Omnes arbusta iuvant humilesque myricae?

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view post Posted on 7/5/2018, 17:49
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Il legno era scuro e nodoso. Emanava un’aria di venerabilità e autorevolezza. Ispirava un sentimento quasi sacrale che costringeva a parlare a bassa voce e a camminare in punta di piedi. Le mille increspature della superficie, gli innumerevoli solchi e le miriadi di quelle piccole imperfezioni proprie dei prodotti della Natura accoglievano il visitatore che vi si fosse trovato davanti. Quanti studenti avevano potuto ammirare i segni lasciati dal Tempo sulla porta? Quanti erano stati fatti entrare attraverso quel varco? Quanti lo avevano fatto con il capo chino in attesa di una punizione e quanti, invece, con il sorriso derivante dalla certezza di un premio? Quanti ne erano usciti, contrariati o entusiasti? Quanti famosi maghi e celebri streghe avevano varcato quella soglia per parlare con i presidi della Scuola? Ora sarebbe stato il suo turno. Sarebbe diventato una delle migliaia di esistenze che avevano e avrebbero segnato quel luogo. Abbassò la mano destra, tenuta per qualche attimo a mezz’aria nell’atto di battere un discreto colpo che annunciasse la sua presenza. Forse era in anticipo. Meglio aspettare qualche minuto, ancora. Prese dalla tasca destra la lettera del preside, accuratamente ripiegata in quattro parti. La aprì, la rilesse con attenzione da cima a fondo. Ormai la conosceva a memoria. “Gentile Caleb, buona domenica, da non troppi piani più in basso…” e così via. Non era cambiata per magia. Il testo era sempre quello. Teneva fra le mani l’invito del preside Peverell per un tè nel suo ufficio.

***

L’arrivo del gufo aveva segnato uno spartiacque nella vita scolastica di Caleb Elliott, studente del primo anno della casa dei Grifondoro. Aveva creato un “prima” e un “dopo”. “Prima” Caleb si era ambientato a Hogwarts e aveva iniziato a studiare con impegno. “Prima” si sentiva uno studente come tanti, piacevolmente immerso nell’indistinta turba studentesca del primo anno. “Prima” parlava con pochi studenti, non aveva stretto legami con nessuno. L’oscurità del suo nome era per lui una sorta di mantello dell’invisibilità. Riusciva a passare inosservato, camminava nel castello senza suscitare interesse alcuno in docenti e studenti. Nessuna grande gioia, nessuna seria fonte di ansia o preoccupazione. Nuotava nella routine scolastica come un pesce nell’acqua di un placido stagno. Nel “prima” stava iniziando, seppur lentamente, a sentirsi a proprio agio nel nuovo mondo magico in cui era stato catapultato pochi mesi prima. Era un comodo bozzolo nel quale stava crescendo. L’arrivo della lettera aveva invece squadernato la sua vita. Di più: l’aveva fatta esplodere, deflagrando come una granata. Non cercava notorietà, non avrebbe voluto attirare su di sé troppe attenzioni. Ora la sua crescente preoccupazione per il colloquio inaspettato gli giocava tiri mancini. In attesa del temuto incontro aveva iniziato a dormire sonni agitati. Non si godeva i pranzi nella Sala comune. Era sovrappensiero durante le lezioni, anche quelle delle materie che seguiva con maggiore entusiasmo, come Storia della Magia e Pozioni. In testa due domande: che cosa mi dirà il Preside? E io, sarò in grado di rispondere e non fare brutta figura?

***

Era arrivato davanti all’ufficio di Peverell con larghissimo anticipo. La comoda poltrona su cui aspettava l’ora giusta per recarsi all’incontro si era fatta, man mano che le lancette dell’orologio battevano i minuti, sempre più inospitale. L’attesa nella sala comune dei Grifondoro si era fatta intollerabile. Ora camminava nervosamente su e giù davanti alla famigerata porta che conduceva alla scrivania del famoso mago. In quegli istanti rimpianse amaramente di aver ottenuto buone valutazioni in Storia della Magia. La Storia lo aveva sempre affascinato, anche durante i suoi studi nella scuola babbana. Non era mai stato un ragazzo particolarmente diligente o dotato di conoscenze solide, derivanti da una buona istruzione familiare. Studiava ma non tanto da addormentarsi sul libro. La sua famiglia gli aveva insegnato a comportarsi correttamente verso gli altri e gli aveva trasmesso una certa dose di curiosità, nulla più. Caleb si impegnava nello studio per senso del dovere, che a volte però non bastava. Si annoiava spesso a morte, infatti, nell’affrontare argomenti e materie in cui a prevalere era il nozionismo. Voleva scoprire, non tanto sapere. Si sentiva spesso in soggezione davanti allo sfoggio di erudizione di alcuni suoi compagni, a Inverness come a Hogwarts: sapeva che lui non sarebbe mai arrivato al loro livello. Era però perspicace e curioso, pronto all'esplorazione del passato e all'analisi dalle sue ricadute sul presente. Ecco perché Storia della Magia lo affascinava: perché la sua passione veniva declinata ora in un mondo, quello magico, totalmente nuovo. Era una terra da riscoprire. Nonostante ciò ora, davanti all’Ufficio, desiderò per qualche attimo di poter tornare indietro, avere tra la mani i suoi compiti e farli retrocedere alla stato di pacifica mediocrità alla quale aspirava. Che cosa avrebbero detto di lui, se avesse preso una sfilza di “Accettabile” arricchiti da una manciata di “Eccellente”? “Caleb Elliott...sì forse mi ricordo di lui...uno studente come tanti”. Ecco, era quello il suo ideale. Essere uno come tanti, per non essere nessuno in particolare. Non spiccare per non costituire un’eccezione. Ora avrebbe voluto farsi piccolo, rintanarsi in qualche oscuro angolo del castello ed essere semplicemente dimenticato dai più. Pensò addirittura di disertare l’incontro, darsi malato, rintanarsi sotto le coperte del dormitorio maschile dei Grifondoro e fare finta che il mondo non esistesse. Avrebbe significato tuttavia solo rimandare l’inevitabile, prolungare il supplizio. Eppure...eppure dentro di lui qualcosa si agitava, indefinito. Si muoveva e lottava per uscire fuori, per avere forma e contorni chiari. Che cosa era quella spinta che sentiva dentro, quel moto dell’anima che lo premeva, acerbo e che battagliava aspramente contro la sua volontà di inazione, lasciandolo sfinito? Orgoglio per quei buoni voti conseguiti da lui, studente di origine babbana proveniente da una famiglia operaia? Senso di rivalsa nei confronti di quelli che lo avevano schernito e inconsapevolmente umiliato già sull’espresso per Hogwarts? Volontà di scoprire qualcosa che andasse al di là dei binari su cui voleva razionalmente far scorrere, placida e senza bruschi strappi, la sua esistenza? Non lo sapeva. Si fermò. Era nuovamente davanti alla porta. L’ora dell’incontro era ormai giunta. Non poteva più indugiare. Capì che quella era una prova da affrontare, non tanto da superare. Il suo esito avrebbe, comunque fosse andato il colloquio, dato un’indicazione su quale strada intraprendere nella sua esistenza. Inspirò ed espirò, quindi batté tre volte sul legno della porta, dapprima lievemente poi con più decisione. Aspettò che la porta si aprisse. Sperava solo, ora che il passo era stato fatto, che l’ufficio non fosse disabitato.
 
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view post Posted on 16/5/2018, 16:37
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Se la carta stampata erano ormai anni che minacciava o forse rischiava proprio di tirare le cuoia, era pur vero che essa stessa a suo tempo avesse prima messo in crisi e poi condannato all'estinzione chi era venuto prima di lei. I libri non sempre erano stati stampati, anzi, era stata una novità, seppur piacevole, degli ultimi secoli. Un puntino nell'oceano della grande Storia, come moltissimi altri casi. Per intere ere scritti, codici, leggi, trattati erano stati copiati e trascritti lettera per lettera, parola per parola, pagina per pagina, da generazioni di illustri letterati che sceglievano consapevolmente di dedicare la propria esistenza a quel sacro incarico. Uno spreco? Impiegare mesi nel riprodurre un'unica copia di un unico libro, quando era invece possibile stamparne migliaia in poche ore? O ancora peggio, nel duplicarne infiniti in pochi attimi? Se così poteva sembrare, almeno a prima vista, in realtà non lo era. O almeno, non obbligatoriamente. L'impegno costante di intere generazioni di uomini illuminati e generosi aveva permesso la salvaguardia di una parte del patrimonio culturale di più d'un Paese, sapevano quello che sapevano del passato, ancora prima che nascesse il termine Storia, e il suo culto, solo grazie a loro. E di quello, a chi dovevano esserne grati? La loro conoscenza risaliva a prima della Storia solo perchè improvvisamente qualcuno aveva deciso che questo e quell'altro valessero la pena di essere scritti, e dunque ricordati. Un problema che in un passato ancora più remoto nessuno si era mai posto troppo seriamente. Cosa ne era conseguito logicamente? Nulla. Nessuno sapeva più nulla.
Certo, era pur sempre stata una decisione ricca di implicazioni, e non priva di rischi o costi, ma pur ignorando quali fossero davvero i 'contro', e guardandosi intorno, come avrebbe potuto l'anziano Mago affermare che non ne fosse valsa la pena, in una qualche maniera? Imbiancato, e dietro la di sempre scrivania, un Mago non più nel fiore degli anni sedeva e lavorava pacifico, sollevando di tanto in tanto lo sguardo, lasciandolo correre sulle sconfinate scaffalatura e librerie che ricoprivano voracemente quasi ogni superficie disponibile. Era altrettanto quasi certo che il rosso cardinale della parte alta della veste, che ne copriva il busto, si spingesse molto più in basso, quasi a toccar terra. Non si poteva affermare certo che badasse più di tanto alla moda, o forse semplicemente traeva spunto dalle mode di altri tempi? Quanto era relativo, dopotutto, il concetto stesso di moda? E cosa stava facendo? Insolitamente l'intera superficie lignea del piano di lavoro era ricoperta di boccette, pennelli, calami, e pennini, al centro un codice, aperto a metà, e miniato altrettanto solo per metà di quella stessa pagina. Il capolettera stesso celava nei suoi meandri una storia, un intreccio confuso ma ammaliante di angeli e diavoli, tra le frasche di quello che doveva essere un bosco ancora sul punto di prendere vita. Cosa stava facendo? L'antica arte della miniatura non era andata perduta nei meandri del tempo? E perchè aveva deciso di rifare capolino in un anonimo weekend primaverile? In fondo, cos'era? Una tranquilla serata, più anonima di un contrabbandiere in tempo di pace, ormai prossima al far della notte. Con la cena alle spalle, e la notte davanti non sarebbe mancato certo il tempo. Accoccolata su una delle due poltrone davanti la scrivania, ronfava sonoramente una confusa e indeterminata palla di pelo bianco, imboscata non troppo distante da un allegro scoppiettante fuocherello una più confusa ombra scura, discreta e sinistra. Per il resto, regnava il più assoluto silenzio.
E infine, il tuono che scuote il borgo.
Più inaspettato che inatteso.
Qualcuno alla porta.
Chi poteva essere?
Un problema?


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view post Posted on 21/5/2018, 11:59
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Un silenzio greve calò, a coprire l’ultima eco dei suoi tocchi alla robusta porta di quercia. Cadde, prese forma, si espanse per il corridoio. Per un attimo Caleb pensò che il Preside non si trovasse nella stanza. Non conosceva gli orari delle lezioni degli anni superiori al suo, forse il Mago era occupato in qualche dissertazione storica con alunni più grandi. Poi, improvvisamente, la quiete venne spazzata via da una singola, breve, parola. “Avanti” aveva detto una voce profonda al di là del legno, la sua intonazione deformata dall’ostacolo che il suono aveva dovuto superare. Nella stanza c’era qualcuno. Ora Caleb non poteva più tirarsi indietro. Come le stelle al sorgere del Sole, le sue paure si eclissarono. Non erano svanite, erano sempre al loro posto. Ora che il dado era stato tratto, tuttavia, vennero messe improvvisamente da parte: non era più tempo di indugiare e pensare troppo a quello che sarebbe successo. Il ragazzo spiegò nuovamente la lettera del Preside, tenendola con la sinistra mentre apriva la porta. Si affacciò quindi, discretamente, all’interno dell’ufficio, quasi come se temesse che dietro il legno ci fosse una pericolosa creatura pronto a divorarlo. Quello che vide lo spiazzò e lo entusiasmò al tempo stesso. In un primo momento i suoi occhi, rapiti dalla sovrabbondanza di oggetti presenti all’interno della stanza, non riuscirono a mettere a fuoco niente di particolare. Il suo sguardo compì un frenetico viaggio intorno al piccolo mondo costituito dall'ufficio del Preside, fermandosi fugacemente su ciò che più di altro attirò la sua attenzione, senza una precisa motivazione: il dorso dorato di un libro, la lingua guizzante e tremula di una fiamma, un animale (un cervo forse) che in un arazzo fuggiva da una turba di cacciatori dotati di turbanti immacolati e cani veloci come saette, pronti a sbranare la preda. Libri, oggetti, quadri in movimento e poi ancora libri: la stanza era una piccola caverna del tesoro, simile a quelle delle storie sui draghi accumulatori di ricchezze che sua nonna gli raccontava quando era piccolo. Aveva sempre sognato di scovarne una, ora vi era entrato.

Solo in un secondo momento riuscì a mettere a fuoco, nel mezzo dell’ufficio circolare, le sedie, la scrivania e infine il Preside. Un libro era aperto davanti a lui. Caleb temette di aver interrotto qualcosa di importante. Pronunciò qualche parola, prima di schiarire la sua voce e riprovare con un tono leggermente più alto.


Mi scusi per il disturbo, signor Preside. Mi chiamo Caleb Elliott. Sono venuto per la lettera che mi ha inviato...

Aprì un po’ di più la porta, facendo un passo sul pavimento dell’ufficio. Sempre tenendo la pesante maniglia con la destra, mostrò da lontano la lettera al Preside, come se quel pezzo di pergamena servisse a spiegare immediatamente tutto. Non pensò che da quella distanza forse il Mago non potesse nemmeno indovinarne il contenuto.

Se non è il momento giusto, posso passare un’altra volta.

Aggiunse, consapevole di poter essere una scocciatura a fronte di impegni ben più gravosi.
 
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view post Posted on 20/6/2018, 11:26
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Sino a quel momento era stata una giornata tranquilla, incredibilmente serena, all'insegna di qualche impegno che non poteva essere più rimandato, e nulla di più. Tra alti e bassi così trascorreva il tempo, placidamente, quasi che il magico caminetto trovasse la forza di imporre calma e quiete oltre il suo piccolo grande perimetro, uno stato di pace che ora della fine era stato inseguito per decenni. Era quello il segreto della fiamma sempre viva? Nonostante il caldo della bella stagione si facesse avanti, ruggendo come un leone, tutto rimaneva inalterato. A cambiare erano solo le vesti degli ospiti che andavano succedendosi, e le finestre: a seconda della stagione erano aperte, socchiuse, o sprangate. Un vecchio mago, arroccato sul suo trespolo, che in particolare rispondeva alla descrizione di una comoda poltrona dietro una scrivania, era singolarmente armato di un pennino quando l'imprevisto bussare alla porta aveva destato la sua curiosità, attirandone l'attenzione. La più che consueta e abitudinaria domanda non tardò nel farsi avanti: chi era? In effetti la netta sensazione di star scordando qualcosa era già da tempo che si era fatta avanti, sgomitando in maniera fastidiosa, ma sin tanto che era impossibile determinare cosa fosse quel qualcuno o qualcosa era stata accantonata per lasciare spazio ad... altro. Era lo stesso inconcepibile principio delle ricordelle, ne aveva acquistata una molto tempo prima, in un lontano passato, ma oltre a essere naturalmente perpetuamente iniettata di un sinistro color purpureo, non forniva altre informazioni. Eri quindi in grado sì di affermare con certezza che qualcosa fosse stato dimenticato, ma allo stesso tempo era di scarsissima utilità nel determinare il cosa. Era decisamente più sensato tenere un'agenda. La risposta era colà, dunque? Forse, probabile. Atlante era maniacalmente preciso nell'aggiornarla e tenerla, era quasi impossibile che gli sfuggisse un appuntamento. Ma l'aveva mandato a Glamis, a cercare la prima edizione di un manuale di Trasfigurazione, ed era rimasto fregato. Fregato? Ora della fine, se la soluzione al suo problema si trovava semplicemente oltre quelle tavole di quercia, in realtà a un costo infinitesimale e nell'arco di poche ore aveva brillantemente risolto il caso, senza crucciarsi più di tanto. Naturalmente non avrebbe detto nulla ad Atlante, tutto era proceduto come da piani, e dopo essersi dedicato alla miniatura per qualche ora, si era occupato di... Caleb Elliott.
In effetti non si aspettava un Grifondoro, entrato sventolando un pezzo di pergamena, ma così andavano le cose. Lui l'aveva invitato, e si sarebbe dimostrato il migliore degli ospiti. Sorrise al giovane, accennando la coppia di poltrone davanti alla scrivania. Si aprivano le danze?


Ah! Mr Elliott, quale inaspettato piacere!
Venga pure, prego, nessun disturbo. Si accomodi, sono subito da lei.


Un delicato cenno, e già un gran tramestio sconvolgeva gran parte della scrivania, tra piume e pennini che tornavano nei luoghi più impensati, e boccette di colore e inchiostri che andavano allineandosi ai lati del piano di lavoro come una solenne guardia d'onore. Un tono cordiale e allegro aveva accolto il giovane Grifondoro, con il quale non si poteva affermare avessero sino a quel momento scambiato più che una manciata di parole a lezione. Qual era il punto? Era l'uno o l'altro particolarmente affezionati alle proprie stanze? Non l'aveva mai incrociato nel parco in una delle tante passeggiate, e in effetti era abbastanza improbabile che incrociasse qualcuno agli orari improbabili in cui bazzicava per i corridoi del Castello. Dettagli? Molto probabilmente sì. Ma era un assedio, e quelle le contromisure minime necessarie. Richiuse il pesante tomo, mettendolo da parte, evidentemente avevano altro di cui occuparsi, nell'immediato.

Ottimo, mi fa piacere abbia... trovato la strada. Mi dica, prima d'iniziare posso forse offrirle qualcosa? Sarà già una buona mezz'ora che sto rimuginando sulla necessità di un buon The, lei capita a fagiolo.

Eppure, a fronte di tanti impegni.
Era già mezz'ora che stava rimandando.
Sicuramente una triste vicenda, su cui porre una pietra.

 
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view post Posted on 7/9/2018, 08:18
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Entrò. Con la porta chiusa, chiuse il mondo esterno dietro di sé. Ora che si trovava dentro la stanza del Preside aveva come la sensazione di trovarsi in un altro luogo, in un altro tempo. Era come se la maniglia della pesante porta di quercia fosse una passaporta e lo avesse portato, in un vortice turbinoso, in un luogo di cui ignorava del tutto l'esistenza. Si trovava veramente ancora a Hogwarts? Aveva lasciato i tumultuosi corridoi e i silenziosi e oscuri antri del castello e della torre del quinto piano per ritrovarsi in una stanza calda, accogliente, dove una soave melodia e il borbottio dei ritratti dei vecchi presidi, allineati ordinatamente alle pareti, facevano pensare più a un salotto privato che all'ufficio di un Preside.
Sembrava di trovarsi in una bolla, una sorta di oasi separata dal resto del mondo. Per un attimo prevalse in Caleb un senso di spaesamento. Al cenno del Mago, tuttavia, ebbe la prontezza di spirito necessaria a riprendersi. Cercando di guardare Il meno possibile intorno a sé per non apparire indiscreto, anche se la curiosità per gli oggetti contenuti in quell'ufficio era tanta, si avvicinò alle poltrone. Le soppesò entrambe prima di scegliere quella di sinistra, forse leggermente più defilata.
*E ora?* si chiese, guardando il Preside e buttando giù un groppo che aveva in gola. Di che cosa avrebbero parlato? Dalla lettera che gli era stata recapitata non era riuscito a immaginarsi molto. Aveva fatto mille congetture che, sapeva, non si sarebbero nemmeno avvicinate alla direzione che avrebbe effettivamente preso il colloquio. Non restava che aspettare che il Preside parlasse, spiegasse. Ma quando il Mago aprì bocca, l'offerta del the lo spiazzò e non poco, aumentando ancora una volta in lui quella sensazione di spaesamento, quando non di disagio. L'impressione di trovarsi fuori dalla scuola, nel salotto di una venerabile magione privata, aumentò a dismisura. Aveva lo stomaco così contratto che dubitava di poter mandare giù anche solo qualche sorso della bevanda, nonostante fosse la sua preferita. La signora Elliott venne tuttavia in suo soccorso. Caleb pensò a sua madre. Gli ripeteva sempre che "è scortese rifiutare ciò che ti viene offerto da un ospite". E così...

Ga-grazie professore. U-un the va benissimo.

Sarebbe apparso così, all'improvviso nelle sue mani o sulla scrivania? O sarebbe stato portato da qualche inserviente al suono di un campanello, come si vedeva nei film? Più buffo sarebbe stato vederlo portare dalla splendida fenice appollaiata sul trespolo lì vicino...queste considerazioni occuparono la mente di Caleb in attesa che arrivasse il thè e, con esso, avesse inizio il colloquio.



 
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