Il tepore di una stagione calda, a tratti secca, a tratti umida, perfino in quel campo infinito che la sua famiglia aveva scelto come luogo di vacanza estiva; le tempre accese di fiori in festa, mazzolini di girasoli nei dintorni, splendenti narcisi a fare da contorno; il loro profumo, spesso dolciastro, che si librava docilmente al pari delle caldarroste - una tradizione stramba di tutti loro, quella di cuocere castagne in pieno Agosto -, già scoppiettanti al bagliore di una fiammella crescente; pomeriggi di noia, vera e pura, con quella piacevole consapevolezza di un tempo che non sarebbe mai ritornato, che non sarebbe mai stato così asciutto: ricordava quello e tanto altro ancora, a distanza di anni. Non un ricordo minore, non un dettaglio compromesso: nonostante la distanza, quel passato era così vivo, forse nella revisione permeata dal suo stesso cuore, da avere concrete conseguenze su tutto il suo corpo. In visibilio, lo sguardo distratto, l'espressione altrettanto confusa, Oliver avrebbe potuto chiudere gli occhi e vederlo, lì al suo fianco. Boccoli d'oro, diceva la zia; la mano paffuta di un Guaritore in erba, il lampo di sincera aspettativa negli occhi color del mare.
«Olli, tu ci sarai sempre per me, non è vero?»Quella domanda, la
sua domanda. Un cenno del capo, immediato, di scatto; non avrebbe mai potuto rispondere diversamente, non con lui, non di certo. Il sorriso lieve, il suo migliore amico così vicino. La stretta di una mano al volo, prima del richiamo della zia - le caldarroste erano ormai pronte - a correre via, lontani, a fare in fretta.
«E tu, Loras?» L'oro dei girasoli, l'ocra dei narcisi.
«Tu ci sarai sempre per me?»«Oliver, Loras, sbrigatevi!»A distanza di anni, lo ricordava ancora: non aveva ottenuto risposta, non l'avrebbe più ottenuta. E le caldarroste, da quel giorno, persero ogni piacere.
La corsa era viva più di ogni altra volta. Non avrebbe potuto dire di esserne a digiuno, non nella sua esperienza da Stregone, ma mai una sola volta aveva percepito quel pressante peso sul petto, fin dentro il cuore, a dare prova di poter rigettare ogni cosa da un momento all'altro. Se non si fosse fermato, in qualsiasi modo, allora ne avrebbe pagato le conseguenze nell'imminente. Al pari di quell'ultima palese consapevolezza, tuttavia, si affacciava nitidamente alla sua ragione la certezza di non poter arrestarsi, non ancora, perché l'inseguimento era appena cominciato. Lo sguardo stralunato, le gote arrossate, il respiro ormai pienamente compromesso, Oliver si ritrovò stranamente a maledire se stesso, la sua distrazione all'esame di Storia della Magia, perfino a rimpiangere l'intera situazione. Perché se da un lato ne era elettrizzato, per curiosità innata, dall'altro non avrebbe potuto esplorare quel luogo come desiderato; la speranza di fare marcia indietro, di tornare al Castello, non era mai stata così vivida come in quegli attimi.
«Basta, basta!» Volse lo sguardo immediatamente all'indietro, di scatto, alla ricerca purtroppo evidente del gruppetto alle calcagna. Se solo avesse avuto la bacchetta magica, allora avrebbe potuto liberarsi di ognuno di loro il più in fretta possibile. Una coppia di sortilegi, la vendetta a fare da collante, il nervosismo crescente di pari passo, tutto sarebbe stato alla sua mercé. L'esplosione così preziosa nei suoi pensieri, tuttavia, lo distrasse a tal punto da non offrirgli più confini né direzioni circa la sua corsa. Procedeva, procedeva tacitamente, al suono presente di una paura che non avrebbe potuto più rinnegare. Sentiva il peso della sconfitta, dell'inadeguatezza, perfino della morte, e non riusciva ad allontanare nell'uno né l'altro. Quando capitombolò, prima ancora del dolore dall'impatto, gli fu chiara la certezza ormai ultima di essere spacciato. Quella la sua fine, quella la sua conclusione. Aveva sognato un epilogo migliore per la sua vita, perfino un epilogo eroico, a tratti funesto, a tratti magistrale. Non poteva pensare di divenire prigioniero, come un bottino di una corsa, preda di una caccia di cui non aveva informazioni. La voce di un'altra figura e i successivi momenti gli arrivarono come a rallentatore, come spettatore esterno, per un momento. Tentò di rimettersi in piedi, lo sguardo sollevato verso l'impedimento in carne ed ossa appena palesatosi. Non aveva idea di chi o cosa fosse, ma gli bastarono pochi secondi per collegare ciò che la memoria, attiva nella sua stessa infelice confusione, già custodiva. Collegamenti all'occorrenza, un pensiero a dare manforte all'altro, in successione imminente, così immediata: le prime lezioni di Storia della Magia, lo studio approfondito tra saggi e ricerche circa la mitologia greca, per cui da sempre - a partire dai racconti di suo zio Albert - nutriva passione infinita; le voci che popolavano la Foresta Proibita ai confini di Hogwarts stessa; tutto andò a rifinire una certezza: era appena capitato di fronte un Centauro. Se la schiena gli fu rapidamente attraversata da un brivido, il cuore parve seguirne l'esempio alla lettera in un crescendo vertiginoso di battiti all'impazzata, ancor più della corsa che aveva appena concluso.
«I-io... Così...» Provò a pronunciarsi in spiegazioni, avrebbe voluto aggiungere una presentazione immediata, ma non aveva forza né fiato a sufficienza. Percepiva il corpo interamente indolenzito, un bruciore intenso lungo le gambe e fino alla pianta dei piedi, mentre il petto si alzava e abbassava così convulsamente. Mentre con gli occhi e il volto chiedeva tacitamente pazienza al Centauro lì di fronte, mentre si accorgeva di essere finalmente libero dalle guardie in inseguimento, Oliver ne approfittò per fare ancor più mente locale, velocemente. Non poteva dire di essere eccezionalmente informato sulla storia e sull'origine dei Centauri, e con ogni probabilità non ricordava di averne mai visti di persona, ad eccezione di alcune sporadiche immagini da manuale. Proprio tra i numerosi libri di piacere che aveva comprato per sé da BiblioMagic o che aveva ricevuto in regalo, tuttavia, si inseriva una schiera di volumi che già ripercorreva a grandi repentini tratti:
Creature Mistiche, ne aveva ancora sentore, accennava allo statuto primario dei Centauri per il confronto con i Maridi, di cui Oliver aveva ben più conoscenza; alle lezioni di Storia della Magia e sulla base di quella lettura, il Caposcuola ripescò le nozioni circa l'origine antica, i richiami mitologici, la preferenza di vita in terre fertili, spesso dell'Antica Grecia, tutto da parte dei Centauri come preziosa, saggia e a tratti violenta comunità. Non aveva idea di chi gli fosse capitato, non fin quando un'altra schiera di libri - di sua lettura personale e approfondita - non fece capolino tra i suoi pensieri sconnessi.
«Ch-chi-» boccheggiò ancora, mentre tentava di rimettersi in piedi. Barcollando su se stesso, Cassandra Vablatsky giunse finalmente, rosea e concreta, al suo ricordo più vivido:
Svelare il Futuro,
Prevedere l'Imprevedibile e un altro volume, forse non di sua penna, dal titolo
Sfere infrante, tutti e tre invasero ogni riflessione più astratta del ragazzo. Temistocle, aveva chiamato il Centauro, ma non sapeva chi fosse. Ma la sua scrittrice preferita aveva accennato alle proprietà, alle potenzialità, perfino alle antiche e singolari abilità profetiche dei Centauri, in particolare riferendosi ad una figura ben rinomata, nel corso della storia umana e magica in generale. I Centauri, sottolineava Vablatsky, erano i migliori Divinatori di sempre. Oliver ritrovò fiato, equilibrio e curiosità, ma una nuova sensazione - mista a preoccupazione - si stagliava ora nitida alla sua attenzione.
«Lei deve essere Chirone.»Lo disse di getto, in un tentativo che avrebbe potuto costargli caro, ma che l'istinto - innato in un Grifondoro, avrebbe detto la vecchia buona Signora Grassa - non avrebbe potuto cancellare né fermare affatto. Chirone, il Centauro così in voga nella mitologia greca; i racconti di suo zio, i saggi circa la figura di Ulisse e gli intrecci con Apollo, nelle lezioni di Storia della Magia ad Hogwarts, inclusi la Sibilla Cumana che gli aveva aperto tutto un mondo nuovo. E soprattutto, Oliver lo sapeva, si incastrava in quella visione d'insieme la sua ossessione, più che interesse, per l'arte divinatoria. Un'ossessione cesellata da libri su libri, da ricerche e informazioni, da acquisti e tanto altro ancora, che fuorviavano un personale interesse, mutandolo fin nella sua eccezione più negativa, più drastica e più pericolosa. Sentiva la pelle ardere alla consapevolezza di essere con ogni probabilità in Grecia, nel Passato, in un'altra riflessione che si legava al Libro Incantato dell'Ufficio di Peverell, all'esperienza come suo Viaggiatore, infine ancora una volta all'aspetto più impulsivo di se stesso.
«Mi- mi chiamo Oliver.» Sporco di terra, di ciuffi d'erba, di detriti e di polvere, il Caposcuola si sistemò alla meglio: il corpo dritto, l'equilibrio lentamente sempre più ristabilito, e soprattutto lo sguardo attento, acceso di una luce propria, che gli donava vigore e forse anche onore. Lo vedeva, ora e per sempre, e ne vedeva il potenziale aiuto che il Centauro custodiva in sé. Lo vedeva, più di ogni altra Visione, in un presente che rispondeva alla sua più intima speranza di ricerca, di risposte, di informazioni ai suoi dubbi così numerosi, alle occhiaie scure che già tempravano il suo viso interamente. Abbassò il capo leggermente, in segno di rispetto.
«Sono un Viandante, non appartengo a queste terre, e mi sono perso.» Sorrise, risollevando il capo.
«Non ho idea di quante volte l'abbia ripetuto a me stesso, ma lo sono.» Tastò il terreno con quelle prime semplici parole, lentamente, così da capire se essere in pericolo o se per una volta, una sola volta, il Tempo lo stesse finalmente premiando.