La testa pulsava più del dovuto, istante dopo istante al pari di un martellare intenso, incessante, ignobile. Il palmo della mano destra era aperto, spalancato come se deciso ad afferrare qualcosa, lo stesso dolore, piegarvisi contro, stringerlo in una morsa eterna ed ultima, disintegrarlo frammento dopo l'altro. Le dita della mano sinistra, al contrario, premevano contro prima l'una e poi l'altra tempia, in frenetica speranza di funzionare, di dissipare, di annullare in definitiva l'emicrania che aveva colto il Veggente alla sprovvista. Tra i pensieri si stagliava nitidamente un volto, uno tra pochi, e mai prima di allora Oliver aveva potuto vantare una tale chiarezza. Quasi in una presa in giro senza precedenti, in un gioco senza più incastri, in esclusione di ogni altra ipotesi, si presentava alla sua attenzione un viso,
quel viso. Ed era snervante, lo sapeva bene. Una sensazione di puro fastidio, a serpeggiare lungo l'intera figura, a renderla schiava di un sentimento che mai aveva saputo condividere, che mai avrebbe desiderato farlo. Sollevò la bacchetta magica in un contatto leggero, pollice ed indice, pelle e legno, fin quando con un disegno pigro, movimento tra pochi, aprì la finestra circolare del suo Ufficio. Alle sue spalle un soffio di vento estivo, caldo e asfissiante, non fece altro che accendere un nervosismo già di per sé crescente. Oliver non avrebbe saputo spiegarlo neanche a se stesso, ed era strano, avrebbe dovuto ammetterlo. Da molto preda di lamenti e insofferenza nei riguardi del Dono così enigmatico che aveva ereditato, eppure a sua volta vittima indiscreta di un pregio, la limpida conoscenza, che non avrebbe creduto di disprezzare a tal punto. Vedere era un conto, vedere perfettamente ne era un altro. Come un boia d'altri tempi, giustiziere di una corte senza giudice, senza governo, senza legge, si vestiva in quel caso di una condanna cui non avrebbe potuto sottrarsi. La vedeva, più bella di qualsiasi altra. La vedeva, più docile di ogni altra presenza nella sua giovane vita. E così come la testa pulsava, la fronte vibrava, il colpo cadeva. Ascia contro ascia, mozzata di netto, la preda avanzava, l'ombra sostava, così era sconfitta. Aprì gli occhi solo quando qualcuno bussò alla sua porta e senza aspettare una sua risposta, invito ultimo, fece il suo ingresso rapidamente. Non fu per lui un disturbo di alcun genere, attendeva il ragazzo da quella mattina. Capitava in disgrazia al pari di un'emicrania insopportabile e c'era una linea, un confine, una stessa visione d'insieme in quella coincidenza. Arricciò il naso, facendo segno all'altro di avanzare.
«Daniel, buonasera.» Un saluto pacato, anonimo, a tratti asettico. Non offrì nulla, non avrebbe potuto neanche volendo: in quell'Ufficio mancavano scorte di dolci da quando Oliver si era accorto di essere uno dei pochi, tra i suoi colleghi, ad essere così profondamente goloso. Andava bene così, a pensarci.
«Accomodati, spiegherò in fretta e possiamo andare.» Attese che il Serpeverde prendesse posto di fronte alla scrivania, al lato opposto della quale - con aria stanca, le occhiaie scure a marcare il volto gioviale - il Caposcuola Grifondoro faceva da sfondo.
«Niente pulizie di bagni, guferie o spogliatoi, niente lavori da amanuense, niente di simile. La punizione sarà piuttosto semplice, ma personalmente utile. Ci recheremo ai Sotterranei, lì ci aspettano alcuni Elfi Domestici, li aiuteremo in qualche modo. Sono alle prese, ironia della sorte, con barili di birra manomessi da studenti del quinto anno, che seguiranno forse punizione peggiore. Il tuo compito, supervisionato da me, sarà quello di spezzare gli incanti che riguardano questi barili, favorendone ordine e pulizia. Ma ci forniranno maggiori dettagli sul posto.» Detto e fatto, niente di più, niente di meno. Tanta strada fino a quel piano per poi riscendere ai Sotterranei da cui lo stesso Serpeverde poteva essere giunto, era forse già iniziata la punizione di quella sera? Oliver avrebbe potuto avere mille e più difetti, a detta di alcuni, ma la cattiveria, così come la vendetta, non rientravano tra quelli in alcun modo. Non c'era rancore nei confronti dello studente c'era semplicemente diligenza, il che bastava per procedere pacificamente.
«Se non c'è altro, Daniel, possiamo già andare.» Si sarebbe alzato, a quel punto, dirigendosi verso l'uscita. Avrebbe invitato il Serpeverde ad avanzare prima di lui, per poi - in assenza di eventuali interruzioni - richiudersi alle spalle la porta a colpo di bacchetta.
Perdona il ritardo; a breve sarà tutto più chiaro. Non temere, non sarà nulla di banale o simile.