| Did you seriously step on my toes?
Ciò che più desiderava era a pochi passi da Lei. Le sarebbe bastato svoltare l’angolo, scendere le scalinate strette oltre l’arco, camminare velocemente oltre le cucine e giungere in Sala Comune. Il letto a baldacchino, fresco e tranquillo, era lì ad attenderla. Poteva già avvertirlo, il dolce sollievo della testa pesante che trovava ristoro tra i freddi e morbidi cuscini. Ci si sarebbe gettata di peso, tra quelle lenzuola candide e, a quel pensiero, ormai giunta al piano terra, Emily aveva già slacciato il nodo perfetto della cravatta. « No, vi dico che era il turno di Sullivan! » Istintivamente, la Serpina si fermò, implorando la propria stanchezza, *fa che io abbia sentito male*. L’idea di aver appena udito le prime parole di una lunga arringa, epilogo di uno scontro verbale, e che dovesse necessariamente intervenire, le fecero accapponare la pelle dalla frustrazione. « E a noi hanno detto che ci avrebbe accompagnato qualcun altro. E che lo avremmo trovato qui alle 17. Non per essere scortese ma… Voi siete qui. E sono le 17. Piegando appena le labbra mentre con una piccola piroetta di voltava in direzione della fonte di quel litigio, Emily si disse che il discorso non faceva una piega. Era salva. « Ed io dico a voi, stupidi mocciosi arroganti, che non posso accompagnarvi io. Visto che non voglio sprecare il mio prezioso tempo perché i vostri Prefetti se ne stanno a ciondolare come fannulloni, mi seguite da Midnight e spiegate a lui la situazione. O… O dal Preside! Forza. Era salva? La sgradevole voce di Gazza, priva di concordanza a senso, le arrivò con un’ondata di disgusto e disprezzo rispondendo alla sua tacita domanda: no, non lo era. « Un momento. » In pochi passi Emily aveva raggiunto il grande Portone scuro che affacciava sugli esterni di Hogwarts e s’era affiancata al gruppo di Serpeverde e Tassorosso che sostavano davanti alla pergamena affissa in bacheca. Ogni giorno, alle 17, un Prefetto o un Caposcuola o un Docente, avrebbe accompagnato gli studenti del primo anno per una breve passeggiata ad Hogsmeade. Quel giorno, sembrava che l’incaricato si fosse dato alla macchia. « Oh, la Cavalleria. Vado bene. » , affermò il Custode con la fronte corrugata e lo sguardo accigliato. Mai una volta che Gazza fosse contento di vederla! « Un certo Bullinan doveva accompagnarli oggi. Ma se non si esce per un giorno, non muore nessuno, no? Troppo lusso al giorno d’oggi! » Gazza era conosciuto come un fiero sostenitore della Casata Verde-Argento ma tra lui ed Emily non correva buon sangue. La Serpina, dopotutto, non aveva mai avuto problemi nel mostrargli il suo più sincero, profondo e disgustato disappunto. « Sullivan. Si chiama Sullivan », intervenne con voce seria e contrariata. Avrebbe volentieri aggiunto dell’illetterato ma davanti ai Primini era meglio non sfoggiare insulti. Non ora che era ancora Caposcuola, *maledetta spilla*. « Non si preoccupi signor Gazza, continui pure con le sue… Faccende. » , aggiunse senza dare all’uomo la possibilità di ribattere al suo precedente appunto, mentre lo sguardo prendeva di mira lo scopettone alle sue spalle, « Il Prefetto Sullivan ha chiesto a me di sostituirlo. Andiamo. » Così Emily sparì oltre il Sigillo di legno del Castello, alla testa di un piccolo gruppetto di Primini tutti sghignazzanti. Non aveva avuto modo di godersi la reazione di Gazza ma potè giurare di averlo sentito ululare internamente di rabbia. Rabbia era quanto provava la Serpina mentre camminava su e giù per le viuzze del villaggio. L’unica ed ultima volta che aveva accompagnato una primina in quella passeggiata, l’aveva beccata a sbaciucchiarsi con un suo conoscente. Com’è che si chiamava? Ricordava vagamente un nome spagnolo. Spazzò via quell’inutile ricordo come si fa con un insetto indisponente che svolazza davanti al viso e si lasciò cadere su una panchina. I ragazzini erano appena entrati nell’ennesimo negozietto della cittadina magica; euforici ed eccitati come Schiopodi appena nati, Emily si chiese quale problema avessero. Lei non era così, alla loro età. *Ma guarda che eri strana tu, a quell’età, non loro*; la coscienza risuonò in tutta la sua sfacciataggine ma, la cosa peggiore, era che quel pensiero s’era palesato con il piacevole suono della voce di Arya. A pensarci, Emily non si rese conto di sorridere; Von Eis le mancava, nonostante tutto. Le mancavano le loro prese in giro. Lasciando scivolare le braccia esili sul bordo del banco, gettò il capo vermiglio all’indietro, sospirando al cielo torbido. Fu in quell’istante che riconobbe una figura fin troppo familiare fare capolino oltre le casette che si addossavano le une sulle altre. Pochi passi e Elijah scomparve nuovamente per il pendio di una via isolata, oltre l’angolo della pietra viva dell’ultimo negozio. Dove stava andando? C’era solo un locale, in verità, oltre quella strada ed Emily s’era promessa di non metterci più piede. Quel giorno, sarebbe venuta meno al suo stesso giuramento. Serrando i pugni, ora che la frustrazione s’affacciava nuovamente sui delicati zigomi, richiamò a sé gli studenti del Primo Anno. « Ma abbiamo ancora dieci minuti! », tentò un ragazzetto dai grandi occhiali che gli pesavano sul naso a patata. Abbassando lo sguardo su di lui ed incrociando le braccia al petto, Emily lo sfidò a continuare e lui, ragionevolmente, tacque. Per alcune cose, la carica di Caposcuola era più che utile. Il piano era semplice e colmo di soddisfazione: riportare i primini ad Hogwarts, correre di nuovo ad Hogsmeade, raggiungere la Testa di Porco, prendere per i perfetti capelli Sullivan e fargli saggiare il legno sporco del locale. Per colpa sua, aveva letteralmente mandato all’aria i pigri piani del suo pomeriggio libero; quel che ormai ne restava, erano poche ore prima di un’intensa ronda notturna. L’unico segno distintivo di quel postaccio era una testa di cinghiale mozza che macchiava di sangue rappreso un panno bianco. Ciò doveva bastare a tenere lontano ogni visitatore giunto lì per sbaglio. Chi sano di mente avrebbe mai messo piedi lì di sua spontanea volontà? La vocina nella sua testa, ridacchiando, le propose il nome di Bullinan. Con un ultimo sguardo all’insegna malridotta, Emily spinse con un calcio – la maniglia era stomachevolmente unta – la porta di legno consunto annunciando la sua schifata entrata. Non ci mise molto prima di trovarlo seduto ad uno dei tavoli malridotti, dopotutto non era difficile riconoscere una presenza in mezzo al nulla più desolato – e desolante. Per un momento aveva sperato di essersi sbagliata, che il Prefetto non fosse lì; avrebbe potuto girare i tacchi e andarsene. Per la sfortuna di entrambi, invece, il ragazzo doveva trovare quel posto stranamente rilassante, tanto da renderlo il rifugio perfetto in cui studiare, *E poi sono io quella che ha problemi*. Pochi passi e fu immediatamente davanti a lui. In un gesto dettato dal fastidio più puro, non curante della sporcizia che poteva ricoprire la superfice del legno consumato, sbatté entrambi i palmi sul tavolo, chinando il volto in sua direzione per fronteggiarlo. Già sentiva lo sporco penetrare sotto la pelle nivea ma, ingoiando quel ribrezzo, Emily puntò gli occhi freddi sul volto del suo Prefetto.
« Non hai dimenticato nulla? »
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