« Cruth an anam », Quest di Apprendimento

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view post Posted on 28/6/2018, 13:30
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Ayumo Vanille
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La Tassorosso seguì lo stesso identico schema che aveva utilizzato l’ultima volta per preparare il baule, la posizione degli oggetti, dei vestiti e dei singoli dettagli era identica, il baule era stato quasi del tutto preparato per tornare a casa.
Le ore che passata a sistemare i propri oggetti, a riporli con cura, erano sempre ammantate di una strana sensazione di malinconia, difatti seppur non avesse nessuno in particolare con cui trascorrere il proprio tempo dentro a quelle quattro mura, stranamente si era affezionata a quel castello e se ne rendeva conto solamente quando doveva trascorrere del tempo lontana da Hogwarts.
L’unica sua rassicurazione, in quella lontananza, è stava partendo per tornare a casa, stava nuovamente per fare ritorno in Irlanda ed ogni singola volta che era tornata in patria, aveva sentito qualcosa di magico abbracciarla e farle comprendere che infondo aveva fatto la scelta giusta.
L’anno scolastico si era appena concluso e lei durante quel periodo, che aveva trascorso tra i corridoi e le aule scolastiche, non aveva mai smesso di approfondire le proprie conoscenze in merito alla branca della magia che le era stata rivelata da sua madre.
Aveva sfogliato diversi libri di trasfigurazione senza trovare niente, solamente dopo un po’ di tempo era venuta a conoscenza di uno che trattava nello specifico la Trasfigurazione Umana e soprattutto su quali erano gli oggetti e le situazioni necessarie per compiere il rituale per divenire Animagus.
Molto tempo era stato impiegato per comprendere se quella scelta, quella voglia di scoprire chi era realmente, non derivasse solamente dalle tradizioni di famiglia a cui era molto affezionata, ma anche da qualche cosa che si agitava dentro al suo animo e che, da quando aveva compreso il reale significato di quelle foto, non le dava tregua.
Durante le ore trascorse su libri aveva provato più di una volta ad immaginare quale animale le avrebbe fatto da guida e quindi di quale specie avrebbe preso le fattezze una volta compiuto quel grande passo, inoltre cercava di comprendere quali sensazioni avrebbe provato, ma se da una parte la curiosità provata era tanta dall’altra si agitava la paura di non essere accettata per i crimini che aveva compiuto e che erano ancora ben impressi nella sua mente.
Il ritorno in patria, conclusosi l’anno scolastico, aveva come scopo principale quello di affrontare quell’argomento con i propri genitori, di approfondirlo e sviscerarlo, arrivando a conoscere di esso qualsiasi dettaglio.
Inoltre, Ayumo, voleva comprendere se anche Owen e Sìve erano stati catturati da quella pratica magica come era capitato a lei, oppure se avevano vissuto la trasformazione differentemente.
Per un periodo piuttosto lungo di tempo aveva allontanato i suoi familiari a causa delle scelte intraprese, ma da quando Richard era deceduto aveva deciso di riavvicinarsi nuovamente ai suoi genitori, avevano affrontato il doloro della perdita insieme e non voleva nuovamente rimpiangere di non aver avuto abbastanza tempo da condividere con loro, per questo motivo voleva godersi ogni singolo attimo disponibile.
Inoltre aveva la presunzione che avrebbe appreso abbastanza dall’Oscuro Signore per difendere la sua stessa famiglia, oltre a ciò avrebbe evitato di disobbedire nuovamente agli ordini, purtroppo era cosciente che nonostante questo la sua famiglia rimaneva in pericolo e per quello stesso motivo comprendeva appieno i motivi che avevano portato suo fratello ad abbandonarli, eppure la strada da lei scelta non era stata la stessa.
Nonostante tutto si sentiva oppressa dall’idea di mettere in pericolo le uniche due persone che ancora tenevano a lei.
Il suo pensiero si concentrò sul viso amorevole di sua madre e sul dolce sorriso che probabilmente le avrebbe rivolto una volta rientrata dentro il cancello di casa, poi si soffermò anche sull’immagine di suo padre che nonostante il suo modo di fare l’avrebbe accolta con un abbraccio.
Temeva il rientro in patria perché temeva di lasciarsi sfuggire qualcosa di compromettente sulle sue scelte, ma dall’altra parte non poteva essere che contenta di poter nuovamente condividere parte del suo tempo con i propri genitori, aveva pensato anche di passare dalla radura dove avevano celebrato il funerale di Richard, per dargli il suo ultimo addio e per dimostrare a sé stessa che ormai era in grado di andare avanti, di affrontare quella perdita.
Gli incubi che si erano presentati sin dalla notte antecedente all’accaduto non erano tuttora svaniti, ma la Tassorosso gli aveva assegnato un ruolo differente col tempo, li vedeva ormai come dei moniti per evitarle di compiere nuovamente un omicidio.
Il viaggio che l’attendeva era piuttosto lungo, dato che ancora non era in grado di compiere una Smaterializzazione, quindi si era abituata all’idea che avrebbe raggiunto la propria casa quando il sole aveva ormai oltrepassato l’orizzonte.
D1WIn5W
Nell’esatto istante in cui chiuse definitivamente il proprio baule, ogni singolo pensiero abbandonò la sua mente, alcuni oggetti preziosi erano stati riposi con cura nella sua tracolla di cuoio, tra di essi spuntava il volume di Trasfigurazione Umana Avanzata ed era possibile notare, anche al solo primo sguardo, che seppur il libro non era particolarmente usurato esteriormente, all’interno delle pagine erano stati inseriti parecchi foglietti contenenti tutte le postille riguardanti quella pratica magica, molto spesso quei pezzetti erano adornati da qualche disegno che Ayumo aveva fatto durante le ore di studio, ma erano dettagli non visibili dall’esterno.
Nonostante la mole quasi raddoppiata del volume a causa di quelle aggiunte, se si scorrevano le pagine si poteva notare un ordine quasi impeccabile, si poteva leggere l’interpretazione che la giovane aveva dato a quel rituale o i suoi metodi per ricordarsi le parole e i passaggi da compiere.
Aveva deciso di tenerli al di fuori di baule così da avere la possibilità di rileggersi il tutto durante il viaggio, in modo da assicurarsi che tutto quello che aveva appreso in quel periodo fosse corretto.
Si assicurò che la bacchetta fosse al posto giusto e, dopo aver ricontrollato per la sesta volta di non aver dimenticato nulla, imbraccio la tracolla e uscì dal Dormitorio Femminile portandosi con sé tutti i suoi bagagli.
L’unica regola del viaggio è: non tornare come sei partito.
Torna diverso.

Off Topic: Chiedo gentilmente al Master di modificarmi il colore del Titolo con questo #5d0018, se possibile.
Inoltre ho modificato il Post perché l'ho pubblicato per sbaglio mentre ci stavo ancora lavorando, mi scuso immensamente per la mia sbadataggine.


Edited by Draghy.Chan - 28/6/2018, 14:46
 
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view post Posted on 5/7/2018, 15:11
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Il viaggio di rientro non era stato molto complicato; da quando il Ministero della Magia aveva permesso all'Ufficio Trasporti di favorire più collegamenti di Passaporte e Camini in Metropolvere per i giovani abitanti e del castello di Hogwarts e del Villaggio di Hogsmeade, infatti, tutto sembrava aver preso una piega più tranquilla, meno stressante. Un contatto appena leggero, sfumato con il tepore del fascino di luce azzurrina di una scarpa da montagna, alle pendici del centro del sobborgo, e l'ultimo gruppo previsto per quel giorno era sparito in un vortice colorato. Avrebbe impiegato altri passaggi di una routine che ormai sapeva conoscere, fin quando di lì a breve - in meno tempo di quanto potesse considerare in passato - la stessa Ayumo riuscì finalmente ad essere al tepore fresco, prettamente già estivo, della sua terra natia. Ne riconobbe la gentilezza della natura, indomita e parimenti rassicurante, ad anticipare senza rimostranze quel ricordo di un'infanzia, di un'adolescenza, di una vita in generale che non avrebbe mai rinnegato fino all'ultimo. La sua abitazione, gioiello tra gioielli, attendeva semplicemente il suo arrivo, come scrigno di speranze difficilmente sopite. Imponente, come poche in quei dintorni; accogliente, per innata partecipazione, immersa in una Dublino che anticipava un segreto pronto per sbocciare. Si aprivano lentamente i cancelli, si mostrava così la Villa della famiglia, in un silenzio carico di aspettative, in un cigolare di ferro battuto che chiamava all'appello la sua vicinanza, la sua stessa identità, il suo ingresso. Sono qui, sembrava dire. Sono qui, sono ancora qui. Un motivo per il suo rientro non sarebbe mai stato necessario: le visite da parte di una figlia erano sempre bene accette nel più semplice dei contesti. Ayumo, tuttavia, era l'antitesi della banalità, in quell'accezione di cose dette e non dette che avrebbe potuto fare la differenza fra l'essere speciale, l'essere dannata, l'essere unica. Era l'uno e forse non l'altra cosa, ma era lì, al limitare dell'irlandese origine, in quel fascino che la contraddistingueva in ogni momento. Si era sentita in ampia parte confusa, in altra elettrizzata, perfino incuriosita, dalle parole appena abbozzate di sua madre, in un incontro non troppo distante. Attendeva di ripercorrere quel sentiero, lo voleva davvero? Non c'era un prezzo da pagare, non c'era magia da disperdere, la dissolvenza delle domande era sempre la soluzione più bella. Sbocciava come una tra le più candide margherite: così giovane, così tenera, e tuttavia già così matura. Il volto non recava i segni del passato, al contrario era il passato ad aver saputo segnare il cuore, la mente, la memoria più vivida. Bastava chiudere gli occhi, in un dolce calare di palpebre, in un soffio di respiro trattenuto, e compariva la consapevolezza di essere lei stessa, in primo piano, il Segreto unico, ultimo, autentico. Chiedeva risposte alla madre, chiedeva informazioni al padre: non una pretesa, quanto un auspicio, forse una possibilità. Lei che vestiva il culto del tacito arcano, apprezzava il dialogo in quel senso, in quel contesto. Prima ancora che il cancello si piegasse al suo desiderio, prima ancora che la Strega avanzasse, sulla scia di un incanto che avrebbe aperto ancor più porte di quelle conosciute, un forte suono - rapido, di scatto, profondo - aleggiò a poca distanza dal punto in cui si trovava. Come se originato dal bosco che circondava la dimora in attesa, come un animale in trappola, come un grido felino, forse una coppia di creature in litigio o chissà cosa; avanzare era possibile, la casa era vicina e presentarsi era prevedibile; intrattenersi alla scoperta di quel suono, qualsiasi cosa fosse, era un'altra eventualità, forse meno apprezzata, eppure reale. Quel verso strappato alla natura si ripeté una seconda volta, come un richiamo.
 
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Fu sorprendente per la ragazza rimettere piede in Irlanda, il viaggio era durato meno di quanto immaginava ed ora era in piedi di fronte al maniero della famiglia e affianco a lei era possibile notare anche il suo baule, che conteneva tutto il necessario per passare le vacanze a casa.
Con gli occhi ancora chiusi poté godersi appieno la sensazione dell’aria fresca che le sfiorava la pelle degli zigomi, mentre l’ombra degli alberi l’avvolgeva tenendola al fresco, inoltre poté sentire l’odore della terra bagnata dato che durante l’estate non era insolito assistere a qualche temporale, era uno dei motivi che rendeva quella terra così tanto rigogliosa a tal punto da essere soprannominata “Isola di Smeraldo”
Quando i suoi occhi si schiusero, la giovane poté finalmente osservare la villa di famiglia che svettava di fronte a lei.
Osservò attentamente il vialetto che conduceva sino al porticato sotto al quale si trova la porta d’ingresso, l’ultima volta che era tornata lì in quel punto c’era sua madre ad attenderla mentre ora il luogo rimaneva completamente vuoto.
Attorno a lei non c’era altro che la strada, la quale conduceva sino alla casa, e la foresta.
Da lì non si udiva nient’altro che il frusciare delle foglie e i cinguettii degli uccelli che cantavano dai rami degli alberi, non c’era neanche il minimo sentore del traffico che invece caratterizzava Dublino, questo perché la casa distava almeno una quarantina di minuti dalla grande città.
Trovarsi finalmente lì per lei significava moltissimo, ritornare in quella casa rappresentava per lei un punto di partenza, nello specifico compiere quel rituale simboleggiava un nuovo inizio per la giovane Tassorosso.
Oltre a ciò poteva nuovamente riabbracciare i suoi genitori, aveva tantissime domande da porgli soprattutto inerenti a quella magia che le era stata solamente accennate, dalla madre, tempo addietro in occasione del funerale del fratello.
Sua madre le aveva rivelato la sua “vera” forma e le aveva, solamente, accennato cosa si provava una volta trasformati, una volta in forma animale; ma non avevano avuto abbastanza tempo per scendere nei dettagli che col tempo si erano sedimentati e avevano alimentato le sue curiosità.
Parte di esse erano state placate attraverso le ricerche che aveva compiuto, ma molte altre invece attendevano una risposta precisa che poteva provenire solamente da Owen e Sìve.
Si era appuntata ogni singolo dettaglio che l’aveva incuriosita mentre leggeva un libro dopo l’altro ed era stato proprio grazie a quelle ricerche, giungendo infine a possedere al volume di Trasfigurazione che ora portava nella tracolla, che aveva compreso che quella strada composta di tradizioni rappresentava la giusta via anche per lei.
La curiosità l’aveva attanagliata soprattutto per i misteri che riguardavano suo padre, voleva riuscire a conoscere quale animale si era presentato a lui durante il rito e infondo quello stesso interesse, Ayumo, lo nutriva anche per quanto riguardava suo fratello.
Eppure se le prime domande aveva una risposta certa che poteva esserle fornita dal padre, per quanto riguardava Richard nessuno sapeva se il giovane aveva mai intrapreso quella strada o meno e quindi quel mistero sarebbe rimasto tale per l’intera famiglia, solamente i loro dei possedevano un responso a quel segreto.
Aveva temuto l’arrivo di quel giorno, del rientro a casa, e l’ansia era aumentata sempre di più sino a quando non era giunto il momento della partenza ed ora che si trovava lì la situazione non era mutata.
Ayumo sentiva lo stomaco completamente bloccato, probabilmente i sentimenti ambivalenti che stava provando si manifestavano su di lei in quel modo, se da una parte temeva il confronto con i genitori perché aveva paura di far trapelare sin troppo delle sue scelte, dall’altra era contenta di poter stare al loro fianco e di poter rinsaldare quel legame che col passare del tempo si era fatto sin troppo fragile.
In fine i suoi genitori rimanevano le uniche persone che lei non voleva deludere.
Stava per incamminarsi tra le siepi che circondavano interamente il giardino dell’abitazione e che lasciavano un’apertura ampia proprio per raggiungere il cortile e l’ingresso, quando udì all’improvviso un rumore librarsi nell’aria, la direzione da cui proveniva era certamente la foresta.
Nonostante la vicinanza con il luogo da cui si era originato, le risultò difficile comprendere quale fosse la fonte che aveva causato tale rumore, anche perché le situazioni immaginarie potevano essere quasi infinite, fu per questo motivo che la Tassorosso – dopo essersi accertata che non fosse successo nulla vicino a lei – non si curò eccessivamente di quell’imprevisto, decisa a proseguire nei suoi intenti, ovvero entrare nella propria dimora.
Eppure i suoi buoni propositi vennero distrutti quando la ragazza udì nuovamente quel verso.
Divenne ovvio per la giovane che non poteva più trattarsi di una fortuita casualità, certamente potevano anche essere solamente degli animali che lottavano tra di loro e che nella foga del combattimento si erano feriti, ma dall’altra parte poteva anche essere anche una creatura che era rimasta ferita e che necessitava del suo aiuto.
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Ad Ayumo non restava nient'altro che decidere cosa fare, poteva ignorare quel suono e proseguire secondo i piani che si era prefissata prima ancora di partire oppure abbandonare il proprio baule vicino all’entrata per poi inoltrarsi nella foresta e comprendere quale fosse l’origine di quel “richiamo”.
Il suo corpo si mosse deciso, la scelta le risultò abbastanza semplice da prendere, si avvicinò alle siepi e lasciò il proprio bagaglio lì vicino, sicura che nessuno gliel’avrebbe potuto rubare, poi si voltò verso la foresta concentrandosi per comprendere esattamente da dove si era originato quel suono.
Sapeva che in determinate situazioni la cautela non era mai troppa, se si trattava di qualche animale ferito che in caso di minaccia avrebbe tentato nuovamente di scappare non facendo altro che aggravare la propria situazione, oltre a ciò doveva comunque tener conto che stava correndo un pericolo soprattutto se si trattava di qualche animale feroce.
Attese un poco prima di allontanarsi dalla casa, sperando di udire nuovamente quel suono, per poter così rintracciare meglio l’origine, ma anche se non si fosse ripetuto, la giovane Tassorosso si sarebbe comunque incamminata all’interno della foresta.
Quel rumore si era per lei trasformato in un tacito invito.
L’istante Magico è quel momento in cui un Si o un No
può cambiare tutta la nostra Esistenza.


Edited by Draghy.Chan - 18/9/2018, 23:43
 
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L'indifferenza era per molti, la diffidenza era per pochi; per Ayumo, che dei contrasti aveva fatto tesoro prezioso, non poteva essere esclusa facilmente né l'una né l'altra. Valigia abbandonata come roccia in disuso, temprata dal vento; cancello d'apertura come soglia di un ingresso non ancora pronto ad essere varcato; il ritrovo di volti noti, ambienti pure, rivestiti da una parola - famiglia - dal suono così di grazia, dolce, di gusto; tutto quello ed altro ancora fu messo da parte, per un attimo, soltanto uno, mentre il corpo rispondeva all'appello non più così tacito, proveniente dalle pendici di una radura per la ragazza non propriamente sconosciuta. Si inerpicò fra boccioli di margherite bianche, di fiori azzurri, di violette e primule intervallati come in un peccaminoso quadro moderno da una schiera di ciuffi di ortiche, pronte a pungere gambe scoperte, a far scoppiare il prurito sull'epidermide illesa. Ayumo non trovò molte difficoltà per proseguire e man mano che il sentiero dissestato si distendeva alla sua presenza, come Alice nel suo Paese delle Meraviglie, il bosco riprendeva ad infittirsi in un'intricata forma di rami e fogliame, mentre quel suono sentito in precedenza, restauratore d'attenzione e distruttore di calma vera e propria, si innalzava maggiormente ai cieli. Sembrava un grido di dolore, forse d'aiuto, e più Ayumo ne viveva l'intensità, più qualcosa in lei - la parte più intima e segreta, più impossibile da domare in definitiva - la spingeva avanti, quasi con fretta ormai crescente.
2ClobHa
Giunse in prossimità di un'ampia zona sotto il controllo della natura intera: rami spezzati, tronchi tranciati alla rinfusa e di netto, fiori calpestati; non c'era giustizia da quelle parti, non c'era più ordine neanche nello spirito selvaggio di quel luogo pacifico. Fu piuttosto facile per la Tassorosso individuare l'origine di quel verso straziante e più accorciava la distanza, macinandola alla meglio, più si adattava alla sua visione d'insieme una scena che non avrebbe potuto immaginare in modo completo. Una volpe, trapunta di bianco, d'arancio e di screziature di rosso e nero, muoveva la lunga coda come un giocoliere alle prese con i suoi spunti di fuoco; inghiottiva saliva, digrignava i denti, era furiosa e nervosa insieme, preda di un dolore che per Ayumo non fu difficile da associare a quanto appena messo a fuoco: la zampa anteriore, la sinistra, della povera creatura era stretta in una trappola di ferro, macchiata già di sangue scuro, d'altro rappreso. Era stata ferita di brutto, era in difficoltà. Impossibilitata a scappare via, a muoversi o a fare qualsiasi cosa che non le costasse altro taglio insistente alla zampa, la volpe tentava di tutto e nel frattempo, come grido di una Figlia della Foresta circostante, sussurrava alla sua stessa Madre un intervento qualsiasi. Ayumo fu vicina a tal punto che la volpe percepì la sua presenza. Si volse di scatto con capo e corpo e a dispetto di quanto si potesse pensare, non digrignò più i denti e tacque di scatto. L'espressione sul volto temprato dallo sforzo del momento cambiò vertiginosamente. Era triste, era ferita, era vicina.
 
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I suoi stessi passi le apparivano pesanti, proprio per questo motivo Ayumo continuò a pensare per tutto il tragitto a quanto i suoi movimenti fossero sgraziati e inadatti a quel mondo, animale, di cui anelava far parte.
Cercò durante il percorso di notare qualsiasi dettaglio che posse farle intuire la presenza di qualche animale vicino a lei, osservò inoltre la natura che la circondava soprattutto i fiori che, man mano che proseguiva all’interno della foresta, si alternavano sino a scomparire una volta inoltratasi nella parte più fitta, da lì in avanti poté notare unicamente i ciuffi d’erba selvatica e le ortiche che finirono inevitabilmente a sfregare contro i suoi vestiti e proprio per quel motivo benedisse, tra sé e sé, di essersi messa qualcosa che le aveva protetto le caviglie dai morsi di quelle piantine.
Lo spettacolo di colori che aveva potuto osservare precedentemente, per lei, poteva essere definito come un’opera d’arte unica e anche solo per quel dettaglio – il fatto che nessun altro avrebbe potuto osservarlo a parte lei – la faceva sentire onorata per quella bellezza che la natura le aveva regalato.
I suoi passi non cessarono e, nonostante i suoi pensieri, continuò ad avanzare all’interno della radura e man mano che questa diveniva sempre più fitta ogni suoi movimento le appariva sempre più sgraziata e rumoroso.
Mentre progrediva, sotto il suo peso continuavano a rompersi rami che erano caduti dagli alberi a causa della precedente pioggia e quel rumore che producevano le pareva spandersi per tutta la selva.
Nel tragitto, la Tassorosso che pareva sempre più incuriosita dei versi e dalla situazione in cui si trovava, iniziò a velocizzare la propria andatura e senza rendersene conto una volta raggiunta la radura dovette fermarsi a riprendere un po’ di fiato il quale risultava leggermente spezzato, chiunque avesse avuto l’onore di vederla in quel momento si sarebbe accorto che era leggermente affaticata.
Rimase spiazzata quando comprese a che apparteneva il richiamo che l’aveva condotta sino a lì.
Una volpe dal manto arancio, su cui si notavano delle screziature rosse e nere, stava lottando con tutta la sua forza per riappropriarsi della libertà che le era stata rubata dalla trappola che le mordeva la zampa.
Osservò la forza di volontà, la voglia di liberarsi da quell’arnese infernale che ad ogni movimento - della povera creatura - non faceva altro che affondare maggiormente nella carne a tal punto che poteva già notarsi una chiazza rossa scura macchiare la pelliccia dell’animale.
Quando il mammifero notò la sua presenza sembrò calmarsi e mentre l’osservava negli occhi, la ragazza, non poté leggere altro che un’immensa tristezza dentro a quei due enormi specchi.
La volpe era ferita in un modo inimmaginabile, quella morsa di metallo non aveva lacerato solamente la sua pelle, l’aveva privata di qualcosa di ben più grande: la libertà.
L’unico modo – che Ayumo aveva immaginato – per aiutarla era liberarla dalla trappola e curarla, però temeva che la piccola creatura potesse nuovamente agitarsi di fronte alla sua presenza e proprio per questo motivo decise di attendere un po’ prima di compiere qualsiasi gesto.
Nell’eventualità in cui quel batuffolo di pelo si fosse nuovamente spaventato o avesse nuovamente iniziato a lottare con quella morsa metallica, la ragazza avrebbe agito innanzitutto con un Petrificus Totalus per poi procedere nella liberazione ed infine nella cura.
Al contrario, invece, avrebbe agito liberandola direttamente così da non provocarle ulteriori traumi, dato che era prevedibile che l’incantesimo della Pastoia “Total Body” avrebbe potuto provocarle un ulteriore shock, inoltre sperava che la piccola in un ipotetico futuro non si sarebbe mossa immediatamente verso la foresta, perché ci teneva a curarle quella ferita anche per essere sicura di averla salvata realmente.
Quella situazione, oltre a metterle ansia, le aveva fatto montare una insolita rabbia.
Non comprendeva come l’uomo fosse sempre in grado di distruggere le cose più belle che lo circondavano, solamente la loro specie possedeva quell’istinto che li aveva portato a costruire qualcosa di così subdolo come un trappola, non solo questa privava un qualsiasi animale della propria libertà ma gli provocava anche un enorme dolore.
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Ad aggravare la situazione bisognava considerare che molti animali dentro a quelle morse morivano a causa degli stenti e della stanchezza che li assaliva a furia di lottare.
Per lei tutto quello era inaccettabile, perché non riusciva a vedere altro che bellezza nella natura e comprendeva che anche l’animale più aggressivo era guidato unicamente dall’istinto, nessun’azione era arricchita di cattiveria e proprio per quel motivo temeva il rito di passaggio.
Era cosciente dei peccati che segnavano il suo cammino, aveva – in più di un’occasione – agito per raggiungere più potere e per poter proseguire nel proprio cammino, non aveva letto da nessuna parte se tali eventi avrebbero potuto compromettere quel Rito e proprio l’ignoto la metteva maggiormente in soggezione.
Nonostante le sue azione Ayumo – senza rendersene conto – si manteneva in equilibrio su un minuscolo filo eppure non cedeva a cadere nella completa malvagità, perché cercava vendetta contro la donna che le aveva ordinato di uccidere suo fratello e seppur seguiva gli ordini dell’Oscuro Signore, provava rancore nei suo confronti per quello che le aveva tolto e proprio per quel motivo gli avrebbe portato la testa di quella donna, in un futuro, per infine sostituirla tra le fila più alte di quella gerarchia.
Nulla è così logorante quanto l’Indecisione,
e nulla è così Futile.
 
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view post Posted on 22/9/2018, 05:47
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Soffiava il vento sul prato in fiore; e i petali ne erano solleticati, al pari di lievi carezze; ed altri ancora cadevano, staccati di netto, così leggeri, così fragili. Soffiava il vento, soffiava l'onta della distruzione, mentre il basso sinistro grido della Creatura in difficoltà saliva al cielo, in estasi perenne, in strazio continuo. Soffiava il vento: un richiamo, quello, che anticipava il futuro, solcava i confini, percepiva il passato, lo mutava già in un presente ricco di sorprese, di successi ed insuccessi, di eventualità. Una nuova presenza si aggirava in quella radura ormai pesantemente contaminata: una trappola di un uomo, frutto di mancato ingegno e di orrida compensazione del male, mentre la Volpe tentava invano di riacciuffare al volo quella libertà tanto preziosa. La zampa doleva, il sangue macchiava - rappreso, scuro, altro ancora vivido - la terra divenuta arida tutto intorno, fin quando parve che l'attenzione della furba fiera venisse rapidamente catturata dalla ragazza. Un intreccio fuorviante di sguardi, l'incomprensione che plasmava chiarezza, l'intenzione a fare da preciso collante. Un aiuto, quella l'offerta della Tassorosso; un pretesto per avvicinarsi, una curiosità stravolta in preoccupazione, la stessa sensazione di essere al cospetto di un errore, di uno sbaglio, di un peccato autentico, fin quando in carne ed ossa la Creatura le si stagliò, fuoco su fuoco, arancio e rosso in sfumature eccentriche e accese, a pochi metri di distanza. Si ritrasse, leggermente, come se ancora indecisa se fidarsi della donna, se attenderla, se scappare via. E se l'una e l'altra cosa non sembravano esserle permesse, la consapevolezza di essere ad un passo da un rischio o da una salvezza maggiore, insieme, non facevano che assalirla a più non posso. La mente era perennemente confusa, la fantasia compromessa: anche un animale, anche una Volpe, poteva avere memoria.
2ClobHa
Ayumo.
Fu allora che la Natura intervenne, che rispose all'assenza, che divenne presenza. Come al dono della favella sul muso arrossato della bestia, come all'invito più intenso di una forza superiore, un'entità, una divinità; il confine fra il vero e il falso, fra il Credo e il Vedo, fra ragione e blasfemia. Era un mondo di magia, pulsante di stregoneria, quello e non solo: lo era fin dal primo giorno della nascitura, fin dal primo intreccio, fin dal primo sguardo ai colori più belli, a quelli più tristi, a quelli ora così spenti. Ma non c'era nessuno, al di fuori di quella radura. Non c'era nessuno, all'interno della stessa arena violata dall'ostacolo. Una Volpe ferita, una Ragazza sorpresa. Un nome, Ayumo, trasportato dal vento. Il soffio incessante, i capelli solleticati, le maniche dell'abito indossato sospinte leggermente in avanti, infine indietro, in ogni punto. Ayumo fu distratta, come se osservata. E al suo sguardo, così umano, non apparve nulla. Ma quando colse l'attenzione del basso, ritornando alla Volpe, rapida si presentò l'Assenza. Perché la trappola era macchiata, era rossa, era sanguinolenta; e non c'era la Creatura, non c'era più, al suo posto l'ombra di un aiuto sfumato in aria. In lontananza, un colpo pari ad un fucile. In lontananza, nella radura più fitta, l'alone del vento ancora attivo. Dov'era la Volpe? Chi stava andando a caccia? Una battuta appena iniziata oppure già finita? Spingersi oltre, quella la chiave. Spingersi avanti, ancora una volta. Alle sue spalle, la valigia abbandonata sembrava già un dolce ricordo.
 
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La Tassorosso si era ritrovata a sentir ribollire dentro di lei una strana commistione di sentimenti, si immaginava che qualsiasi altra persona al suo posto si sarebbe trovata esattamente nella sua stessa situazione, incapace di comprendere esattamente cosa provava.
Era assai complesso cogliere quale della tante emozioni prevaleva, seppur la sentisse sommessa delle altre percepiva una rabbia cieca pronta a sprigionarsi nel momento in cui avrebbe scoperto chi era l’essere umano che aveva deciso di posizionare quella malefica invenzione all’interno di quel bosco che circondava la sua casa, però per ora era la preoccupazione a pressare la ragazza che osservava attenta la povera creatura di fronte a lei.
In quella situazione inoltre si sentiva schiacciata dalla propria impotenza, perché sapeva di non poter essere utile nell’immediato e che di conseguenza avrebbe dovuto prolungare almeno per un poco l’agonia della volpe.
Nei limiti del possibile cercò di apparire il più rassicurante possibile agli occhi dell’animale, rimase ferma in modo da farsi studiare completamente, poteva capire la titubanza o paura che essa poteva nutrire nei suoi confronti, perché in fondo se si fosse trovata lei dall’altra parte sarebbe rifuggita da quell’aiuto che le veniva dato.
Forse, come era suo solito fare, avrebbe attaccato quella persona che le porgeva la mano per aiutarla.
Qualcuno o meglio qualcosa, però, catturò l’attenzione della ragazza per qualche secondo.
Il suo nome era stato pronunciato ad alta voce tra i rami di quella foresta, un richiamo forse, e lei l’aveva udito distintamente e proprio per questo motivo il suo sguardo aveva interrotto il contatto con quello della volpe e aveva vagato tra le foglie per ricercare e identificare chi l’aveva interpellata.
Ayumo era abbastanza sicura che nessuno, a parte sua madre e suo padre, potevano essere a conoscenza della sua presenza lì, l’unico segnale evidente era il baule lasciato davanti a casa.
I suoi occhi seppur si soffermarono in giro, non furono in grado di scrutare nessun altro a parte lei, videro semplicemente qualche foglia cadere verso il terreno, smossa qua è la dal vento che oltre a ciò le scompigliava la chioma corvina.
Accertatasi di essere da sola, si voltò per assicurarsi che la volpe non si fosse mossa ferendosi maggiormente e fu in quel momento che notò che qualcosa era successo in quel piccolo lasso di tempo.
La creatura dal manto scarlatto non era più intrappolata nella morsa metallica, era scomparsa e l’unica traccia che aveva lasciato dietro di sé della sua presenza era il sangue ormai rappreso sull’estremità della morsa.
Come l’animale fosse riuscito a liberarsi dalla trappola rimaneva un mistero, lei si era distratta per pochi secondi e forse erano bastati per sfuggire a quella presa salda.
Non poté però porsi molte domande, perché fu nuovamente richiamata da un
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rumore, forte e nitido, che si levava dalla foresta.
Questa volta non doveva apprendere chi o cosa fosse ad averlo creato, anzi le risultò sin troppo chiaro.
La rabbia che fino a prima era rimasta quieta esplose facendo ribollire il sangue di Ayumo.
Il suono era chiaramente quello di un colpo esploso da un fucile, qualcuno stata cacciando all’interno di quel luogo e probabilmente era la stessa persona che si era permetta di posizionare la macchina morta che stava davanti a lei.
Nessuna esitazione sembrò coglierla, le sue gambe si mossero velocemente per portarla nel luogo da cui aveva sentito provenire il colpo.
Qualsiasi animale meritava di vivere, soprattutto quando il predatore combatteva con armi impari.
Al contrario di quando si era mossa precedentemente, Ayumo non fece molta attenzione a non creare eccessivi rumori, non tanto perché non volesse tener celata la propria presenza, ma perché la rabbia non le permetteva di ragionare lucidamente e proprio per quel motivo nella sua mente era ben chiaro il fatto che se fosse stato necessario, lei, non avrebbe esista ad agire in modo avventato.
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view post Posted on 19/11/2018, 11:27
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Era il tempo del raccolto, quando le margherite impazzivano d'energia, a rivestire un manto erboso a più non posso; quando le viole sfumavano in colori spenti, perlacei, quasi invisibili, a perdere l'intenso purpureo di cui erano natie ed origine esclusiva; quando i sempreverdi attendevano in solitaria, con la discreta pazienza di cui erano tanto nutriti, nella speranza anche pari a scintilla di ritrovarsi in compagnia, in dinamica partecipazione, in qualsiasi modo o pretesto potesse loro valere da risveglio. Il torpore della stagione calante nulla poteva contro il nuovo inizio, un altro inizio: così quando lo scoppio di fucile invase nitidamente, con palese rassegnazione, l'intero luogo circostante, fu come se la Natura stessa si percepisse violata. Qualcuno l'aveva oltraggiata come mai prima di allora, e l'innocenza di cui era estimatrice si dissolveva già come una corona di petali recisi di netto. Ayumo correva, non aveva motivi per non farlo, sospinta dall'orgoglio di proteggere una creatura indifesa, fuorviata da un ideale che la Madre eterea, ovunque persistente, condivideva pienamente. Così un soffio di vento parve carezzarle gentilmente le gote, a riprova di una presenza - di una mistica spiritualità - che soltanto la ragazza poteva percepire sulla sua stessa pelle e giù, nel profondo, fin nel suo cuore in battiti vivi. Si palesava nell'imminente un disastro che anticipava un pericolo, un dolore che non avrebbe dovuto veder possibilità di realizzarsi, e che imperterrito solcava e stracciava, sfilava e sfiniva le geometrie più innocenti di un bosco, di una foresta, di un'ambientazione di per sé - inviolata - fiabesca per davvero. Le foglie più secche scricchiolavano sotto le suole della ragazza e la corsa diveniva in quel moto frenetica, di spasmo attivo, mentre il vento imponeva la sua esigenza, il suo controllo, a chiamarsi partecipe di una scena alla quale forse non era stato invitato. Collimava così la figura della Tassina, spingendola avanti, sempre più avanti, e parve ad un tratto che corpo e spirito fossero uguali, all'unisono, poiché la stessa caviglia si piegò al peso di un'entità sconosciuta ed intangibile, fino a far perdere quell'umano equilibrio di cui Ayumo, di prassi, sapeva di essere normalmente - comunemente - dotata. Stava per inciampare in una radice molesta, quando ad un tratto dall'alto dei cieli si espanse un grido più vivo, ancor più vicino di quanto si potesse credere. Un suono simile ad uno stridio, ad un verso, ad un volo di una Creatura che non si riusciva ancora a vedere, in nessun modo, in nessun caso. Le fronde più alte di una quercia secolare vibrarono, scosse da qualcosa, forse dal vento, forse da un uccello in stasi appena, e fu da salvifica strategia per evitare che Ayumo rovinasse al suolo, per un attimo osservatrice dell'alto e non più del basso. Recuperò d'istinto un certo ordine e proseguì, accompagnata a quel punto dalla sensazione di essere spiata, come se osservata per davvero, e di conseguenza indiretta da un ennesimo colpo di fucile. Un uomo le apparve in tenuta inconfondibile, tinto di verde militare e di giacca da vento scura, temprata della stessa sfumatura di un tronco: indossava infine un berretto a visiera e una sciarpa che gli copriva parte del volto, perfino della bocca. Imponente, alto, slanciato, muscoloso, il Cacciatore puntava un fucile verso un punto ben delineato di fronte.
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Là dove alberi e fogliame disperso sembravano far da sfondo alla natura più disparata, si esibiva una scena che non aveva precedenti, in grado di spezzare il cuore più duro di sempre. La morte nulla poteva contro la sua più limpida aspettativa, perché come se imprigionata da quella stessa consapevolezza, vinta dalla certezza di non divenire preda in fuga, ma orgogliosa vittima ad accettare il proprio destino, la Volpe era ferrea, ferma, forte di uno sguardo carico di astio e di empatia: il Cacciatore era in titubanza crescente, il fucile si spostava da una spalla all'altra, a ricercare la posizione migliore, la mira esatta. Ma la Volpe era immobile, orgogliosa, autentica. Osservava di rimando il suo Giustiziere e non batteva ciglio, non scappava via, non si muoveva. La coda vibrava di arancio e di rosso, il tramonto era tutto lì, concentrato sul manto più luminoso ed acceso di una Creatura così bella, eppure così sfortunata. E c'era in quegli occhi caldi, d'ambra e nocciola, uno slancio tanto emotivo da frenare l'Assassino, da evitare ogni prosieguo di un peccato già scritto. Non ci riusciva, il Cacciatore. Non riusciva a premere il grilletto, non riusciva ad ucciderla come sempre aveva saputo fare, come aveva da tempo addietro imparato a svolgere nel più classico dei modi, in una routine per lui quasi soddisfacente. La Volpe volse di pochi centimetri lo sguardo verso Ayumo, percependo la sua presenza prima ancora dell'altro uomo. E batté ciglio, per la prima volta, scrutandola infine insistentemente. In alto, di sfuggita, un uccello cantava un'ultima volta.
 
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Quella che muoveva Ayumo era una corsa frenetica alla ricerca di qualcosa, o meglio qualcuno.
Il fiato divenne dapprima affannato e infine spezzato a causa del moto improvviso che aveva scosso il suo corpo.
I muscoli delle gambe presto presero a bruciarle, il movimento da fuori appariva scoordinato e maldestro.
Si era sentita colta impreparata, eppure non si era tirata indietro arrogandosi forse anche il diritto di voler far da giustiziera per quella natura incontaminata che ora la circondava.
Il vento che l’aveva abbracciata da quando aveva messo piede in quella radura ora le accarezzava le gote.
Quello stesso vento lentamente aveva assunto quasi un ruolo mistico dato che era tra i suoi soffi la giovane Tassorosso aveva sentito il proprio nome e ora la stava accompagnando in quella spasmodica ricerca.
Nel mentre i piedi continuavano a stagliarsi l’uno davanti l’altro non curanti degli ostacoli che avrebbero potuto incontrare durante il percorso.
Era l’idea di voler interrompere l’essere che stava distruggendo l’equilibrio naturale che permetteva alla giovane ragazza di ignorare il dolore che il corpo stava provando: le gambe che bruciavano, la milza che ormai sollecitata dall’attività fisica aveva iniziato a mandare acute stilettate, i polmoni che dolevano ogni volta in cui inspirava; ma tutto passava in secondo piano se veniva paragonato al dolore che aveva affrontato la Volpe, che aveva visto di fronte a lei privata di qualcosa che aveva in egual misura lo stesso valore della Vita, la Libertà.
Nel proseguo della sua corsa inciampò diverse volte, ma nemmeno una singola volta aveva smesso di avanzare cercando di orientarsi al meglio per raggiungere il luogo da cui aveva sentito levarsi il primo sparo.
Così quando si ricompose un’ennesima volta per proseguire sentì un altro scoppio levarsi potente, più vicino rispetto a quello precedente.
Gli occhi andarono in un momento a stringersi per scrutare meglio quella figura, che ora appariva chiaramente come un uomo di fronte a lei incorniciato dalla mimetica verde e dall’impermeabile nero, tra le mani stringeva il fucile con cui già più volte aveva strappato qualche vita.
Osservò la linea di tiro e con lo sguardo la seguì, incontrò in tutta la sua fierezza la Volpe che aveva visto prima, nonostante tutto trasudava calma e compostezza di fronte a quel fato canzonatorio.
Ayumo per un solo momento fu rapita da quella forza di volontà che avrebbe fatto invidia a qualsiasi essere umano sulla terra, quella magnifica creatura era ferma ad attendere che il suo destino si realizzasse nonostante l’ingiustizia di quel gesto.
La coda si muoveva lentamente, quasi a scandire i secondi che trascorrevano.
Fu proprio in quel momento, quando lo sguardo color ambra e nocciola si incastrò nel suo, che Ayumo sentì la sua mente risvegliarsi dallo stato catatonico in cui era caduta momentaneamente, in quegli specchi vi aveva letto la stessa richiesta insistente del loro precedente incontro, le stava chiedendo aiuto.
La magia in quel momento era esclusa, non che le importasse molto del trattato di segretezza, ma non aveva tempo di cercare la bacchetta per poi enunciare un incantesimo; richiedeva un tipo di concentrazione che ora non poteva permettersi.
Per questo motivo fece scattare nuovamente tutti i muscoli del suo corpo.
In modo da potersi frapporre tra la Volpe e l’uomo, mettersi in mezzo a quella sentenza di morte iniqua.
Non era certa se sarebbe arrivata in tempo, ma aveva notato il tentennare dell’uomo e aveva visto in quell’insicurezza una possibilità.
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Chissà se in quel gesto, in fondo, non vi fosse una certa voglia di espiare le proprie colpe per quelle azioni incommentabili che lei aveva commesso.
Alla fine dei fatti, chi era lei per poter giudicare quell’uomo? Quando mossa dallo stesso egoismo aveva infine portato a termine azioni ben peggiori.
Si era erta come giudice di un qualcuno che nemmeno conosceva e nello stesso tempo come protettrice di una Volpe che non aveva mai visto.
Poco le importava se il Fato beffardo si sarebbe preso gioco di lei di fronte a tale mossa, così come poco le importava di risultare incoerente in quel momento.
Continuò nella sua corsa, mentre il vento nuovamente le sfiorava le gote e un canto di un uccello andava a concludersi.
Una volta che il suo corpo fosse stato tra il cacciatore e la Volpe, sperava che quest’ultima sarebbe corsa al riparo allontanandosi da lei, incurante di qualsiasi risvolto il destino avrebbe riservato per Ayumo.
Sperava di vederla correre via, prima di sentire nuovamente un altro colpo levarsi dal fucile.
Pochi istanti sarebbero bastati, forse, lei nel profondo ci sperava.
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view post Posted on 6/3/2023, 13:44
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Il Canto della ghiandaia suonò stridulo, d'un tratto somigliante ad un campanello d'allarme. Sorvolava il bosco, a pochi metri di distanza, ma il movimento attingeva alle note frenetiche di chi anticipava il pericolo: un battito d'ali incostante, il tremito di foglie e di rametti sporgenti – la ghiandaia si era inoltrata nel fitto della natura, il becco spalancato in uno squillo feroce. Né il Cacciatore né Ayumo, infatti, concretizzavano un monito per la creatura. Era come impazzita, una curva d'azzurro in un cielo già compromesso. Minuta com'era, poté presto essere vista o, di certo, sentita. Era lei, che aveva pedinato il rientro della Tassina. Affettava il vento, nello strappo di foglioline e di corteccia – gli artigli, benché sottili, punsero la quiete del luogo. Cosa cercava, difatti? Dispiegava le ali in una curva caotica, entrando nella radura e scomparendo l'attimo seguente verso l'alto; diventava un gioco a nascondino, temprato tuttavia dall'impazienza che la contraddistingueva. Era... in ansia. No, non era ferita: il volo era rapidissimo, un frammento che avrebbe dovuto attirare attenzione. La verità, però, era un'altra: la tensione che imperversava il momento si avvinghiava esclusivamente alla figura del Cacciatore. Il fucile, tuttora puntato verso la volpe, coadiuvava il tremito del braccio e della spalla sul quale era poggiato. Trasmetteva un senso di agitazione, come a chiedersi quanto fosse utile – e giusto, magari – abbattere in definitiva una volpe di passaggio. La caccia aveva regole proprie, condivise o meno che fossero. Una volpe non rappresentava un pasto ghiotto né un tesoro da imbalsamare... per l'uomo, infatti, l'incontro si tinteggiava di puro, futile fastidio: la volpe gli era d'intralcio, lo era da moltissimo. La zampetta sanguinante, d'altronde, ne era conferma: la creatura aveva consumato perfino una trappola destinata, invece, a prede migliori. Quanto avrebbe significato la vita di una volpe, per chi come lui? La domanda, tacita, ancorò risposte differenti: il Cacciatore tentennò, in parte poiché scosso nel profondo dagli occhietti coraggiosi della volpe, in parte perché... sorpreso, senza dubbio, dall'ineffabilità con cui la bestiolina rispondeva alla minaccia. Impavida, la Volpe non cercò più la fuga.
Il tempo di un sospiro, il dramma dell'esitazione di per sé inaccettabile. Bastò quello, allora, affinché Ayumo riuscisse nell'intento: il colpo caricato dal proprio corpo si espanse con una tenacia ineguagliabile, fuorviato e favorito dalla corsa. Le radici, sotto di sé, si piegarono alla forza dello slancio, mentre la ghiandaia gridava dagli abeti vicini. Il tempo parve sospendersi – la Volpe, la Ghiandaia, il Cacciatore. E lei, d'indomita bellezza, che cedeva vertiginosamente all'istinto.
Lo scontro, alla fine, trovò concretezza. Somigliò ad uno schiocco di frusta, uno stridio di carne, di ossa e di terra. Intorno, in dissolvenza, si sollevò curiosamente l'olezzo del fuoco. Qualcuno, alla fine, aveva ben deciso di soccorrere? Il Cacciatore cadde su di sé, imprecando in modi inauditi. Rovinò al suolo, il tempo di un battito di ciglia per poi sparire nel vuoto: i segni della materializzazione evidenziarono l'ovvio, il Cacciatore era un mago. Di lui non rimase traccia, oltre l'alone della polvere da sparo. Ebbene, aveva colpito. Nella sorpresa che lo aveva colto, certo d'essere sotto assalto di una bestia, aveva premuto il grilletto – un'arma giocattolo tra le mani di un appassionato al mondo babbano. D'un tratto, la natura si fece silenziosa: la ghiandaia sembrò eclissarsi, una goccia oltremarino tra il fogliame. La volpe, invece, avanzò di un passetto, e di un altro. Si fermò, il pelo rossiccio che presto – in modo atipico – mescolò troppi colori, l'uno verso l'altro rapidamente. Era salva, benché ancora ferita.
Ayumo. La voce, invalicabile, si palesò nuovamente.
Sfumò come un richiamo antico, una melodia d'altri luoghi. La natura, infatti, si fece materna: la terra poté attutire la caduta di Ayumo, quasi con dolcezza. Sotto di sé, a partire dalla spalla e verso il petto, scorreva un rivolo vermiglio. Il sangue, copioso, le annebbiò i sensi. Prima di abbandonarsi all'oblio, sentì ancora la stessa voce. Vicina, la Volpe le strofinò il musetto sulla guancia, a mo' di ringraziamento e di affetto. Si accoccolò accanto a lei, il corpicino caldo, finché tutto fu pace.
L'ultima scena che vide, in alto, somigliò al volo della ghiandaia.
Qualcuno, dai ricordi, cominciò a tenderle la mano... un volto conosciuto.

Il Cacciatore, alla fine, aveva colpito a segno.
La preda era lei, Ayumo.

Hai scritto un post molto bello e di certo audace, ho apprezzato tanto. Entriamo nel vivo della Quest, nessuna cura (al momento) avrà valore: ti chiedo gentilmente di considerare un png a te caro che può accoglierti nell'oblio dei sensi, hai libertà assoluta al riguardo e ti guiderò subito dopo.

Inserisco, inoltre, una scadenza che possa favorire entrambi.
Per qualsiasi domanda o proroga, scrivimi tranquillamente per mp.

Prossima scadenza: 17 Marzo, 23.59

 
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view post Posted on 16/3/2023, 04:15
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Infine, aveva ceduto all’istinto, era scattata in avanti per salvaguardare quella creatura indifesa.
Lontano in sottofondo si sentiva l’acuto stridio della ghiandaia che andava a scemare, interrompendosi totalmente quando un fragore esplose nuovamente in aria.
Percorrendo quei pochi metri comprese che l’uomo davanti a lei era un mago, presumibilmente era un appassionato di cimeli babbani; di fronte al suo intervento aveva preferito battere in ritirata attuando una Smaterializzazione in perfetta regola ed era lì che Ayumo aveva compreso la sua natura.
Si era allontanato dalla radura, non prima di lasciare dietro di sé un ultimo indelebile ricordo, un ultimo scoppio, un’ultima preda colpita.
La Tassorosso rimase interdetta dal fragrante rumore, non comprese la sequenza esatta degli eventi fin quando il suo corpo non si accasciò a terra.
Il colpo esploso aveva colpito qualcuno, forse in questo caso involontariamente, ma alla fine aveva assolto al proprio compito ed era penetrato tra le carni della giovane ragazza conficcandosi nella spalla.
La violenza del colpo non le aveva permesso di sentire alcunché per i primi secondi, il suo organismo aveva reagito automaticamente lasciandola in uno stato di shock.
Ma quella condizione durò pochissimo, i livelli di adrenalina scesero rapidamente ed Ayumo avvertì tutto insieme il dolore lancinante del proiettile, il bruciore che si irradiava dalla spalla scendendo verso la mano e verso il busto.
Era così intenso da lasciarla senza fiato, le sue gambe cedettero e il corpo cadde con un tonfo sordo attutito solamente dall’erba, i polmoni faticavano ad ingoiare un poco di ossigeno perché ogni volta che tentava di prendere fiato una fitta ancora più asfissiante della precedente le rompeva il respiro.
Non sapeva se era colpa del buco da cui aveva preso a uscire copiosamente del sangue, oppure la mancata respirazione, ma la sua mente stava iniziando a cedere.
La vista si stava offuscando, i rumori della natura le risultavano lontani ed ovattati.
Poche sensazioni rimasero chiare anche negli ultimi secondi che precedettero la perdita dei sensi.
Sentì il tartufo umido della volpe che aveva inseguito fino ad ora - seppur i suoi colori le apparvero stranamente mischiati assieme - e il tepore della sua pelliccia che si aggiungeva a quello del sangue che ormai aveva imbrattato il terreno sotto di lei e i suoi vestiti.
Gli occhi videro l’ultima danza di quella ghiandaia che l’aveva seguita fin dal suo primo passo in quella radura, sfuocata si librava in cielo, era bellissima ma i suoi occhi non ce la fecero più e si chiusero guidati dalla pesantezza del sonno.
Quel primo dolce abbraccio che le tendeva Morfeo era rasserenante, nonostante la destinazione ben più triste che l’avrebbe attesa.
Il suo stesso animo in quel preciso momento era più sereno, cullato dall’idea di aver potuto espiare parte delle sue colpe, sacrificando la sua vita macchiata per quella di un’innocente volpe, la cui unica colpa era quella di essersi trovata lì al momento sbagliato.
Tra la nebbia della sua mente apparve un volto a lei fin troppo familiare.
Richard era venuto ad accoglierla, gli occhi color ghiaccio che condivideva con lei, il sorriso sommesso e malinconico che adornava quell’incantevole viso.
La stessa pelle diafana e candida che aveva visto un’ultima volta quando l’aveva salutato al suo funerale e come allora i capelli corvini gli incorniciavano il viso quasi efebico, a tradire la sua reale età.
Ai suoi occhi appariva ancor più bello di quanto se lo ricordasse, sicuramente molto più bello di quando l’aveva visto morire sotto i suoi occhi, infangato mentre l’anatema gli strappava l’ultimo respiro.
Ora davanti a lei appariva come un tempo, prima che l’oscurità si impadronisse del suo cuore, era più solare e sereno, fermo in una posa rilassata pronto ad attenderla.
I ricordi collegati a lui erano veramente innumerevoli, la loro infanzia era stata costellata di giornate passate insieme a discutere, giocare e ridere; come una qualsiasi coppia di fratelli.
Lei lo aveva sempre ammirato e persino ora provava quella sensazione, ne ammirava la dedizione allo studio, l’enorme abilità magica e il modo semplice con cui si faceva amare da tutti quelli che lo circondavano, al contrario suo che faceva molta fatica a stringere legami solidi.
Certamente vi erano aspetti che lei, come qualsiasi sorella, non conosceva e mai avrebbe potuto conoscere.
Non aveva avuto l’occasione di vederlo tra le mura di Hogwarts, se anche lì sembrava semplicemente un secchione amichevole, oppure se dimostrava un carattere più sicuro e carismatico.
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Chissà, nonostante tutto lei se lo immaginava circondato da un gruppo fidato di amici mentre percorreva quegli stessi corridoi dove ora lei passava, al contrario suo, solo con una tracolla piena di libri a farle compagnia.
Se lo ricordava come il suo fidato guardiano, pronto a proteggerla dalle angherie degli altri bambini della sua età, pronto a prendersi le colpe delle sue marachelle di fronte ai genitori; a nasconderla dietro alle sue gambe quando aveva paura, ad avvolgerla nel suo mantello per farla sentire al sicuro, a fare il buffone pur di farla sorridere dopo una caduta.
Lui amava vederla sorridere.
Da quanto non c’era più - da quando per le sue colpe aveva pagato lui con la sua morte - lei aveva smesso di sorridere, di essere veramente felice.
Ora, nonostante la motivazione per cui ora lo vedeva lì, si sentiva avvolta da una quiete che non aveva trovato riparo in lei per molto tempo.
L’unica cosa che desiderava ardentemente di fare era corrergli incontro, abbracciarlo forte a sé respirando a pieni polmoni il suo profumo e sedersi a fianco a lui raccontandogli quello che non aveva potuto descrivergli in quel periodo di lontananza.
Tutto quello che aveva scritto in quelle lettere nascoste in fondo al suo baule.
La memoria del cuore Elimina i Cattivi ricordi e Magnifica quelli Buoni,
e grazie a questo artificio, siamo in grado di Superare il Passato.

Off Topic: Chiedo umilmente perdono per la scelta scontata, ma forse è la volta buona che riusciamo ad andare oltre questo lutto.
Mi sono presa qualche libertà nella descrizione, spero di essere rimasta sulla retta via.
Grazie ancora per i complimenti sullo scorso Post, ne sono veramente lusingata.
 
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view post Posted on 23/3/2023, 18:46
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Il Cacciatore aveva colpito a segno, la scintilla del fuoco lacerò la carne e s'impose al controllo della Morte. Nella perdita delle percezioni umane, il sangue si rendeva guida assoluta: gocce vermiglie, in processione, profanavano la terra sottostante. Gli elementi, caotici, cominciarono così a spogliare la natura di ogni consistenza – Ayumo cedeva all'oblio. Risultò dolce, tuttavia, l'eterno abbandono dei sensi: era forse così che si consumava la vita? E la volpe, la ghiandaia, la natura stessa... dov'erano, invece? La roccia, sotto di lei, parve risvegliarsi nell'ultimo brivido d'orrore: radici antiche, tane abitate da spettri dell'oltre, germogli d'esistenza recisa sul nascere, tutto si intrecciò in una tela singolare. Il battito di palpebre che strappò Ayumo al presente, allora, ottenne concretezza delle sottili geometrie che separavano mondo terreno ed onirico. Le sembrò di sentire il canto della ghiandaia, il ringhio sommesso della volpe. Soprattutto, le sembrò di catturare l'eco di una voce atipica, una litania che ricordava le preghiere del mito. Ovunque, intorno a sé, la Coscienza si rendeva frammentaria, e trascinava l'olezzo del fuoco, della pietra e del legno; si distillò in un rivolo vermiglio, di sangue e di pioggia, mentre il sospiro cadenzava la melodia del vento. Antiche ombre si svestivano di pari modo, facendo capolino dai tronchi in dissolvenza. Osservavano, scrutavano, rapivano. Non c'erano trucchi. Né illusione né inganno. Ayumo moriva – vittima innocente. Il bosco accoglieva la promessa di ristoro, l'incantesimo di una pace che aveva creduto di non meritare e che, in dono, le si plasmava in forme, volti, voci. Richard, punto fisso, le tendeva la mano. Occhi di granito, il volto affatto adombrato come nelle fasi solitarie, prima della morte. In piedi, presenza antica.
Divenne una costante, nella vertigine del tempo. Abito di velluto, un mantello a cingere le spalle e sciogliersi in cascata oltremarina fino alle ginocchia, Richard si palesò come memoria elegante, e gentile. Attingeva alle tempere più fredde, di aspetto e di sguardo. Eppure, il volto rideva: la bocca svettava in un cenno di sorriso, le guance già in fossette. Era lui, lo era davvero. Benché in antitesi con la vita, Ayumo acquisiva dimestichezza con l'ambiente raggiunto: aveva sentore del battito in crescendo del petto, del lampo energico del corpo stesso. Tutto, in lei, gridava d'essere assolto – corri, corri, corri. In sottofondo, dimentico, sfumava il canto delle origini: la stanza era uno scorcio a cielo aperto, una natura incontaminata – era un altro punto del bosco? Non vi era dissimile, non troppo. Confinava in colline dalla punta aguzza, appena più innevate: no, Ayumo non aveva freddo. In lei sopraggiungeva l'estasi dell'impossibile, oltre un falò già accesso poco oltre i suoi piedi. In effetti, il tepore delle lingue di fuoco addolciva l'atmosfera, barricandosi in un sogno ovattato. Erano in uno spazio aperto, l'aria tinta di un refolo di polvere. Richard avanzò, districando l'immagine reale in una tavolozza di colori. Spariva, si ricompattava, spariva di nuovo – ricordava il riflesso del vetro, un battito di ciglia a portarlo via per sempre. Quando si fermò, era a pochissima distanza da Ayumo. La mano destra, in sospeso, cercava il contatto dell'altra. I sensi s'acuirono impercettibilmente, il fuoco parve già intensificarsi. Richard non parlò, non subito. Era un ricordo, era una percezione? O era la mente, che vendicava il sangue macchiato? Ayumo. La voce, la stessa voce di prima. Richard non si muoveva più. I suoi occhi si focalizzarono sull'altra, a vederla e perderla di continuo. Il pentacolo, nell'occhio destro, brillò in conferma: lo stesso che Ayumo, impresso nella pupilla opposta, vestiva in memoria.
«Ricordi, Ayumo.» Il vento trascinava parole che Richard, tuttavia, non articolava. Ma era lui, ora era lui: come una risonanza, che strappava il tessuto reale.
«Quando eri bambina. Il fuoco. La prima magia.» Le labbra tacevano, la smorfia di un burattino sulla pelle tesa dell'uomo: i suoni raggiungevano il tempo, lo piegavano al controllo del sogno. Richard era presente, e parlava. Ma era immobile. Il fuoco, poco oltre, si distese in una spira pericolosa, subito seguita da un'altra e un'altra ancora: le fiamme si distendevano in linee, geometrie scottanti, allungandosi oltre i passi di Ayumo. In piedi, inerme, non poté combattere l'accadimento: né bacchetta né manufatti, nulla più era con lei. Il fuoco si consumò in una forma che ricordò un triangolo, quasi una stella. Infine, si arrestò – marchio sulla terra – in un pentacolo di luce. Ayumo sentì la gola tendersi allo spasmo, il corpo stridere di una mutazione che non comprese. Le gambe si piegarono, la schiena pure: un peso impossibile la costrinse alla terra, la pelle si sbucciò in rivoli oscuri, una sottile peluria sul nero. La bocca si tese in un grido involontario, che ricordò uno stridio di porta e di ferro. Cominciò a vedere in modo distorto.
«Gli dei antichi ti invocano.» Richard parlò, di nuovo senza aprire bocca. La sua voce, subito dopo, si articolò nelle stesse frasi che aveva già pronunciato. Quando eri bambina. Il fuoco. La prima magia. Cosa intendeva? Ayumo, presto, scoprì di essere in ostacolo. Il pentacolo fungeva da barriera, bastò tentare la più remota fuga affinché fiamme vive s'innalzassero in pira. Era in trappola, e perdeva ogni aspetto umano. Era... cos'era? Il dolore raggiunse un apice estremo, gli arti si restrinsero e cominciarono a tendersi, tendersi, tendersi di nuovo... la pelle implorava salvezza, sotto di sé s'apriva un filamento d'intreccio. Una ragnatela, di polvere e di fuoco. Richard si mosse. Portò la mano alla tempia destra.
«Combatti il sogno.»

Hai fatto bene, è stata una scelta molto bella. Ci spostiamo sul piano onirico, benché il dolore sia reale. I miei riferimenti, d'ora in poi, sono alla tua storia: gli dei ti cercano, Cernunnos è già in ascolto. La prima metamorfosi è un richiamo al tuo passato.

Prossima scadenza: 31 Marzo, 23.59

 
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Ayumo Vanille
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In quell’ultimo istante che la strappò dal mondo del tangibile catapultandola in quello onirico, non c'era altro che un sottofondo di rumore. Un ultimo saluto composto dal ringhio sommesso della volpe e dal dolce canto della ghiandaia – che ancora le faceva compagnia – ultima una litania di una preghiera che le ricordava gli antichi miti che era solita raccontarle Sìve.
Mentre il controllo sulla sua vita andava scomparendo, gli occhi sembrarono riuscire cogliere le ombre degli spiriti di una foresta che si radunava attorno a lei, pronta ad accoglierla come vittima innocente di un alterco che non era suo.
Foresta che si faceva culla di un ristorno che non meritava, che in cuor suo continuava a credere di non meritare.
Sentì il vento gelido della Vecchia avvicinarsi, mentre ciò che era attorno a lei iniziava a cambiare a plasmarsi in forme mutevoli, diverse da quelle che aveva potuto osservare fin ora. Nello stesso istante, nell’aria, iniziò ad espandersi l’acre e resinoso effluvio del fuoco e in accompagnamento si poteva cogliere anche l’aspro odore del fumo che saliva dall’incandescenze del legno umido che scoppiettava.
Suo fratello era giunto ad accoglierla e, stranamente, appariva rilassato affatto accigliato dal male che lei gli aveva causato. Il velluto blu dell’abito e il mantello che gli cingeva le spalle, servivano a mettere in risalto la sua figura e facevano svettare ancor di più il dolce sorriso stampato tra le fossette del viso. Sembrava quasi un dipinto, immortale, per tanto appariva perfetto in quella visione.
Gli occhi ne saggiavano qualsiasi dettaglio, in modo da poterseli imprimere meglio nella memoria per l’ultima volta, intenta a cancellare in quel modo le orribili immagini che continuavano a tormentarla nelle notti insonni che passava tra le mura del castello; incubi che tornavano a rimembrarle i crimini che aveva commesso.
In passato non era stata dissimile a qualsiasi altro criminale, intenta a trovare giustificazioni per un atto imperdonabile; ormai aveva smesso di mentire a sé stessa, era giunta ad essere fin troppo cosciente della atrocità che aveva commesso e per questo riponeva fiducia nel Fato che le avrebbe garantito una giusta punizione, un giusto contrappasso per le sue colpe. Era realmente pronta ad affrontare la sua sorte?
Nonostante le mani macchiate – indelebilmente – dal sangue, la natura la stava ripagando con quel contatto. Con quella realtà sfuocata, dove lui era lì pronto a guidarla lungo quella che, lei, credeva essere la sua ultima strada.
Un nuovo mutamento. Il rumore della natura che l’aveva accompagnata in quel passaggio tra realtà, ora, aveva lasciato spazio all’incedere cadenzato e martellante del suo cuore che continuava a batterle nel petto con rinnovata energia.
La figura di Richard ancora ferma davanti a lei, mentre i contorni della stanza si facevano nuovamente liquidi sotto i suoi occhi, riemersero diversi luoghi della Foresta, sentieri già battuti e radure ben note; posti che al solo sguardo sembravano indissolubilmente legate al luogo dove ora giaceva il suo corpo. Alla fine, quel paesaggio sembrò assestarsi, ora si trovavano in un altro spiazzo più vicino alle vette collinari innevate. La sua pelle però non ebbe modo di avvertire l’abbraccio pungente del freddo.
Un nuovo sguardo ai dintorni rivelò il piccolo focolare che aveva aromatizzato l’aria con il caldo odore di legna bruciata, si delineava poco distante da lei; a ben vedere a metà tra la sua figura e quella di suo fratello. Fu allora che lo vide muoversi verso di lei, ma la sua immagine si disgregava per poi ricompattarsi ad ogni singolo passo. Le mani della ragazza strette a pugno andarono a stropicciare i propri occhi, alla ricerca di una maggiore nitidezza. A nulla valse quel gesto e solamente quando il ragazzo completò il suo percorso riuscì a riacquistare una forma compatta.
La mano destra di lui era protesa in avanti, e Ayumo non esitò a stendere il proprio arto alla ricerca di quel contatto tanto agognato. Ancor prima dell’effettività di quello sfioro, avvertì una scossa attraversarle il corpo: un brivido di calore che si fece largo sotto la pelle partendo dalle punte delle dita per poi salire al palmo della mano, si irradiò nell’avambraccio proseguendo ancor più su lungo la spalla, spandendosi poi lungo la schiena e diramandosi infine in tutti gli altri arti del corpo. Un’ultima scossa giunse alla base del collo e ne seguì un profondo respiro della Tassorosso; tutto durò un attimo che coincise con l’intensificarsi del fuoco lì accanto.
Ammirò gli occhi glaciali del fratello, dove poteva scorgere lo stesso marchio di cui anche lei si era fatta portatrice.
Memoria di un legame indissolubile.
Nell’aria persisteva quella voce che aveva sentito fin dal primo momento in cui aveva messo piede nel territorio di casa, persino ora era trasportata dalla brezza gentile e ripeteva il suo nome. Solo la voce di Richard riuscì a sovrastarla, anch’essa incastrata nel vento. Riusciva ad arrivare alle sue orecchie, seppur davanti a lei vedesse che non vi era alcun tipo di contrazione nei muscoli facciali, eppure quel timbro era sicura appartenesse solamente a lui. Decise di non farsi nessuna domanda in merito a quel dissidio cognitivo; alla fine quello era o non era l’ultimo spiraglio di lucidità che le rimaneva? Se così fosse stato vi sarebbe stato poco da comprendere di quel mondo onirico e tanto valeva godersi quegli ultimi attimi.
Difatti, non erano anche loro miti e leggende del mondo di qualcun altro?
Forse se avesse ascoltato attentamente, Ayumo si sarebbe accorta che quelle parole richiamavano un preciso momento del suo percorso, ma la giovane sembrava averne perso la memoria. Quelle poche parole rievocavano le fiamme della gioventù. Il Fuoco era un elemento che li accompagnava lungo tutto il loro arco sulla terra, infatti era lui a dare l’ultimo abbraccio alle loro spoglie mortali; aveva avuto l’occasione di vederlo al rito funebre che la sua famiglia aveva tenuto per Richard. Cercò di comprendere il reale significato di quelle brevi frasi, di coglierne il sottinteso.
In quello stesso momento, però, il fuoco si fece vivo e delle lingue iniziarono ad animarsi sempre più freneticamente in spire che andarono a interrompere sul nascere quel probabile contatto tra lei e Richard, danzarono vorticosamente mentre lei non riusciva a far altro che rimanere lì inerme.
Trovò un senso a quelle forme infuocate solo quando esplosero in un pentacolo di luce. In quell’esatto istante Ayumo sentì il proprio corpo iniziare a piegarsi sotto gli effetti di qualcosa che ancora le appariva arcano, primo fra tutti vi fu uno spasmo alla gola. Le corde vocali che si tendevano, ma nessun fiato riusciva ad uscire dalla sua bocca.
Le ginocchia cedettero a quella mutazione, subito dopo fu la schiena a contrarsi; un peso le intralciava qualsiasi movimento, mentre dalla pelle progressivamente si iniziava a intravedere un leggero strato di piumaggio soffice e poi distintamente spuntarono alcune piume color onice. L’urlo rimasto intrappolato fin ora, uscì simile a uno stridio acuto che di umano sembrava aver rimasto ben poco.
La voce di Richard continuava a farle da monito, gli Antici la reclamavano a loro. Quella frase le rimbombò in testa e, insieme alle precedenti parole, andò a formare una lenta litania: gli antichi, il fuoco, quando era bambina, la prima magia.
Ora piegata su sé stessa, le mani che – non avendo più nulla di umano – le stringevano il capo; mentre il dolore andava man mano acuendosi fino a raggiungere un apice terribile. Fu talmente dilaniante da farla estraniare totalmente dalla trasfigurazione dei propri arti.
Fu allora, tra quei dolori strazianti, che le apparve quella reminiscenza che cercava, fulvide sequenze della sua infanzia.
Il Fuoco non era semplicemente casa, in quel caso assumeva un significato ben diverso ed unico, diveniva prova tangibile della sua magia e dei suoi poteri. Raffigurava l’Inizio del suo percorso.
Proprio tra quelle radure aveva evocato per sbaglio quelle stesse fiamme che ora la tenevano incatenata. Ripercorrendo quei momenti si ricordò di quel giorno in cui lei e Richard stavano giocando nel bosco attorno a casa.
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Fu un semplice incidente, una reazione involontaria e istintiva del suo corpo.
Stavano correndo entrambi, lei fuggiva dal fratello e fu in quel frangente che un ragno decise di calarsi giù da un ramo ben più alto. Sollevò lo sguardo e se lo trovò lì, davanti a lei.
La paura si impadronì di lei immediatamente, ci volle solo un battito di ciglia per veder divampare le fiamme su quella povera creatura, non lasciarono altro che cenere e l’odore di carne bruciata.
Subito dopo aveva iniziato a piangere terrorizzata, Richard l’aveva raggiunta e l’aveva cinta a sé per tranquillizzarla; era andata avanti per diversi minuti singhiozzare, nascosta tra le braccia e il busto del fratello maggiore che teneramente le aveva accarezzato i capelli corvini per tutto quel tempo, poi una volta più serena l’aveva portata a casa per trasformare quel brutto incidente in un evento gioioso da festeggiare.
Seguendo quel ricordo, Ayumo non fece altro che implorare a sé stessa di bruciare qualsiasi cosa, di bruciare quel filamento di intreccio che ora scrutava sotto di sé. Non fu la paura a guidarla quando più il dolore che stava provando e la ricerca di salvezza da quella condizione.
Sentì poi in lei esplodere un moto di rabbia, perché neanche ora poteva fare niente? Perché anche in questo caso non poteva fare nulla per avvicinarsi a lui? Era forse quella la punizione che gli Dei le volevano infliggere per le sue colpe? Continuare a portarlo con sé senza poterlo raggiungere? Non era quello che già stava facendo?

* Che Fato beffardo. *

Fu l’unico pensiero che riuscì a formulare, mentre la sua mente scivolava sempre più nell'oscurità. In cuor suo sapeva che nulla sarebbe servito, neanche se il mondo intero fosse bruciato sarebbe riuscita a riaverlo indietro, lui aveva deciso di andare avanti. Solo la Morte, forse gliel'avrebbe restituito.
In mezzo a quel dolore, a quella rabbia germoglio il seme dell’incertezza.
Alla fine non era più semplice smettere di lottare e lasciarsi andare a quella disperazione? Perché doveva essere il mondo a incenerire, non era forse stata lei quella debole?
La risposta si fece largo: no, non poteva permettersi quell’inamovibilità.
Era stata quella a permettere che certi avvenimenti accadessero, ferma immobile aveva permesso ad una donna qualsiasi di strapparle uno dei legami più forti che aveva avuto su quella terra, ora doveva ritrovare la forza per combattere.
Lottare contro quel dolore, contro quei rimpianti e trovare il modo per liberarsi di quelle catene; doveva rialzarsi e cercare la propria strada. Forse era la vendetta, ancora non lo sapeva, ma non si sarebbe arresa nuovamente agli eventi.
Solamente trovata la pace si sarebbe lasciata accogliere dal caldo abbraccio delle fiamme che l’avrebbero strappata dal suo corpo terreno, ora voleva piegarle per potersi liberare da quelle catene mentali che per tempo si era costruita.
Era certa, avrebbe trovato il modo per incenerire quel mondo.
Poi sarebbe tornata lì tra quelle braccia forti, lei affianco a lui per chiacchierare ancora e ancora di tutto quello che le sarebbe successo.
Vendetta, il boccone più Dolce che sia mai stato cucinato all’Inferno.
 
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there must be rules that people fighting gods usually followed ❖
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Il pentacolo, tempestato da lingue di fuoco, sigillava la prigionia degli Antichi Dei. Brillava convulsamente, dapprima lieve e poi già esteso. Sfidava la terra con la morsa delle fiamme, bruciando a sé – bocca famelica – la corolla naturale che circondava Ayumo: rami, tronchi divelti, foglie secche. Perfino le campanule, sparpagliate in gocce di colore, sfrigolavano in cenere. Chiunque avesse acceso il fuoco, in effetti, aveva colto il punto migliore: che fosse stato un idillio, un incubo oppure un sogno ad occhi aperti, il mondo cadeva in schegge di luce. C'era un ché d'incantevole, tutto sommato: il cambiamento di un cuore che liberava il rimorso, il peso di un animo già pronto a districarsi. La tragedia, d'altronde, custodiva una bellezza che in pochi erano in grado di cogliere nel profondo. Ayumo, in prima linea, non era nuova al dolore – la vita, per lei, era stata poco misericordiosa. Perfino la Veglia, per giunta, si nutriva d'orrore: l'illusione di pace gettata dal colpo di fucile, poco addietro, già rinnovava altre forme strazianti. La metamorfosi che l'avvinghiava alla terra, infatti, non comprese arresto. Sotto lo sguardo granitico dell'ombra che era Richard, il corpo dell'altra si contorceva in modi imprevedibili: le gambe si tesero oltre ogni limite, lo stesso accadde alle braccia. Presto poté notare come la pelle fosse sul punto di scorticarsi, si macchiò di rivoli di sangue lucido che si vestì nell'immediato di un velo d'inchiostro: una peluria già più sottile, sulle tempere del nero e del grigio, parve baluginare in modo affrettato. Le palpebre, dispersive, catturarono la follia di arti e occhi sdoppiati, forse perfino duplicati: colei che Ayumo era stata, infine, cominciò a sparire al confronto con la memoria. Aveva raccolto il riferimento, tessendovi il rimando al passato d'infanzia: il ragno, in fuoco eterno, vendicava la fine di un tempo. Poteva essere soltanto una ripicca, fuorviata dall'arte occulta della magia? Eppure, la visione d'insieme si stabilizzava: benché in dolore sinistro, la trasformazione già offriva vantaggi. Odori, suoni, percezioni – il mondo gridava. Voce demoniaca, ora, nel graffio di una gola che profanava l'umanità. Le parole, se d'aiuto o di grido, cozzavano con il ticchettio di chele, l'estensione ultima del tessitore.
«Trasforma te stessa.» Richard parlò ancora una volta, la bocca metallica del fantoccio che era diventato. Somigliava al fratello che Ayumo non aveva dimenticato – come avrebbe potuto? – con l'eccezione, a malincuore, d'essere assente. C'era qualcosa di guasto, in lui. Qualcosa che la vicinanza, appena avanzò verso il pentacolo, pose in risalto. Richard non batteva palpebra, il petto non svelava il soffio del respiro. Gli occhi di ghiaccio offuscavano il volto ridente che aveva avuto. Eppure, era lui. In modi diversi, senza dubbio, e pur sempre lui. Poteva, allora, essere l'ultimo omaggio della vita che s'affievoliva? Ayumo poté percepire il dolore assopirsi, il corpo oramai in gran parte rimpicciolito. La natura, tuttavia, implorava nuovo ascolto, uno più attento. Intorno a sé, infatti, Ayumo poté carpire elementi di spicco, che il fuoco aveva bruciato e rivelato meglio: pietre, ad esempio, dalla forma circolare, che si alternavano alle ramificazioni infuocate lungo tutto il pentacolo. E una brocca, che nulla – o nessuno – aveva chiarito poco prima: l'acqua, all'interno, turbinava in venature rossastre, che attiravano i guizzi dell'incendio divampante e che, parimenti, ricordavano il sangue. Sembrò che l'aria si risucchiasse nel boato di un fulmine, il cielo d'un tratto in tempesta. Grossi banchi di nube temporalesca invasero nefasti l'intera cupola iridescente, finché le prime gocce piovane comparvero in monito di grazia e di pericolo insieme. Il fuoco, in pentacolo, cominciò a spegnersi. Richard ripeté la stessa frase – trasforma te stessa –, diede infine un calcio secco alla brocca. L'acqua, rapidamente, scorse lungo le linee tracciate sulla terra e la magia si riversò in modi altrettanto inusuali. Dove il fuoco aveva lasciato il marchio, l'acqua – di brocca, di pioggia pure – crebbe velocemente, costretta dalle pareti stregate del pentacolo. Non lasciava la zona che avvolgeva Ayumo, non fuoriusciva dai bordi invisibili. Richard, infatti, non sembrò bagnarsi in alcun modo. Il corpo di Ayumo, ora ragno, coltivò la seconda, terribile mutazione: perse ogni libero controllo a favore dell'asfissia, il petto – metà ragno, metà umano – si coprì di frammenti argentei, come perle. Altro non erano, invece, che squame marine. La bocca anelò all'aria, invano. E le mani, ritratte, divennero pinne. E la gola, in spasmo, si squarciò in branchie d'impatto. L'acqua, ora, tentava di sommergerla nella trappola del pentacolo. Affidarsi alla trasformazione oppure respingerla? Ayumo, rapida, necessitava scegliere: né bacchetta né aiuto ulteriore dal contesto.
Cos'era, allora, che gli dèi pretendevano?

Gli elementi presenti intorno non sono casuali, alla base c'è il motivo per cui Ayumo sia tornata a casa.

Prossima scadenza: 14 Maggio, 23.59

 
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view post Posted on 15/8/2023, 00:21
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Il fuoco era quasi ipnotico, i lapilli che schioccavano via dal legno ardente rendevano l’area ancor più eterea di quando non fosse già e l’odore forte ed acre del fumo aveva cominciato a riempirle i nuovi sensi di cui era entrata in possesso.
Il corpo alla fine, nonostante la resistenza, si era piegato di fronte a quel mutamento che non era stata lei ad innescare e in quel vortice di domande e dubbi una domanda si era fatta largo, quella figura oltre il pentacolo era realmente suo fratello? Certamente ne portava il volto e la voce, in certi casi il modo di fare era pressoché identico; eppure Ayumo intravedeva una scollatura netta tra quello che era il Richard che ricordava e quello che ora di fronte a lei si stagliava.
Vi era qualcheduno che lo stava usando come tramite? Qualcuno che l’aveva richiamato dai fasti della sua memoria per aiutarla ad affrontare quel percorso tortuoso?
Era tornata in Irlanda per affrontare un cambiamento importante, per abbracciare una parte di lei che aveva maturato silenziosa in fondo all’anima, per muovere quel primo passo e proseguire, riprendere in mano ciò che era rimasto e dargli un senso.
D’altro canto sapeva che la solitudine, seppur fosse stata una scelta tante volte, in molti casi non l’aiutava ad affrontare la realtà dei fatti e in essa avrebbe preferito sicuramente lasciarsi andare all’braccio freddo e tetro della Vecchia piuttosto che sentire ancora male e dover affrontare.
Ed ecco trovato lo scopo di quell’ombra al di là di quell’incessante ardere.
Non rimaneva però spazio per l’incertezza e per i tentennamenti, in quel momento era di fondamentale importanza continuare a lottare e sopravvivere ad ogni sfida che le si sarebbe dipanata davanti.
I sensi, che si erano oramai acuiti in quella forma, le avevano dato un nuovo modo di percepire ed assaporare la realtà circostante e seppur la vista non fosse più chiara ma sdoppiata, ora più che prima, riusciva a cogliere le sfumature grigiastre di alcune pietre tondeggianti e lisce che erano state poste come limitare di un cerchio dentro al quale ora lei era figura centrale.
Risultava chiaro che non vi era affatto casualità nel susseguirsi di eventi che stava affrontando, qualcuno quel luogo sacro l’aveva preparato in attesa della sua venuta e ora gli Dei l’avevano accolta.
Vi erano parecchie sfumature non ancora chiare, ma aveva iniziato a cogliere i primi accenni di trama ed era sicura che entro la conclusione della giornata sarebbe riuscita a comporre l’intero Puzzle.
Bastò un solo secondo persa nella sua mente per non rendersi conto di Richard che dava un calcio secco alla brocca.
Il tuonare temporalesco sopra di lei si fece colonna sonora dell’acqua che scorreva lungo le increspature segnate nella terra, uno sgorgare incessante che non oltrepassava i limiti già precedentemente delineati.
Ancora un battito delle palpebre e il corpo si piegava all’ennesima metamorfosi, il dolore però si era placato.
Dove prima vi erano zampe, ora poteva osservare delle splendide pinne costellate di squame argentate.
Il petto era nuovamente stretto in una morsa asfissiante, i polmoni urlavano in cerca di aria? La gola si squarciò in branchie e divenne chiaro che non era l’aria che il suo corpo ora bramava.
Le parole che le erano state urlate e suggerite continuarono a pulsarle nelle orecchie, una frazione di secondo dove le sentì innumerevoli volte.
Fu chiaro che non aveva senso continuare a respingere e lottare contro quella mutazione, in quel modo si sarebbe fatta solo più dolorosa.
Dentro di lei prendeva coscienza il fatto che aveva affrontato quel viaggio proprio per quel motivo, abbracciare un cambiamento che segnava l’inizio di una parte della sua vita.
Aveva camminato sul suolo della tenuta di casa cosciente che non sarebbe tornata ad Hogwarts come prima, aveva avuto modo di scoprire al funerale di suo fratello che la sua famiglia aveva una lunga tradizione come Animagus, qualcosa che andava oltre la scelta semplicistica di trasformarsi in un animale.
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Era un legame che la sua famiglia aveva stipulato secoli addietro, come forma più pura di comprensione della natura stessa.
Sua madre le aveva rivelato poco, briciole in confronto a quello che vi era da sapere riguardo agli Animagus e alla Trasfigurazione Umana, ma era stata chiara che fosse un percorso personale quello da intraprendere; un cambiamento che non trasfigurava solamente il corpo, ma andava a fornire una forma definita anche all’anima della persona.
Ora gli Dei erano lì che le chiedevano di affrontare quel moto, di non continuare nella sua staticità, ma di prendere le redini della propria forma e di abbracciare quello che le stavano offrendo.
La prima metamorfosi era stata parziale ed estremamente dolorosa, questa stava procedendo diversamente, le fitte si erano fatte meno intense e voleva vedere fino a che punto il suo corpo sarebbe cambiato.
Si lasciò trasportare dalle correnti che si erano formate a causa del turbinio dell’acqua, una spinta con quelle che ormai erano diventate complete pinne e si lasciò andare alla scoperta delle nuove sensazioni che il corpo poteva offrirle.
La testa scese sotto il pelo dell'acqua, alla ricerca di un nuovo metodo per "respirare".
Più o meno conosceva il funzionamento delle branchie, lasciò filtrare l’acqua attraverso la bocca cercando di placare gli istinti primordiali che le dicevano di chiuderla.
Non sapeva che sensazione ne sarebbe scaturita, la tentazione di tossire e stringersi la gola era forte dentro di lei, quella parte umana difficile da reprimere stava lottando.
Ma aveva avuto modo di sentire il collo lacerarsi, di rendersi conto che l’ossigeno dell’aria non bastava più per farla respirare adeguatamente, doveva credere nel processo e cedere agli istinti animali.
Gli occhi spalancati per accogliere i prossimi cambiamenti, mentre le pinne tagliavano e spingevano l’acqua per farla muovere.
Intanto sopra di lei una pioggia leggiadra aveva iniziato a scendere sopra quel suolo rituale.
Il Cambiamento è una porta che si apre solo dall’Interno.

Off Topic: Chiedo umilmente perdono per il ritardo abissale, purtroppo quello che mi è successo ha richiesto più tempo di quello che avevo preventivato.
Ma ora sono qui, pronta a proseguire e portare a termine il tutto senza ulteriori slittamenti.
Vi ringrazio veramente dal profondo per aver atteso e per essere stati così pazienti nei mei confronti. :<31:
 
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19 replies since 28/6/2018, 13:30   538 views
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