Χείρων

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 8/7/2018, 11:10
Avatar

Group:
Studente sotto Esame
Posts:
19,257
Location:
TARDIS

Status:


Innamorarsi. L'aveva sentito sulla sua stessa pelle, scottante come mai prima di allora, fino a bloccare il respiro e stringere il cuore in una morsa. Non conosceva quel valore così prezioso, tanto umano, perché mai avrebbe pensato di essere in grado di viverlo ad una giovane età. Era solo uno dei tanti bambini che giocavano nel parco, quasi ogni pomeriggio; e nonostante le sue mani restassero immacolate, senza un soffio di terriccio a macchiarle, anche il completo elegante che indossava - con tanto di panciotto dai bottoni strettissimi - iniziava ad infastidirlo più di qualsiasi altra cosa. Vederlo correre avanti e indietro, apprezzarne i movimenti come un atleta in carne ed ossa, sussultare quando i loro sguardi si incrociavano, appena vicini, più vicini. Innamorarsi, ripeté in silenzio, raccogliendo quell'emotività che non conosceva eguali, portandola al petto, stringendo le braccia al torace, ancora di più, ancora un attimo. Loras perse il Boccino d'Oro, un bagliore luminoso a spezzare l'armonia dell'incontro. Si volse verso il piccolo Brior, sollevò la mano destra come in saluto. Innamorarsi, si disse Oliver. Innamorarsi della sua sicurezza, della sua determinazione, perfino della sua abilità ad essere così normale. Loras era a suo agio, in ogni contesto, per ogni momento. Per tutta risposta, abbassò lo sguardo. Quando riaprì gli occhi, Loras, la Pluffa, il Bolide e lo stesso scintillante Boccino, tutto era sparito. Il fischio d'inizio partita li vide entrare in campo, uno dopo l'altro, e Oliver si fermò ancora sull'ultimo tronco più lontano dalla piattaforma. Era appena iniziato. Di nuovo.

*Maledizione*
Non avrebbe mai creduto possibile essere letteralmente preso alla sprovvista da qualcosa in cui aveva sperato con tutto se stesso. Le certezze, per Oliver, non erano mai concrete per una spinta razionale, quanto più per quella emotiva. Si fidava più del cuore che della mente, era per lui un dato di fatto, ironicamente. Quando la maniglia dell'Ufficio del Docente non rispose alla sua spinta, al suo comando, parve quasi ritrarsi di pochi centimetri, scottato illusoriamente dall'incomprensione. Non era possibile. Lo ripeté così tante volte, tutte così veloci, in successione l'una dopo l'altra, da non accorgersene di averlo detto anche ad alta voce. Un nome familiare - Amalia, in effetti - risuonava come un'eco lontana tra i suoi pensieri, ma nulla poteva, non ancora, contro la confusione e il pericolo crescente che provava ad altezza petto. Percepì l'impatto del corpo dell'altro, chiedendosi quanto potesse valere ai fini dell'esame del giorno la fortuna di essersi imbattuto contro lo Scintillante Divinatore, il Febo Apollo. Ma la sua stessa riflessione, a tratti fantasiosa per davvero, si frantumò nell'esatto istante in cui la serratura scattò, la maniglia si ritrovò a cedere, infine per fortuna infinita la porta si spalancò. Stava per rivolgersi nuovamente allo sconosciuto, cercando con frenesia la bacchetta magica, la bocca pronta a pronunciare il nome di Peverell in un grido liberatorio. Non avrebbe mai neanche lontanamente immaginato di rivedere un libro dall'aria, a prima considerazione, non poco familiare; né avrebbe creduto - l'espressione attonita, la bocca stirata in un sorriso quasi scettico, perfino bizzarro sul suo volto - di percepire il culmine assoluto delle liane del Tempo. Lo pensava, lo riteneva simile ad un'esperienza che già si affacciava alla sua memoria: il Veggente avanzò di un altro passo, mentre il bagliore più acceso solleticava le braccia, in una carezza presaga di chissà quali aspettative, infine si avvinghiava alle caviglie, in una stretta leggera, un contatto soltanto sfiorato, che rapidamente gli fecero perdere il controllo della realtà. Il Presente spezzato, il Futuro compromesso, Oliver aveva soltanto un'idea a fare da compagna indissolubile, mai tuttavia si sarebbe sentito così preda di percezioni contrastanti: meraviglia, confusione, infine un anelito di timore a stravolgere quel volto simile ad una tela dalle tempre diverse, accese, l'una contro l'altra in lotta perpetua. Si risvegliò poco dopo nei panni di un Viaggiatore e a dispetto di qualsiasi razionale constatazione, la prima cosa di cui si preoccupò fu quella di avere ancora con sé il rotolo di pergamena, autore di ogni misfatto di quel giorno. Respirò a pieni polmoni quell'aria apparentemente incontaminata, sentendo il tepore di raggi del sole sulla pelle, il terriccio dissestato, non più pavimentato, sul quale era capitombolato di malagrazia. Non impiegò molto per capire di essere a quel punto all'esterno, ma la domanda principale risultò tanto assillante da farlo scattare in piedi il prima possibile. Dov'era finito? Si guardò intorno, finalmente articolando quel pensiero che fin dalla vista del Libro lo aveva colpito come un fulmine a ciel sereno: la Scuola di Atene all'orizzonte, la permanenza in un'epoca già scritta, eppure tanto versatile, così diversa da qualsiasi aspettativa, il pericolo di una Storia che non avrebbe potuto forse completamente conoscere. Strinse la pergamena tra le dita della mano destra, notando come il foglio si stesse stropicciando; la infilò in una tasca interna della divisa scolastica, rivolgendosi intorno alla ricerca di nuovi dettagli. Dell'uomo che lo aveva fermato ad Hogwarts, alla porta dell'Ufficio del Preside, non sembrava esserci l'ombra, ma Oliver si chiese se l'effetto del viaggio non fosse stato rivolto anche nei suoi confronti. Socchiuse gli occhi quando una sensazione bizzarramente familiare lo spinse ad indietreggiare di un passo, infine un altro. Cavalli, trotto, cespugli, chitone, figure ancor più misteriose: sarebbero arrivate, era quello forse il posto che aveva già scorto nelle sue precedenti visioni? Si incamminò lentamente in una direzione imprecisa, quasi ondeggiando, preda di più domande e meno risposte di quanto potesse credere. Non aveva neanche la Spilla di Atene per poter eventualmente rientrare ad Hgwarts. Andava male, andava molto male. Eppure, non si capacitò di come potesse esserne così elettrizzato.

Punti Salute 249 • Punti Corpo 241 • Punti Mana 257 • Exp 40
Divinatore • Maridese Inesperto

I, II, III, IV Classe completa
V Classe Claudo/Parclaudo, Nebula Demitto, Plutonis, Stupeficium
VI Classe Perstringo

Bacchetta • Galeone ES • Bracciale di Damocle
 
Top
view post Posted on 10/7/2018, 17:18
Avatar

Il Fato

Group:
Discepolo del Fato
Posts:
10,913

Status:



Quanto stava capitando era ormai fuori controllo.
Se sino a un istante prima sperava di farcela a superare la porta, e raggiungere infine l'agognata meta, un istante dopo c'era solo da sperare che avvenisse un qualche miracolo, e che Apollo lo afferrasse, sottraendolo ai tentacoli del Tempo, che da un momento all'altro avrebbero infine fatto effetto. Com'era possibile inciampare nel tappetto? Com'era possibile che un'azione tanto banale, quanto quotidiana potesse trasformarsi in una tale disgrazia, in specie se unita al secondo imprevista: la spallata da dietro dello strano visitatore. Se quel mistero sembrava ed era ancora tutt'altro che risolto, ebbene... aveva un diavolo per capello, e decine di nuovi problemi da risolvere, prima di poterci davvero pensare. Eppure, era stata la stessa sorte a condurlo sin lì, nel palmo di mano. Qualcosa doveva pur esservi sotto, no? Perché prendersi tanto disturbo, perché risalire sin lì per inciampare in un tappeto quando sarebbe potuto accadere in un qualunque altro momento, e luogo? E allo stesso tempo perché era arrivato sin lì in condizioni tanto critiche, armato della sola altalenante vista? Come avrebbe fatto? Se fosse andata come di solito andavano quelle cose sarebbe stato un miracolo se fosse anche solo sopravvissuto la prima mezz'ora, in quel caso quanto sarebbe potuto trascorrere prima che qualcuno realizzasse davvero quanto era successo? Le due linee temporali, inutile dirlo, erano sfalsate, ma anche lo scorrere del tempo era immensamente rallentato: quanto tempo sarebbe dovuto trascorrere prima che anche ad Hogwarts realizzassero che si erano persi un Caposcuola? Quanto avrebbe dovuto attendere, prima che il vecchio professore tornasse, e realizzasse il piccolo incidente? Se ne sarebbe accorto? E se non fosse successo? Era destinato a rimanere imprigionato in quelle pagine, in quel tempo? Perché la sorte l'aveva spedito proprio lì? Perché tanta ostinazione? Perché proprio lui? E soprattutto, dov'era finito?


Un momento era lì, pensieroso lungo la strada, un momento dopo si affrettava lungo il sentiero, inoltrandosi nel querceto. Il terreno sconnesso, le poderose radici che facevano capolino qui e là, il dolce clivio del colle... aveva il fiatone, da quanto stava 'correndo'? O meglio arrancando, e perché? Dov'era diretto? Lo sapeva? Lo sguardo in avanti, seguendo il sentiero ondeggiante e morbido, probabilmente una pista creata prima dalla fauna selvatica, e poi dal passaggio dei cacciatori. E cos'aveva in mano?

Un istante dopo eccolo procedere ancora lungo la strada, più per inerzia, assorto in una lunga e contorta riflessione sul da farsi, che non tanto volontariamente, con una strategia già in mente. E del resto, anche in quella prima strana visione, procedeva lungo quella che aveva tutta l'aria di essere la medesima strada, nella medesima foresta. In lontananza, girata una curva, apparve dimessa e di pochi passi distante dalla terra della via, quella che aveva l'aria di essere la stessa edicola che aveva già visto. E per giunta il distinto, e ben udibile rumore di una torma di cavalieri al trotto lo stava raggiungendo rapidamente, evidentemente ancora indietro, ma non troppo, oltre la curva che aveva appena passato. Era questione di pochi istanti, l'avrebbero travolto?

CITAZIONE (Master Adepto @ 2/7/2018, 19:27) 
A fronte della peculiarità della storia in agenda, e della natura divinatoria della Quest, dovrai cavartela senza ulteriori magie. In fondo, sei uscito da una simulazione d'esame, senza mantello, 'perdendo' la borsa, e armato di un rotolo di pergamena... ipotizzare la presenza di altro, che non sia la tua testa, potrebbe essere una forzatura. Vedrai che non sarà necessario alcuno 'sciocco sventolio di bacchetta', nel caso la sorte ti fornirà tutto il necessario. (...) Saranno comunque tutte cose di cui potrai fare molto serenamente a meno, stiamo parlando di Divinazione, in fondo.

CITAZIONE (Master Adepto @ 6/7/2018, 14:08) 
Qualcosa di non troppo estraneo, una campagna benevola e pacifica, non fosse stato che era solo, non sapeva perchè era lì, non era armato di nulla, se non di un pizzico di fortuna che sembrava volesse sostenerlo, e di un Fato sorprendentemente generoso, e non aveva modo alcuno di tornare indietro. (...) E il rotolo? Che fine aveva fatto? Non aveva in mano più nulla...

Non sei armato nè della bacchetta, nè del rotolo, che sono rimasti serenamente ad Hogwarts. Saranno sufficienti le visioni, e all'occorrenza... altro.

 
Web  Top
view post Posted on 1/8/2018, 10:47
Avatar

Group:
Studente sotto Esame
Posts:
19,257
Location:
TARDIS

Status:


Il sagrato della Cattedrale di San Finbar, alle radici più fertili del centro storico di Cork, era gremito di persone dall'aria distratta, confusa, persa chissà dove. Alti, bassi, grandi e piccoli, giovani e bambini, alcuni adulti ed altri ancor più anziani; uno ad uno cercavano lo sguardo di un ufficiale in camice scuro, viola, trapunto di un velo che ad Oliver, solitario ed attento, non piaceva affatto. Non aveva idea di cosa stesse blaterando quell'uomo; di chi fosse, di cosa stesse effettivamente dicendo, di cosa dovesse poi fare. Se ne stava lì in piedi, come un burattino, tessendo le lodi del nonno scomparso, Oscar Brior, ma era ironico constatare che lui, più di tutti, del nonno non sapesse nulla. Avrebbe dovuto tacere, il bambino ne era sempre più convinto. E più avanzava, più si stringeva le mani convulsamente, nocche contro nocche, fin quando chiuse gli occhi al nome ripetuto, ripetuto ancora, di Oscar, del nonno, della vittima scomparsa. Il Tempo lo avvolse come un vecchio amico, lo allontanò dal sagrato, dalle scale in granito pallido, dalla folla, dalla luce del sole cocente di piena Estate, dalle lacrime, dal pianto, dal dolore. Lo strinse a sé e lo spinse avanti, ancor più avanti. E fu stasi, fu vita, fu pace.

Aprì gli occhi quando la Visione si interruppe di scatto, lasciandolo in balia di un tempo che non aveva ancora compreso pienamente. Le supposizioni circa dove fosse capitato, a ben pensare, crescevano rapidamente, ma l'una andava imperterrita ad escludere l'altra; per il Veggente, in quel momento, il Presente era lo scacco matto al quale si sarebbe affidato in definitiva, perché l'arcano attendeva di essere svelato e la pazienza, nel suo spirito, era stata già intaccata dalla scintilla più vivida di curiosità. Spostò lo sguardo avanti e indietro, i passi che procedevano quasi in automatico; quando cercò le sue stesse mani, palmo destro e sinistro aperti alla rinfusa, alla ricerca chissà di cosa - per il momento -, per Oliver fu chiaro di essersi sbagliato, preso in ischerzo da più di un fattore, da più di un dettaglio. Non aveva con sé la pergamena né la bacchetta magica e sebbene si fosse autoconvinto di non esserne privo, fin dal principio, constatare di essere così preda del Tempo, dei suoi confini e del suo carattere labile, fu un duro colpo al cuore. Si preoccupò più dell'assenza della sua prova d'esame che del legno d'Abete, il che avrebbe aperto una serie di domande e di dubbi di difficile risoluzione. Sospirò lentamente, procedendo ancora, e quasi si accorse in ritardo di aver affrettato il passo. Come se già al sicuro dal corso degli eventi, autore ed osservatore per la prima volta insieme. L'edicola apparve in tutto il suo asettico e malcelato splendore, infine fu la volta del trotto dei cavalli, in appendice ad un'ulteriore Visione che lo invitava al bosco, alla foresta, alla natura. Si ritrovò a correre prima ancora di pensare a come poter fare, più fiducioso di essere investito dalla ciurma di cavalli al trotto che dalla possibilità di essersi sbagliato. Il Tempo era alla mercé del Cambiamento, lo sapeva bene, così come era nitido alla sua esperienza di non rivolgersi troppo con cura alle coincidenze che lo circondavano. Tentò di intrufolarsi nel primo sentiero possibile, togliendosi dalla direttiva del suono che lo stava raggiungendo; prima che potesse essere troppo tardi, prima di essere una vittima persa per sempre e per sempre dimentica, provò a tuffarsi con un salto verso la culla pulsante della foresta. E via con la corsa, ancora una volta. La direzione, si disse, sarebbe giunta. Chiuse gli occhi, in un attimo, per poi aprirli: sul Passato, sul Presente, sul Futuro.
Mea culpa, avevo frainteso. Va benissimo così, chiedo anche scusa per il ritardo estremo.

Punti Salute 249 • Punti Corpo 241 • Punti Mana 257 • Exp 40
Divinatore • Maridese Inesperto

I, II, III, IV Classe completa
V Classe Claudo/Parclaudo, Nebula Demitto, Plutonis, Stupeficium
VI Classe Perstringo
 
Top
view post Posted on 6/9/2018, 22:26
Avatar

Il Fato

Group:
Discepolo del Fato
Posts:
10,913

Status:


Dove fosse finito, e soprattutto quando fosse finito, continuava a essere un dettaglio ignoto, ma allo stesso tempo tutt'altro che trascurabile. Stava rischiando più o meno indirettamente la pelle, e per cosa? Ma soprattutto, perché era capitato proprio lì, e non altrove? Perché proprio in quel bosco, perché proprio in quel momento, e non seicento anni più tardi, ad Alessandria? Sapere dove fosse, avrebbe fatto la differenza? L'avrebbe aiutato? Cosa era finito lì a fare? Come avrebbe fatto ad andarsene? Se quel giorno il Fato sembrava aver molto da dire, era quello un caso? O era un altro caso in cui il Fato aveva sì messo lo zampino, ma sino a che punti? E se sino a quel momento tutto era stato voluto, o almeno presumibilmente una buona parte, era anche detto che quella stessa sorte avrebbe trovato il modo di tirarlo fuori da quell'impiccio? Ma in ogni caso... se anche avesse perso il sonno per quel 'dettaglio', cosa sarebbe cambiato? Come avrebbe fatto? Cos'era in grado di fare, per levarsi dall'impiccio? Probabilmente nulla.
Assorto tra un'indecisione e l'altra la turma di cavalieri si avvicinava velocemente, presto sarebbe stato travolto, prima ancora di muovere un solo passo. Al crescere esponenziale del pericolo, la non decisione ovvia lo baciò in fronte. Abbandonare la strada, inoltrarsi lungo il sentiero, nel sottobosco, badando bene a dove mettere i piedi sul terreno disconnesso. Poche yarde aveva percorso dal ciglio dove era 'caduto', che il rombo tonante della turma lo fulminò alle spalle, quasi improvvisamente avesse anch'essa deciso di inoltrarsi tra gli alberi. Un attimo, un istante di distrazione e la frittata era già fatta e servita. Una radice particolarmente invadente e sbarazzina, un piede appoggiato male, un corpo trascinato in avanti dall'inerzia, ed ecco un prode Grifondoro volare in avanti, giù per la scarpata, a capofitto in tutti i sensi tra il verde. Un sinistro schianto, e che altro era successo? Si era rotto qualcosa? Sarebbe stato veramente il massimo, la ciliegina sulla torta.

Lo sguardo annebbiato, e li vide, incombere, emergere quasi fossero parte del bosco, dalle piante. Due soldati, armati di lancia, coperti da un corto chitone verde. Se l'avessero visto, cos'avrebbe fatto?

Un istante più tardi era ancora disteso, ma non v'era traccia dei due turisti. Che fossero semplicemente a caccia di funghi? E sorprendentemente sembrava star bene, nulla di rotto, almeno non ancora. Sdraiato com'era sotto un innocente pioppo, con alle spalle una scia di devastazione e distruzione, stringeva in mano un solido ramoscello di un qualche sventurato che aveva avuto l'ardire di trovarsi lungo la sua strada, nel posto sbagliato, al momento errato. Un ramo. Cosa avrebbe dovuto farsene di un ramo? E ancora una volta la visione andava concretizzandosi. Il tempo forse di tirarsi seduto, che i due guerrieri emersero dalle fronde. Sinistre le punte delle lance bronzee sembravano intercettare silenti raggi di luce, sopra le loro teste. Chi erano? Cosa volevano?
Lo sguardo indagatore e circospetto di entrambi scrutava arcigno la zona, si era posato sulla scia di devastazione alle sue spalle, quanto avrebbero impiegato a individuarlo? E una volta che fosse successo? Cos'avrebbe fatto? Perché erano lì?
E puntualmente accadde...


Ehi tu! In piedi!
Chi sei? Cosa ci fai qui?
Non sai che il bosco è proibito?
Presto, seguici. Non è posto per te.



Pan per focaccia? :ihih: :ihih:
 
Web  Top
view post Posted on 27/9/2018, 09:20
Avatar

Group:
Studente sotto Esame
Posts:
19,257
Location:
TARDIS

Status:


C'era un ricordo, un'esperienza, una sensazione forse, ma l'una e l'altra cosa si univano in un tripudio quasi mistico: più porgeva l'attenzione alla sua stessa memoria, più percepiva l'indifferenza farsi strada rapidamente. Non aveva padronanza di tutti gli episodi che lo avevano caratterizzato, ma c'era un sapore, magari un profumo, che aleggiava ancora intatto, così vivo, fin nel profondo del cuore. La madeleine, un dolce tra tanti, uno dei più semplici in assoluto; un morso, dente su pasta tanto soffice, il palato in difficoltà per quella consistenza particolare, a tratti fastidiosa, a tratti troppo amalgamata con zucchero e sua preparazione. E ad ogni pezzetto che addentava, il sorriso del bambino cresceva a dismisura, lentamente, poi sempre più in fretta; come se il Natale fosse giunto in anticipo, come se il suo compleanno fosse appena iniziato, la madeleine aveva un gusto tutto suo, così personale, fuori dagli schemi culinari di una ricetta elegante, estremamente antica. Sua zia si avvicinava di continuo, il volto di Adele era nitido tra i suoi pensieri più vecchi e quelli più reali, mentre gentilmente soffiava la cannella sul dolcetto. Prima un pizzico, poi uno strato ben compatto, vero e proprio, tanto da far starnutire il giovanotto. «Loras senza cannella, zia Adele.» Lo ricordava, lo ricordava a fior di labbra, come un canto d'estasi, di semplicità e di tranquillità; lo ricordava ancora, anche se in parti, in tasselli soltanto, come un puzzle giorno dopo giorno distorto.

Quando rovinò al suolo nella landa sperduta di chissà quale epoca, Oliver percepì il fiato farsi corto, il respiro compromettersi di conseguenza ed infine le mani tentare invano di portarsi avanti, per prime, ad attutire l'impatto verso il basso. La terra sfidò il corpo martoriato, appena caduto come un automa, fino a solleticare le narici in uno sbuffo del tutto naturale, dal sapore intenso ed immutato nel tempo. E per un attimo così singolare, la terra divenne cannella e la lingua, stretta convulsamente per la smorfia di dolore a tratteggiare la stessa bocca, riportò all'attenzione quel gusto pastoso, così dolce, di una madeleine. Il Veggente si riscosse poco dopo, appena corrucciato e piuttosto nervoso, appuntandosi di concentrarsi maggiormente di lì a breve sul percorso che avrebbe intrapreso. Pochi secondi per guardarsi attorno, vincendo a stento la tentazione di passare le mani a palmo aperto sui vestiti sgualciti e ormai sporchi di terriccio, infine lo sguardo si disperse come cenere al vento, ancora una volta, non un'ultima, non prima, non scandita davvero. Le palpebre tornarono in alto, stanche ed appesantite, mentre l'equilibrio del Viaggiatore si ristabiliva alla meglio, in fretta. Un passo avanti, la speranza di aver tra le dita nuovamente la pergamena d'esame - il suo cruccio, a dispetto della serie di eventi vissuti, non era ancora del tutto scomparso -, infine tutto sfumò alla presenza della coppia di sconosciuti che aveva già incontrato. Percepì dell'irrisorio in quella considerazione, fin quando si assottigliò la curiosità innata e quell'istinto mai domato di scoprirne di più: già che c'era, si disse, avrebbe potuto indagare di persona circa dove fosse capitato, con chi fosse ormai capitombolato e cosa potesse di lì in poi ancora capitare in prima linea. Strinse a sé il rametto come arma d'eccezione, appoggio tra pochi, mentre al seguito di un sospiro liberatorio, per poco non desiderò esprimersi a chiare lettere: "Vengo dal Futuro" avrebbe così iniziato; "E vedo il Futuro", avrebbe aggiunto con una certa discrezione. Al contrario, lieto di potersi affidare a quel raziocinio non ancora disperso per sempre, si schiarì la voce prima di avanzare di un passo. «Il mio nome è Oliver, vengo in pace.» *Più o meno* «Sono un viaggiatore e mi sono perso Non poté fare a meno di accorgersi di aver insistito su quell'ultima definizione.

Punti Salute 249 • Punti Corpo 241 • Punti Mana 257 • Exp 40
Divinatore • Maridese Inesperto

I, II, III, IV Classe completa
V Classe Claudo/Parclaudo, Nebula Demitto, Plutonis, Stupeficium
VI Classe Perstringo
 
Top
view post Posted on 25/12/2018, 17:37
Avatar

Il Fato

Group:
Discepolo del Fato
Posts:
10,913

Status:



Quale fosse la piega presa dagli eventi era ormai tardi per preoccuparsene.
Galoppava a rotta di collo verso un burrone, sapere o meno dell'esistenza del dirupo l'avrebbe salvato? Certo, si sarebbe potuto obiettare che la conoscenza era spesse volte preferibile alla più gretta delle ignoranze, ma di fatto non cambiava poi molto. Se il destino era un'unica ineluttabile strada già segnata da qualcuno o qualcosa, c'era solo da sperare che quel qualcuno fosse stato tanto avveduto da prorogare i termini di ancora qualche tempo, nella consapevolezza che restando in partita per altro tempo si sarebbe stati in grado di fare qualcosa, di contribuire. A cosa? Non era ancora chiarissimo. Non lo era mai. Ma la speranza doveva anche essere l'ultima a morire, o tutto sarebbe andato perso.
Dunque, armato di quell'esile ramoscello, cos'era destinato a fare?
Avrebbe la favella spostato l'ago della bilancia a suo favore? Sarebbe stata sufficiente, alleata indomita e irreprensibile, come un serpente vanaglorioso era danzata sulle labbra del Grifondoro, prima di mietere le sue vittime. O almeno, prima di provare a farlo. Sarebbe bastata nel muovere a pietà l'insolita coppia di guardie? Ma soprattutto, guardie di cosa? Perchè un bosco doveva essere proibito? In cosa era incappato? Come ne sarebbe uscito? L'avrebbe fatto? Scudi, due lunghe lance, e corte spade ancora infoderate, un giovane forse poco più maturo di lui, in compagnia di quello che invece aveva tutta l'aria di essere un soldato di una certa esperienza. Ma come uscire da quella situazione? Come avrebbe ragito il più classico degli uomini della strada al: che giorno è oggi? Dove ci troviamo? Che dovesse o potesse sperare di guidare la conversazione proprio su quei dati? Erano poi così importanti?


Ma davvero? Abbiamo il piacere di avere qui un viaggiatore allora... che si è perso? E dov'era diretto questo nostro viaggiatore, così fuori zona da qualunque plausibile o lecita meta? Tutti sanno che tanto i boschi circostanti, quanto il monte, sono territorio proibito.

Un tono severo, ironico, di chi era abituato a sentirsi raccontare un'infinita varietà di Storie, a cui era ormai sfiduciato dal credere. O peggio: cui non voleva credere affatto. C'era soluzione? Come ne sarebbero usciti? Che possibilità aveva davvero il Grifondoro di farcela, e cavarsela? I due non sembravano per nulla intenzionati a mollare l'osso, ma del resto... era pur vero, avrebbero potuto anche volendolo? Cosa avrebbero dovuto fare? Erano soldati, con ordini precisi. Senza margini di manovra. E in fondo, dove sarebbe dovuto andare? Gli proibivano l'accesso a un bosco, perchè sarebbe dovuto precipitarsi proprio in quel bosco? Il mondo era grande... Eppure i due erano sempre più vicini, davanti a lui, uno a destra, uno a sinistra.

E via, ancora una volta.
Cosa diamine stava accadendo?
Era convinto di non aver fatto nulla, eppure correva nuovamente a casaccio per il bosco, con già nuovi problemi di respirazione. Una corsa continuata, su un terreno più che accidentato, con il rischio falcata dopo falcata di cadere in un buco, di mettere un piede in fallo. E dietro di lui? Il rumore di persone gettate all'inseguimento. Dove stava andando? Cosa stava facendo? Dov'era finito?

Così com'era cominciata, così era finita.
Era ancora lì, davanti ai due, evidentemente in attesa di una sua risposta. Quali erano le politiche del tempo, quali le 'regole d'ingaggio'? Era ancora vivo, quanto lo sarebbe rimasto?



Iniziano ad accumularsi le domande senza risposta!
 
Web  Top
view post Posted on 18/1/2019, 12:56
Avatar

Group:
Studente sotto Esame
Posts:
19,257
Location:
TARDIS

Status:


Come quando tra indice e pollice si stringeva un fiore appena colto; come quando la presa diveniva forte, energica, fin troppo stretta; come quando la corolla di petali si disperdeva, vinta dalla rabbia silenziosa di un gesto disumano; come quando la calendula aveva macchiato la pelle di arancio, di ocra, di una lucente mistura di colori; riaprì gli occhi soltanto quando si accorse di un'ennesima lacrima, solitaria ed impavida, a scivolare sulla gote accesa, imbarazzata, forse anche impaurita, in un contrasto perpetuo sull'incarnato pallido di quei giorni. Non era giusto. Come il fiore, come la calendula, come la fine di una storia che non era giunta all'ultima pagina. Non era giusto. Ed in quella Primavera appena divelta, in quel campo di sfumature apparse alla rinfusa, Oliver rivedeva i suoi fiori preferiti, i suoi ricordi più belli. Il sole brillava alto nel cielo più azzurro, la pioggia della stessa notte trascorsa insonne diveniva già pasto di una dimenticanza inconsapevole, eppure voluta. Si abbandonò al soffio del vento più leggiadro, più caldo, più gentile. Tra le mani una calendula, a giocherellare tra un palmo e l'altro, entrambi aperti. Non era distrutta, non del tutto. Anche se recisa, la calendula splendeva intensamente. Chiuse gli occhi, fin troppo abbagliato.

Aprì gli occhi, i polmoni che bruciavano a più non posso; non aveva idea di come uscire indenne da quella situazione, e passo dopo passo - secondo dopo l'altro - si accorgeva di essere sempre più in pericolo. Per un attimo si disse pronto ad abbandonarsi, a porre fine ad ogni dubbio, a sfidare le leggi di un Tempo, il proprio, che non riusciva ancora a delineare per bene. Si immaginò libero, eppure prigioniero, in un connubio di opposizioni che giovava al suo spirito più simbolico, più interessante, più devastante. Se si fosse adagiato alla sensazione della cattura, lui che di libertà era ebbro anche in eccesso, cosa sarebbe accaduto? Quale violenza si sarebbe autoimposto, quale prezzo il Futuro avrebbe pagato, quale scotto la sua stessa esistenza? Dove sarebbe stato portato a quel punto? Perché in un modo o nell'altro, Oliver era tuttora convinto di essere stato catapultato chissà dove, nel Passato, con ogni probabilità disperso per davvero. Il libro dai filamenti dorati, i ricordi di esperienze precedenti, di viaggi e di incastri alla rinfusa, tutto andava a fortificare un quadro d'insieme di per sé spento, quasi vano. Non poteva resistere, lo sapeva bene. Non a lungo, perlomeno. Quando la risposta alla domanda delle Guardie sfiorò la bocca, dissipandosi in un'espressione di stupore e curiosità, la Vista riprese la sua ferrea presenza, si impose come un amante violento, e lo ferì - ancora una volta - così profondamente da sentirsi violato. Percepiva i sensi del tutto alterati, per una frazione di secondo si intravide lontano, sulla scia di un'aria pura, benefica, e allo stesso modo eccessivamente pungente: gli mancava l'aria, era una sensazione alla quale si era abituato, nel corso degli ultimi tempi. Ad ogni intreccio con la Maledizione che aveva ereditato - un Dono, diceva un buon confidente -, si esauriva in lui ogni controllo, ogni equilibrio, ogni speranza. Avrebbe dovuto imparare a far fronte ad una nuova certezza, ad un effluvio di sapori, di gusti, di intuizioni, ad un insieme che apprezzava e disprezzava di volta in volta. Non c'era Coscienza, diveniva tuttavia Sentore. In quell'analisi introspettiva di dubbi e di carezze leggere e libere, di aspettative e consapevolezze, una strada si sarebbe sempre delineata: a vantaggio o svantaggio, a favore o sfavore, a discapito o meno di sé, una strada sarebbe comunque apparsa. Un tremore alle palpebre, un battito di ciglia, un sospiro di sollievo, finalmente spinse i piedi con più energia contro la terra sottostante, a riprova di essere rientrato di tutto peso al Presente, qualsiasi potesse essere in quegli attimi. Sollevò lo sguardo verso le Guardie, in un accenno di sorriso più simile a smorfia: annuì, leggero, e abbassò il capo. «Ne arrivano altri.» Un tentativo si era già fatto largo nei suoi pensieri più disconnessi; avrebbe indicato a quel punto alla sinistra, alle sue spalle, in un gesto tanto casuale quanto repentino. Si augurava di dissipare la coppia d'ostacolo almeno per un istante: e via, uno scatto alla destra, direzione opposta allo sguardo degli altri nelle sue più rosee speranze, accennando ad un tentativo di corsa liberatoria. Sulla scia di una frenesia, di una follia, di una ricerca che non aveva meta concreta, non ancora, Oliver avrebbe così cercato di dar giustizia all'ultimo cenno di Visione. Di nuovo, in effetti, si affidò al Tempo già scritto: la fiducia di un'azione, di un potenziale e di un'aspettativa vera e propria, chiese all'una e all'altra cosa, tacitamente, di pedinarlo come un segugio.

Si sentiva perso.

Punti Salute 249 • Punti Corpo 241 • Punti Mana 257 • Exp 40
Divinatore • Maridese Inesperto

I, II, III, IV Classe completa
V Classe Claudo/Parclaudo, Nebula Demitto, Plutonis, Stupeficium
VI Classe Perstringo
 
Top
view post Posted on 7/4/2019, 20:22
Avatar

Il Fato

Group:
Discepolo del Fato
Posts:
10,913

Status:


Era una situazione paradossale.
Era costretto a fuggire, inseguito, braccato come un cervo, da una muta di soldati, per non aver fatto nulla. Era semplicemente ridicolo che stesse capitando. Avrebbe dovuto sporgere quanto meno denuncia, ma a quanto sembrava non era nella migliore delle condizioni. Probabilmente stava addirittura scappando dai tutori della legge, una legge alquanto strana e stramba, ma ciò non toglieva che qualcosa doveva aver combinato. Dove diamine era finito? Eppire... se continuava a vedere se stesso correre tra la boscaglia era evidente che un qualche senso dovesse pur esservi. O era tutta una profezia autoavverante? Il solo fatto che vedesse di correre, era di fatto sufficiente a spingerlo a correre, in un loop atemporale che non l'avrebbe condotto a nulla? Qual era l'esito ultimo di tutta quella storia? A furia di correre sarebbe pur dovuto arrivare da qualche parte. E non sembrava che i due soldati avessero intenzione di mollare l'osso. Fortuna che erano solo due, no? Pensa cosa sarebbe successo se al posto di due fossero stati dieci, venti o cinquanta? Ma se erano due, potevano esservene degli altri. Perchè sarebbero dovuti esservi due soldati nel mezzo di un qualunque bosco, in una qualche regione remota? Facevano legna, o una semplice passeggiata? Improbabile?
E poi? Proprio mentre inventava su due piedil'ennesima storia, e volgeva lo sguardo, seguito dagli altri due, ecco che puntualmente proprio da quella direzione il rumore della boscaglia andava davvero rafforzandosi. Non erano più soli. Lo erano mai stati? Mentre il Grifondoro riprendeva la sua folle corsa, proprio dalla direzione che aveva casualmente indicato emergevano nuovi soldati, in tutto e per tutto identici ai due che l'avevano braccato sino a quel momento. Il gioco andava complicandosi, ma quale ne sarebbe poi stato l'esito? Come avrebbe fatto a cavarsela da quel momentaneo impiccio, e soprattutto come avrebbe fatto a tornare da dove era venuto?
Il nuovo tratto che aveva scelto non troppo volontariamente di percorrere offriva ora un pendio che falcata dopo falcata si faceva esponenzialmente più irto, stava risalendo un clivo, le pendici scoscese di un monte, che stadio dopo stadio si mostrava sempre più dispendioso risalire. Il fiato corto tornava a farsi strada tra un respiro e l'altro, aveva bisogno di nuovo ossigeno, una sosta, una qualche forma di pausa. Eppure alle sue spalle come una mandria imbufalita una pattuglia sempre più numerosa si era lanciata al suo inseguimento. Ancora una decina di passi affrettati, ed ecco la prima lancia sorpassarlo e conficcarsi in profondità in un tronco, che superò a sua volta solo pochi istanti dopo. Braccato come una lepre, e ora il gioco si faceva duro, evidentemente non erano più interessati a uno scambio civile di parole, volevano abbatterlo, per impedirgli di far cosa? Qual era il fine di tutto quello? Perchè un plotone di soldati era appostato in quel bosco, e perchè gli davano la caccia?
Proprio mentre raggiungeva i margini del bosco, e la boscaglia andava via via scemando, cedendo il passo a quello che era un vero e proprio monte, svettante sopra di loro, il grosso della truppa gli era ormai alle calcagna, poche yarde, ne sentiva il fiato sul collo. Quando inaspettatamente, proprio com'era destino accadesse, il piede in fallo. Un buco, il resto sembrava già scritto. Lo strappo, la caduta in avanti, su un soffice tappeto erboso, abbracciato dallo sguardo del giovane. Era tutto finito, così? Un'ombra, netta, si stagliava ora su di lui. Davanti, di pochi passi, il sole alto nel cielo alle spalle del nuovo venuto. La corsa dei suoi inseguitori che andava placandosi, sino a fermarsi. Il silenzio. Cos'era successo? Era finito, o no? Non aveva senso.
Una voce profonda, tonante si levò ironica, rompendo la tensione che era andata lentante alimentandosi di quel silenzio. Chi era?


Ebbene Temistocle?
Infastidisci i miei boschi, spaventi i miei uccelli, cacci i miei ospiti.
Quante volte dovrò ancora dirtelo? Tornate alle vostre magioni, e lasciate il Pelion.
E tu giovanotto, cosa ti spinge alle mie porte?
Ti diverti a infastidire le guardie del Re?


Il più strano e curioso degli esseri.
Si era appena imbattuto in un Centauro.
Dall'aria calma, incredibilmente vecchio, per quanto potesse dimostrarlo un rappresentante della sua razza. Un vecchio centauro. Se era iniziata nel peggiore dei modi possibili, come sarebbe finita?
Non una parola, il resto della truppa si stava lentamente ritirando.
Silenziosamente, quasi in punta di piedi. Al pari di una brigata di bambini, sorpresa nel mezzo di una marachella. E riportati all'ordine dal nonno di uno di loro. Chi era quel centauro?

 
Web  Top
view post Posted on 9/4/2019, 06:03
Avatar

Group:
Studente sotto Esame
Posts:
19,257
Location:
TARDIS

Status:


Il tepore di una stagione calda, a tratti secca, a tratti umida, perfino in quel campo infinito che la sua famiglia aveva scelto come luogo di vacanza estiva; le tempre accese di fiori in festa, mazzolini di girasoli nei dintorni, splendenti narcisi a fare da contorno; il loro profumo, spesso dolciastro, che si librava docilmente al pari delle caldarroste - una tradizione stramba di tutti loro, quella di cuocere castagne in pieno Agosto -, già scoppiettanti al bagliore di una fiammella crescente; pomeriggi di noia, vera e pura, con quella piacevole consapevolezza di un tempo che non sarebbe mai ritornato, che non sarebbe mai stato così asciutto: ricordava quello e tanto altro ancora, a distanza di anni. Non un ricordo minore, non un dettaglio compromesso: nonostante la distanza, quel passato era così vivo, forse nella revisione permeata dal suo stesso cuore, da avere concrete conseguenze su tutto il suo corpo. In visibilio, lo sguardo distratto, l'espressione altrettanto confusa, Oliver avrebbe potuto chiudere gli occhi e vederlo, lì al suo fianco. Boccoli d'oro, diceva la zia; la mano paffuta di un Guaritore in erba, il lampo di sincera aspettativa negli occhi color del mare.
«Olli, tu ci sarai sempre per me, non è vero?»
Quella domanda, la sua domanda. Un cenno del capo, immediato, di scatto; non avrebbe mai potuto rispondere diversamente, non con lui, non di certo. Il sorriso lieve, il suo migliore amico così vicino. La stretta di una mano al volo, prima del richiamo della zia - le caldarroste erano ormai pronte - a correre via, lontani, a fare in fretta. «E tu, Loras?» L'oro dei girasoli, l'ocra dei narcisi.
«Tu ci sarai sempre per me?»
«Oliver, Loras, sbrigatevi!»
A distanza di anni, lo ricordava ancora: non aveva ottenuto risposta, non l'avrebbe più ottenuta. E le caldarroste, da quel giorno, persero ogni piacere.

La corsa era viva più di ogni altra volta. Non avrebbe potuto dire di esserne a digiuno, non nella sua esperienza da Stregone, ma mai una sola volta aveva percepito quel pressante peso sul petto, fin dentro il cuore, a dare prova di poter rigettare ogni cosa da un momento all'altro. Se non si fosse fermato, in qualsiasi modo, allora ne avrebbe pagato le conseguenze nell'imminente. Al pari di quell'ultima palese consapevolezza, tuttavia, si affacciava nitidamente alla sua ragione la certezza di non poter arrestarsi, non ancora, perché l'inseguimento era appena cominciato. Lo sguardo stralunato, le gote arrossate, il respiro ormai pienamente compromesso, Oliver si ritrovò stranamente a maledire se stesso, la sua distrazione all'esame di Storia della Magia, perfino a rimpiangere l'intera situazione. Perché se da un lato ne era elettrizzato, per curiosità innata, dall'altro non avrebbe potuto esplorare quel luogo come desiderato; la speranza di fare marcia indietro, di tornare al Castello, non era mai stata così vivida come in quegli attimi. «Basta, basta Volse lo sguardo immediatamente all'indietro, di scatto, alla ricerca purtroppo evidente del gruppetto alle calcagna. Se solo avesse avuto la bacchetta magica, allora avrebbe potuto liberarsi di ognuno di loro il più in fretta possibile. Una coppia di sortilegi, la vendetta a fare da collante, il nervosismo crescente di pari passo, tutto sarebbe stato alla sua mercé. L'esplosione così preziosa nei suoi pensieri, tuttavia, lo distrasse a tal punto da non offrirgli più confini né direzioni circa la sua corsa. Procedeva, procedeva tacitamente, al suono presente di una paura che non avrebbe potuto più rinnegare. Sentiva il peso della sconfitta, dell'inadeguatezza, perfino della morte, e non riusciva ad allontanare nell'uno né l'altro. Quando capitombolò, prima ancora del dolore dall'impatto, gli fu chiara la certezza ormai ultima di essere spacciato. Quella la sua fine, quella la sua conclusione. Aveva sognato un epilogo migliore per la sua vita, perfino un epilogo eroico, a tratti funesto, a tratti magistrale. Non poteva pensare di divenire prigioniero, come un bottino di una corsa, preda di una caccia di cui non aveva informazioni. La voce di un'altra figura e i successivi momenti gli arrivarono come a rallentatore, come spettatore esterno, per un momento. Tentò di rimettersi in piedi, lo sguardo sollevato verso l'impedimento in carne ed ossa appena palesatosi. Non aveva idea di chi o cosa fosse, ma gli bastarono pochi secondi per collegare ciò che la memoria, attiva nella sua stessa infelice confusione, già custodiva. Collegamenti all'occorrenza, un pensiero a dare manforte all'altro, in successione imminente, così immediata: le prime lezioni di Storia della Magia, lo studio approfondito tra saggi e ricerche circa la mitologia greca, per cui da sempre - a partire dai racconti di suo zio Albert - nutriva passione infinita; le voci che popolavano la Foresta Proibita ai confini di Hogwarts stessa; tutto andò a rifinire una certezza: era appena capitato di fronte un Centauro. Se la schiena gli fu rapidamente attraversata da un brivido, il cuore parve seguirne l'esempio alla lettera in un crescendo vertiginoso di battiti all'impazzata, ancor più della corsa che aveva appena concluso. «I-io... Così...» Provò a pronunciarsi in spiegazioni, avrebbe voluto aggiungere una presentazione immediata, ma non aveva forza né fiato a sufficienza. Percepiva il corpo interamente indolenzito, un bruciore intenso lungo le gambe e fino alla pianta dei piedi, mentre il petto si alzava e abbassava così convulsamente. Mentre con gli occhi e il volto chiedeva tacitamente pazienza al Centauro lì di fronte, mentre si accorgeva di essere finalmente libero dalle guardie in inseguimento, Oliver ne approfittò per fare ancor più mente locale, velocemente. Non poteva dire di essere eccezionalmente informato sulla storia e sull'origine dei Centauri, e con ogni probabilità non ricordava di averne mai visti di persona, ad eccezione di alcune sporadiche immagini da manuale. Proprio tra i numerosi libri di piacere che aveva comprato per sé da BiblioMagic o che aveva ricevuto in regalo, tuttavia, si inseriva una schiera di volumi che già ripercorreva a grandi repentini tratti: Creature Mistiche, ne aveva ancora sentore, accennava allo statuto primario dei Centauri per il confronto con i Maridi, di cui Oliver aveva ben più conoscenza; alle lezioni di Storia della Magia e sulla base di quella lettura, il Caposcuola ripescò le nozioni circa l'origine antica, i richiami mitologici, la preferenza di vita in terre fertili, spesso dell'Antica Grecia, tutto da parte dei Centauri come preziosa, saggia e a tratti violenta comunità. Non aveva idea di chi gli fosse capitato, non fin quando un'altra schiera di libri - di sua lettura personale e approfondita - non fece capolino tra i suoi pensieri sconnessi. «Ch-chi-» boccheggiò ancora, mentre tentava di rimettersi in piedi. Barcollando su se stesso, Cassandra Vablatsky giunse finalmente, rosea e concreta, al suo ricordo più vivido: Svelare il Futuro, Prevedere l'Imprevedibile e un altro volume, forse non di sua penna, dal titolo Sfere infrante, tutti e tre invasero ogni riflessione più astratta del ragazzo. Temistocle, aveva chiamato il Centauro, ma non sapeva chi fosse. Ma la sua scrittrice preferita aveva accennato alle proprietà, alle potenzialità, perfino alle antiche e singolari abilità profetiche dei Centauri, in particolare riferendosi ad una figura ben rinomata, nel corso della storia umana e magica in generale. I Centauri, sottolineava Vablatsky, erano i migliori Divinatori di sempre. Oliver ritrovò fiato, equilibrio e curiosità, ma una nuova sensazione - mista a preoccupazione - si stagliava ora nitida alla sua attenzione. «Lei deve essere Chirone.»
Lo disse di getto, in un tentativo che avrebbe potuto costargli caro, ma che l'istinto - innato in un Grifondoro, avrebbe detto la vecchia buona Signora Grassa - non avrebbe potuto cancellare né fermare affatto. Chirone, il Centauro così in voga nella mitologia greca; i racconti di suo zio, i saggi circa la figura di Ulisse e gli intrecci con Apollo, nelle lezioni di Storia della Magia ad Hogwarts, inclusi la Sibilla Cumana che gli aveva aperto tutto un mondo nuovo. E soprattutto, Oliver lo sapeva, si incastrava in quella visione d'insieme la sua ossessione, più che interesse, per l'arte divinatoria. Un'ossessione cesellata da libri su libri, da ricerche e informazioni, da acquisti e tanto altro ancora, che fuorviavano un personale interesse, mutandolo fin nella sua eccezione più negativa, più drastica e più pericolosa. Sentiva la pelle ardere alla consapevolezza di essere con ogni probabilità in Grecia, nel Passato, in un'altra riflessione che si legava al Libro Incantato dell'Ufficio di Peverell, all'esperienza come suo Viaggiatore, infine ancora una volta all'aspetto più impulsivo di se stesso.
«Mi- mi chiamo Oliver.» Sporco di terra, di ciuffi d'erba, di detriti e di polvere, il Caposcuola si sistemò alla meglio: il corpo dritto, l'equilibrio lentamente sempre più ristabilito, e soprattutto lo sguardo attento, acceso di una luce propria, che gli donava vigore e forse anche onore. Lo vedeva, ora e per sempre, e ne vedeva il potenziale aiuto che il Centauro custodiva in sé. Lo vedeva, più di ogni altra Visione, in un presente che rispondeva alla sua più intima speranza di ricerca, di risposte, di informazioni ai suoi dubbi così numerosi, alle occhiaie scure che già tempravano il suo viso interamente. Abbassò il capo leggermente, in segno di rispetto. «Sono un Viandante, non appartengo a queste terre, e mi sono perso.» Sorrise, risollevando il capo. «Non ho idea di quante volte l'abbia ripetuto a me stesso, ma lo sono.» Tastò il terreno con quelle prime semplici parole, lentamente, così da capire se essere in pericolo o se per una volta, una sola volta, il Tempo lo stesse finalmente premiando.

Chiedo scusa per essere stato prolisso nella seconda parte, ma credo fortemente nel realismo di gioco, e volevo giustificare di conseguenza la mia riflessione - e la mia eventuale conoscenza - nel migliore dei modi. Tutti i riferimenti, infatti, sono ritrovabili ongdr, in scheda, ovunque per la storia di Oliver. Da parte mia, che non ne sono a digiuno, sono invece in visibilio.

Punti Salute 249 • Punti Corpo 241 • Punti Mana 257 • Exp 40
Divinatore • Maridese Inesperto

I, II, III, IV Classe completa
V Classe Claudo/Parclaudo, Nebula Demitto, Plutonis, Stupeficium
VI Classe Perstringo
 
Top
view post Posted on 13/4/2019, 09:53
Avatar

Il Fato

Group:
Discepolo del Fato
Posts:
10,913

Status:


Il tutto sembrava essere sempre più paradossale.
Non che gli attori capitati un po' per caso, un po' per destino su quel palco ci mettessero del loro per rendere il tutto più normale. Un plotone di opliti era appena uscito da una delle tre porte di scena, diretto nell'oblio, un centauro era emerso da una seconda porta, e sulla scena permaneva un Grifondoro ringalluzzito dalla piega insperata degli eventi. Che diamine stava succedendo? Cos'era destino che accadesse ancora? Cos'aveva tutto quello a minimo comun denominatore? Perchè il Grifondoro era lì? C'era di mezzo un tortuoso e cervellotico destino, o era semplicemente stata una sfortuna, forse almeno in parte cercata? E se l'aveva cercata, come se ne sarebbe cavato fuori? L'impiccio per molti versi sembrava esser sfuggito di mano, al netto del fatto che negli ultimi pochi frangenti tutto sembrava essere tornato a una quasi innaturale normalità.
Tanto improvvisamente, quanto inaspettatamente, le probabilità di finire a spiedo sopra delle braci erano drasticamente crollate, il che era comunque un passo in avanti, ma se più metaforicamente ragionando stesse per finire dalla padella, proprio nella brace, saltando lo spiedo? In fondo, i Centauri che razza di creature erano? L'avrebbero accolto a braccia aperte? Quanto era probabile? Perchè avrebbero dovuto?
Qual era il vero nocciolo duro dell'intera questione?


Per essere un viandante, capitato qui del tutto per caso, mi sembra che sappia comunque molte cose Oliver. Non trovi? Così come del resto è una storia che ho sentito ormai tante di quelle volte, che ho smesso di tenerne il conto già qualche secolo fa.

La pelle abbronzata, il pelo irsuto, la presenza imponente. Gentile la voce. Il giovane Grifondoro non arrivava che poco sopra il gomito del vecchio centauro. Un Vecchio ancora in forma, energico nei movimenti, misurato nel verbo, tranquillo, rilassato, come se in fondo avesse tutto il tempo del mondo a disposizione. Come in fondo, era. Ma se la creatura serbava del risentimento, evidentemente non ne dava segno alcuno. Erano semplici, leggere considerazioni. Una vita intera a contatto, gli aveva insegnato molto, forse troppo, della natura umana. E diversamente da altri della sua specie non provava lo stesso risentimento, nell'essere ciclicamente usato per dubbi fini. Evidentemente la questione stava altrove. Ma dove? Qual era il confine tra il lecito e l'illecito?

Vieni viandante, passeggiamo.
Cosa può fare per te, povera anima smarrita, il vecchio Chirone?
Sai già chi sono, parti avvantaggiato. Io non so nulla di te.


Una semplice considerazione.
Una scomoda verità, svelata, messa sulla pubblica piazza?
Attendibile, ma sino a quale punto? Vera, falsa? Perchè sarebbe dovuto esserla?
Cosa gli stava veramente raccontando?
Che lo stesse mettendo alla prova?
Il Vecchio era già in movimento.
Risalendo le pendici del Pelion.

 
Web  Top
view post Posted on 14/4/2019, 04:39
Avatar

Group:
Studente sotto Esame
Posts:
19,257
Location:
TARDIS

Status:


Come quando il tessuto più ispido solleticava le gote scoperte; come quando il cuscino sprimacciato non dava conforto; come quando le parole di altri visitatori, l'uno a seguire l'altro in processione, giungevano in conforto ad un'anima di per sé tranquilla, pacata, e tuttavia astratta; non era vero quello che dicevano tutti, il tempo non cancellava alcun ricordo, non li estirpava dal groviglio di pensieri: al contrario, e al massimo, ne limava i confini, ne limitava il potenziale d'assalto, e lentamente costruiva una barriera - si chiamava protezione, per molti - per rendere il dolore più sopportabile, quasi revisionato. Il maglione caldo e ruvido che stringeva tra le braccia, come un orsacchiotto infantile, era lo stesso che aveva ricevuto in dono dal papà di Loras da bambino, lo stesso che il suo migliore amico vestiva a mo' di pigiama allargato, così estremamente grande sulle sue spalle, ogni volta che dormivano insieme. Le maniche lunghe attorcigliate ai polsi, all'avambraccio destro, mentre il colletto scuro - un arancio spento - già si stringeva convulsamente alle sue piccole mani. L'incarnato pallido, la fronte quasi perennemente contratta in una ruga, un bambino reciso nel fiore della sua infanzia, un tempo incauto, l'anticipo di un cuore spezzato. «Dorme soltanto, Dottore. Non credo sia un bene, non è così?» Sentiva voci disperse, come in lontananza, e nel dormiveglia che lo custodiva attivamente, Oliver non poteva annullare ogni altra concentrazione. Si lasciò andare all'ascolto, più attentamente, mentre sua madre ancora si esprimeva al Medimago di circostanza con tono preoccupato. «Di solito non si reagisce in modo contrario ad un trauma simile?» Così l'aveva chiamato, come un episodio da poco, un incidente di percorso; come quando suo padre incontrava una Creatura un po' più pericolosa al Dipartimento Magico in cui lavorava, come se un temporale fosse stato già anticipato nel suo arrivo più drastico. Trauma. Quella parola ricompariva di tanto in tanto nei suoi ricordi, anche a distanza di anni. «Dorme soltanto, Dottore.»
Aveva dormito così tanto da perderne il sonno, di lì in futuro. Da quel giorno, come una pena da scontare, l'Insonnia lo aveva raggiunto, lo aveva attirato, infine sconfitto.
Dormiva, diceva la mamma. Dormiva, dormiva sempre.
Bambino mio, svegliati.


Le occhiaie scure che gli solcavano il viso andavano giorno dopo giorno crescendo: un battito di ciglia, la speranza di vederle scomparire all'improvviso, così invece si affacciava all'occorrenza la consapevolezza di non avere carte in suo gioco per cambiarne l'esito. Il suo aspetto non era cambiato, non drasticamente perlomeno, ma quell'aurea un po' spenta, quasi malaticcia, lo aveva reso agli occhi del prossimo uno spirito poco vivace, non come una volta, e di sicuro dannato. Di tanto in tanto, allo specchio incantato del suo dormitorio, il Caposcuola sospendeva quella parola - dannato - a fior di labbra, come a trattenerla per un istante più del dovuto; una delle sue concasate l'aveva usata per prima, lanciandola contro al pari di un sortilegio, e lì era piombata, sul suo volto, ad incatenarne l'esito già scritto di uno stato psicofisico ormai compromesso. Da quando l'Insonnia si era rafforzata, di conseguenza Oliver percepiva il piano astratto, temporale, a lui conosciuto, quasi farsi strada - breccia dopo breccia - nella sua vita e in ogni sua parte; come favorito dal suo sentirsi in frantumi, dal poco controllo che riversava sul proprio corpo sempre più martire, il dono della Vista si espandeva, si amalgamava, infine sfumava in ogni suo punto. Alla vicinanza del Centauro incontrato, per la prima volta da quando quella folle avventura aveva preso piede, Oliver si chiese se la schiera di conseguenze vissute non dipendesse affatto da una casualità maestra, ma da un esito ben destinato, ben delineato, del tutto personale. La storia poteva giungere in soccorso del prossimo, aveva letto da qualche parte, e si chiese se non fosse giunto il proprio, di soccorso. «Per me è un grande onore, Chirone.»
Non peccò una sola volta di indifferenza né di mancato rispetto, mentre il tono di voce acquisiva quell'equilibrio rinnovato da quando la corsa si era conclusa. La gentilezza era parte integrante del suo carattere e mai, a dispetto dei suoi momenti peggiori, il Veggente aveva voluto né saputo rinunciarvi. Inoltre, avrebbe dovuto ammetterlo, la propria mente stava macinando più pensieri del solito, alla rinfusa e allo sbaraglio come mai prima di allora, alla ricerca di un collegamento vero e proprio, così come di un epilogo che non lo vedesse disperso in quelle lande per l'eternità. Ne apprezzava la fortuita occasione, ancora dubitava di chi potesse aver azionato il Libro dell'Ufficio del Preside, e soprattutto si chiedeva chi fosse la figura che aveva incontrato in principio, alla porta delle stanze di Peverell. Se fosse stato proprio quell'uomo a spingerlo altrove, in un tuffo nel Passato? Antica Grecia, Pelion: aveva ascoltato le parole della Creatura al suo fianco e le aveva rese proprie, in un ragionamento che non una sola volta si stava spegnendo. «Non abito qui e forse sembrerei folle a dire di non sapere per bene perché ci sia arrivato.» Sovrappensiero, ripeté in parte quella stessa frase di poco prima; si accorse un secondo in ritardo, inoltre, di aver insistito sul motivo della sua visita e non sulla maniera, sul come fosse effettivamente giunto in quel regno; una parte segreta di sé, intima e forte, si impegnava di volta in volta a costruire una riflessione a discapito di ogni suo dubbio e di ogni quesito tuttora irrisolto. La curiosità lo stava consumando, ma si accendeva di continuo la speranza di non essere lì a vuoto, di avere finalmente incontrato qualcuno - forse l'unico - capace di offrirgli risposte concrete. I Centauri, aveva letto nei volumi descrittivi di Vlabatsky, custodivano una profonda conoscenza dell'arte mantica. Il rischio, si disse, era il sacrificio di mettersi a nudo, di esprimersi, di rivelarsi ad un perfetto sconosciuto. Perché nonostante avesse intravisto la figura di Chirone di tanto in tanto nei libri acquisiti, di lui non c'era - nella propria mente - che un quadro generico, anche troppo per alcuni versi. «Credo.» Si fermò di scatto, trattenendo involontariamente per un attimo il respiro; mantenendo il passo accanto al Centauro, rivolse lo sguardo verso il basso, alla terra di un sentiero mai percorso prima né dopo. «Credo di essere qui per una ragione e credo che averla incontrata sia per me la risposta ad ogni mio dubbio, presente o futuro che sia.» Sollevò di poco lo sguardo, a cercare cautamente - aveva quasi paura di chiudere gli occhi e di tornare all'origine, ma proprio in quel momento non avrebbe voluto - il volto dell'altro. Difficile per l'altezza diversa che dimostravano, Oliver si accontentò del gomito del Centauro. Ancora una volta, non poté fare a meno di sentire il cuore battere forte, in parte per la corsa ancora da recuperare, in parte perché - dannazione - aveva incontrato non un Centauro, ma il Centauro per antonomasia. Un lungo brivido di adrenalina pura, così come di vera emozione, riscosse totalmente la sua concentrazione.
«Ho un dono, Chirone. Un dono dal potenziale infinito, ma che non sono capace né di comprendere né di sfruttare. Un dono che non ha tempo, perché di tempo costituito.»
Il respiro trattenuto, le mani pizzicate da una scarica energica, procedeva così il Viandante e per la prima volta ne fu contento, non si sentì affatto solitario. Mentre avanzava, si affacciò nitida alla mente un'ultima riflessione: le Visioni sembravano essersi fermate, per un attimo. Si chiese se anche quella consapevolezza avesse avuto un significato.

Punti Salute 249 • Punti Corpo 241 • Punti Mana 257 • Exp 40
Divinatore • Maridese Inesperto

I, II, III, IV Classe completa
V Classe Claudo/Parclaudo, Nebula Demitto, Plutonis, Stupeficium
VI Classe Perstringo
 
Top
view post Posted on 14/4/2019, 10:31
Avatar

Il Fato

Group:
Discepolo del Fato
Posts:
10,913

Status:


Il tutto a ben vedere stava assumendo i tratti nitidi del ridicolo.
Un viandante del tempo che si era smarrito, cercava ora chiarimenti circa il futuro, interrogando il passato. Un passato che più remoto non si poteva. Per certi versi era tornata all'origine di tutto. Qualcosa che la contemporaneità aveva sempre bollato, con la leggerezza che la contraddistingueva da secoli, quale superstizione. Sciocche inutili superstizioni figlie dell'ignoranza. Una leggerezza che era finita con il fraintendere alla base un intero modo di vivere, un mondo. Pur poggiando sulle spalle dei giganti, ormai si era andato perdendo quel rispetto che per lungo tempo aveva rivestito d'un aureo manto quei graziosi progenitori che tutto avevano permesso. Le premesse che avevano reso possibile l'era moderna, che ne rimaneva le dimentiche fondamenta, erano snobbate, viste con supponenza, sufficienza e alterigia. Ma cosa c'era stato prima di loro? Erano finiti maleducatamente con l'essere sulle spalle di qualcuno che disprezzavano, ignorandolo, la riconoscenza che per lungo tempo era stata il sale di intere epoche era lasciata fuori dalla porta, incatenata nel cortile, in mezzo al fango e alla sporcizia.
Sciocche superstizioni. Un mondo d'ignoranti.
Ecco cos'erano, nulla di più.
Perchè ricordarli?
Procedevano tranquillamente, or congiunti or disciolti, tra un cespuglio, un masso, un fosso. Di tanto un tacito silenzio accoglieva le affermazioni del Giovane, altrimenti un solare borbottio, accompagnato da un cenno del capo. Tutto proseguiva com'era stato scritto. I colpi di scena se l'erano lasciati alle spalle. Cosa sarebbe seguito? Cos'era destino che accadesse? Minuto dopo minuto sembrava che anche 'al resto' fosse infine stato ingiunto di placarsi, quietarsi. Dopo un'attività eruttiva durata per un'intera mattinata, una forse due ore, una tempesta di imprevisti, era infine tornata la pace. Come se nulla fosse mai successo. Eppure, la conferma era lì, davanti a lui, un'insistente conferma che trovava concretezza passo dopo passo, dettaglio dopo dettaglio. Tutto parlava di materiali conferme, la solinga farfalla che sbatteva placidamente le ali in alto, avanti sulla destra del sentiero, lo scoiattolo che scompariva e altrettanto casualmente riappariva nell'erba, il vento che imperioso stormiva sulle fronde della foresta alle loro spalle. Il silenzio che li avvolgeva, rotto e remoto, presente ma distante. Di che conferme aveva bisogno? Cos'andava cercando il Grifondoro?


Splendido!
Semplicemente splendido!
Non ho dubbi che sia un grande onore, lo è per tutti, e se anche così non fosse nessuno ha mai osato ammettere fosse il contrario. Del resto, non si può certo affermare che imponga la mia presenza ad altri, per quanto è anche vero il contrario, non si può che convenire che in molti m'impongano la loro, di presenza. Ma è vero, non abiti qui, non sei di questa terra, ma in fondo non lo siamo forse tutti? Siamo solo di passaggio in questo mondo, imponiamo la nostra presenza, sbattendo i piedi e... poi? Che altro? Le vie della Tuke sanno essere imprevedibili, ben oltre la nostra comprensione. A cosa rispondono, in fondo?


Allegro, ironico, se non propriamente spiritoso.
Vecchio, forse anche fatalista. In più d'un senso. Ma come sarebbe potuto non esserlo? Chirone, il tutto stava assumendo delle sfumature del tutto impreviste, oltre che imprevedibili. Che ci faceva alla corte del più saggio dei Centauri? Una razza la cui epoca era tramontata ormai da tempo, creature forse in via d'estinzione. Che fine aveva fatto, poi? Quanto meno sembrava essere vissuto, il che per certi versi era già qualcosa. Una conferma in più rispetto a quanto fosse ragionevole sperare.


Eppure continua a essere splendido!
Mi sono sempre piaciuti i giovani talentuosi.
Tutti abbiamo un dono, alcuni più d'uno, ma così va il mondo. Inutile compatirsi, no? Alcuni sprecano i loro doni, altri sono inconsapevoli di quale sia il loro, altri addirittura li conoscono. Sei molto fortunato, in più affermi di sapere il perchè sei qui. Una serie di fortunate coincidenze, dunque. Tutto sembra essere nato sotto la migliore delle stelle. Che possa esserti d'aiuto nel tuo ingrato mestiere? Come avrai ormai imparato a tue spese è un dono ingrato, le cui ancelle sono disincanto e perspicacia. La capacità di vedere oltre, guardare lontano. Ma questo già lo sai, voglio ben credere.


Sorprendentemente tutto sembrava filar liscio.
La stagione delle interminabili campestri era ormai alle spalle.
E poi il centauro si fermò. Senza apparente bisogno, nel mezzo del sentiero.
In assenza di un qualche ostacolo, di un'apparente ragione. Perchè si era fermato?


Ma dimmi, giovane fortunato.
In cosa potrei mai esserti utile? Temo di non aver mai avuto uno spiccato talento per la cetra. Non so proprio cosa potrei darti, per quanto mi lusinghi la visita di un altro... poeta.


Poeta?
Che c'entrava il poeta?
Il giovane Grifondoro era forse un poeta?
Un dono che non ha tempo, che non lo teme.
Anzi, che n'era l'essenza. Cos'altro, meglio della Poesia?

 
Web  Top
view post Posted on 14/4/2019, 11:49
Avatar

Group:
Studente sotto Esame
Posts:
19,257
Location:
TARDIS

Status:


Alla fine, con il trascorrere dei giorni più lenti di sempre, aveva saputo svegliarsi. Un occhio dopo l'altro, prima il destro e poi il sinistro, come se entrambi ancora incastrati nel tepore di un dormiveglia senza inizio, senza fine. Ricordava i suoi genitori, sua madre in particolare, e le loro carezze, e i loro baci, e i loro abbracci. Ad ogni manifestazione d'affetto, ricordava a sua volta la diffidenza del proprio sguardo, il nervosismo crescente, ormai sottopelle, e quell'incessante pizzicore che bruciava le mani, i palmi aperti, perfino tutti i polpastrelli delle dita. Aveva sentito il crescente desiderio di annullarsi, di sparire, come quando a nascondino Loras non sapeva più cercarlo, non aveva modo di trovarlo. Era stato bravo, un tempo, a nascondersi. Un tempo, era stato molte altre cose. «Mamma, io vorrei stare da solo.»
Il braccio che scivolava lungo il divano, il cucciolo di Crup che si infilava sotto le coperte, tra i cuscini, felicemente convinto di poter tornare a giocare come una volta. Il respiro trattenuto, uno starnuto subito dopo: Oliver non voleva nessuno di loro, neanche la Creatura che abitava quelle mura. Voleva Loras, lui non c'era.
«Per favore, mamma.» Le sue parole, una dopo l'altra.
Le ricordava ancora. Non una sola volta le avrebbe dimenticate.
«Per favore, andate via

Cercò in tutti i modi di stare al passo: velocemente, senza perdere una sola parola pronunciata dal Centauro, con quell'intima certezza - quasi speranza, per alcuni versi - di sentire di lì a breve la soluzione ad ogni suo problema, la risposta ad ogni suo dubbio. Tuttavia, lo sapeva, la sua mancata dimestichezza con un discorso ben più chiaro, anche più fluido, non stava vertendo a suo favore. Si frapposero altri quesiti irrisolti, nuove frasi che andavano ad adempiere un compito per il quale non erano state chiamate: la Confusione, imminente e immane, si ergeva come regina solitaria. La osservava, intensamente, e non senza profonda attenzione: invano, ne era consapevole, si espandeva lungo tutto il corpo, fin nella mente, fin nel proprio cuore. Trattenne ancora una volta il respiro per qualche istante, procedendo accanto allo storico Maestro. Le sue spiegazioni brillavano alla curiosità innata, e sempre crescente, dello Stregone che lo seguiva; e di gran lunga si focalizzava pienamente un'emozione che non aveva paragoni né precedenti: era lì, nel passato, in un'epoca che non poteva dire di conoscere a menadito, e con lui c'era Chirone, il Centauro tra i Centauri. Aveva letto a sufficienza, tra vari volumi, per carpirne l'aurea saggia e particolarmente preziosa della comunità in cui si era imbattuto, anche se in esempio singolo, ma allo stesso modo aveva acquisito personale conoscenza - soprattutto tramite le voci di passaggio, al Castello di Hogwarts - circa il repentino nervosismo, così come la conseguente violenza, che caratterizzavano quelle Creature. Fin dove poteva spingersi, fin dove avrebbe voluto spingersi, l'una e l'altra domanda restavano tuttora aperte. Ma Oliver comprendeva la gentilezza nel tono e nel portamento di Chirone, nel suo discorso, nell'articolazione di quelle frasi che non era capace, non ancora, di comprendere nella loro totalità come avrebbe assolutamente desiderato. Accennava al Destino, al Fato, a chissà quale altra entità, e l'una e l'altra sfumavano alla necessaria considerazione che già albergava tra i pensieri del Veggente. Si palesò così, con i dovuti validi preamboli, la certezza di parlare chiaramente, a voce onesta, e forse - si augurò - senza timore alcuno. Le conseguenze della sua più intima rivelazione, l'aveva purtroppo già assodato, non erano sempre piacevoli né positive come immaginato.
«Lei mi affascina, Chirone.» Commentò in quel modo la fine del discorso dell'altro: avrebbe voluto e potuto dire molto di più, ma fu semplice, netta, al pari di una confessione, l'unica cosa che si lasciò scappare. Lo sguardo brillava di una luce nuova, che già andava a liberare il volto dalle morse e di occhiaie e di stanchezza: la prova di forza cui era stato sottoposto fin dal mattino, tutto sommato, scemava lentamente. C'era curiosità, c'era rispetto, c'era orgoglio nel suo sguardo: agli occhi di chiunque, e con sua speranza dello stesso Centauro, il pregio di quell'incontro e la sua riconoscenza si palesavano di pari entità dal visibilio del ragazzo. Sorrise, genuinamente. «Vorrei essere un poeta, tra le altre cose, ma non intendevo questo prima e chiedo scusa per essere ancora così vago.» Si fermò a sua volta, un attimo in ritardo rispetto all'altro, e fu per lui tanto evidente quella pausa, quasi necessaria per il prosieguo del dialogo, da non porsi dubbi al riguardo e da sollevare l'attenzione semplicemente sul viso del Maestro. «Non ne faccio mai parola, non facilmente, perché la fiducia è cosa rara e il pericolo, per me, per quello che sono... il pericolo è dietro ogni battito di ciglia.» Sospirò brevemente, riprendendo così subito. «Oltre ad essere un dono, Chirone, il mio talento è un'eredità che si manifesta come una maledizione. La capacità di andare oltre, per l'appunto, anche quando non lo richiedo, anche quando non lo desidero. Io vedo cose che non potrei vedere: manifestazioni, perdite, sconfitte e vittorie, speranze, intrecci. Mi sussurrano segreti, mi spingono altrove, non ho equilibrio. Vedo volti che nessun altro conosce, vedo soluzioni, trame, ostacoli in successione.» Non si accorse della fronte corrucciata, del tepore crescente, delle gote arrossate. Correva, in quel discorso. Per la prima volta libero, per la prima volta sincero. Correva, senza fermarsi. Il tono fu scandito, forte, profondo da lì in poi. «Vedo il Tempo in ogni sua forma. Non ha distinzione, è una catena di eventi, e sono miei, sono sempre miei! Parlano di noi, Chirone. Parlano di noi: libri, testi, autori, anche poeti, e nessuno di loro sa come chiamarci. Come l'Osservatore, come il Viaggiatore o il Viandante, hanno così tanti nomi, così belle definizioni fatte e finite.» Sollevò le mani, entrambe, lo sguardo più confuso, e le tenne in sospeso davanti a sé come a reggere il peso dell'Infinito. «Veggente, questa la parola. Colui che non ha confini, colui che non ha ordine. Io lo cerco, il mio ordine. L'arte mantica è il mio dono e la mia maledizione, Chirone. Io vedo il Futuro e non posso comandarlo.» Un sorriso ancora, mesto e sicuro, su quel volto ormai senza catene, senza più vincoli: su quel volto spezzato. Chiuse le mani, l'una contro l'altra, a darsi appoggio, a pretendere l'equilibrio di cui ancora era privo.
«Sono impotente, Maestro, con tutto questo mio potere.»

Punti Salute 249 • Punti Corpo 241 • Punti Mana 257 • Exp 40
Divinatore • Maridese Inesperto

I, II, III, IV Classe completa
V Classe Claudo/Parclaudo, Nebula Demitto, Plutonis, Stupeficium
VI Classe Perstringo
 
Top
view post Posted on 23/6/2019, 12:11
Avatar

Il Fato

Group:
Discepolo del Fato
Posts:
10,913

Status:


Proseguivano lentamente lungo il sentiero, risalendo i dolci declivi del monte, tanto agognato, quanto insidioso. Quanto gli era costato arrivare sin lì? Quanto si era dimostrato difficile? Ma allo stesso tempo quanto era risultato il tutto inaspettato? Sino a poche ore prima era chino su una pergamena, in occasione di un esame, una pergamena che con il senno di poi poteva essere stata tranquillamente persa o smarrita in un bosco. Chi ci avrebbe mai creduto? Avrebbero appeso lo scalpo di quello sciagurato Caposcuola fuori dalla Torre di Astronomia? Sarebbe stata quella la sua sorte, in barba a vaticini, profezie, e oscure visioni? Eppure quelli erano per il momento tutti problemi che potevano attendere. Quando ancora gli sarebbe capitato di imbattersi del tutto casualmente in un Centauro? E che Centauro, il Padre nobile dell'intera progenie, a casa sua, o comunque molto vicini. Che fosse l'aria particolarmente salubre? Che fosse quella a ispirare saggezza? Era così semplice? Poteva dunque essere letteralmente imbottigliata?
E poi l'inizio di quella che man mano assumeva i contorni di una lunga, complessa, pindarica confessione. Del resto, pur temendone il giudizio, quanto è più semplice confessarsi con un perfetto sconosciuto, che non il migliore degli amici? Per quanto temuto sarebbe sempre rimasto il semplice giudizio di un perfetto sconosciuto. Sarebbe stato sicuramente più sincero che qualunque altro, il meno viziato da qualunque bias, ma ciò nonostante più facilmente gestibile, al riparo da eventuali troppo pubblici scivoloni. Qualunque cosa avesse pensato lo sconosciuto, se non fosse stata particolarmente gradita, sarebbe anche stata l'ultima volta in cui si sarebbero incontrati. Era dunque lecito sparare sulla Croce rossa? Forse non del tutto, ma era un rischio che poteva essere corso, a cuor leggero.
Da lì, parola dopo parola, il resto era una semplice conseguenza della precedente. Un'armoniosa melodia di ovvietà, confessioni, mezze verità, pecualiarità che in così tanto tempo erano andate ignaramente stratificandosi, addensandosi come una melma sul fondale di un calle, e che infine era tempo di rimestare con l'aiuto di... un perfetto sconosciuto. Chi meglio? In più, un perfetto sconosciuto sufficientemente noto da ispirare quel minimo di fiducioso trasporto, a che il tutto non assumesse i connotati di un mezzo ridicolo, e un mezzo grottesco. Se in fondo quel passo doveva essere fatto, perchè era consapevole dovesse, che almeno avesse apparentemente la sembianza di una qualche serietà. Il resto erano chiacchiere, piacevoli, leggere, pesanti, scomode, ma pur sempre chiacchiere. Stava facendo un passo, di cui per tanto tempo ne aveva maturato la doverosa necessità. E ora che lo stava facendo al terrore andava mischiandosi il piacere, l'irrazionale voglia di vuotare il prima possibile il sacco, prima che scattasse un contromovimento di razionale ritrosia. Era razionalmente necessaria cedere all'irrazionalità, e portare il tutto a compimento, prima che quella stessa razionalità che a tanto l'aveva spinto agisse da freno, arrestando la valanga, arginandola, riconducendo il tutto entro gli argini, in nulla di più di una apposita marcita, che generosa l'avrebbe accolta con un caldo abbraccio. Per gettarsi dalla scogliera era indispensabile l'impossibilità di ripensarci a metà dell'operazione, pena il fallimento.
Un sorriso, leggero, spontaneo, solcava i tratti vetusti del vecchio Centauro.


Ah! Il pericolo, un compagno tanto insidioso, quanto affascinante. E dimmi giovane Poeta, in che misura ti sottrarresti da questo grande nemico celando e negando l'ovvio? Per quanto tu possa negare, e tentare di nascondere ciò che sei, in una qualche minima forma sei in grado di cambiare la tua natura? Se io da domani iniziassi a presentarmi quale Re dei Tritoni, indiscusso discendente del Poseidone di Capo artemisio, mi crederesti? Certo, per semplice educazione potresti assecondare le mie parole con un buon grado di condiscendenza, al pari di un Ateniese che voglia spacciarsi per Spartano, ma di fatto oltre a sapere che sto mentendo, cosa penseresti di me?

Di sasso, in cespuglio, cos'era cambiato? Il cammino sembrava farsi più difficolto, la salita più irta, il terreno più sconnesso, per quanto almeno in apparenza nulla fosse cambiato. Cosa stava zavorrando il giovane Grifondoro? La baldanza di pochi attimi prima era già scomparsa? Sciolta come neve al sole? E cosa rendeva tanto di buon umore il suo anziano interlocutore? Quella infantile sensazione di rivalsa? Era tutta lì la risposta? Quanto scomoda si sarebbe potuta rivelare quella conversazione? Quanto sarebbe invece stato pesante il giudizio di quello stesso perfetto sconosciuto che per tanto tempo si era andato cercando? Quanto ingeneroso sarebbe potuto essere il giudizio di qualcuno che avrebbe valutato in assenza di pregiudizi pur negativi che positivi che potessero essere? Un dito, una mano, un cenno, di cosa potevano essere latori? Erano tutte verità, per quanto scomode potessero essere, o semplicemente constatazioni? Chi aveva in mano la verità? Esisteva?

E se muovessi da presupposti sbagliati? Hai mai verificato le premesse alla base di quello che è evidentemente un sillogismo? Hai un dono, e posso crederci, puoi guardare nel Tempo, puoi scegliere se farlo consapevolmente, o non farlo, ma quanto è limitato questo dono? Quali sono i suoi limiti? Quali i suoi punti di forza? Puoi davvero ignorarli? Appurato tutto questo, come può essere tale pur limitata conoscenza una maledizione? Hai uno strumento, che di per sè non è nè positivo, nè negativo, come potrebbe essere la vista, l'udito, l'olfatto. Vedere un omicidio cos'è? Ad essere maledetto è l'atto, o l'occhio che lo vede? Se il principio del tuo male, fossi tu stesso? Quanto ti sorprenderebbe?

Quanto inaspettatamente era già diventato sdrucciolevole il piano?
Quanto positivo era stato imbarcarsi in quell'avventura? Una verità poteva essere tanto necessaria, quanto scomoda, ma in fondo chi diceva che quella fosse una verità? Quanto di vero si celava tra una domanda, e l'altra? Tra una considerazione ovvia, e quello che sotto ogni aspetto poteva anche essere un semplice sproloquio? Poteva essere Chirone considerato il più saggio dei Centauri, per il semplice fatto che nessuno avesse mai cercato di capire cosa davvero dicesse? Nessuno si era mai dato pena di snidare il tarlo del dubbio da quel complesso e complicato fraseggio, quel folle grandinare di domande, quel rapido succedersi di Tis, Gar, Pros, uno più scomodo dell'altro, seguiti da altrettanto insidiosi Men, De, Alla. Una lingua complessa, che non facilitava certo una qualche certezza, tutto era nebuloso schermato da un ottativo, un An, un De passato sottotraccia. Un semplice incubo, che era meglio non destare. E quanto era consapevole di quella sua forza il Centauro?


Eppure su tutto questo pesa una grande incognita. Anche il più potente dei Divinatori e dei Profeti non vede tutto, ma solo una parte. Il che ci condanna, in questo caso davvero, a una serie di relativizzazione rispetto a quanto abbiamo visto. Potresti vedermi gettare qualcuno da una scogliera, scagliare una lancia e colpire un cervo, ma se non sai cos'è venuto prima, e cosa è stato dopo quanto ha valenza questa sola informazione? Farebbe automaticamente di me un assassino, o uno spietato cacciatore? E ciò che non vedi, perchè non lo vedi? Controlli il tempo, o sei controllato dal Tempo? Sei la Causa o l'Effetto in questo grande gioco? Vedi davvero il Futuro?

Una scomoda conclusione.
Vedevano davvero un'univoca forma di Futuro?
O semplicemente un futuro? Qual era il dominio di un Veggente?

 
Web  Top
view post Posted on 17/7/2019, 10:28
Avatar

Group:
Studente sotto Esame
Posts:
19,257
Location:
TARDIS

Status:


Aveva le mani sporche di arancio. In modo indistinto, senza un ordine che potesse dirsi tale, quasi a macchie; l'una accanto all'altra, in successione repentina, senza ripristino. Più serrava a pugno entrambi i palmi aperti, più si disperdeva quel colorito confuso, e l'arancio mutava in ocra, poi in giallo, poi in marrone, infine in tenue tempra scura, più della notte. Si dissipava un profumo intenso, un inno al primo pomeriggio, in un luogo che di inizio non aveva nulla. Il cimitero era così silenzioso, interrotto soltanto dai canti di rondini lontane, e l'aria sembrava sul punto di vibrare per la pioggia imminente. Splendeva il sole, in alto, nei cieli azzurri. Per Oliver pioveva, già pioveva, e aveva obbligato sua madre a portare con sé l'ombrello più grande di casa. Al suo diniego - «c'è un sole che spacca le pietre, bambino mio» -, Oliver ne aveva recuperato uno incantato, dal giardino di zio Albert. Una sottile carezza sul tessuto color panna dell'artefatto e si era ridotto in pillola, tanto piccola da entrare in tasca: al momento opportuno, alla tempesta vicina, lui sarebbe stato il solo a non prendere neanche una goccia. Più rimuginava circa quei pensieri, più lo sguardo si adombrava. Ogni pretesto - perfino l'acqua piovana - era buono per non volgere lo sguardo verso il basso. Ma quando Louise giunse alla sua postazione, tra le mani una brocca già colma, tutto acquisì un nuovo senso. Era lì, sua mamma era presente, e la pietosa scena di cui si era reso protagonista e spettatore era appena conclusa. Aprì le mani sulla tomba ai suoi piedi, in un passo indietro tanto vertiginoso da far inciampare sul terriccio bagnato. Sporche di oro, le dita si districarono dagli ultimi petali di calendula. La corolla era stata distrutta da una presa tanto forte da non ammettere salvezza. Si volse indietro, verso la mamma. Quando fu preso in braccio, Oliver continuò a non dire una parola. Poggiò il capo sulla spalla del genitore, il profumo di cipressi tutto intorno che ancora gli dava fastidio, fin nello stomaco. Senza guardare il riposo eterno della persona a lui più cara, si ritirò ancora. Di nuovo, come ogni domenica. Si chiese quanto a lungo quella storia sarebbe stata ripetuta. Da parte propria, lo sapeva, si era già consumato.

Non avrebbe saputo spiegarsi, non avrebbe saputo chiarirlo neanche a se stesso, ma più procedeva verso il sentiero scosceso, più si cristallizzava un certo ordine tra le sue riflessioni più disparate. Era come se l'intera stanchezza di quel percorso stesse offrendo frutti maturi, mutando di volta in volta in una visione d'insieme più delineata. Aveva anche notato, mentre la sua resistenza vinceva il sentiero, di non essere da un po' in balia del tempo, dei suoi assalti, delle sue prese di coscienza. Attivo, intero, sinceramente presente, in quella consapevolezza si inseriva tutta una schiera di supposizioni. Come intimorito da una sfortuna imminente, da un ulteriore distacco, Oliver si affiancò maggiormente - un altro passo - al Centauro. Notava la sfumatura della sua voce, il suo tono sicuro e pieno, la sua compostezza, e tanto altro ancora. Tutto custodiva un potenziale infinito, una saggezza che a tratti lo colpiva, a tratti lo spaventava, a tratti lo confondeva per davvero. Per più aspetti, lo sapeva, il Veggente non poteva che concordare con la Creatura. Le poche nozioni che aveva guadagnato al riguardo, circa la stirpe dei Centauri e il rinomato Chirone, tutto in quel senso favoriva una costante in quel dialogo, in quel rispetto, in quella attenzione senza precedenti da parte propria. Tuttavia, c'era qualcosa di più. Qualcosa che non comprendeva, non ancora, e che bruciava già sottopelle. Si schiarì la voce, aprì bocca, ma la richiuse l'attimo successivo. Non aveva ancora modo di formulare la sua risposta, la conversazione si infittiva al pari dei suoi dubbi, ma c'era un nesso tra tutto, un nesso tra tutti. Lo percepiva, lo vedeva, lo inseguiva. Scalciò un sassolino dal sentiero, un colpo secco di scarpa, mentre la fronte si imperlava di terriccio, polvere e foglie. Anche i profumi, lì intorno, acquisivano nuova intensità, stranamente. «Ciò che non vedo, Chirone.» Si fermò ad un tratto, le mani tremanti. «Perché non lo vedo?» Ripeté la stessa domanda - forse indiretta, forse fiera come una freccia appena scoccata - che aveva appena ascoltato, procedendo nuovamente. Non si era posto neanche una volta la domanda circa dove fossero diretti, quale meta potesse o meno esistere tra di loro. Aver incontrato il Centauro anticipava e annullava ogni altra cosa, e andava bene così. Il Presente, per lui, non era mai stato così prezioso, nella sua solitudine. «Proprio questo è il punto. Sono consapevole di avere un dono. O una maledizione, dipende dai punti. Allo stato attuale, è tutto in stasi, è tutto un confine. Un passo avanti e diventa causa, un passo indietro e diventa effetto. Mi piace immaginarmi come un Osservatore, neutrale nella maniera più consona possibile, eppure.» Stirò la bocca, passando sotto un ramo e riprendendo subito con più veemenza. «Non voglio esserlo. Io non voglio essere neutrale, non voglio essere solo un passante, uno spettatore qualsiasi. Questo intendo, Maestro, questo è il mio cruccio, questa la mia condanna. Se esistesse un modo, un modo qualsiasi, per avere più controllo, più destrezza, più sicurezza circa quello che sono, allora potrei scegliere. Potrei avere movimento, libertà d'azione, capire con più chiarezza se quello che vedo sia il prima o il dopo di un'azione, carpire più dettagli, così da non essere preda dell'incertezza. O della confusione, il più delle volte.» Aveva colto il punto delle parole del Centauro, e per un attimo si ritrovò immerso in una stanza piena, fiocamente illuminata, con un braciere spento al suo centro. L'amuleto runico scintillava al chiarore delle torce tutto intorno, attaccate alle pareti, mentre la Stanza delle Necessità accoglieva i suoi adepti. Sirius, il suo mentore. La bacchetta che vibrava ad un sortilegio così simile all'ardemonio, il fuoco imperituro, infine l'oro che si scioglieva come al disgelo di una prigionia senza più serrature. Controlla il tuo potere, Oliver. Ricordava le sue parole, l'amico che stringeva il suo braccio, il confine tra il bene e il male. Cosa scegli di essere, come scegli di essere. «La Vista non è mai un peccato.»
Lo disse con serietà, in un sussulto, mentre gli occhi sfumavano alla memoria e ripristinavano le correnti del momento. «Ma è quello che si decide di fare o non fare, subito dopo, ad esserlo. La diffidenza, il silenzio, il nascondiglio, la fuga stessa del tempo, questo mi spaventa. Non la Conoscenza, ma il suo dissiparsi, il suo frantumarsi. Perché ogni parola che non pronuncio, quando necessario e per chi necessario, diventa atto di codardia, di porre il bene proprio a quello del prossimo. Io mi proteggo, Chirone, con il mio silenzio. E mi fa schifo.»
Il petto iniziò ad alzarsi e abbassarsi alla spinta di un respiro forzato, compromesso dalla salita e dalla sensazione più antica di un risveglio empatico, totale, intenso. «Mi disgusta, Maestro. Mi disgusta la mia negligenza, perché ci sono trame già scritte o che potrebbero essere scritte, e il solo tacere assume i tratti di una colpa. Se vedessi un uomo gettarsi da una scogliera, potrei essere confuso: è un atto di vigliaccheria, così da porre fine a se stessi, oppure di salvezza verso qualcuno? E se quel qualcuno fosse in pericolo e la visione dovesse necessariamente concretizzarsi, altrimenti quel qualcuno - proprio lui - morirebbe.» Prese fiato, una boccata veloce. «Allora dove si inserisce il mio intervento? Come dovrei reagire? Al confine di un'eventualità, dovrei fare qualcosa. Perché è un rischio, lo è sempre, ma almeno è giù qualcosa.» Si passò la mano sulla fronte, portando indietro un ciuffo di capelli disordinati. Quando riprese, il tono fu più pacato. «Mi dica come posso controllarmi, Chirone, mi aiuti a trovare ordine in tutto questo disordine. Prima ha parlato al plurale, ha detto che tutto questo ci condanna. Ma se sono qui, se ho avuto il privilegio di incontrarla.» Si piegò di lato, la figura imponente del Centauro al suo fianco, a ricercare il suo sguardo. «Allora c'è una trama ancora da scoprire.» Formulò la richiesta d'aiuto. Un equilibrio, quello era tutto ciò che cercava. Come una corolla di petali d'oro, come una calendula non più recisa. Come un Veggente, non più spezzato.

Punti Salute 249 • Punti Corpo 241 • Punti Mana 257 • Exp 40
Divinatore • Maridese Inesperto

I, II, III, IV Classe completa
V Classe Claudo/Parclaudo, Nebula Demitto, Plutonis, Stupeficium
VI Classe Perstringo
 
Top
35 replies since 20/6/2018, 15:32   678 views
  Share