Il Cacciatore aveva colpito a segno, la scintilla del fuoco lacerò la carne e s'impose al controllo della Morte. Nella perdita delle percezioni umane, il sangue si rendeva guida assoluta: gocce vermiglie, in processione, profanavano la terra sottostante. Gli elementi, caotici, cominciarono così a spogliare la natura di ogni consistenza – Ayumo cedeva all'oblio. Risultò dolce, tuttavia, l'eterno abbandono dei sensi: era forse così che si consumava la vita? E la volpe, la ghiandaia, la natura stessa... dov'erano, invece? La roccia, sotto di lei, parve risvegliarsi nell'ultimo brivido d'orrore: radici antiche, tane abitate da spettri dell'oltre, germogli d'esistenza recisa sul nascere, tutto si intrecciò in una tela singolare. Il battito di palpebre che strappò Ayumo al presente, allora, ottenne concretezza delle sottili geometrie che separavano mondo terreno ed onirico. Le sembrò di sentire il canto della ghiandaia, il ringhio sommesso della volpe. Soprattutto, le sembrò di catturare l'eco di una voce atipica, una litania che ricordava le preghiere del mito. Ovunque, intorno a sé, la Coscienza si rendeva frammentaria, e trascinava l'olezzo del fuoco, della pietra e del legno; si distillò in un rivolo vermiglio, di sangue e di pioggia, mentre il sospiro cadenzava la melodia del vento. Antiche ombre si svestivano di pari modo, facendo capolino dai tronchi in dissolvenza. Osservavano, scrutavano,
rapivano. Non c'erano trucchi. Né illusione né inganno. Ayumo moriva – vittima innocente. Il bosco accoglieva la promessa di ristoro, l'incantesimo di una pace che aveva creduto di non meritare e che, in dono, le si plasmava in forme, volti,
voci. Richard, punto fisso, le tendeva la mano. Occhi di granito, il volto affatto adombrato come nelle fasi solitarie, prima della morte. In piedi, presenza antica.
Divenne una costante, nella vertigine del tempo. Abito di velluto, un mantello a cingere le spalle e sciogliersi in cascata oltremarina fino alle ginocchia, Richard si palesò come memoria elegante, e gentile. Attingeva alle tempere più fredde, di aspetto e di sguardo. Eppure, il volto rideva: la bocca svettava in un cenno di sorriso, le guance già in fossette. Era lui, lo era davvero. Benché in antitesi con la vita, Ayumo acquisiva dimestichezza con l'ambiente raggiunto: aveva sentore del battito in crescendo del petto, del lampo energico del corpo stesso. Tutto, in lei, gridava d'essere assolto – corri, corri, corri. In sottofondo, dimentico, sfumava il canto delle origini: la stanza era uno scorcio a cielo aperto, una natura incontaminata – era un altro punto del bosco? Non vi era dissimile, non troppo. Confinava in colline dalla punta aguzza, appena più innevate: no, Ayumo non aveva freddo. In lei sopraggiungeva l'estasi dell'impossibile, oltre un falò già accesso poco oltre i suoi piedi. In effetti, il tepore delle lingue di fuoco addolciva l'atmosfera, barricandosi in un sogno ovattato. Erano in uno spazio aperto, l'aria tinta di un refolo di polvere. Richard avanzò, districando l'immagine reale in una tavolozza di colori. Spariva, si ricompattava, spariva di nuovo – ricordava il riflesso del vetro, un battito di ciglia a portarlo via per sempre. Quando si fermò, era a pochissima distanza da Ayumo. La mano destra, in sospeso, cercava il contatto dell'altra. I sensi s'acuirono impercettibilmente, il fuoco parve già intensificarsi. Richard non parlò, non subito. Era un ricordo, era una percezione? O era la mente, che vendicava il sangue macchiato?
Ayumo. La voce, la stessa voce di prima. Richard non si muoveva più. I suoi occhi si focalizzarono sull'altra, a vederla e perderla di continuo. Il pentacolo, nell'occhio destro, brillò in conferma: lo stesso che Ayumo, impresso nella pupilla opposta, vestiva in memoria.
«Ricordi, Ayumo.» Il vento trascinava parole che Richard, tuttavia, non articolava. Ma era lui, ora era lui: come una risonanza, che strappava il tessuto reale.
«Quando eri bambina. Il fuoco. La prima magia.» Le labbra tacevano, la smorfia di un burattino sulla pelle tesa dell'uomo: i suoni raggiungevano il tempo, lo piegavano al controllo del sogno. Richard era presente, e parlava. Ma era immobile. Il fuoco, poco oltre, si distese in una spira pericolosa, subito seguita da un'altra e un'altra ancora: le fiamme si distendevano in linee, geometrie scottanti, allungandosi oltre i passi di Ayumo. In piedi, inerme, non poté combattere l'accadimento: né bacchetta né manufatti, nulla più era con lei. Il fuoco si consumò in una forma che ricordò un triangolo, quasi una stella. Infine, si arrestò – marchio sulla terra – in un pentacolo di luce. Ayumo sentì la gola tendersi allo spasmo, il corpo stridere di una mutazione che non comprese. Le gambe si piegarono, la schiena pure: un peso impossibile la costrinse alla terra, la pelle si sbucciò in rivoli oscuri, una sottile peluria sul nero. La bocca si tese in un grido involontario, che ricordò uno stridio di porta e di ferro. Cominciò a vedere in modo distorto.
«Gli dei antichi ti invocano.» Richard parlò, di nuovo senza aprire bocca. La sua voce, subito dopo, si articolò nelle stesse frasi che aveva già pronunciato. Quando eri bambina. Il fuoco. La prima magia. Cosa intendeva? Ayumo, presto, scoprì di essere in ostacolo. Il pentacolo fungeva da barriera, bastò tentare la più remota fuga affinché fiamme vive s'innalzassero in pira. Era in trappola, e perdeva ogni aspetto umano. Era... cos'era? Il dolore raggiunse un apice estremo, gli arti si restrinsero e cominciarono a tendersi, tendersi, tendersi di nuovo... la pelle implorava salvezza, sotto di sé s'apriva un filamento d'intreccio. Una ragnatela, di polvere e di fuoco. Richard si mosse. Portò la mano alla tempia destra.
«Combatti il sogno.»Hai fatto bene, è stata una scelta molto bella. Ci spostiamo sul piano onirico, benché il dolore sia reale. I miei riferimenti, d'ora in poi, sono alla tua storia: gli dei ti cercano, Cernunnos è già in ascolto. La prima metamorfosi è un richiamo al tuo passato.
Prossima scadenza: 31 Marzo, 23.59