CONTEST A TEMA AGOSTO 2020 ⟶ ALTER EGO
SAINT VINCENT INSTITUTE, LONDRA ⟵ AMBIENTAZIONE
ENOIZATNEIBMA ⟶ ARDNOL, PALUDE OSCURA
⟶ C'era una volta,
in un regno chiamato Ardnol, un Cavaliere che aveva giurato fedeltà ai suoi amici. Per lui non vi era nulla di più importante della loro felicità e avrebbe combattuto contro chimere, smosso mari e monti, per coloro che possedevano un pezzetto del suo cuore. Fra di essi vi era la Principessa, una fanciulla tanto dolce quanto bella, la cui voce armoniosa faceva schiudere i boccioli dei prati e chinare in riverenza le fronde degli alberi al suo passaggio. Vi era inoltre l'Inventrice geniale, una figura dedita al sapere e ligia al dovere, sempre al fianco del Cavaliere e pronta ad aiutarlo in ogni occasione, compartecipe del suo giuramento. Gli amici erano molti, anche perché il Cavaliere non faceva molte distinzioni: chiunque abitasse in quelle lande meritava gioia e attenzioni, tutti tranne il famigerato e terribile Mostro Oscuro.Prima di HogwartsS
uor Maria Orsola aveva ragione, si poteva benissimo fare a meno delle Barbie e delle macchinine, anche se Casey, Sarah e Johanna interpretavano in maniera molto diversa quell'affermazione. Quando le risorse mancano e la testa dei bambini non è stata ancora plasmata per incastrarsi alla perfezione negli involucri dei giochi industriali, persino il cartone dei rotoli di carta igienica se attaccati l'uno con l'altro sono un efficientissimo cannocchiale o una spada pronta per essere infilzata nel cuore del nemico. Per non parlare degli scatoli dei dolci che, se ritagliati bene, diventano elmi a prova di fuoco di drago, e dell'acqua piovana mescolata con la farina, lo zucchero e uno sputo, che dopo aver sbattuto per tre volte i piedi per terra e roteato su se stessi prima in un senso e poi in un altro, si tramutava una pozione potentissima in grado di contrastare la morte.
Per quanto riguardava Suor Maria Orsola, poteva essere solo fastidioso che ogni tanto scomparisse un sacco di farina "00" dalle dispense dell'orfanotrofio o che una bambina arrivasse arrossata dal pianto in aula ripetendo che un certo Cavaliere le aveva trafitto la pancia o tagliato le gambe. Si trattava di un gioco, era un modo simpatico, per quanto fittizio, di dimenticarsi per un po' della tristezza di quel posto, anche se lei non si lasciava andare ad intenerimenti di sorta e credeva che le punizioni dovessero scandirsi come rintocchi regolari ogni qual volta situazioni simili si presentavano. La farina andava raccolta da terra e i "calderoni" per gli intrugli gommosi lavati e disinfettati; Rossella dalle gambe tagliate doveva essere resuscitata e reintegrata nel gioco, altrimenti tutti in classe a copiare cento volte la frase alla lavagna e nessuno si sarebbe più divertito per un bel po' di tempo. A volte poteva essere più difficile di così, specie quando i compiti erano troppi o si avvicinavano le festività, ma le sue dita rimanevano pronte ad afferrare le orecchie di quelle piccole anarchiche.
Per quanto riguardava Casey, Sarah e Johanna, il mondo da loro creato, Ardnol, con i castelli e i mostri, era vero quanto lo era Londra, col Big Ben e le suore dell'orfanotrofio. Non c'era modo di sfuggire al suo richiamo, nemmeno durante le lezioni e le ore di studio. Bastava che Suor Maria Orsola si voltasse un attimo e loro erano in grado di trasformare la classe in un campo di battaglia, lanciando dardi infuocati a forma di fogli di carta a righe appallottolati, imbevuti d'inchiostro di penna rossa per macchiare, e declamando altisonanti parole di guerra.
«Io, il Cavaliere di Ardnol, ucciderò il Mostro Oscuro e porterò la sua testa alla nostra amata Principessa!» sentenziava a un tratto Casey alzandosi dalla sedia e sbuffando da dietro la lunga frangetta nera ora appiattita dall'elmo di cartone. «E io, Inventrice di Ardnol, gli staccherò le ali e le userò per volare con la Principessa fino alla Luna!» replicava invece Johanna alzandosi dalla sedia, forte dell'idea di non essere la sola a detestare le ore di Letteratura Inglese.
Le pallottole di carta volavano in direzione della lavagna, con l'intenzione di colpire la povera donna e di sporcarla di rosso sangue fra le risate delle compagne. Quando ciò accadeva, anche le orecchie delle piccole birbanti diventavano rosse rosse per la ferrea presa della suora, che le acciuffava e le sbatteva in un'aula vuota a scrivere cento volte la frase sulla lavagna con la promessa che se alla fine dell'ora ne avesse contata una in meno avrebbero saltato il pranzo. In tutto ciò la Principessa Sarah se ne stava seduta al suo posto ridacchiando, con gli occhi ammirati puntati sul suo prode Cavaliere, pronta a gridargli «Attento, il Mostro è dietro di te!» quando la suora si avvicinava. Comunque era sempre troppo tardi, il mostro spalancava le sue fauci, usciva gli artigli e sia il Cavaliere che l'Inventrice si ritrovavano catapultati fuori dalla classe.
«Torneremo, Mostro! Costi quel che costi!»
Il sipario si chiudeva, Suor Maria Orsola interrogava le allieve più arrabbiata del solito mentre la classe tornava alla quiete iniziale, ma per Casey e Johanna tutto ciò non poteva che essere un succulento sviluppo di trama e l'inizio di una nuova avventura. «Dobbiamo salvarla, Inventrice, o morirà! La Principessa Sarah è la nostra più cara amica e il Mostro non nemmeno è in grado di immaginarsi cosa sia la pietà.»
«Hai ragione, Cavaliere. Però prima dobbiamo trascrivere cento volte gli incantesimi scolpiti su queste pietre, così li comprenderemo meglio e potremo fare il nostro piano di attacco!»
La storia si ripeteva sempre uguale, il gioco non finiva mai. Sarah, la più tranquilla delle tre, rimaneva in classe e veniva interrogata come punizione per aver partecipato trasversalmente alla rivolta, mentre Casey e Johanna, qualche aula più in là, elaboravano un dettagliato piano per salvarla. Il "vissero per sempre felici e contenti" era nell'aria, ma combaciava alla perfezione con quella realtà, e sembrava che nulla, nemmeno il Mostro Oscuro, avrebbe potuto rompere la loro armonia.
La battaglia ⟵
contro il terribile Mostro Oscuro durò molte notti e molti giorni. Il Cavaliere e l'Inventrice erano feriti e sconsolati. la Principessa giaceva esanime nella sua prigione che presto sarebbe stata anche la sua tomba. Sembrava tutto finito, la morte vicina, ma la spada del Cavaliere si conficcò nel ventre del Mostro, le pistole laser dell'Inventrice gli perforarono le ali. La bestia scivolò nell'ombra, scomparì da ogni sguardo per leccarsi le ferite, la Principessa venne ritrovata in tempo e liberata. Tutti e tre poterono finalmente tornare nel Regno di Ardnol e alle loro vite, la principessa a cantare con la sua voce soave, l'Inventrice a progettare la sua nave per arrivare fino alla luna e il Cavaliere a proteggere i suoi amici. Il male sembrava essere stato estirpato fino alla radice, il Cavaliere era pronto a dichiarare il suo amore alla Principessa e a sposarla, ma all'improvviso il Mostro Oscuro riemerse dalle tenebre ancor più feroce di prima e spazzò via i tre prodi con un sol colpo di coda. Bramoso di vendetta non li risparmiò e scagliò su di loro un potentissimo maleficio. Niente sarebbe stato più come prima.13 Agosto, sei anni fa
«La prossima volta che vi coglierò sul fatto non sarò così clemente, ti avverto. Spero che il tuo inutile scilinguagnolo sia stato morigerato dalla sacralità del rosario. Nessuna spiegazione è in grado di giustificare te e nemmeno la tua amica. Provo pena e vergogna per voi. Mi auguro dal profondo del mio cuore che nella scuola in cui andrai ti insegneranno i giusti valori da onorare. Adesso va', la cena è in refettorio.»
La pelle grinzosa di Suor Maria Orsola, la direttrice dell'orfanotrofio Saint Vincent, assomigliava a quella di un Grugnocorto Svedese piuttosto anziano. Casey poteva metterci una mano sul fuoco, anche se le fattezze del drago le erano capitate sotto lo sguardo al Ghirigoro per puro caso, durante il suo breve, brevissimo primo assaggio del Mondo Magico. Il parallelismo era stato lo spunto di riflessione a cui aveva incurantemente dedicato ogni Ave Maria e Padre Nostro richiesti, e lo stesso punto su cui verté la sua attenzione mentre la signora intonacata tentava di inocularle un po' di vergogna. L'unica cosa in cui la suora riuscì, digrignando i denti e costringendola all'inginocchiatoio per tutto il pomeriggio, fu confermarle quella similitudine.
Casey uscì dall'ufficio della direttrice senza dire una parola, assorta nelle sue meditazioni. Camminava a passo lesto, mantenendo gli occhi coperti dal vaporoso frangettone nero chini sulle lastre marmoree del pavimento che scorrevano sotto di lei. Chiunque l'intravide uscire da lì in quello stato, dopo cinque ore in ginocchio di fronte a un crocifisso, si figurò un'anima in pena piena di rimorso, quando invece rabbia e umiliazione avevano solo rinforzato il suo orgoglio. Adesso che non era più una seienne impaurita del giudizio della suora, l'uzzolo di contraddirla e di addossarle tutti gli epiteti poco eleganti che conosceva si manifestava forte e pruriginoso. L'unica forma di dispiacere che provava riguardava le sue amiche: nemmeno Sarah doveva aver ricevuto caramelle e carezze dalla madre badessa e, in tutto quel casino, non erano nemmeno riuscite mettere il punto di chiusura al racconto che avevano inscenato. Johanna se ne era pure scappata al sentore del pericolo, ma forse era meglio così: lei non era in grado di comprendere quanto Ardnol e il Cavaliere fossero importanti per lei, e la codardia poteva essere punita solo con l'esclusione a vita dal Regno.
Si ritrovò in un battibaleno in mensa, dove le classi dell'orfanotrofio si erano riversate per consumare l'ultimo pasto della giornata. Notò con disappunto che Sarah e Johanna erano sedute allo stesso tavolo rettangolare e le raggiunse dopo aver preso il piatto di wurstel e patate bollite che la cuoca le aveva messo da parte. Si sedette con loro con la stessa tranquillità che accompagnava una delle qualsiasi cene in refettorio, nonostante il suo visetto tradisse una nota di risentimento nei confronti di Johanna. Sarah, al suo arrivo, aveva mantenuto gli occhi fissi sul contenuto del suo piatto. Doveva star ribollendo anche lei di rabbia.
«Finalmente la tortura è finita.» Casey ruppe il silenzio del tavolo sprizzando boria e noia da ogni parola. «Voi da quanto siete qui?» Addentò un wurstel, infilzato con la forchetta senza esser stato nemmeno tagliato a pezzettini degni di una bocca piccola come la sua. Johanna, intenta a masticare la sua ultima patata bollita, le riservò uno sguardo piuttosto neutro, mentre Sarah continuò a fissare imperterrita il potpourri di patate schiacciate e wurstel sminuzzati e intoccati con cui aveva giocato fino a quel momento.
«Da un po'. Ha usato il righello?» chiese Johanna con distacco, lasciando cadere un po' di poltiglia gialla sul piatto. I suoi occhi scivolarono sulle mani della nuova arrivata, trovando i segni lasciati dalla Madre Superiora. Casey di rimando si guardò le dita arrossate attorcigliate attorno alla posata e ghignò. Per qualche strana ragione ne andava orgogliosa e detestava che l'altra credesse il contrario. «Sì, ma non importa. Tanto fra meno di un mese me ne andrò via da qui.» Dunque fece tuffare di nuovo la forchetta nel piatto infilzando il secondo wurstel. Le altre avevano alzato insieme lo sguardo dalla cena; Johanna cercò prima lo sguardo di Sarah, che però si era concentrato su un punto oltre il tavolo, poi fece una smorfia di disapprovazione. Nessuno sembrava voler toccare il discorso così spesso quanto Casey. «Perché te ne andrai nella tua scuola fatata?» chiese di rimando alzando le sopracciglia. Casey le sorrise come sorriderebbe la persona più fortunata del mondo, o che vuol far credere di essere tale. Continuò la domanda ampliandola in una risposta: «…e non dovrò più vedere per tutto l'anno la sua faccia rugosa e sentirmi il suo fiato puzzolente sul collo.»
Il silenzio ricadde nuovamente sul tavolo. Johanna ripulì il piatto delle ultime briciole, Sarah ormai sembrava essersi arresa all'inedia. Il volto di quest'ultima aveva preso ad arrossarsi, a comprimersi in una smorfia sofferente. Le sopracciglia si spingevano l'una contro l'altra generando dei piccoli solchi nella sua pelle giovanissima. Gli occhi e gli angoli della bocca si erano letteralmente tuffati all'ingiù. Casey sapeva che l'amica aveva preso molto più male rispetto all'altra il fatto che se andasse ad Hogwarts. Rassicurarla di uno scambio epistolare incessante, proprio come i veri cavalieri e principesse, non aveva ottenuto molti frutti. Il suo sorriso tornava solo quando giocavano insieme.
«Anche con Sarah ha usato il righello.» Le parole di Johanna, improvvise, andarono a colpire lì dove desideravano. Casey strinse più forte le dita attorno alla forchetta, e aggrottò le ciglia sopra le sue patate bollite. «E' normale» ribatté pronta. «E' una suora, è vecchia ed è stupida. Infatti è il Mostro Oscuro.»
A tal punto Johanna sembrò non reggere più. Posò forchetta e coltello e guardò seria la faccia della sua interlocutrice troppo spavalda. «Non è normale che Sarah vada in punizione per colpa tua!» La rabbia si intensificava assieme al rosso delle sue guance. Casey si smise di mangiare e sentì che un pezzo di patata insipida le si era bloccato nello sterno. «Io non ho fatto nulla!» affermò tossicchiando. «Non è vero! Certe cose non si fanno e Suor Maria Orsola ha ragione, devi solo vergognarti!»
A Casey parve che il pezzo di patata insipida le volesse risalire su per la gola. Quelle erano le stesse colpe che la Madre Superiora le aveva rimproverato, ma sentirsi accusata da un membro della sua cricca era tutta un'altra storia. Aveva sperato che Johanna capisse, che non fosse anche lei così ottusa. L'armatura del Cavaliere, in fondo, serviva proprio a parare gli attacchi dei nemici, ad impedire che le loro lame affondassero nel suo cuore. Si voltò verso Sarah per cercare il suo appoggio ma si ritrovò solo due occhi lucidi puntati addosso. Si sentì sprofondare e il senso di colpa le rese lo stomaco pesante; dunque indossò la sua armatura. «Io faccio quello che farebbe il Cavaliere. L'ho disegnato così e così si deve comportare. Di sicuro il nostro gioco non può essere ostacolato da una vecchia bacucca come lei e da una scema come te! Il personaggio è mio e decido io cosa prova e cosa fa. Se non ti sta bene puoi anche fare ritirare l'Inventrice in un convento, ad Ardnol ci penso io, e se vuole anche Sarah!»
Il tono delle loro voci si alzò il giusto per poter sovrastare il cicaleccio generale del refettorio e per attirare l'attenzione della suora più vicina. Vennero rimproverate e zittite; chi aveva finito la cena poteva andarsene a letto. Johanna si alzò e corse verso l'uscita per andare in dormitorio, Sarah spostò il piatto lontano da sé con una manina rigata di rosso per affermare la sua mancanza di appetito e fare altrettanto. Casey rimase imbronciata al suo posto e la seguì con lo sguardo. Avrebbe voluto trattenerla e chiederle scusa, perché da quel che aveva capito tutti lì dentro avevano visto male le sue azioni, ma si vergognava troppo per continuare a parlare. Così fu Sarah ad avvicinarsi e, con grande sorpresa di Casey, le chiese con tutta la sua tristezza: «Perché hai paura di quello che pensa Johanna?»
La domanda acquisiva senso nel pianto trattenuto, nel rossore del volto corrucciato e nelle parole pronunciate ad alta voce da Casey. Forse acquisiva senso anche nell'orgoglio che vibrava nel suo petto, ma proprio secondo quell'orgoglio non poteva averne. «Io non ho paura di niente» fu la risposta, ma evidentemente non era quella giusta. Sarah si voltò delusa e uscì dal refettorio, lasciando Casey da sola a vedersela col suo piatto.
⟶ Tanti anni
dopo che il Mostro Oscuro aveva fatto la sua orribile maledizione, Ardnol era caduta nella più totale rovina. Le sue foreste erano state bruciate, le creature cacciate e divorate dagli orchi. I pochi villaggi rimasti subivano carestie ed epidemie. Sembrava che gli eroi del Regno si fossero dimenticati dei loro amici, e vivevano ognuno per conto suo, lontani da mondo. Il Mostro contemplava il tutto dall'alto della sua torre. Si pentiva di aver distrutto la vita di quelle lande e di aver avvelenato con la magia il Cavaliere, l'Inventrice e la Principessa, ma sapeva che se li avesse risparmiati loro non avrebbero fatto altrettanto con lui. Aveva deciso di mettere una parte di se stesso dentro ognuno di loro con quella maledizione, per ricordargli cosa volesse dire essere un Mostro. Non sarebbero mai più stati gli stessi.23 Luglio, oggiS
uor Maria Orsola aveva le sue idee su come doveva girare il mondo. Forse erano un po' retrograde, ma secondo lei applicandole non avrebbe mai fatto male a nessuno. Fino a quel giorno si era auto dichiarata incapace di sbagliare, soprattutto nelle metodologie che sfruttava per impartire l'educazione alle sue studentesse. Di fronte a sé, però, in quel preciso momento, aveva una ragazza totalmente incapace di gestire la rabbia e una che si arrogava il diritto di scagliare la prima pietra, e non sapeva che pesci prendere. Poteva pregare per loro, poteva costringerle a studiare e ristudiare alcuni versetti della Bibbia, tentare di convincere una che il posto in cui l'avevano costretta ad andare ogni anno da sei a quella parte l'aveva solo rovinata e l'altra a imparare un briciolo di umiltà dalle suore del convento. Nonostante tutto - nonostante il risentimento che covava nei confronti di quegli squilibrati che si facevano chiamare "maghi" e delle insegnanti dell'orfanotrofio del tutto incapaci come educatrici - ogni sua speranza rovinava sotto il peso della certezza di aver sbagliato qualcosa con entrambe. Guardava le nocche rosse e spezzate di un pugno e il labbro gonfio e spaccato che questo era andato a colpire e si sentiva in colpa. Avrebbe voluto far comprendere loro che, qualsiasi fosse stato l'errore compiuto quando era più giovane, la vecchiaia le aveva portato consiglio. Poteva ascoltarle, poteva aiutarle a comprendere i loro problemi o almeno avrebbe potuto provarci.
«Come dovrei interpretare questa situazione, ragazze?» aveva provato a chiedere, ma subito dopo era stata investita dallo sfogo dell'una e dell'altra.
«Questa pazza mi ha colpita! Io non ce la voglio più qui, è un pericolo per tutte noi. Ogni volta che torna è sempre un inferno, noi abbiamo paura a starle vicino e a dormire nei nostri letti. Abbiamo paura di quello che potrebbe fare con quelle manacce da...»
«...ha cominciato lei! Se non foste tutte così bigotte qui dentro comprendereste cos'è la vita vera e queste idiote mi lascerebbero in pace. Non avete capito un cazzo di me e non potrete mai farlo! Io ci provo a ignorarvi ma voi ce la mettete tutta per farvi prendere a...»
Se lei si era barricata dietro i muri del rigore anni addietro per sublimare ogni peccato suo e altrui, adesso i muri elevati da quelle giovani le schiacciavano il cuore contro la poltrona. Le doleva quel cuore da vecchia, per tutto quel dolore che vedeva. Era la Madre Superiora del convento e la direttrice dell'orfanotrofio, ma non era in grado di penetrare le loro barriere fino ai loro di cuori. La debolezza non era un'opzione, il suo ruolo era importante e andava rispettato. Odiava quella maschera intessuta d'intransigenza e austerità, ma era l'unica con cui si sentiva in grado di riportare la quiete fra le mura che governava.
Si alzò dalla poltrona e fece saettare l'indice destro in direzione della porta. «FUORI DI QUI!» La voce della Madre Badessa tuonò riducendo al silenzio le ragazze. «Sono stanca delle vostre lamentele. Non voglio più sentirvi. Sconterete la vostra punizione fino alla fine dell'estate. Se tutto ciò si ripeterà non sarò di nuovo così clemente.» E tutto tornò come prima, con le sue variazioni del caso, ma tutto come prima.
Qualche ora dopo
Dopo l'ultima volta che aveva indossato la vesti del Cavaliere, sei anni or sono, Casey non aveva più rivolto la parola a Johanna e Johanna non aveva più rivolto la parola a lei. Il rapporto con Sarah, invece, resistette per alcuni mesi, finché non sbiadì via via che lettere inviate con un gufo di Hogwarts non ricevettero più risposta. Ormai aveva dimenticato Ardnol, e la Londra Magica era diventato il nuovo Regno da cui si sentiva accolta. Passava lì la maggior parte delle sue vacanze estive, giorno e notte. Non tornava per i pasti in orfanotrofio e sgattaiolava dalla finestrella del bagno in comune del primo piano dopo che tutti si erano addormentati per incontrare Camillo. Non c'era più niente che la legasse a quel posto, a parte il lettino che era costretta a occupare fino alla maggiore età e sui cui in quel momento era sdraiata.
Guardava le sue nocche. Aveva sferrato un pugno a Johanna in piena faccia, le aveva spaccato un labbro. Portava i segni della sua furia sulla pelle, incrementata dall'inaccettabile consapevolezza di non poterla sfogare con la sua bacchetta, che doveva rimanere in un baule sotto il letto per tutta la permanenza nel tugurio. Ribolliva ancora e provava un profondo odio verso la compagna, un odio che nessun senso di colpa inculcatogli da Suor Maria Orsola era in grado di sedare. Non se ne pentiva, doveva farsi rispettare lì dentro, anche se vi sarebbe rimasta ancora per poco. Dopo quelle vacanze niente più pugni, niente più violenza, niente più suore. Quel posto aveva la capacità di farla diventare un mostro, qualcosa che ad Hogwarts non avrebbe mai voluto essere. Quei ragionamenti avrebbero fatto arricciare il naso ad Oliver Brior, si disse, ma tanto lì non era un prefetto. Doveva resistere ancora un po', fare finta che quel luogo e tutte le sue abitanti non esistessero, e poi andarsene. Dove non lo sapeva ancora.
Casey era fin troppo assorta nei suoi pensieri per rendersi conto della figura che era giunta fino al suo letto, alle sue spalle, e soprattutto di chi si trattasse. Alzò il capo e poi il resto del corpo dopo aver sentito la sua voce.
«Sembra che tu non abbia poi così tanta paura di Johanna.» Sarah, il viso non più quello di una bambina, si sedette in un angolo del materasso, ai piedi del letto. Sembrava serena, aveva la bocca flessa in un sorriso quasi impercettibile. Casey la osservò per qualche secondo, l'animo in subbuglio, e si voltò riponendosi nella posizione iniziale, ignorandola.
«Tu non avevi paura di niente, vero? Me lo ricordo» continuò l'altra non lasciandosi scoraggiare dall'indifferenza. «Tuttavia rimango sempre dell'idea che ci sia almeno una cosa che ti spaventa molto.» Casey avrebbe voluto dirle che aveva paura di molte cose, invece rispose, non riuscendo a trattenere la rabbia: «Tu non sai un bel niente di me, soprattutto dopo anni di assenza in cui mi hai evitata come se fossi un'appestata. Sei un'invidiosa, come tutte le altre.»
Questa volta fu Sarah a rimanere in silenzio. Posò gli occhi sulle lastre di marmo del pavimento e sondò le fughe come se lì in mezzo giacesse la replica più adatta a quelle accuse. «Non sono invidiosa. O meglio... lo sono ragionevolmente, ma non è per questo che non ti ho più scritto.» «Non voglio ascoltarti.» La interruppe l'altra con tono violento, alzandosi di scatto. Sarah si rimise in piedi di conseguenza. «Hai dato un pugno a Johanna.» «Dunque sei qui per farmi una ramanzina anche tu? Per farmi pentire dei miei peccati? Gliel'ho dato perché-» «Perché ti ha detto che sei una lesbica.»
Ripiombò il silenzio. Da che le trafiggeva gli occhi col suo sguardo inferocito, Casey distolse lo sguardo dall'ex-amica di infanzia. Detto così suonava stupido, enormemente stupido. Lei non era lesbica e tutto l'insieme di quei bei epiteti che Johanna e le sue amichette le addossavano. Non avrebbe infilato le sue manacce da lesbica sotto le loro lenzuola, né le spogliava con lo sguardo. Aveva un ragazzo e si tagliava i capelli corti perché le andava così. «Quelle troie si attaccano a delle inezie da troie perché non hanno altro.»
Sarah si strinse fra le spalle, abbassò lo sguardo e lo riposò su Casey. «Johanna è...» «Una stupida? Una bigotta?» «...molto cattolica.» La voce timida e flebile di una non riusciva a non lasciarsi sovrastare da quella dell'altra, la cui unica arma, privata della sua bacchetta, era l'aggressività di cui si rivestiva. C'era qualcosa in Sarah che la rendeva ancor più volubile del solito. Quando ella si avvicinò per poggiarle una mano sulla spalla, Casey arretrò d'un passo facendo arrestare le sue dita sottili a metà del percorso, che poi si andarono a ricollocare, questa volta raccolte in un pugno, lungo il fianco.
«Ardnol era molto importante per me. Ancor di più lo eri tu.» Il timbro di Sarah, conficcate le unghie nei palmi, aveva assunto più corpo. Casey lo notò, nonostante la decisione di voltarle le spalle. Deglutì e la lasciò parlare. «Non c'è mai stata tanta differenza fra me e la fantomatica Principessa. Sia io che lei eravamo innamorate del Cavaliere, nella maniera in cui può innamorarsi una bambina, ovviamente. Tu riempivi le nostre giornate di gioia con le tue storie, e il Cavaliere era gentile, eroico, leale. Anche lui era innamorato della Principessa.»
Casey inspirò, ma dal suo naso non fuoriuscì aria. Trattenne il fiato ed espirò solo dopo essersi lasciata cadere sul letto. Seduta sul materasso, fece sprofondare il viso fra i palmi. «Era solo un gioco, Sarah.»
«Non era solo un gioco, Casey. Era il nostro modo per sopravvivere qui dentro. Non riesco a credere che ti sei dimenticata del rapporto che io e te avevamo.» Questa volta era Sarah a lasciar trapelare la rabbia dal tono. «E tu lo hai distrutto! Johanna poteva dire tutto quello che voleva su quel bacio. Era una tale sciocchezza... lo hanno ingigantito tutti, io per prima perché mi aveva resa molto felice, lei lo ha ritenuto ripugnante, ma tu...» Casey emerse dai palmi rossa in volto e tentò di parare i colpi. «Lo so che sono stata io a dartelo. Infatti Johanna se l'è presa con me, ricordi? Io ero quella che ti ha fatta andare in punizione e che ti ha macchiata del suo peccatuccio.»
Sarah la guardò amareggiata. «E hai finto di averlo fatto solo perché così doveva essere per la storia, perché così era il tuo Cavaliere. Lo hai sminuito.» Casey ricambiò lo sguardo esterrefatta. «Era solo un gioco, Sarah,» ribadì «e noi eravamo piccole.» Lo disse a denti stretti, per mettere un punto a quella discussione. Il gelo era caduto nel dormitorio nonostante il caldo afoso del luglio londinese, ed era lei a voler così. Aveva seppellito simili ricordi, aveva trovato a tutto una spiegazione, e detestava il fatto che le altre, ogni singolo giorno che passava lì dentro, dovessero addossarle qualcosa che lei non voleva essere. «Già...» Sarah tornò a sussurrare, arresa di fronte all'evidenza. «Ma non è questo il punto. Il Cavaliere aveva giurato lealtà ai suoi amici. Tu non sei solo andata a studiare altrove, ci hai abbandonate, e lo hai fatto con spocchia, distruggendo ciò che ci avevi regalato e andando a vivere in una fiaba migliore.» Il gelo si trasformò in ghiaccio affilato, che Sarah conficcò nello stomaco di Casey. Le voltò il tergo per andarsene, ma si arrestò sulla porta. «Ecco. Sembra che tu abbia paura di essere te stessa. Perché se questa sei la vera tu, allora tu eri il Mostro.» Subito dopo, la Principessa scomparve dal suo sguardo.Si dice ⟵
che ci voglia un bacio per spezzare una maledizione, ma mai si parla delle maledizioni suggellate da un bacio. Il Cavaliere aveva visto i suoi vecchi amici allontanarsi, l'amore dissolversi nel passato. Poteva adesso comprendere come si sentiva il Mostro Oscuro, solo e disprezzato, rinchiuso nella sua torre. Mai si sarebbe perdonato gli errori commessi: questi lo avevano cambiato e non poteva più tornare indietro. Ardnol era stata danneggiata dal Mostro, ma lui, accecato dall'odio e dall'ira che gli aveva infuso la maledizione, non l'aveva protetta e, invece, l'aveva fatta andare alla deriva per la paura di capire chi egli fosse realmente e chi fosse realmente sempre stato.