| Tutto sommato, Sirius aveva ragione. A ben vedere, aveva ragione su ogni cosa. Sugli impegni, sui compiti, sul ruolo che lo stesso Caposcuola rivestiva, sulla considerazione di spazi ristretti e di ricerca di libertà al di fuori di Hogwarts, perfino sul proprio Dono aveva totale padronanza dell'argomento. Da parte sua, Oliver non si era mai pentito di quella confessione così personale nei riguardi dell'amico: se c'era una persona alla quale affidare la propria vita, in tutto il Mondo Magico, quella per lui altri non era che il Docente che ora gli sedeva di fronte. Si chiese in che modo Sirius comprendesse tutto quello, con quale intensità potesse percepire l'affetto che Oliver custodiva verso la sua persona più di chiunque altri. L'amore, lo sapeva bene, era a tratti l'arma di difesa e di attacco peggiore in assoluto. Un difetto, talvolta, che avrebbe fatto sempre pagare un certo scotto. «Qualsiasi cosa sia, Sirius, mi auguro soltanto che possa non essere tanto grave. E in ogni caso, lo sai bene, puoi contare su di me.» Si sentì parzialmente e consapevolmente ipocrita, a quel punto, a porgere all'attenzione dell'altro una rivelazione simile. Era stato lui a comunicare quel messaggio così peculiare, quella pergamena macchiata da un'onta oscura che mai si sarebbe perdonato per davvero; come Veggente, come Osservatore, aveva un certo compito, quasi obbligo, nei riguardi della fiducia che Sirius gli aveva mostrato fin dal primo momento. Dimenticare la condivisione di quel segreto, tra tutti, al di là del bancone de negozio di Safarà, infatti, sarebbe stato impossibile. Eppure, come Amico, dalla lettera maiuscola, il suo dovere diveniva morale ed etica insieme: Sirius meritava la chiarezza di sempre, di una vita intera, di un futuro limpido e nitido, lo stesso che Oliver non avrebbe potuto offrirgli in nessun altro modo. Si premurò di cambiare argomento, senza insistenza, convinto che il tempo non fosse stato ancora scritto del tutto. Sirius avrebbe potuto contare su di lui, sulla sua eredità, su qualsiasi altra cosa fosse in suo potere. Non era forse il momento, non quello, non davanti ad un calice di Acquaviola e una fetta di torta al limone. Poggiò la forchetta sul piatto in ceramica, riprendendo il discorso di prima. «Un Fwooper è una creatura magica straordinaria, Sir. Il suo canto è pura estasi, così come pura condanna: porta alla salvezza, al ristoro dell'anima, oppure alla follia, talvolta alla morte, dipende dall'ascoltatore, così come dall'intenzione dell'animale stesso.» Scosse la mano destra come a voler scacciare un invisibile insetto, riprendendo subito dopo. «Ma non è questo il punto. Ho tutti i permessi necessari per averne uno, ho già fatto richiesta al Ministero della Magia, ho incontrato un dipendente del Dipartimento Regolazione e Controllo delle Creature Magiche e sì, sono stato ritenuto idoneo per il possesso e l'acquisto di un Fwooper.» Recuperò nel frattempo una carta ben conservata, in una fodera di plastica, dall'interno della borsa a tracolla che aveva con sé, poggiata accanto. Il foglio recava l'intestazione e lo stemma ministeriale, la conferma effettiva di quel patentino. Ce l'aveva fatta, aveva ragione. E il ricordo del signor Cox e del suo discorso erano ancora piacevoli da riportare alla propria attenzione. «Posso portarlo anche con me ad Hogwarts, il regolamento parla di un massimo di quattro creature magiche, una di piccola stazza, una di-» Un altro cenno del capo, bloccandosi al volo. «Insomma, posso farlo, è tutto in regola. E saprei come comportarmi, ho studiato tutto sull'argomento. Il ministeriale che ho incontrato, tuttavia, mi ha sottolineato chiaramente la necessità di tenere il Fwooper in gabbia, se in dormitorio. Ci sono anche gabbie incantate per tutti i comfort possibili e immaginabili, ma non mi va bene, Sir, non mi piace l'idea che un animale così libero, una Creatura del Cielo e del Canto, possa essere imprigionata. Non ti chiederei mai nascondere un Fwooper per me, non sono così.» Sorrise, lo sguardo leggermente imbarazzato ad un tratto; spostò l'attenzione sulla torta al limone, recuperando la forchetta e tagliandone un pezzettino di lato. «Volevo chiederti soltanto di comprarmi una casa dove poter sistemarlo.» Diretta, esplosiva, come una rivelazione d'altri tempi. Interessante la scelta di un avverbio appena più marcato: Soltanto. Si affrettò a parlare subito dopo. «Pagherei tutto io, Sir, ho i Galeoni necessari. Si tratterebbe di un giardino molto grande ad Hogsmeade, protetto dai confini con la magia, servirebbe per sistemazione tranquilla del Fwooper durante la mia permanenza ad Hogwarts, in Estate tornerebbe nella radura di famiglia a Cork, lì vivrebbe bene, mio padre lavora proprio all'Ufficio delle Creature Magiche. Ma ad Hogwarts non voglio che il Fwooper sia in gabbia e non voglio neanche che sia a casa, in Irlanda, tutto l'anno, con i miei genitori e senza di me. Vorrei averlo vicino, prendermene cura, in un luogo che possa apprezzare e in cui possa sentirsi libero. Ho già immaginato la sistemazione, so che al Ministero si possa fare richiesta per una struttura come si desidera, ho fatto anche alcune ricerche. Potrei anche comprarla da solo, ormai sono maggiorenne, e ho messo da parte tutti i soldi necessari.» Rosso come un peperone, leggermente accaldato, si accorse in ritardo di aver parlato troppo e di averlo fatto tutto d'un fiato. «Ma i miei genitori mi ammazzerebbero, Sir. Per favore, mi serve solo un nome che non sia il mio, cui intestare la casa. So che ti chiedo tanto, ma...» Sospirò. «Guarda quanto è bello!» E così facendo, imprevedibilmente, estrasse dalla borsa a tracolla un Uovo vero e proprio, interamente colorato, decorato come da un artista di chissà quale paese stravagante. Il Fwooper era già in arrivo, a quanto pareva.
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