Until we have each other we're strangers., Privata, per Horus.

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view post Posted on 6/6/2018, 11:44
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Urania Rue Donovan

l9Ev1Ck
Era
finita. Finita ancora prima di cominciare. Mi ritrovai al quinto piano quasi improvvisamente, senza aver memoria del percorso che mi aveva portato a lasciare l'ufficio di Peverell e ritrovarmi lì. Sollevai lo sguardo e lo spostai prima a sinistra, poi a destra. C'era un piacevole silenzio a quell'ora del giorno. La luce, debole e non ancora del tutto calda, scivolava giù dalle enormi finestre e riempiva dolcemente il corridoio. Mi accarezzai il braccio, beandomi del contatto con la stoffa sottile del mio maglione con scollo a barca; Gennaio era al suo culmine e avremmo abbandonato presto il periodo più freddo. Mi sciolsi i capelli, liberandoli dalla costrizione della pettinatura alta; li lasciai ricadere sulle le spalle, morbidi. Erano più corti di qualche mese fa ma non escludevo di tornare a farli crescere - e non era mai stato un problema dato che erano rapidissimi a farlo.
Slacciai la mantella nera quando mi affacciai momentaneamente ad una finestra lasciata aperta; il fresco della neve mi sfiorò la gola così chiusi per un attimo le palpebre. Mi parve di sentir raffreddati anche i miei pensieri. Percepii il profumo dell'inverno al suo apice, assenza e compresenza di vita. Poi mi allontanai da quello scorcio e uscii dal cono di luce, diretta verso l'ombra della fine del corridoio.
Era strano ritrovarsi ad Hogwarts. Erano passati tanti anni. Ero cambiata. Eppure, ero sempre la stessa ragazzina irrequieta e incostante. Costante solo nella ricerca di me stessa. Quella non avrei mai potuto abbandonarla; quella, mi avrebbe costretto alla perenne irrequietezza. Era un circolo vizioso - o virtuoso? - che mi portava ciclicamente fuori e dentro di me, non senza arricchirmi ogni volta. Non volevo perdermi alcuna esperienza, alcuna sensazione; le rincorrevo come una falena con una lampada elettrica: faceva male e bene ogni volta - e non importava. Importava solo nella misura in cui, lo sapevo, non potevo farne a meno. Dovevo. Era un bisogno viscerale e intimo che definiva i miei comportamenti. Non mi spaventava la morte; ma non volevo invecchiare piena di rimpianti. Era quello che mi terrorizzava di più.

"I know there's a reason
We use such curves
Riddles in smiles
Rather than small talk
I know we both want
Things to be done
In a truthful manner
There lies our rest"



Forse mi ero persa. Persa nei pensieri, persa nei passi. Ero ancora dentro di me? Ero ancora al quinto piano? Da quanto stavo camminando? Era passato forse un minuto da quando avevo deciso di riaprire gli occhi, lontana dal gelo della neve? O era passata mezz'ora? Sorrisi - risi, quasi, di me stessa. Ma andava bene anche così.
La fine del corridoio si avvicinava; svoltava a destra e si perdeva nell'ombra e nel freddo della pietra. Lì era buio, quasi. Potevo intravedere la luce delle fiaccole già accese nonostante fosse primo pomeriggio. Irradiavano la loro luce rossastra lungo la superficie lucida delle pareti, strisciando sul pavimento. Non sapevo dove la strada che stavo percorrendo mi avrebbe portata - ma nessuno lo sapeva, in fondo, no? Potevo solo continuare a camminare - a vivere - per scoprirlo. Voltare l'angolo e trovare, magari, un'altra strada infinita, piena di infinite possibilità. O magari un muro, un ostacolo, una fine.
Un passo, un altro.
Un altro.
I miei stivali neri toccarono quel rosso e vi entrarono, voltando l'angolo. Mi dovetti fermare, però. Arrestare bruscamente, con una mano istintivamente portata al petto, il respiro mozzato di netto e gli occhi sgranati - sorpresi e bruscamente colpiti.
Horus.
Nessun suono lasciò le mie labbra, appena dischiuse. I miei occhi grigi si incatenarono ai suoi, come ipnotizzati. Come un magnete tirato fin lì dal suo opposto, avevo camminato attirata da quella forza sconosciuta? Che coincidenza assurda poteva mai essere quella? Non che la mia vita ne fosse priva. Erano mesi che non lo vedevo. Da quell'Halloween così lontano eppure così vicino, da quella situazione, confusa dall'alcol, che correva ora dietro le mie iridi. Ero anche uscita a cercarlo ma non l'avevo trovato. Ma per dirgli cosa, poi? Non lo sapevo allora, non lo sapevo in quel momento. Dovevamo parlare, dirci tante cose - ed ogni volta non riusciamo a farlo. C'era un sospeso, tra noi, che andava avanti da così tanto... forse, addirittura, dal nostro primo sguardo. Un sospeso. Un non detto. Ed al contempo un detto così lampante che, però, nessuno dei due ero disposto ad accettare.

"Let's lay down our masks,
And be true"

Break for lovers - Men I Trust feat. Helena Deland




 
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view post Posted on 6/6/2018, 21:33
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▵18 ▵Tired ▵ Headboy ▵ clothesLentamente, Horus alzò il capo dalle braccia. I suoi occhi stanchi, ancora velati dal sonno che l’aveva colto alla sprovvista, impiegarono qualche attimo per mettere a fuoco la pergamena srotolata che aspettava intonsa sul tavolo. La biblioteca era ancora immersa nel silenzio, anche quando il ragazzo raddrizzò la schiena, allungando le braccia verso l’alto e trattenendo a stento uno sbadiglio.
Si era addormentato così, senza alcuna pretesa, con il viso nascosto fra le braccia raccolte, con l’unica scusa di riposare solamente qualche istante la vista affaticata. Senza rendersene conto, quell'assenza di suono l’aveva cullato, facendolo scivolare fra le sue braccia sinuose senza possibilità di replica. Non aveva idea di quanto avesse dormito e nonostante l’occhiata rivolta al quadrante dell’orologio da polso, Horus non fu in grado di stabilire un orario—e nemmeno gli importava. Per quanto ne sapeva, poteva esser rimasto lì per ore. Ruotò quindi il viso verso la grande finestra bifora verso cui era rivolto il suo tavolo e la candida luce della neve lo abbagliò, costringendolo a schermarsi le pallide iridi con la mano. Forse, si disse osservando con apatia i fiocchi di neve che scendevano cheti dalla coltre di nubi, doveva seriamente smettere di studiare e dedicarsi a qualcosa di più produttivo. Tipo schiacciare un pisolino a modo, nel letto e non incurvato sul tavolo.
Era gennaio e il suo quarto anno era —veramente— agli sgoccioli: Storia della Magia, la materia in cui era rimasto più indietro, continuava ad ingombrare la sua mente e le sue ore libere, ma di questo Horus era grato. Anche quel sabato, nonostante fosse libero del turno all’Ars Arcana, s’era dovuto mettere sui libri senza però riuscire a ricavarne un bel niente. Coprendosi la bocca per censurare lo sbadiglio che, infine, aveva vinto contro di lui, Horus si alzò, raccogliendo piuma e pergamena e infilandole di malavoglia nella tracolla. Si buttò quindi la borsa in spalla e abbandonò la biblioteca deserta, immettendosi nel corridoio altrettanto vuoto. La neve, che da quella mattina non aveva interrotto la sua avanzata, immergeva l’intero Castello in una bolla impalpabile di silenzio e tranquillità. Benché stanco, Horus si sentiva completamente avviluppato da una sensazione ovattata che inibiva i suoi sensi, rallentandoli come quelli di un animale in letargo. Persino il suo cuore sembrava essersi ammutolito, moderando il suo battito, quasi non avesse voluto disturbare la serenità della Scuola. Ma mentre si avvicinava alle scale, dove qualche studente bighellonava lasciandosi trasportare dalla volubilità del Castello, Horus rabbrividì. Il brivido nacque dalla base della nuca e gli penetrò sin dentro le ossa della spina dorsale, facendolo tremare da capo a piedi. Solo in quel momento, liberatosi allora dalla coltre del sonno, il Tassino si rese conto di quanto freddo facesse. Si strinse nel suo maglione, rammaricandosi di non essersi portato una sciarpa per coprire la gola lasciata scoperta dal collo largo dell’indumento; alzando lo sguardo verso l’alto e seguendo con gli occhi le scale sopra di lui, il desiderio di crogiolarsi nella vasca del Bagno dei Prefetti emerse spontaneo. Rinfrancato dalla prospettiva di una schiuma profumata e dell’acqua calda a rilassargli i muscoli intorpiditi dalla dormita scomposta, Horus deviò il proprio cammino, diretto al quinto piano. Era più che sicuro che a quell’ora del mattino non avrebbe mai trovato occupato,
Ed infatti, sul pianerottolo incontrò solamente un paio di Tassorosso che salutò con un cenno del capo e mentre aumentava la propria andatura, massaggiandosi distrattamente il collo, Horus si chiese se fosse stata in programma una visita per Hogsmeade, vista l’assenza di studenti.
Poco male si rispose, mentre voltava l’angolo: si stava meglio così.
Ma quando, in quella solitudine, si accorse di lei proprio oltre la svolta, Horus preferì di gran lunga trovarsi in un posto molto, molto più affollato.
Rimase immobile, con la mano ancora appoggiata nell’incavo della spalla, gli occhi spalancati verso la donna che, a sorpresa, gli si era parata davanti. Incapace di formulare anche solo un pensiero di senso compiuto, irrigidito dall’incontro, Horus schiuse le labbra.
“Cosa ci fai tu qui?” avrebbe esordito, se solo la voce non gli fosse rimasta impigliata in gola.
Urania aveva tagliato i capelli —le donavano molto di più— ed una mano affusolata era premuta sul petto, forse per il medesimo sconcerto che stava provando lui. Senza rendersene conto, il braccio di lui ricadde lungo il fianco e le sue dita ebbero uno spasmo.
Aveva pensato molto all’eventualità di poter incontrare di nuovo Urania, dopo la sera di Halloween. Non sapeva perché, ma provava rabbia nei suoi confronti, per come lei si era comportata. In fondo però, Horus sapeva che non aveva la minima idea di chi fosse veramente, che non aveva motivo di essere arrabbiato, non per quello che aveva visto, almeno. Eppure, ogni volta che ci pensava (ed accadeva più spesso di quanto avrebbe voluto), si scontrava con lo sguardo felino della barista il cui solo ricordo lo irritava profondamente. Quel “ben ti sta” che sembrava avergli comunicato con gli occhi, come se fosse artefice di chissà quale torto, quella presa di posizione improvvisa, invadenza, quel pararsi fra lui e lei con malizia, quasi avesse temuto… Cosa? Che lui fosse lì per infastidirla, per molestare una donna sola al bancone di un bar? Il solo pensiero gli faceva ribollire le viscere. Allora ripensò al gufo che le aveva inviato e che non aveva ricevuto risposta, ripensò alla sera del ballo estivo, quando si erano incontrati e avevano passeggiato sul molo insieme. Ricordò il sorriso di Urania, la sua affabilità, la sensazione di conoscerla da sempre, la consapevolezza di volerla conoscere meglio, di stringere un’amicizia, un rapporto che non poteva esistere fra altri.
Cosa avrebbe dovuto dirle? Avrebbe dovuto rincorrerla? Chiederle perché non avesse mai risposto?
Cosa ci faceva lì?
Horus serrò la mascella, stringendo i pugni e quando corrugò le sopracciglia, sicuro dell’espressione smarrita sul suo viso, fuggì il suo sguardo, voltando di scatto il capo. I ciuffi rossi, che aveva ravviato poco prima con la mano, gli ricaddero sugli occhi, ma non vi badò.
No, ci aveva provato a venirle incontro e tutto ciò che ci aveva ricavato era un comportamento immaturo; ma se fosse stato il suo suo o quello di lei, Horus non seppe dirlo e preferì non indagare oltre.
Le aveva solo chiesto di parlare, perché reagire così? Perché sparire?
Scartò allora di lato, deciso a non rivolgerle la parola, ma anche se avesse voluto, sentiva la gola stretta in una fastidiosa morsa, le dita del rancore che premevano all’altezza del pomo di Adamo.
Cosa ti ho fatto?
Si rese conto a quel punto di aver trattenuto il respiro e mentre le passava vicino, deciso a superarla, riprese fiato in un appena percettibile sospiro.
Sarebbe andato avanti per la sua strada, come si era ripromesso.
Horus R. Sekhmeth ▵ [ sheet ] ▵ Let’s lay down our masks, and be true.
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view post Posted on 7/6/2018, 13:31
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Urania Rue Donovan

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I
suoi occhi. Spalancati, freddi come il ghiaccio eppure liquidi, pozze profonde in cui mi ero persa più di una volta - mi fissavano. Forse stupiti, forse straniti almeno quanto lo erano i miei. Così simili e così dissimili, legati da un magnetismo raro; comunicavano i nostri pensieri ancor prima di noi stessi.

"So that our eyes
Be bound in affection"



Una mano era stata lasciata al collo scoperto dal maglione, i muscoli tesi della sua pelle lattea. Reclinai appena la testa per poterlo guardare bene in viso: ogni volta mi sorprendevo di quanto fosse alto. Ero più grande di lui ma mi faceva sentire piccola e debole - debole nei suoi confronti.
Quando lui lasciò cadere la mano lungo il fianco, la mia restò premuta al petto. Un gesto lieve ma istintivo, quasi servisse a schermarmi dalla sua presenza. Quasi fosse un vero ostacolo tra me e lui. Ma di cosa avevo paura? Certo non di lui. Horus non mi aveva mai fatto paura; mi aveva stranito, turbato, eccitato, intimorito forse - ma impaurito mai. No. Avevo paura di me stessa. Di quello che avrei potuto fare se mi fossi lasciata andare completamente con lui. Se avessi agito davvero senza filtri, come era nella mia più intima natura. Se avessi deciso di continuare la mia battaglia del vivere senza rimpianti.
Dischiusi la bocca, decisa infine a parlare per prima, ma Horus strinse la mascella - un gesto che mi aggrovigliò lo stomaco - e abbassò lo sguardo, distogliendolo completamente da me. I capelli gli ricaddero sugli occhi e dovetti davvero combattere contro me stessa per non allungare la mano e toccarglieli. Mi premetti di più la mano al seno, più forte.
Ecco il gesto impulsivo - non mio ma suo - uno scatto verso destra, di lato, per superarmi e lasciarmi lì, senza dirmi nulla, come se non fossi stata reale, come se non fossi nulla per lui. Restai per un secondo, un millesimo di secondo a guardare il vuoto che aveva lasciato davanti a me. E nella mia mente si accavallarono infiniti pensieri, tra loro perfino contrastanti, difficili da identificare con oggettività, impossibili da sbrogliare - ma tutti, tutti convogliavano verso la mia mano, verso quell'azione che non potevo non fare. Una molla, una scarica elettrica, un impulso apparentemente improvviso. La stessa mano che mi aveva finora trattenuto da me stessa era scattata di lato - e tutto il mio corpo si era voltato insieme ad essa, accompagnando il movimento. I miei capelli si erano sollevati in un dolce ventaglio, i miei occhi erano stati velati appena da due battiti di ciglia, la mia gola aveva deglutito, le mie labbra si erano completamente aperte, tese verso quel contatto.
Gli avevo afferrato la mano. Il gelo della sua pelle tesa aveva incontrato il freddo della mia e una scarica adrenalinica si era dipanata da quel punto lungo il mio braccio, esplodendomi nella bocca dello stomaco. Avevo perso un respiro, forse due battiti. Da quanto non lo toccavo? Le mie dita si erano intrecciate tra le sue e tutto il palmo aveva aderito al suo. Una stretta sicura, ferrea. Avevamo mai avuto un contatto così intimo? Il mio corpo l'aveva sempre capito prima di me che non volevo perderlo.
«Aspetta» sussurrai quindi, accorgendomi di avere una voce terribilmente spezzata. Riprovai, sperando di risultare meno scossa. «Aspetta» ripetei, stringendo ancora di più la sua mano nella mia. «Io... Io vorrei parlarti» aggiunsi un attimo dopo, riemergendo dai suoi occhi.


 
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view post Posted on 8/6/2018, 22:35
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▵18 ▵Tired ▵ Headboy ▵ clothesDoveva parlargli.
La voce di Urania suonò accorata nel corridoio vuoto. Il suo tono era contaminato da un’emozione che Horus non riuscì ad identificare e che contrastava con il freddo delle sue dita, disperatamente aggrappate alle sue. Così lui aveva represso un sussulto quando lei aveva afferrato la sua mano; non si sarebbe mai aspettato un contatto fisico, non così intimo, non dopo la freddezza ed il distacco che lei aveva dimostrato (oppure no? Perché la sua voce era così spezzata?). Eppure le dita di lei si erano insinuate fra le sue, trattenendolo piú per la sorpresa che per la forza; eppure la stretta di Urania era forte per essere propria di una donna di quella statura. Arrestatosi a metá del movimento, Horus era rimasto come sospeso in una sfera senza tempo, come in una di quelle palle di vetro comprate come souvenir in qualche luogo tipico. La neve, in fondo, c’era. Nella stasi, la gamba sinistra era leggermente piegata in avanti, la punta della scarpa poggiata sul pavimento di pietra, il collo e le braccia tese. Lo sguardo era rivolto dinanzi a sé, verso la fine del corridoio buio dove la luce delle torce non riusciva ad illuminare le porte che distinguevano i vari accessi alle aule. Ma quegli occhi gelidi celavano un tormento che si agitava nel petto di Horus, un fastidio generato da quel tocco inaspettato che lo aveva spinto a non ricambiare la stretta e a lasciare inermi le sottili dita della mano che ebbero solo uno spasmo, come se quelle di Urania fossero circondate da spine. E nonostante ciò si agitava in lui un dibattito interiore dove il magnetismo di Urania entrava in conflitto con la gravitá del suo Orgoglio, generando un’orbita eccentrica che Horus non sarebbe stato in grado di prevedere. Il silenzio tombale che seguí fu pesante come una pressa d’acciaio, a dispetto della leggerezza della neve che vorticava fuori le alte finestre polverose. Non era sicuro di volerla sentire perché sapeva che sarebbe venuto meno alle sue intenzioni, sapeva che lei non gli doveva niente, in fondo, e che in realtà la sua era stata solo una disattenzione; forse era stato lui quello precipitoso. Ma quel che meno sopportava del restare lí, intrappolato in quella stretta tormentata, era il pensiero di sentirsi così irritato per un silenzio ed un atteggiamento - quello ai Tre Manici - che non avrebbe dovuto tangerlo. Chi era Urania Donovan per lui? Una sconosciuta che tuttavia era lì, a trattenerlo, a toccarlo come se fosse la più cara degli amici. E forse era proprio quel pensiero, quel desiderio nascosto e taciuto, e quella tensione ad inchiodarlo lì, indeciso su come comportarsi con lei. Schiuse le labbra e senza rendersene conto ne morse un lembo per qualche attimo, palesando l’indecisione inconscia di cui si sentiva vittima e che lo frustrava. Quel déjá-vu, quel “devo parlarti” cui lui si era affidato ad ottobre, pendevano dall’altra parte della bilancia e stava a lui, ora, decidere una volta per tutte.
Non disse nulla, nonostante i denti terminarono di tormentare il labbro, e, spostando gli occhi sul vetro della finestra, Horus non si mosse.
Rimase lì, in silenzio, senza voltarsi ma l’invito a parlare fu scandito dal piede poggiato a terra e dal braccio teso che non si spostó.
Horus R. Sekhmeth ▵ [ sheet ] ▵ Let’s lay down our masks, and be true.
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view post Posted on 28/6/2018, 10:48
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Urania Rue Donovan

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Non
lasciai la presa nemmeno per un attimo. Ebbi solo paura, per un istante, di stringere così forte da farlo male. Il desiderio di trattenerlo era così intenso che mi spaventò quasi. Sapevo che una parte di lui avrebbe preferito non incontrarmi - e forse potevo dire lo stesso di una parte di me. Era inutile e, anzi, dannoso rivederci; riaprire un capitolo, tornare con i piedi immersi in uno stagno freddo eppure caldo, sconosciuto eppure terribilmente familiare.
L'altra parte di me, quella istintiva, predominante, mi aveva sempre suggerito di trovarlo, rivederlo e parlargli. Chiarire. Ma cosa dire, poi? Ora che sentivo la sua pelle fredda sotto i miei polpastrelli, cos'è che avrei detto? Mi passarono sulle labbra tanti inizi, uno meno convincente dell'altro. Passò nella mia mente anche il vuoto, il nulla di quello che poteva realmente interessargli e che io stessa potevo effettivamente comunicargli.
Un bacio.
Come un lampo nei miei pensieri, sentivo e sapevo che un bacio era quello che meglio poteva esprimere ciò che in quel momento provavo. Avrebbe racchiuso tutto - e di più - e davvero non ci sarebbe stato bisogno di aggiungere altro. Ti voglio bene. Mi sei mancato. Ti desidero. Sentimenti semplici eppure complessi, cui naturalmente siamo portati; eppure lo neghiamo a noi stessi. Per essere razionali, fermi, decisi, irremovibili. Per soffocare la naturalezza e l'istinto. Per paura dell'altro. Per timore delle reazioni.
Horus mi dava le spalle. Ed era lì, rigido eppure in una posa dinamica, come una statua di marmo scolpita da un'artista formidabile. Potevo intuire il suo movimento pur vedendolo nella sua immobilità. I miei occhi grigi scivolarono sulla sua nuca scoperta, carezzano idealmente il collo fino a scorgere le labbra strette nella morsa dei denti. Voleva andare via? Era una situazione che lo metteva a disagio? Lo stavo costringendo? Allora, perché restava?
Dovevo dire qualcosa. Magari era passata solo una manciata di secondi o forse addirittura un paio di minuti - non potevo continuare a perdermi nei ricordi e nelle intenzioni. Certo, non ero preparata. Non mi aspettavo di incontrarlo e non sapevo, perciò, cosa veramente le mia testa voleva dirgli ora che il mio corpo, d'impulso, l'aveva fermato.
Un bacio.
Scossi appena la testa e tornai a guardare la sua figura sporcata dalla luce lontana delle torce.
«Sarò estremamente sincera» esordii a bassa voce. Deglutii. «Mi è difficile trovare il modo di dirti che mi dispiace» dissi di getto, rapidamente. «Non ti ho mai risposto a quel gufo dopo la festa, sono sparita. Me ne scuso. Non volevo comportarmi da ragazzina. Mi dispiace anche per la festa di Halloween. Sembra che io ti abbia evitato... e forse è stato così» aggiunsi poi, lasciando leggermente la presa tra le sue dita ma continuando a sfiorargliele, in quel contatto tanto intimo quanto nuovo.





Edited by .Urania - 28/6/2018, 12:29
 
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view post Posted on 29/6/2018, 16:17
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▵18 ▵Tired ▵ Headboy ▵ clothesL’elettricità si era dipanata dalle dita di Urania e aveva solcato senza pudore la sua carne.
Si era intromessa, venefica, sotto lo strato di pelle ed aveva serpeggiato lungo la colonna vertebrale, sino alla nuca, provocandogli un impercettibile e al tempo stesso violento brivido. Ma anziché abbandonarvisi, Horus si era irrigidito ed il suo corpo aveva reagito tendendo i muscoli, serrando la mascella. Immobile, anche se avesse voluto il ragazzo non sarebbe riuscito a muovere un solo passo dalla statica posizione in cui versava. Eppure il cuore s’agitava in quell’immobilità, nascosto al sicuro dietro la gabbia d’ossa; ed il sangue rombava nelle orecchie, ed i pensieri rumoreggiavano nella testa, come onde che si frantumavano fra gli alti scogli appuntiti della Scozia.
Fuori dalle finestre polverose la neve continuava a scendere, ignara dalla tempesta che imperversava nelle silenti mura del Castello, inconscia del gelo che Horus sentiva imperlargli la fronte e le dita.
Non gli era mai importato il giudizio della gente, in fondo. Aveva cresciuto la sua solitudine come un fido famiglio che, con lui, s’era evoluta sino a diventare un’armatura dentro cui rifugiarsi quando il corpo era troppo fragile e stanco, bisognoso di una panacea in grado di salvarlo.
Non poteva dire di avere degli amici e la cosa non gli era neanche mai dispiaciuta; non senti la mancanza del mare se non l’hai mai visto. Conosceva qualcuno, aveva qualche nome da poter definire almeno vagamente come “amico” e ciò gli era bastato, almeno sino a quando non aveva conosciuto Urania. La tensione che aveva provato quel giorno d’autunno, aveva avuto poco a che fare con il pericolo della scoperta, con il ruolo che lei ricopriva al Ministero. Non era solo la febbricitante sensazione che l’aveva animato quando la vita di un uomo era stata stretta nella sua mano; e non era neanche la consapevolezza che quel testimone scomodo, quella ministeriale, avrebbe potuto morire solo per suo desiderio. Non era stato nemmeno il senso di colpa, l’arroganza di cui si era inebriato; fu forse la consapevolezza che lei, in fondo, l’aveva salvato dall’ennesima macchia, dall’ennesimo errore. Era quel qualcosa e quel qualcosa era emerso, trasportato dalle acque della conoscenza, come una bottiglia approdata in un mare di schiuma sulle rive di una spiaggia candida. E dentro quella bottiglia c’era un messaggio, una pergamena arrotolata da un naufrago lontano che richiedeva aiuto.

La voce di Urania, appena incrinata da un’emozione che il ragazzo non riusciva a comprendere, ruppe il silenzio. Suonò bassa, sussurrata, intima. Horus voltò livemente la testa verso la finestra, dove poteva intravedere di riflesso il profilo di lei. I capelli più corti le ricadevano sul viso come un sipario di seta nera e la curva bianca del naso era appena visibile. I suoi occhi, tuttavia, non riuscì a scorgerli e forse fu un bene. Distolse lo sguardo dall’Urania di vetro per portarlo verso il cielo abbagliante.
Si era comportata da ragazzina.
Nonostante l’ammissione, la mano di Horus —liberata appena dalla presa di lei— ebbe uno spasmo, generato da un moto di nervosismo che gli strinse le viscere. Non era solo lei ad aver agito seguendo i dettami di un’infantilità che non le confaceva, ma era lui. E questo Horus lo sapeva benissimo. Ciò che non riusciva ad ammettere, però, era perché la cosa lo aveva toccato sino al punto di permettere al rancore di inquinare il suo animo. Perché quella mancata risposta lo aveva così infastidito, perché quel bacio sembrava una ripicca, una dimostrazione.
Chi era Urania Donovan?
E solo a quel punto un’infinità di domande si affollarono nuovamente nella sua mente, scontrandosi con quelle che sino a un momento prima s’erano acquietate, raggomitolandosi in un angolo.
La più logica, la più urgente sembrava premere sul pomo d’Adamo, agitandosi come una falena impigliata nella tela di un ragno. Eppure, schiudendo le labbra secche, Horus non riuscì a formularla. Rimase ancora in silenzio, respirando piano, liberando piccole nuvole di condensa; faceva freddo, ma la mano di Urania sembrava forgiata dalla lava. Senza neanche rendersene conto, serrò il pugno, escludendo le dita di lei.
« E come volevi comportarti? »
Fu una domanda inaspettata anche per lui e la sua voce, arrochita dal lungo silenzio, lo stupì. Ruotò allora il viso, quel tanto che gli bastava per per scorgere, per la prima volta volontariamente, la figura dell’Auror. Il corpo, ancora rigido, rimase nella sua posizione e gli occhi chiari, freddi, cercarono di scrutare l’espressione di Urania.
Perché evitarlo?
La ricordò improvvisamente sul molo, il giorno della festa. Era molto bella nel suo impalpabile vestito bianco, i capelli corvini raccolti in un elegante chignon e le labbra rosse come il fuoco. Urania rideva, e rideva anche lui, entrambi divertiti ed imbarazzati per quella sua stupida precisazione; in quel momento Horus si era accorto del proprio riflesso nelle acque del Lago Nero. La placida superficie lacustre rimandava l’immagine di un ragazzo alto, con un sorriso dipinto sulle labbra sottili ed i suoi occhi, solitamente così freddi, erano addolciti da quel momento di serenità, come se lui ed Urania fossero stati amici di lunga data.
Ma così non era.
Horus R. Sekhmeth ▵ [ sheet ] ▵ Let’s lay down our masks, and be true.
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Urania Rue Donovan

l9Ev1Ck
Nonostante
le nostre mani si fossero allontanate, i miei polpastrelli continuavano a sfiorare il suo palmo in un doloroso e bollente contatto. Avrei voluto stringerlo nuovamente, più forte, per sentirlo più vicino ma decisi di soffocare quell'impulso. Non mi guardava. Forse, non voleva che io fossi lì - e non desiderava in alcun modo quel contatto. Allontanai la mano del tutto e costrinsi le mie braccia dietro il sedere, intrecciate tra loro, a mantenersi l'una l'altra. Stai ferma, stagli lontana.
Horus era la mia maledizione. Quando pensavo di averlo dimenticato, quando credevo di aver ridimensionato i sentimenti che provavo per lui, ecco che rispuntavano; lo vedevo e tutto riaffiorava. Il cuore batteva più forte, un groviglio prendeva possesso del mio stomaco, la gola si seccava e le labbra si stendevano in sorrisi fuori luogo che tentavo di soffocare per non mettere completamente allo scoperto ciò che pensavo di lui. Brividi mi attraversavano la schiena e ogni passo avrei voluto farlo nella sua direzione, per cercare il contatto con la sua pelle, il calore del suo corpo, l'intensità del suo profumo. Sentire la sua voce roca e profonda infrangersi sul mio viso in un sussurro, intimo e solo nostro, perché non importava nulla di quello che c'era oltre i nostri corpi.
Ma era chiaro che ero l'unica a sentirmi in quel modo. E quindi strinsi le mani tra loro, più salde.
Il silenzio accompagnò i miei pensieri. Li rese più forti, un'eco prepotente che credevo chiunque, in primis lui, avrebbe udito. Un leggero rossore colorò le mie guance all'idea che lui sapesse davvero tutto di ciò che sentivo - ma mi assalì anche la voglia di gridarglielo. Così, completamente, senza mezzi termini, senza se e ma, senza la necessità di una risposta, senza imbarazzo, senza paura, per sentirmi meglio, più leggera - seppur poi distrutta, seppur in futuro terribilmente a pezzi. Ma contava il presente e proiettarsi sempre al dopo faceva solo male.
Dischiusi le labbra, senza perdere di vista le sue, ma mi bloccai quando parlò.
« E come volevi comportarti? »
Deglutii. Non mi aspettavo quella domanda. La voce di Horus era più roca che mai, bassa, come se si fosse risvegliato da un lungo sonno. Mi guardò negli occhi, direttamente per la prima volta in quegli interminabili minuti. I suoi occhi sembravano fusi, liquefatti, d'una intensità spaventosa. Volevano leggermi dentro, lo sapevo. E forse ci sarebbero anche riusciti.
«In realtà non lo so nemmeno io» esordii dopo un breve silenzio in cui, audacemente, avevo cercato di sostenere il suo sguardo. Mi morsi appena le labbra per frenare l'ennesimo impulso di avvicinarmi a lui. «Probabilmente avrei semplicemente dovuto dirti la verità. Comportarmi in maniera sincera. E non da animale ferito» dissi a voce appena udibile. Me ne resi conto. Persi di potenza e intensità sul finire delle ultime parole ma sicuramente Horus aveva sentito bene tutto. Ed era solo l'inizio di una confessione che, per mia natura, non potevo più tenermi dentro.





- Scusa il ritardo ♥
 
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view post Posted on 13/8/2018, 15:58
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▵18 ▵Tired ▵ Headboy ▵ clothes Sentì le dita di lei allontanarsi e la sua mano ebbe un fremito.
Se ne stava andando?
Si ritrovò a distogliere lo sguardo, tornando a guardare il corridoio buio, indeciso se provare sollievo o dispiacere al pensiero che Urania potesse voltargli le spalle e lasciarlo lì, da solo.
E per quanto non volesse pensarci, il pensiero lo aveva sfiorato e quasi gli sembrò di udire il ronzio fastidioso del suo stesso sangue ribollire. Non giunse alcuna risposta, non subito ed Horus rimase ancora immobile nella sua posizione innaturale, la gamba ancora leggermente piegata, le spalle irrigidite, come se il suo corpo fosse stato incantato. Sentì un brivido insinuarsi nella sua spina dorsale, la netta sensazione che lei, dietro di sé, lo stava guardando. Si ritrovò a pensare a quanto il loro breve rapporto fosse stato fatto di strana complicità ed anomalo interesse. Socchiuse gli occhi al ricordo di quel tramonto ad Hyde Park dove il loro gioco s’era fatto pericoloso, tagliente; il pugnale premuto sulla sua gola bianca, il suo corpo sottile intrappolato tra lui ed il muro, come una falena, in trappola; ma nei suoi occhi, il fuoco.
Deglutì, lentamente, corrucciando lo sguardo. Non sapeva niente di lei, eppure continuava a provare il desiderio di indagare nel suo animo, per darsi delle risposte, perché quell’assaggio di serenità e complicità sul molo gli riusciva difficile da dimenticare, così come trovava insopportabile il silenzio a cui lei l’aveva costretto quando lui aveva cominciato a cedere al pensiero che era destino e che quella volta, all’Ars Arcana, era sembrato incredibilmente reale.
Perché?
Quando finalmente Urania parlò, la sua voce debole riuscì a malapena ad arrivargli all’orecchio. Horus spalancò gli occhi, trattenendo il respiro in un infinitesimale secondo. Di quale verità stava parlando? Ebbe timore, improvvisamente, di quello che Urania gli stava per dire. Una paura che sviscerava qualsiasi consapevolezza e razionalità e come se questo pensiero avesse infranto quella bolla di immobilità, Horus si voltò una volta per tutte.
Non seppe neanche perché, lo fece e basta e se la ritrovò davanti.
La luce pungente che colpiva la finestra le cadeva sul viso, illuminandolo a porzioni irregolari e geometriche. Le labbra carnose, colorate probabilmente da un rossetto nude, erano piegate in un’espressione indecifrabile e quegli occhi plumbei sembravano comunicargli una sofferenza che Horus non voleva riusciva a tradurre.
Cos’ho fatto?
Si chiese con ingenuità, e per un folle istante fu tentato di stringerla in un abbraccio. Lo sentiva in fondo al petto, quel desiderio, di rassicurarla qualsiasi fosse stata la sua paura, ma un campanello d’allarme suonava nella sua mente.
Non farlo, diceva. E lui, non lo fece. Paradossalmente, allora, fu tentato di scappare via.
Piuttosto, con le braccia lungo i fianchi, inerti, Horus la guardò, scrutando ogni piccolo angolo del suo volto pallido.
*Parla, Rue, te ne prego.*
Scoprì, tuttavia, che quel timore che timidamente si era fatto largo, ora aveva raggiunto il petto e lì s’era annidata, un’edera che attecchì nel fertile terreno concimato da mesi di silenzio e dubbi.
« Quale verità? » Sentì la propria voce uscire in maniera distorta, come se qualcun altro avesse parlato e non lui. Si impose di non aggiungere altro poiché sentiva di star raggiungendo un limite, una breccia nell’alta diga che aveva costruito per impedirsi di non scriverle né cercarla più. Fra di loro pochi centimetri di distanza che, improvvisamente, sembrarono moltiplicarsi, chilometri fatti di giorni, mesi da quel fatidico incontro.

E la neve cadeva, silente, nei loro cuori.
Horus R. Sekhmeth ▵ [ sheet ] ▵ Let’s lay down our masks, and be true.
[ code by psiche ]

 
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view post Posted on 31/12/2023, 13:16
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Urania Rue Donovan

l9Ev1Ck
Come
era semplice e naturale perdersi negli occhi di Horus Sekhmeth. Perdersi in quel mare profondo e imperscrutabile che, ormai, avevo imparato a solcare. Quegli occhi grigi, affusolati, taglienti eppure... Eppure? Com'eravamo finiti lì? Quando e come era successo di sentirci così a disagio? Era colpa mia, in fondo. Quando vuoi troppo sbagli tutto e ti ritrovi in mano con un pugno di mosche. I pensieri corsero a quel molo di notte, durante il Ballo di fine anno. Leggerezza. Era la prima parola a venirmi in mente a pensare ai nostri corpi vestiti di abiti eleganti, protesi l'uno verso l'altra in un'intimità tutta nuova. Come se ci conoscessimo da una vita... e come se ci stessimo scoprendo solo in quel momento. Era così che l'avevo sempre ricordato in quei mesi. Quando pensavo ad Horus nella mia mente cercavo di mandare via tutti i non-detti, i malintesi, la paura, l'angoscia, il fastidio - e mi focalizzavo sull'attimo di incredibile leggerezza di quella notte che ci aveva permesso di essere veramente noi. Noi.
Ma in quel momento quel noi era sepolto, messo da parte, soffocato dalle vicissitudini della vita. In quel momento urgeva dare un punto, una fine a quei non-detti e a quella sensazione di sfuggirsi continuamente senza riuscire mai ad afferrarsi.

«Quale verità?»

La domanda era arrivata. E incalzava galoppando nel poco spazio che divideva i nostri occhi così simili. Una domanda del tutto lecita che io per prima sapevo di non poter tenere più dentro di me ad aggrovigliarsi. Vada come vada, era arrivato il momento di dirgli tutto. Abbassare la maschera, tornare a fargli vedere quella ragazza sul molo di quella lontana notte stellata.

Ma qual era la verità? Come potevo formulare chiaramente ciò che provavo e ciò che volevo che lui sapesse? Come si mettono le parole una dopo l'altra? Da dove potevo cominciare? Dai, Rue, è semplice. Rosalie ti darebbe una bella gomitata e ti prenderebbe in giro a saperti così ansiosa.

«La verità.» Non era una domanda e nemmeno una frase formulata con consapevolezza la mia. Era come un pensiero detto ad alta voce, un pensiero che aveva spezzato di netto il flusso dei miei ricordi e desideri.

La verità era semplice. La verità era che non riuscivo a stargli lontano. Che mi mancava il respiro quando lo vedevo con un'altra. Che non avrei mai voluto lasciargli andare la mano. Che avrei desiderato ridere insieme per tutte le nostre vite. Che avrei amato viaggiare con lui. O semplicemente prendere un tè ad Hogsmeade, un pomeriggio qualsiasi. Che in quei mesi mi era mancato come l'aria. Che quello che provavo per lui era perfino difficile da esprimere con due semplici parole.

Tornai a guardarlo negli occhi e d'istinto sollevai una mano per poggiarla al lato del suo viso sperando che non si ritraesse. Avevo solo immaginato, fino a quel momento, di poter compiere quel gesto così naturale, così intimo eppure così difficile.

«Io-»

Un gufo planò rapido e si intromise nel mio campo visivo. Con un forte e sonoro richiamo gutturale catturò la mia attenzione completa - anche perché riconobbi il timbro in ceralacca che chiudeva la pergamena tra le sue zampe.

«Un attimo» dissi, allontanandomi da Horus. Camminai a passo svelto verso il gufo marroncino, fermo immobile in attesa di compiere il suo lavoro. Difatti, appena presi la pergamena tra le mie mani, lui planò via e sparì dalla mia visuale. Srotolai corrucciata la missiva, dopo aver rotto il sigillo che si frantumò ai miei piedi. Lessi rapidamente le poche informazioni riportate in inchiostro di china nero e poi sollevai la bacchetta e con un Incendio non verbale la feci scomparire. Che tempismo. Mi voltai a guardare Horus e feci un mezzo sorriso amaro.

«Devo andare,» cominciai, con un filo di voce. «E' una convocazione urgente e quello che devo dirti ha bisogno di più... tempo.» Già. Non era una cosa da dire su due piedi - o forse sì?. No. Improvvisamente mi si era chiusa in una morsa dolorosa la bocca dello stomaco al pensiero che, ancora una volta, mi stavo allontanando da lui. Che nemmeno quello la vita lo considerava il momento giusto per dire tutta la verità.

Feci qualche passo verso di lui ma senza raggiungerlo. Mi fermai. Mi concessi qualche attimo per stamparmi nella mente la sua figura dopo mesi che non lo vedevo e dopo altrettanti mesi che forse mi avrebbero portata lontana da lui.

«Parlemo al mio ritorno» dissi, «se vorrai» aggiunsi rapidamente con un mezzo sorriso.

Mi concessi ancora un istante e poi mi voltai, prima lenta e poi spedita fino a lasciare il corridoio e separarmi, ancora una volta, da Horus.



meglio tardi che mai <3
 
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8 replies since 6/6/2018, 11:44   397 views
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