Il piacere di conoscerti, Contest a Tema: Aprile 2018

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view post Posted on 29/4/2018, 21:15
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entropia.

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Fuggì dall'aula come avesse il diavolo alle calcagna, al termine della prima lezione di Trasfigurazione del secondo anno. Voltò le spalle all'uomo che stava dietro la cattedra senza guardarsi indietro; poi, si affrettò a oltrepassare l'uscio e percorse i primi due corridoi con un'urgenza fuori dalle sue corde. Fu il supporto di una parete — solida abbastanza da creare contrasto con la malleabilità delle sue emozioni — a fermarne la corsa qualche minuto più tardi. Com'era possibile che avessero scelto proprio lui per ricoprire il posto vacante lasciato dal professor Barrow? Era sbagliato, completamente, l'ordine con cui la vita aveva programmato la successione degli eventi che li vedevano coinvolti, almeno quant'era sbagliato il modo in cui si sentiva in sua presenza.
Dannazione, imprecò mentalmente col respiro corto e le guance arrossate dal tramestio che aveva convertito il suo incedere in una marcia forsennata. Dentro di lei, tutto era ovunque e circolava in un vortice incostante: disseminati sul pavimento della sua sfera emotiva, stavano lo sconvolgimento di averlo visto in maniera inattesa e in un luogo che aveva supposto essergli estraneo; il sollievo di non dover fare affidamento sulla benevolenza del Caso per incrociarlo ancora; la frustrazione venuta con una realtà che le stava insopportabilmente stretta. Su tutto, svettava l'intensità di una trepidazione che le era sconosciuta e le disarticolava i pensieri.
Non lo aveva riconosciuto da subito, invero. Quando aveva posato gli occhi sull'ultimo acquisto del corpo insegnante, aveva battuto le palpebre in uno stato di iniziale confusione. Poi, l'epifania era giunta a raggelarla. A sguardo chino, aveva ascoltato la presentazione del professor Channing, le mani giunte sotto il tavolo in una tacita preghiera: che le lancette procedessero a velocità più sostenuta e che l'uomo non ricordasse di averla intravista poco tempo addietro.

«Maledizione,» fece, stavolta a voce sufficientemente alta da attirare l'attenzione di una Corvonero più grande, che le lanciò un'occhiata in tralice. Nieve agitò con noncuranza la mano in aria e scrollò le spalle, facendole intuire di non averla avuta come destinataria dell'imprecazione; infine, distolse lo sguardo e lo direzionò altrove, assorta. Gruppi di studenti scorrevano davanti ai suoi occhi, uno spettro di emozioni così vasto sui loro volti eppure così lontano dal rappresentare l'agitazione alla quale stava soccombendo lei. L'avrebbe consolata, in parte, scorgere sul viso di qualcuno un turbamento della medesima foggia, ma non ebbe alcuna fortuna, nemmeno in quel caso. «Maledizione,» ripeté a denti stretti.

Lasciò la parete, premendo i polpastrelli contro la ruvida pietra con l'attitudine idiosincrasica che la recente scoperta le aveva suscitato, e si immise nella corrente di vite giovani come lo era lei. Non le importava quanti corpi sfiorassero il suo lungo il percorso, né quali commenti uscissero dalle bocche dei malcapitati quando, dopo averli brevemente urtati, si limitava a procedere senza batter ciglio. I pensieri avevano finito per dominarla, così ingombranti, e frenetici, e rapidi a evolversi da renderle impossibile qualsiasi forma di controllo. Le strappò un sorriso la consapevolezza di non riuscire ad impiegare in modo altrettanto efficace le sue funzioni cerebrali per le occupazioni più eminentemente accademiche, quando recuperare una nozione dell'anno precedente pareva un'impresa impossibile.
Con semplicità disarmante, invece, le immagini del ballo apparvero nella sua mente sotto l'occhio analitico di una nuova lente focale: invertendo l'ordine seguito fino ad allora, relegò in secondo piano quanto le era parso di primaria rilevanza e diede nuova luce a ciò che aveva rimosso. Rivide se stessa osservare con insistenza la persona che, adesso, doveva chiamare professore mentre si avvicinava al ragazzo dai capelli di un'accesa tonalità di rosso; recuperò i dettagli di un volto che le era parso interessante come nessun altro da quando era giunta in Inghilterra e rise della repentinità con cui l'ordine delle sue priorità era mutato in virtù di quell'incontro. Come aveva potuto essere tanto sciocca da rimuovere quella parte di storia? Sospirò, il volto in fiamme.
Mentre procedeva lungo le scale, indifferente al chiacchiericcio di studenti e quadri, sbuffò nel rendersi conto di non aver colto una sola parola del discorso dell'altro all'infuori della parte in cui palesava la propria identità. Il volto di Urania, nell'illuminazione scarsa dei Tre Manici di Scopa, tornò a farle visita finché la smorfia esasperata che le adombrava la bocca non si tramutò in un sorriso: quella sera, la giovane aveva ravvivato i contorni al carboncino di una sagoma che la sua mente aveva messo involontariamente da parte, piazzandoci sopra una grande K. Scosse il capo, ridestandosi solo quando il fruscio degli alberi la costrinse a prendere coscienza di aver camminato senza una meta fino al giardino. La frizzante atmosfera settembrina la sottrasse al giogo dell'alterazione di coscienza e la spinse a cercare l'isolamento lungo le sponde del lago. Cos'avrebbe fatto?

* * *



Le piaceva guardarlo. Era giunta alla conclusione di non potersi negare quel piccolo, smaliziato piacere. Lo guardava, dunque, di tanto in tanto con la consapevolezza di non fare del male a nessuno — nemmeno a se stessa. Non si era concessa un privilegio indiscriminato, invero. Consapevole della propria natura riottosa, Nieve aveva imposto una condizione a corredo di quel permesso: non poteva guardarlo a lezione, mai. Se fosse riuscita ad attenersi a quell'unica restrizione, ebbene, avrebbe potuto concedersi il lusso dell'anarchia emotiva una volta uscita dall'aula. E così faceva di solito. Le occasioni che preferiva si presentavano quando, seduta tra una colonna e l'altra di uno dei cortili della scuola, individuava il docente nei dintorni nell'atto di intrattenersi con un collega, o magari con un pensiero ingombrante. Lo osservava muoversi con la sicurezza che gli aveva visto cucita addosso durante il ballo dell'estate passata; conversare affabilmente o tacere, paziente; carezzare l'avambraccio con noncuranza, perso in chissà quale riflessione; infine ridere, che era, probabilmente, la parte dello studio che più apprezzava.
Nei giorni successivi alla scoperta, Nieve aveva impiegato ogni briciolo della sua razionalità per trovare una soluzione praticabile. Paradossalmente, da quel momento, l'insonnia aveva smesso di frustrarla. Nieve se l'era indotta nella speranza di prepararsi agli incontri futuri e, nel farlo, aveva accuratamente evitato di frequentare la Sala Grande. C'era voluto un po' perché potesse dirsi pronta a rivederlo e a mantenere un certo contegno, appesantita da una grande assenza.
Il letto accanto al suo si era fatto vacante da un giorno all'altro, privandola dell'unica persona alla quale avesse mai veramente aperto il suo cuore per lasciarla in una voragine di quesiti irrisolti, sola. Emma era sparita da Hogwarts e non rispondeva alle sue lettere, anzi pareva che non le leggesse affatto: non importava quale gufo utilizzasse tra quelli in dotazione alla guferia, né che si affidasse a quello di Grimilde; le missive tornavano indietro intatte, quasi che la persona cui Nieve scriveva non fosse mai esistita. L'avrebbe voluta accanto a prescindere, poiché ne sentiva la mancanza; ma avrebbe voluto averla con sé a maggior ragione nell'affrontare quell'ennesima sfida, così nuova per lei da risultarle intollerabile. A volte, Nieve immaginava di parlare ancora con l'amica, quando la stanza si svuotava e non rimanevano che lei e Ania. E le conversazioni le parevano reali a tal punto da poterne sentire la risata, o addirittura da vaticinarne le risposte. Avrebbe riso di lei, se avesse saputo che si era presa una cotta di proporzioni esponenziali per il nuovo docente di Trasfigurazione. Oh, se avrebbe riso!
«Com'è possibile che, di tutte le persone che esistono al mondo, tu vada a innamorarti del nostro docente? Come fai a complicarti la vita in questo modo senza nessuno sforzo?» le avrebbe chiesto con un sorriso che si estendeva da parte a parte del volto imbrattato di zucchero, caramelle alla mano.
«Prima di tutto, non sono innamorata di lui,» avrebbe precisato Nieve con aria contrariata. «E, seconda cosa, io non sapevo che sarebbe diventato uno dei nostri professori. L'ho solo... Lascia stare!»
«Se vuoi, vado a parlarci io...» La proposta avrebbe fatto strabuzzare gli occhi a Nieve, mentre Emma la raggiungeva sul letto per mettersi comoda. «Vado a chiedergli un chiarimento su un incantesimo e, casualmente, porto la conversazione su di te. Così, vediamo che dice!» Nieve si sarebbe coperta il volto con la mano, paventando una simile possibilità come paventava l'eventualità di sognare fuochi e draghi per l'ennesima notte di fila. «Va bene, va bene. Però, posso tampinarlo e assicurarmi che nessuno gli si avvicini. Delle ragazze, intendo.»
Nieve avrebbe riso, scosso il capo e sospirato, prima di allungarsi verso l'altra e rubarle una caramella. Poi, si sarebbe limitata a troncare di netto la conversazione con espressione disgustata. Ed Emma gliel'avrebbe fatto fare solo perché sapeva che Nieve avesse i suoi tempi per aprirsi e che quei tempi non andassero forzati.
«Come tu faccia a mangiarne tante tutte di fila, stento ancora a capirlo, Em.»
Si concesse una risata appena accennata, seduta nello spazio vuoto di un arco che dava sul cortile. Per quanto vivide fossero quelle fantasie, non avevano il potere di restituirle l'amica. Allo stesso modo, nonostante la fermezza dei suoi propositi, il beneficio del successo non era giunto a reprimere ciò che provava. Chinò lo sguardo su un ciuffo d'erba insinuatosi attraverso la pietra del pavimento e lo osservò lasciarsi cullare dal vento pungente di Novembre. Avrebbe voluto fare altrettanto, si disse: concedersi il lusso di sperimentare quell'emozione senza mortificarla con la durezza del giudizio. Alzò il capo per gettarlo all'indietro. Infine chiuse gli occhi, mentre richiamava alla mente gli sforzi compiuti per trovare da sola una via d'uscita a quell'impasse. Si era illusa che la soluzione fosse a portata di mano, ristorata dalla quiete della Sala Comune e dallo scoppiettare del fuoco nel camino, e si era lasciata conquistare dal conforto di una logica apparentemente inattaccabile: non aveva senso che le piacesse qualcuno di cui non sapeva assolutamente nulla e che aveva visto a stento una volta. "E' l'idea di lui che ti piace, Nieve..." si era detta, annuendo con vigore al proprio riflesso nello specchio, naso e labbra arricchiate a simulare una convinzione vacillante. "Forse, proprio soltanto l'idea no, ecco, ma..."
Mai come in quell'istante, baciata dalla luna — pallore su pallore — e confortata dalla sonnolenza che avvolgeva il castello, Nieve si rese conto dell'inutilità dei propri sforzi. Per ogni punto che le pareva di segnare in quella personalissima battaglia, ne perdeva altrettanti e, forse, perfino di più. Con gli occhi della mente, si rivide prendere posto nell'aula di Trasfigurazione, le spalle rigide e il contegno quasi arcigno, e scorse ciascuna delle falle presenti nel meccanismo di difesa congegnato: i vuoti allo stomaco dei quali non riusciva mai a prevedere il sopraggiungere; la sensazione che le guance si colorassero nei frangenti meno opportuni; o, ancora, il desiderio di rendersi invisibile. Picchiettò pigramente sulla pietra sotto di lei, prima di indietreggiare e accostare la schiena ad una delle colonne. Incrociò le gambe senza preoccuparsi della posa scomposta della gonna. Da ultimo, sbuffò nel percepire la solita ondata di calore avvincerla col suo arrivo. Era spiacevole, almeno quant'era inevitabile.
Trovò curioso notare come nulla fosse mutato nell'intensità intrinseca con cui quel coinvolgimento si era manifestato dalla prima apparizione. Poteva controllarlo, gestirlo, ignorarlo, frustrarlo, a volte perfino dimenticarlo senza che fosse mai in grado di liberarsene del tutto. Che dipendesse dall'ossessione dell'intentato o dalla natura stessa dei primi germogli emotivi (e del modo in cui venivano al mondo in quel particolare periodo della vita di ognuno), poco importava. L'unica certezza che avesse era che, dopo mesi, quel sentimento di curiosa frustrazione fosse ancora lì.
Incrociò le braccia la petto, ispezionando la pianta quadrangolare del cortile per sincerarsi della propria solitudine. Con un sospiro rassegnato, allentò la presa sulle briglie dell'immaginazione e le concesse di correre libera. Due figure si materializzarono ad esclusivo beneficio dei suoi occhi: le conosceva per averle fatte interagire spesso nei momenti di riflessione, seguendo i copioni più disparati. Sorrise al loro indirizzo, stupendosi e vergognandosi insieme della spigliatezza della Nieve di fantasia alla quale aveva dato vita. Accarezzò distrattamente i margini della spilla da Prefetto con la punta delle dita, piano, prima di risolversi a fare ritorno in Sala Comune. Tornò con lo sguardo nel punto in cui aveva lasciato la sé più fortunata, le rivolse un cenno del capo e, infine, abbandonò il giaciglio di pietra con un saltello.

* * *



Varcò la soglia dell'aula di Trasfigurazione con la pretesa di mantenere l'attenzione fissa altrove. Per abitudine, il suo corpo sapeva esattamente quale percorso seguire per raggiungere il banco. Intanto, rovistava — o, meglio, fingeva di rovistare — nella pancia della tracolla. Con le mani, si limitava a spostare le solite quattro pergamene, imbattendosi di tanto in tanto nella boccetta del calamaio e nella piuma. In realtà, non cercava altro che un pretesto per non posare lo sguardo sul professore.

«Ciao,» fece, rivolta al compagno di banco, prima di sfilare la borsa oltre la testa e prendere posto. Sospirò impercettibilmente, mentre attorno a lei gli studenti raggiungevano le rispettive postazioni in una cacofonia di stridori e chiacchiere di poco conto. Si chiese se tutto quel trambusto potesse bastare a nascondere il frenetico martellare del suo cuore nel petto. «Sei pronto a farti crescere i baffi? Mi sento ispirata, oggi!» L'altro le sorrise. Dunque, la classe si zittì per seguire l'invito al silenzio del professor Channing.

Nieve trattenne il respiro, pietrificata. Poi deglutì, estrasse l'occorrente dalla tracolla e lo depositò accanto alla bacchetta di tiglio argentato, sul legno scuro del tavolo. Teneva lo sguardo risolutamente fisso sulla superficie ingiallita della pergamena e il braccio sospeso nell'attesa di intingere la punta della piuma nell'inchiostro. Per impiegare il tempo, si costrinse ad appuntare la data sul margine del foglio, in alto a destra. La primavera aveva cominciato a disseminare il paesaggio intorno al castello dei primi segnali del suo imminente arrivo, come un ospite che si assicuri di informare il padrone di casa prima di una visita. Infine, la voce del docente le venne incontro e Nieve lasciò che la sua attenzione mantenesse salda la presa sugli aspetti tecnici della spiegazione. Sapeva, tuttavia, che sarebbe stata una consolazione avente vita breve. Il professor Channing aveva l'abitudine di dare un taglio pratico alle lezioni, sicché non avrebbe potuto nascondersi ancora a lungo. Si bloccò d'un tratto, la punta della piuma che affondava nel foglio spesso a formare una macchia di un intenso colore nero. Dopo tutti quei mesi, era codardo da parte sua ostinarsi a un contegno tanto bambinesco. Se Astaroth avesse saputo, le avrebbe riservato un'occhiata di fermo disappunto: tante lezioni, tanti insegnamenti per nulla. Ripose la piuma sulla superficie del banco e si fece indietro sulla sedia finché non sentì la fermezza dello schienale contro le scapole. Entrambi gli arti erano distesi, gli avambracci adagiati sul banco e le dita racchiuse in due pugni. Sollevò lo sguardo.

La colse una sensazione ibrida nell'esatto istante in cui posò lo sguardo sui lineamenti dell'uomo. Rivisse i momenti del ballo, quando lo aveva scorto tra la folla e si era lasciata offuscare da un'attrazione che non si era aspettata di provare. Sperimentò la stessa sorpresa del primo giorno di lezione, avvenuto molti mesi prima in quella stessa aula, col profumo d'estate ancora intenso e le finestre spalancate per consentire il ricambio d'aria. Da ultimo, si fece largo una sensazione di particolare tenuità: era un piacere semplice, basilare, gradevole. Il piacere di conoscerlo.
Trasse un lungo sospiro, sollevata, mentre ne seguiva le movenze con un rapimento che si era impedita di sperimentare con pertinacia — eccezion fatta per rare occasioni, indipendenti dalla sua volontà — da quando lo avevano assunto. Non si avvide di aver sorriso.


In realtà, questo scritto è pronto da mesi. L'ho revisionato in più punti, soprattutto strutturalmente, per arrivare al seguente obiettivo: ripercorrere l'andazzo della prima, vera cotta di Nieve dal momento in cui ha scoperto l'identità dell'insegnante a quando - complice anche l'amicizia con Astaroth e la progressiva crescita - impara a ridimensionare questa cosa strana, nata per caso e assolutamente astratta, vaga... prima che il ritrovarselo in aula cambi un po' le carte in tavola. In questo senso, e spero sia venuto fuori, non ho inteso il germoglio soltanto come riferimento alla dinamica sentimentale-adolescenziale di Nieve che prende effettivamente piede con l'arrivo di K a Hogwarts; ma anche (e più precisamente) come l'emersione di una consapevolezza nuova, più adulta, che Nieve conquista solo col passare del tempo. Per riuscirci, diciamo che ho provato ad abbracciare un arco temporale di circa 6-7 mesi, compreso il passaggio di Nieve da quindicenne a sedicenne.
[I riferimenti al ballo e a Urania richiamano rispettivamente il primo e unico incontro con Kappa (al ballo-Plenilunio) e la breve conoscenza con Urania (quando apprende il nome del ragazzo del ballo).]

Tre cose, per finire:
-In linea di massima, non mi piace troppo usare la parola prevista dal tema ("germoglio" in questo caso) nei post con cui partecipo al contest. Penso - o mi piace pensare - che il tema debba evincersi dallo scritto nel complesso. In questo caso, però, avevo buttato giù questo post ben prima di pensare di partecipare a questo contest e riscoprire di aver utilizzato proprio la parola "germoglio" mi ha fatta sorridere. Considerato il fatto che questo scritto m'è tornato in mente solo oggi pomeriggio e solo allora ho deciso di partecipare al contest, mi è sembrata una coincidenza troppo affascinante per essere eliminata.
-Un ringraziamento speciale va alla ragazzina che, alla fermata dell'autobus, ha ben pensato di chiedermi se mi andasse di prendere la sua cuffietta e ascoltare la sua musica. E che, poi, mi ha raccontato delle sue dinamiche con un'apertura emotiva che io mi sogno la notte. Mi hai disarmata e arricchita. Vorrei tanto rincontrarti e dirti che, alla fine, la canzone l'ho usata per il contest; e che ti ho pensata nello scrivere di questa Nieve. Grazie!
-Spero, al di là dei risultati e quant'altro, di aver reso anche solo vagamente l'approccio sentimentale di un'adolescente alla questione. Ci ho lavorato per mesi, facendo ricerche sono secchia, lo so e ripescando un po' di informazioni dal baule dei ricordi, confrontandomi con gli altri e mettendomi in gioco in prima persona in modi che non avrei mai pensato di provare. Credo che, dal punto di vista dello sforzo profuso, sia lo scritto che mi ha più impegnata, divertita e stimolata. Mi auguro di avervi trasmesso un briciolo di quello che ho provato io in questo lungo e tortuosissimo percorso.

Vi fioro sempre! :flower:


Edited by ~ Nieve Rigos - 29/4/2018, 23:33
 
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