'incantesimo per niente semplice che prevedeva la sconfitta di un incantesimo sconosciuto. Ma quella era la vita fatta di guerra, combattimenti, contrasti e conflitti: una storia che durava dapprima della nascita del pianeta Terra. Era semplicemente una legge: chi non voleva combattere era destinato a morire e coloro che desideravano vivere e non sopravvivere dovevano affinare l'arte del duello fino a raggiungere la perfezione, altrimenti si sarebbe sempre trovato quello più forte oppure il Fato non sarebbe stato semplicemente così clemente con chi di dovere. Non vide assolutamente alcun sorriso, concentrato a vedere come quella macchia diminuiva, diminuiva e diminuiva sempre di più, centimetro dopo centimetro, millimetro dopo millimetro: era importante che perdesse campo, che si annullasse, che diventasse vuota, priva di sostanza, magia e soprattutto vita. Il silenzio che regnava in quella stanza, - l'immagine di Tristan ancora lì, - non faceva che favorire quel combattimento: e Raven vinceva. Perdendo gli arti si poteva fare qualcosa per ricrescerli; perdendo gli occhi si poteva usare la magia per rimetterli a posto. Era solo perdendo la vita che non si poteva più fare nulla: la battaglia per l'esistenza era sempre quella che richiedeva il 120% invece del 100%. Osservò l'aura del suo incantesimo con una soddisfazione mista alla gioia che mai prima aveva avuto: non stava uccidendo, quella volta stava salvando. Secondo dopo secondo, millimetro dopo millimetro, succhiò via quel sortilegio come si succhiava il veleno; spazzò quella magia come il vento spazzava via le foglie autunnali: il tutto nonostante quel suo essere stanco, debole e quasi dimentico. «Fiu,» – sospirò per un attimo solo, come se avesse appena corso una maratona o avesse preso il boccino. Era un sollievo vedere quel braccio pulito, quasi come il vedere il proprio avversario al tappeto. Inchinò leggermente la testa in avanti: la debolezza era palese, eppure le forze vitali non lo avevano ancora lasciato. "Niente è perduto finché non tutto è perduto," - si ripeté per l'ennesima volta. Ma non riuscì nemmeno ad alzarsi da quella posizione da accovacciato, facendosi perno sulla katana stretta nella sinistra, che sentì la mano femminile prendere la sua. Era una mano decisa, un braccio pieno di Volontà: gli piaceva e non poteva negarlo. Ma cosa ne sarebbe derivato? "Il buio," - pensò nel silenzio cercando di respirare per riprendere le forze ed essere subito pronto a un'altra battaglia, un'altra guerra: abbattere il resto degli ostacoli era la priorità, indipendentemente da quali fossero. Cosa gli importava, del resto? Solo la Provvidenza contava ed era prioritaria la sua Volontà: avrebbe ucciso e dilaniato e bruciato, non importava chi, se solo avesse intuito che era quella la strada su qualche camminare. Eppure la sua sete di conoscenze veniva a poco a poco soddisfatta con le immagini che, veloci, scorrevano nella sua mente come se fossero dei ricordi propri... immersi in quel buio che lo circondava e lo faceva tremare. Sentì l'urlo nella propria mente tanto da pensare che provenisse dalla stanza vicina, vide un elfo domestico in fuga da una casa, al che seguirono altri drammi e urli. Vide degli uomini, - "auror", pensò rendendosi conto di quanto fosse assurdo quel pensiero e quanto fosse in lontananza quell'idea. Eppure li guardava correre, entrare, ognuno con le armi in mano, in mezzo ai tavoli di quel stesso locale, gridando al silenzio. Sì, il silenzio che venne colpito da quella esplosione: le schegge che arrivarono lontane, susseguite agli incanti di anti-smaterializzazione. - "Auror?" - pensò nuovamente sentendo le scale tremare e la stanza intorno apparire soltanto come un'illusione essa stessa. Era contro dei maghi potenti ed erano 5. Troppi, decisamente. Ma aveva combattuto contro due sfidanti di Londra, contro due auror, due poliziotti e altri topi che rappresentavano unicamente la materia grigia di cui era composto il mondo. Poi vide solo il numero infuocato: un 3 di cui non conosceva né la provenienza né il significato, se non che in qualche tradizione fosse il numero della perfezione. Il buio scomparve; l'illusione prese forme reali; quelle mani si staccarono e il Corvo fu libero... ma non di fuggire, bensì di continuare nella sua folle corsa. Non ci voleva molto per capire cosa sarebbe accaduto da lì a poco, così come non ci voleva molto per capire: erano la salvezza dell'un l'altro. Osservò le sue iridi, lesse la sua preoccupazione e cercò di reprimere la preoccupazione dentro sé stesso. Avrebbe vinto o sarebbe morto combattendo, di nuovo. Non vi erano altre vie. Ghignò. "Arrivano per te?" - si chiese nella mente chiedendosi cos'avesse fatto di così speciale quella donna. «Ti vogliono?» – chiese con lo sguardo puntato alla porta ancora accovacciato dinnanzia alla stessa. - «Che ti vengano a prendere...» – "Se ci riescono..." - pensò divertito, in attesa di quell'ennesimo conflitto, battaglia e guerra. Solo un'ultima occhiata alla donna prima di dedicare anima e corpo alla Guerra Eterna. «Nasconditi dietro la porta,» – le avrebbe detto. Se quelli fossero entrati aprendola, lei si sarebbe ritrovata proprio dietro. Non l'avrebbero vista. Avrebbero visto solo lui. E lui era felice della cosa.
Se erano intelligenti avrebbero lasciato qualcuno al di sotto, a difendere l'entrata. Ma la tattica che avrebbero usato per l'Akuma non importava niente: era la loro morte, silenziosa e immediata, prima che ogni auror fosse riuscito a raggiungerlo... quello aveva l'importanza. "Bacchetta e Spada..." - si disse tenendo la prima nella destra e la seconda nella sinistra. Non vi era da aspettare ed egli agì ancor quando gli altri erano in arrivo. Prima di dar via all'incantesimo, però, posizionò la katana alle sue spalle, agganciata al mantelle, perché anche questa venisse inglobata nell'incantesimo. Serviva più concentrazione che determinazione e volontà di distruggere per ciò che aveva in mente, ma se fosse riuscito nel suo intento, sarebbe anche e sicuramente riuscito a continuare la sua guerra nonostante tutto e tutti. - "Sono uno spirito...un fantasma errante..." - si ricordò egli dell'inizio di quell'avventura in tutto e per tutto particolare. Aveva deciso di diventare un fantasma e da allora non si era mai convinto del contrario: un passo avanti, zero indietro... volta dopo volta. Cercò di concentrarsi, di lasciar perdere le distrazioni esterne, di diventare gassoso egli stesso nella sua stessa mente, principalmente. Concentrato e determinato nel raggiungere il risultato, ma con i nervi rilassati e la sicurezza di raggiungere il risultato a mille, immaginò... ...di vedere come ogni cellula della suo corpo si allontanava da un'altra cellula: la base della trasfigurazione sub-molecularis. Cercò di disegnare nella propria mente il suo stesso corpo, immaginò le cellule del proprio corpo disfarsi, allontanarsi le une dalle altre, venire divise in elementi molto più semplici. Vide la composizione atomica e molecolare di ogni cellula; allontanò gli atomi in una molecola gli uni dagli altri; allontanò le molecole le une dalle altre. Le allungò, posizionandole a distanza, seppur mantenendo dei legami energetici tra di loro. Immaginò ogni tessuto del suo corpo, la lingua, il plasma, sangue, liquidi biologici secondari, cervello, ossa e i canali ossei, gli occhi e la retina, i capelli. Disfacendo il suo corpo, rendendolo immateriale nella propria mente, ma comunque "visibile", Raven non si fermò: ogni molecola di cui era composto il suo corpo venne disfatta in parti più piccole e allontanate tra di loro, compresi gli organi più grandi e quelli più piccoli; comprese parti anatomiche e fisiologiche... Ogni legame tra particelle submolecolari (la trasfigurazione submolecularis se la ricordava ancora piuttosto bene, considerando che solo in quella branca della Magia aveva ottenuto I MAGO), ogni spazio creato, sarebbe servito per rendere inconsistente il suo corpo. Per farlo divenire uno spettro, un fantasma, un ologramma, una proiezione astrale, un'immagine riflessa... Ma questo era insufficiente quella volta. Immaginatosi il corpo venire reso immateriale, passò immediatamente anche alla bacchetta: sentì la magia scorrere dentro di lui, e cercò di focalizzarla nella sua stecca magica, nel suo prolungamento, facendo in modo che vi vibrasse, che determinasse il risultato, che rendesse immateriale anche la bacchetta. Quindi, una volta che avrebbe sensibilizzato la bacchetta, avrebbe immaginato la sua scomposizione: le molecole del cedro allungarsi le une dalle altre, gli atomi non staccarsi, ma allungarsi anch'essi; tra di loro vi si creava dello spazio nella mente di Raven che veniva immediatamente o invaso dalla magia stessa. Il legno, mischiato alla polvere di artemisia, avrebbe dunque formato una "fantasma" della bacchetta: un ologramma fatto di gas. La bacchetta sarebbe rimasta visibile comunque nell'immaginazione di Raven, ma solo come "un'ombra", come un oggetto visibile, ma immateriale, trasparente. Alla sua scomposizione degli atomi e delle molecole della bacchetta, si aggiunsero anche i frammenti della zanna del basilisco, inseriti dentro il legno. Questi elementi l'Akuma li aggiunse all'immagine della bacchetta formata nella sua mente, cercando dunque di non tralasciare alcun dettaglio, e muovendo le molecole del cedro, dell'artemisia e della zanna, uniti tra di loro, distanziando e creando gli spazi: un procedimento lungo e complicato, ma necessario per la buona riuscita di quell'incantesimo per cui l'immaginazione era basilare. Non in ultimo luogo, immaginò anche la katana assumere la consistenza di un oggetto fatto della stessa materia di cui sarebbe stato composto l'Akuma, se solo fosse riuscito nella sua esecuzione. Anche in questo caso gli atomi nella mente dell'Akuma, - questa volta di puro metallo, acciaio e pelle, - si distanziavano gli uni dagli altri e i legami metallici per magia diveniva legami gassosi. In contemporanea all'immaginazione, a cui cercò di fornire la massima nitidezza ed energia possibili, eseguì anche i movimenti magici. Era piegato, inginocchiato. Per quanto paradossale, quella era persino una posizione di vantaggio: i movimenti magici avrebbero richiesto meno tempo. Con la bacchetta tenuta fluidamente tra le proprie dita iniziò un movimento a spirale intorno al proprio capo. Dalle linee fluide, il suo disegno a spirale scese giù, avvolgendo il suo corpo nella spirale stessa. Una volta che la spirale sarebbe arrivato a livello dei piedi, toccando il punto più basso del suo corpo, sarebbe subito tornata indietro in quel che era un movimento duplice: dall'alto verso il basso e dal basso verso l'alto. Ritornando in alto Raven avrebbe disegnato la stessa spirale di prima. Una linea morbida e fluida, eseguita con una bacchetta anch'essa tenuta in maniera flessibile, quasi come se fosse un dirigente e non un mago, dal polso molle (ma non troppo) In contemporanea con l'esecuzione dell'incantesimo, dalle sue labbra uscì la formula magica: «Spectrum!» – Pronunciò la formula in maniera imperativa, ma comunque fluida, come un comando normale, quasi come a voler sottolineare un'altra caratteristica del gas, dello stato in cui voleva trasformarsi: la sua flessibilità, l'adattabilità, la versatilità. Una pronuncia comunque piena di potenza, desiderio, determinazione e la massima volontà possibile, ma senza alcun odio, senza essere nervoso, senza una nota di aggressività: una pronuncia che mirava a confondere.
A quel punto, con la bacchetta puntata in avanti e l'Anatema Mortale sulle labbra con tanto di corpo morto nella mente, avrebbe solo puntato la bacchetta in avanti, verso la porta, posizionando la punta ad altezza cuore. Chiunque avesse aperto per primo quella porta quel giorno non sarebbe stato un uomo fortunato: il lampo verde nell'anima. "Posso perdere tutte le battaglie e vincere la guerra... ma non posso permettermi di perdere le battaglie d'altri" Ghignò: la Guerra era iniziata ed egli non vedeva l'ora di portarla a termine per mezzo di sofferenze e tante lacrime. "Molon Labe: vieni e prendi".
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OT:
Complimenti per il post. Magico.
E magari spiegami se posso usare gli incantesimi e un oggetto nello stesso turno oppure no.
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