Closing Gate, Quest Vocazione.

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view post Posted on 28/10/2018, 23:41
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∆ Bacchetta - Legno di Ciliegio, Lacrima di Veela,10 pollici, semi rigida (legata in vita)
∆ Borsa a tracolla
∆ Anello Gemello (anulare sx)

∆ Anello Difensivo (indice dx)

∆ Mantello della Disillusione (nella borsa)


Megan Milford-Haven

Megan aveva appena chiuso la porta alle sue spalle, era uscita circa dieci minuti prima dal negozio quel pomeriggio, piacevolmente sorpresa dal permesso concessole da Lysander.
Chiaro, durante l’intera giornata aveva dovuto spremersi fino all’ultima goccia di sudore affinché tutto fosse la copia esatta di ciò che le aveva dettato il vecchio, e sebbene l’impegno profuso fosse stato notevole, come sempre, non riusciva a vedere un netto miglioramento all’interno dell’Ars. Infatti, il negozio, conteneva davvero troppa roba per avere un risultato ordinato e pulito nella sistemazione della merce. Tuttavia, la Corvonero, si accontentava di eseguire quanto le veniva chiesto, senza dire nulla: il negozio non era suo e lei aveva solo bisogno di qualche galeone in più nelle tasche.
Camminava lungo la via di Diagon Alley, a passi veloci, cercando di fare il più in fretta possibile per arrivare da Magie Sinister. Era da tempo che no visitava il tetro negozietto e aveva tutta l’intenzione di comprare qualcosa di nuovo.
L’aria autunnale le accarezzava la pelle candida, mentre gli occhi studiavano ogni movimento attorno a lei. La sera era ormai scesa e con essa anche la leggera brina che le aveva inumidito il cappotto cinereo, avvolto attorno al suo esile corpo. Faceva freddo, stringeva le braccia premendole sul petto per proteggersi dal pungente vento autunnale, mentre ad un passo dal bivio, che l’avrebbe condotta a Nocturn, l’ansia aveva iniziato ad affiancarla silenziosa. Sentiva già il cuore accelerare e la gola stringersi, costringendo il respiro ad arrancare in cerca di una via d’entrata e d'uscita. Non era certo una bella idea introdursi all’interno di quei vicoletti sporchi, puzzolenti, dove l’oscurità era di casa; ma non si sorprendeva del fatto di non avere alcun freno nel farlo. Perché se quello che stava per fare aveva una percentuale alta di pericolo, lei non avrebbe fatto altro che rischiare.
Così, cercando di controllare l’agitazione che inevitabilmente la teneva stretta nella sua morsa, girò lungo la piccola stradina, senza esitare nemmeno per un istante. Non avrebbe voluto dare all’occhio, bensì avrebbe voluto confondersi con quella gente. Così camminava a testa alta, le braccia ora le scendevano lungo i fianchi e i passi erano più fluidi e rumorosi. Il viso pulito l’avrebbe presto tradita, ne era certa, eppure cercava di mimetizzarsi perfettamente con quella gente, alla quale rivolgeva uno sguardo serio, impassibile. Cercava di gestire ogni emozione, anche se la mente sprigionava angoscia, insicurezza nell'attraversare quel posto a quell'ora. Aveva indossato lasciato uscire fuori il suo lato privo di ogni sensazione, positiva o negativa, totalmente indifferente al mondo che la circonda.
A volte il pensiero di cosa avessero pensato i suoi genitori nel vederla comportarsi in quel modo la sfiorava. Immaginava già i volti dispiaciuti e amareggiati, per aver cresciuto una bambina che era diventata l’esatto opposto di quello che avevano da sempre sperato.
Era colpa anche loro se Megan era diventata un completo disastro in ogni tipo di relazione, cinica e incredibilmente istintiva, pericolosa non solo per gli altri ma soprattutto per se stessa. Erano andati via troppo presto e una parte di lei era così arrabbiata che il dolore, ormai, si era annidato nella parte più profonda e dettava ogni azione, istinto.
Mi dispiace.
Pensò, mentre cercava di allontanare dalla sua mente l’immagine dei volti di Eloise e Carl. Ogni volta erano lì, proiettati nella sua testa, davanti ai suoi occhi, quando faceva qualcosa che non doveva fare.
Chiuse appena gli occhi, poi li riaprì concentrandosi nello scendere con attenzione i gradini, illuminati da una luce fioca quasi assente. Strinse la tracolla che le scendeva sul fianco sinistro, mentre con la mano destra toccava il legno di ciliegio legato in vita. Sospirò, quel piccolo tunnel la divideva dal negozio che si trovava, ormai, a pochi metri da lei.
Era quasi arrivata.


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Nocturn Alley non era un luogo sicuro, non lo era mai stato.
Le palazzine sbilenche che si affacciavano sui vicoli s'innalzavano per tre o quattro piani e i tetti spioventi ospitavano abbaini sprangati o dai vetri rotti. Non era raro trovare assi di legno marcio inchiodate alle finestre del pianterreno ed oscure finestrelle coperte di ragnatele sbucare a pochi centimetri dal pavimento sconnesso delle viuzze malamente illuminate.
Del resto, nel sobborgo più malfamato della Londra magica, chi si sarebbe aspettato di trovare lussuosi appartamenti e giardini ben curati nascosti in angusti cortili interni?

Nocturn Alley ospitava il meglio che la criminalità magica avesse da offrire e poco importava agli onesti negozianti - come un certo Sinister - se le retate di Auror e Polizia Antimago scombussolavano il quieto vivere della comunità più sordida di tutte. I clienti, quelli veri e affezionati, trovavano sempre il modo di tornare.
Le forze dell'ordine, però, non erano le uniche da cui guardarsi le spalle: Megere nascoste tra casse vuote e rifiuti promettevano di leggere il futuro sui palmi dei più ingenui e di vendere miracolose pozioni e filtri d'amore ai più disperati; mezzi-folletti dall'aria arcigna riscattavano debiti non ancora ripagati con l'aiuto di lame affilate e brillanti sotto la luce verdastra di vecchie lampade sospese; i mercanti di contrabbando sceglievano con cura il successivo pollo da spennare in cambio di un uovo di drago di importazione illecita. Era davvero un uovo di Dorsorugoso di Norvegia o era qualcos'altro? Magari un semplice ovetto di un Fwooper canterino? Al diavolo le leggi sui Beni Non Commerciabili, dicevano alcuni! In qualche modo, la brava gente di Nocturn Alley doveva pur sopravvivere...no?

L'ultima pattuglia dell'Antimago era passata proprio per quel vicolo un paio di giorni prima: c'era il rischio di incontrare un bravo dipendente del Ministero quella sera? Assolutamente no. Qualcuno l'avrebbe saputo ed avrebbe sparso la voce a modo proprio, in un linguaggio comprensibile a tutti quelli disposti ad ascoltare. Perché la vita a Nocturn Alley non era affatto semplice o scontata: si viveva sul filo del rasoio, sull'incertezza del guadagno e sulla sicurezza della pena se non si fosse stati abbastanza bravi da poter sfuggire a chi dava loro la caccia. Per questo, tutti conoscevano tutti. Era come un piccolo paese di campagna, in cui nessun segreto era mai segreto troppo a lungo. C'era un metodo per tutto ed il primo strumento utile era la vista.
Occhi invisibili scrutavano la strada, la esaminavano e aspettavano. Una ragazzina come Megan Milford-Haven, di certo non sarebbe passata inosservata. Abiti di buona fattura, un portamento fiero e strafottente, anche se infreddolito e tremante. Cos'avrebbero detto gli integerrimi mamma e papà, se l'avessero saputa sola soletta in un quartiere tanto difficile? Ed era davvero sola?
Qualcuno l'aveva già notata... ma si guardava bene dal farsi avanti.

Megan non era sola. Nemmeno lontanamente.
Il ronzio dei suoi stessi pensieri le impediva di udire i passi soffocati da anni di esperienza di un uomo, alto e longilineo, che la seguiva a capo chino e ben nascosto dal mantello logoro. Qualcun altro, affacciato alla finestra della propria camera da letto, osservava entrambi, incuriosito dal passo infreddolito della ragazzina e da quello più sospetto dell'uomo dietro di lei. Quest'ultimo, infine, sollevò il mento e lo sguardo sulla palazzina prospiciente, incrociando lo sguardo del suo unico abitante.
Sorrise malignamente verso di lui - o lei -, mostrando una fila di denti marci e irregolari, come se sapesse di essere pedinato a propria volta. Anche quella sera avrebbe portato a casa il proprio guadagno e nessuno l'avrebbe fermato.

Bene, Megan, ci siamo.
Il tuo percorso di apprendimento per diventare Occlumante Apprendista inizia ora.

Per qualsiasi dubbio o necessità non esitare a contattarmi tramite MP.

 
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view post Posted on 2/11/2018, 19:34
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Megan Milford-Haven

Aveva accelerato il passo, aveva cercato di mantenere una calma apparente ma l’ansia sembrava aver avuto la meglio. Non era del tutto certa che il suo atteggiamento fosse passato inosservato, sentiva il peso degli sguardi e più si addentrava all'interno della via, più si sentiva soffocare. Avrebbe dovuto sporcarsi il volto, stropicciarsi i vestiti e arruffare i capelli. Forse, solo in quel caso, avrebbe avuto qualche vantaggio in più rispetto a quanto ne stava avendo in quel momento.
Sentiva il cuore in gola che accelerava senza alcun controllo rimbombandole nella testa, mentre la tensione si attanagliava al suo corpo con più vigore. Brividi di freddo le accarezzarono la pelle che cercò di placare strofinando le mani sulle esili braccia, per scrollare la tensione. Stava provando a non perdere la calma che, piano piano, stava scivolando via.
Li aveva notati, erano tutti concentrati su di lei. Con la coda degli occhi aveva scrutato quelle facce e non erano certamente familiari o felici di vederla. Sebbene avesse finto un impassibilità scenica, era certa di non era stata presa sul serio, e questo lo leggeva negli sguardi fissi, scrutatori e deliziati, in attesa del momento giusto. Ma cosa volevano da lei?
Si sentiva come una zebra circondata da un gruppo affamato di leoni, una preda succulenta di cui non si può fare a meno dopo giorni di digiuno.
Essere in quello stato non era piacevole affatto, eppure la sensazione che le creava aveva iniziato a farle percepire l’adrenalina, e il sangue le ribolliva nelle vene lasciandole trasalire una leggera, per quanto assurda, piacevole eccitazione.
Era palpabile la situazione di pericolo in cui si trovava, la sentiva farsi spazio. Si sentiva come oppressa dalla minaccia, come fosse imprigionata contro una parete, cui poteva percepire le pietre fredde e dure bucarle la pelle e incastrarsi fra le scapole. Aveva iniziato a respirare con più difficoltà, non sapeva cosa stava succedendo ma sapeva che sarebbe accaduto qualcosa, ne percepiva la sensazione. Il pericolo sembrava essere, ad ogni passo, sempre più vicino e il pensiero di voler tornare indietro la pervase.

***



Le foglie rosse e gialle, coloravano le strade della capitale dell’Inghilterra. L’autunno era sempre così affascinante e i grandi parchi erano il suo emblema. Grosse querce secolari ergevano in tutta la loro splendida bellezza, accarezzando il cielo azzurro, illuminando l’ambiente di toni caldi e inebriandolo del profumo di geosmina.
Camminava lungo lo sdrucciolato che attraversava il parco. Il sacchetto di caramelle e pasticcini, che stringeva fra le mani, suonava allegramente ad ogni passo, mentre con le dita portava alla bocca una liquirizia ripiena.
Era la prima volta che si imbatteva nel mondo esterno da sola. Eloise e Carl le avevano dato la possibilità di uscire e raggiungere il suo negozio preferito di dolci, con la premessa di portare qualcosa per l’ora del tè. Così era già di ritorno e, felice, calpestava la terra sotto i piedi, giocherellando con i sassolini che spingeva via sul manto erboso. Era la sua prima responsabilità e si sentiva in dovere di compiere ogni minima cosa in maniera perfetta.
Il freddo aveva iniziato a farsi spazio tra la boscaglia e Megan non poté che ripararsi stringendo a sé il pesante giubbotto. Il silenzio nell'aria era spettrale. Nessuno, difatti, sembrava essere attorno a lei, poteva scorgere solamente qualche figura in lontananza.
Mentre camminava, ormai giunta a pochi metri dall'uscita, una voce disturbò il suo passo e la costrinse a voltarsi.
«Pss... ragazzina! Hai qualcosa da mangiare?»
Il volto scuro e sporco dell’uomo la fece rabbrividire, tanto da farle accelerare il passo verso l’ormai vicina uscita.
«No mi spiace! »
Aveva risposto con educazione mentre spostava nuovamente lo sguardo in direzione del cancello.
«Mi prendi in giro? Cos'hai in mano, eh!»
Borbottò l’uomo che con uno scatto si allontanò dall'albero, su cui era poggiato, avanzando verso Megan.
Il cuore aveva iniziato a batterle all'impazzata ma cercava di non far vedere quanto l’agitazione aveva preso il sopravvento. Sentiva i passi della figura sconosciuta avanzare, camminava in parallelo, poco dietro di lei, a qualche metro di distanza. Non si girò nuovamente a guardarlo ma rimase a fissare il via vai di persone fuori dall'uscita ritmando il passo.
«Fermati sciocca! Voglio solo quella busta.» Gridò questa vuota.
Megan continuava a camminare, impassibile, e solamente quando il passo di lui iniziò ad aumentare, incastrò la busta sotto al piumino cominciando a correre. Aveva percepito il suono dello scatto di un coltellino, così il cuore le arrivò in gola. Con il fiato corto e il sangue che ribolliva nelle vene, aveva iniziato ad avvertire la paura con più irruenza. Il terrore di non riuscire a tornare a casa, di finire nei guai o peggio, l’aveva avvolta. La voglia di gridare venne fermata da un groppo in gola, come fosse paralizzata, e le lacrime avevano iniziato già a rigarle il volto.
Lo sentiva era sempre più vicino, infatti contò una manciata di secondi e l’uomo la raggiunse, ma proprio nel momento in cui stava per afferrarla lei varcò l’uscita, immergendosi nel pedonale traffico cittadino.
Un sospiro di sollievo accompagnò quella liberazione, si sollevò il cappuccio mimetizzandosi fra le persone, senza più voltarsi. Poco più tardi era arrivata a casa e di quell'uomo non c’era più alcuna traccia.

***



Quel ricordo riaffiorò come fossero passati solo pochi giorni. Ricordava benissimo il senso di smarrimento, di totale angoscia e pericolo che aveva provato, era ciò che stava sentendo in quell'istante.
Non riuscì così a fermare l’impulso di difendersi ancor prima di essere attaccata e furbamente cercò un modo per distogliere lo sguardo su di lei. Non avrebbe a avuto senso correre, Nocturn non era Londra, non ci sarebbe stata nessuna folla in cui immischiarsi, mimetizzarsi. Avrebbe così dovuto approfittare di ciò che il luogo le stava offrendo, studiando nell’immediato un piano
Con calma ed estrema attenzione aveva già messo la mano sinistra nella borsa. Sentiva il tessuto del mantello sotto le dita, lo strinse, mentre con gli occhi cercava delle rientranze lungo le strette e sporche mura. Le sarebbe bastata una porta di un edificio o semplicemente un vicoletto e avrebbe così, in tutta velocità, estratto il mantello avvolgendolo attorno al suo corpo - forse l’invisibilità l’avrebbe aiutata - mentre la mano, subito dopo, avrebbe afferrato la bacchetta, pronta ad attaccare qualora qualcuno avesse avuto intenzione di aggredirla.


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view post Posted on 3/11/2018, 18:22
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La stradina stretta, la cosiddetta via principale di Nocturn Alley, si diramava in tante piccole viuzze, altrettanto anguste e misteriose, ai cui angoli Megan aveva potuto scorgere quella che alcuni avrebbe potuto definire la feccia del mondo magico. Occhi maligni la scrutavano, desiderando carpire i suoi segreti, i suoi pensieri o le sue sensazioni. Sottovalutare la gente di Nocturn era un errore grossolano, specialmente se a farne le spese erano proprio coloro che pensavano di poter sfuggire alla Sorte.

Rob Sykes non era certo una bellezza - quei denti marci non contribuivano certo a migliorare l’alito mefitico che avvelenava l’aria -, ma si poteva affermare con assoluta certezza che fosse un genio, uno di quelli incompresi. Ai suoi tempi d’oro, non tanti anni prima considerato tutto, Sykes era stato uno studente mediocre, ma molto rispettato dai compagni. Non erano le sue gesta altruistiche a renderlo piacevole agli occhi dei concasati, né il rispetto che gli insegnanti nutrivano per lui. Il suo passatempo preferito era prendersi gioco dei più ingenui, usando la magia o il tono mellifluo con cui pronunciava grandi discorsi per ottenere quel briciolo di divertimento che gli serviva ad arrivare alla fine della giornata. Un teppistello, insomma, che finiva spesso nella Sala Trofei di Hogwarts a lucidare coppe e premi destinati a menti più brillanti della sua. Se solo avesse sfruttato il suo acume e il suo carisma, oltre all’innata capacità di irretire le menti altrui e non soltanto a parole, Rob Sykes avrebbe fatto strada al Ministero. Il Preside dell’epoca ne era convinto e sua madre, una donna apprensiva e squattrinata, se lo augurava da quando il suo pargoletto innocente aveva mosso i primi passi. Il futuro di Rob, però, si era rivelato ben presto così diverso dalle altrui aspettative da lasciare al giovanotto ben poche speranze di giungere sulla retta via e, naturalmente, di restarci. Aveva iniziato contrabbandando calderoni semplici e rivendendoli come articoli auto-rimestanti, passando poi a merci ben più pregiate e difficilmente acquistabili da gente come lui per vie legali. Era stata una rapida ascesa, la sua, nel mondo criminale di Nocturn Alley e c’era da dire che se l’era cavata così bene da potersi permettere addirittura di vivere per conto proprio poco dopo aver raggiunto la soglia della maggiore età. Da allora erano passati circa vent’anni e il suo fisico asciutto e puzzolente non era cambiato granché; le sue braccia, simili a rami secchi, erano però forti delle ruberie in pieno centro - Diagon Alley era il suo bacino di guadagni preferito - e le gambe lunghe gli avevano sempre consentito di correre veloce come il vento, schivando i passanti e la Polizia Antimago che sovente lo inseguiva tra le vie del sobborgo. Ora le sue gambe erano più stanche, certo, ma la mente era svelta e un piano si era delineato senza difficoltà, mentre i suoi occhi attenti osservavano la figuretta che ora aveva accelerato il passo.

Megan aveva ragione a sentirsi osservata, ma se si fosse voltata non avrebbe visto nessuno dietro di sé. Oh, Rob era ancora lì, naturalmente. Soltanto lei non poteva vederlo.
Il passo baldanzoso dell’uomo - silenziato a dovere poco prima -, che già assaporava la vittoria a man bassa, lo aveva avvicinato alla sua preda, tanto da poterne percepire il profumo dei capelli sciolti nella fredda aria della sera. La piccina tremava, forse di paura, forse per il freddo. Rob voleva che tremasse di paura, cosicché i suoi nervi non potessero reggere all’assalto che di lì a poco lui avrebbe sferrato. Sarebbe bastato lasciarla proseguire lungo il corso, magari aspettare che la giovane si affacciasse alla gradinata che - qualche metro più in basso - le avrebbe permesso di raggiungere la sua agognata meta. Era quella l’unica strada percorribile e l’unica chance che Sykes avrebbe avuto di sferrare il suo colpo da maestro, l’ennesimo.

Una ventina di metri più avanti, all’angolo che precedeva la scalinata che Megan avrebbe presto trovato davanti a sé, camminava un altro giovane uomo. Sulla ventina, Axel Prowse aveva appena terminato il proprio turno di lavoro. La sua giacca blu notte con gli alamari d’argento era sporca di polvere come il suo viso, dalle linee dure; i capelli neri, una cascata di riccioli lunghi fino alle spalle, portava i segni dell’incontro di quel pomeriggio. Controllò che la bacchetta fosse al suo posto, in una tasca interna alla giacca ricavata appositamente a quello scopo, e sospirò di sollievo nel trovare il legno nodoso e ritorto all’altezza del cuore. Quell’oggetto gli era caro quanto la mano che ora batteva colpetti ritmici sul suo petto e, per di più, era il suo unico strumento di lavoro. Perderla avrebbe significato essere licenziato e lui aveva proprio bisogno di quel lavoro.
Era così stanco da desiderare solamente uno scotch, magari un Whisky Incendiario al Paiolo, per poi trascinarsi nel loculo chiamato casa a pochi passi dall’ingresso di Nocturn Alley. Solo Morgana sapeva quanto ne aveva bisogno. Quella giornata era stata terrificante e il poveretto doveva ancora scoprire la piega che quella avrebbe preso dopo che avesse voltato l’angolo.


La situazione è chiara: non è ancora successo nulla, ma potrebbe succedere. Tutto dipende da te.
Ti trovi su una strada senza vie di uscita, nessun vicolo o rientranze strategiche. Le ultime che Megan ha potuto vedere erano ostruite da altri malintenzionati. Davanti a te - approssimativamente a circa cinque metri - c’è una scalinata ripida (immaginala come in foto).
Dietro di te c’è Rob, che sicuramente non ha buone intenzioni e sa di potersela cavare perché ha l’esperienza e le capacità per farlo.
Davanti a te, anche se ancora non puoi vederlo, si trova Axel - un poveretto nel posto sbagliato al momento sbagliato. Per ora.

Megan

PS 156
PC 95
PM 102


Rob Sykes

PS 160
PC 110
PM 110


 
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view post Posted on 8/11/2018, 19:55
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Megan Milford-Haven

La forte nauseante puzza l’aveva costretta a portare la mano sinistra al naso e a lasciare la presa dal mantello. Mentre con attenzione scrutava le pietre deteriorate delle pareti dei vecchi edifici, alla ricerca di qualcosa che potesse concederle un piccolo riparo, continuava ad accelerare il passo mostrando indifferenza.
Tra gli anfratti più nascosti, vicoli ed edifici laterali, vecchie megere e mendicanti occupavano il posto, e più avanzava più trovava impossibile individuare un luogo isolato. Li aveva osservati sorriderle con aria inquietante, allungare le mani, sudice, invitandola ad avvicinarsi, ma lei non aveva nemmeno esitato un istante. Non si era soffermata, aveva continuato a camminare, e la probabilità di finire in mani sbagliate era, ad ogni passo, sempre più vicina. Sebbene riuscisse a mascherare con orgoglio ciò che in quel momento stava provando, forse con scarsi risultati, il panico ormai la teneva stretta a sé; tanto che il netto e preciso pensiero di tornare indietro l'aveva sfiorata più di una volta. Così, se non fosse stata la stretta vicinanza che la vedeva a pochi metri da Sinister, si sarebbe già voltata tornando sulla via di Diagon Alley.
Il buio aveva abbracciato l'intero isolato, lasciando alle poche e fievole luci di illuminarne la strada. Il freddo, poi, si estendeva a macchia d'olio, divenendo sempre meno sopportabile. Pungente si era incollato addosso ai vestiti della ragazza, che iniziò a battere i denti involontariamente. Lo stato in cui si trovava in quel momento non le permetteva di respirare con regolarità. Buttava fuori l'aria con forza dalla bocca socchiudendo le labbra cercando di non implodere, di mantenere, così, il controllo. Tuttavia, il cuore non cessava il ritmo e il rimbombarle nella testa rendeva sempre più difficili le sue intenzioni. Per quanto tempo ancora avrebbe mantenuto quella maschera di cera? Era convinta di aver ceduto, di aver mostrato il volto pulito da ogni finzione, di non essere stata creduta. La certezza l'aveva avuta nell'incontrare gli sguardi di quei zotici maghi che aveva attorno.
Scese le scale velocemente, prestando attenzione a dove mettere i piedi e cercando di trovare riparo sotto all'arco di quel vicolo stretto difronte a lei. Quest'ultimo non rappresentava certamente il posto più sicuro del mondo. Lì, in quel tratto di strada, il buio era più intenso e non vi era alcuna luce a mostrarle cosa si celasse al suo interno. Non aveva certamente voglia di imbattersi in chissà quale spiacevole situazione né di infilarcisi dentro, tuttavia era l'unico modo per arrivare al suo obiettivo. Il negozio, difatti, si trovava proprio dietro l'angolo alla fine di quel tunnel, la cui uscita si trovava a qualche metro da lei.
Così, non appena messo piede all'interno dell'oscurità, avrebbe estratto la bacchetta ed evocato, tendendo il braccio davanti a sé, un semplice "Lumos Solem". Nella luce, avrebbe trovato più sicurezza e raggiunto l'uscita in fretta, accertandosi degli eventuali pericoli ad attenderla in quel breve tragitto nelle tenebre.


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La ragazzina aveva paura, Sykes poteva quasi percepirne l’odore al pari di una bestia affamata. Era quella sensazione d’insicurezza a muovere il mondo, a maggior ragione quello del ladro e furfante che aveva ora allungato una mano sporca dalle dita tozze oltre la spalla di Megan, senza tuttavia sfiorarla. Non aveva bisogno di prove, il caro Rob, per sapere che la ragazzina non potesse vederlo: quell’incantesimo era perfetto per sfuggire alle attenzioni di una studentessa inesperta come lei. Con un Auror, di certo, non avrebbe avuto la stessa fortuna.
L’aria fredda della sera ricominciò a spirare, imbattendosi sui loro volti come una carezza un po’ troppo insistente, ma i capelli oleosi di Sykes non si mossero affatto sulla fronte alta imperlata di sudore freddo. Quelli di Megan, scuri come la notte, si scontrarono senza saperlo con le dita tese dell’uomo, che sorrise compiaciuto ed elettrizzato all’idea di ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco. La piccina non aveva idea che quel giorno sarebbe stato memorabile per entrambi.

Ritirò la mano, fermandosi nel vicolo vuoto; cercando la bacchetta a tentoni nella propria veste logora, contò i gradini che la fanciulla discese piano piano, scegliendo apparentemente di mollare la presa. Sostando sulla cima della scalinata, Rob osservò i lineamenti del dolce viso della Corvonero farsi più nitidi alla luce di un’unica lanterna appesa ad una parete sbilenca.
Posizionandosi di lato, lì dove la scala incrociava un muricciolo di mattoni umidi non più alto di un metro, Rob prese la mira e decise che avrebbe assistito ai primi cenni di terrore della sua preda prima ancora di balzargli contro come un lupo affamato. Sì, Rob Sykes aveva fame quella sera ed era curioso di sapere quali tesori nascondesse la piccola ingenua nella sua borsetta stretta al fianco.
Lo svolazzo della bacchetta fu agile e leggero, come il volo di un colibrì, e - proprio quando la Corvonero si apprestava a compiere l’ultimo passo al termine della scala - uno schiocco secco interruppe il silenzio e quello che sembrava un sasso cominciò a ruzzolare, di gradino in gradino, fino a lei. Sykes sorrise beffardo nella notte, ma Megan non l’avrebbe scoperto tanto facilmente. La ragazzina aveva acceso la propria bacchetta, certo, e l’antro dapprima minaccioso si era rivelato in tutta la sua fragilità: un nugolo di pipistrelli svolazzò via alla rinfusa, alla ricerca di un nuovo antro buio in cui rifugiarsi, strillando infastiditi; proprio mentre la punta della bacchetta di ciliegio si illuminava e il nutrito gruppo di pipistrelli batteva in ritirata, dunque, Megan percepì lo schiocco e la caduta frettolosa di un pezzetto di mattonella proprio alle sue spalle. Voltandosi, avrebbe fatto i conti con il silenzio ed il buio, ma anche - e soprattutto - con la paura.
Rob Sykes, furfante incallito e pronto a qualsiasi gesto estremo pur di ottenere la sua razione quotidiana, impugnava la bacchetta e scendeva lentamente le scale. Lo sfregolio delle suole sugli scalini umidi avrebbe dovuto suggerire un lento avvicinamento di cui il malvivente non si curò. Era pronto ad esiliare l’arma della giovane al minimo cenno di quest’ultima e si sarebbe divertito ancor di più nel constatare che il terrore, ben presto, avrebbe prosciugato ogni traccia di colore da quel bel viso gentile. Era deciso a cominciare la sua caccia, che a lei piacesse oppure no.

Le vicissitudini del vicolo non sarebbero state udite facilmente da Axel, fermo davanti alla vetrina di Sinister, ammaliato da alcuni articoli di dubbia provenienza, a meno di una manciata di metri dal vicolo in cui la ragazzina e il suo aguzzino si trovavano.
Stava ancora riflettendo sulla fortuna di non doversi rimettere sui propri passi alla ricerca della bacchetta, quando il bagliore dietro l’angolo lo mise in allarme. Che avessero finalmente riparato la lanterna - sospesa da una lunga catena - proprio in corrispondenza dell’arco? Erano anni, letteralmente, che quell’antro buio lo perseguitava: il timore di essere circondato da strani individui pronti a derubarlo non gli era nuovo e quel luogo era perfetto per qualsiasi agguato. Non aveva molto con sé, ad eccezione della sua bacchetta e pochi spiccioli, perciò - curioso come sempre - Axel accelerò il passo, scoprendosi sorpreso nel girare l’angolo e nel trovare una ragazzina di quell'età, sola a quell'ora e nel peggior sobborgo di Londra. - «Per la barba di Merlino.»
Lo fu ancor di più nell’accorgersi che non era il solo, in quel momento, ad esaminare la scena con uno sgomento crescente.
Sykes aveva irrigidito le spalle e stretto la presa sulla bacchetta alla vista di un imprevisto bello e buono in quel suo piano praticamente perfetto. Capì dallo sguardo del giovane uomo - dalle spalle larghe, il viso dai lineamenti duri nascosti da una barba leggera e nera come la pece - di essere stato smascherato e che le bacchette sguainate da entrambi - il cacciatore e la sua preda - non potevano che fornire una lettura chiara sulla vicenda in corso.

Dunque, finalmente Axel entra in gioco.
Dalla tua ultima azione si evince che il tuo sguardo è proiettato a raggiungere il vicolo successivo ed è lì che Axel si trova, proprio sull'intersezione tra i due vicoletti e ben visibile dalla tua posizione.
Alle tue spalle, Sykes è visibile, per il momento, solo ed esclusivamente ad Axel.
Un paio di metri ti separa da entrambi.

Ti ricordo che per qualsiasi dubbio puoi contattarmi tramite mp.

Megan

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PC 95
PM 102


Rob Sykes

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PM 110


Axel Prowse

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PM 110


 
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view post Posted on 14/12/2018, 13:12
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Megan Milford-Haven

Quando mosse i primi passi all’interno della piccola galleria, un’orda di pipistrelli sopra alla sua testa si mosse furiosa alla vista della luce. Megan sussultò appena, avvolta da un improvviso panico, e lasciò sfuggire un gridolino soffocato. Dopo qualche secondo tornò a prendere il parziale controllo delle sue emozioni e si lasciò tranquillizzare dal colore bianco che la bacchetta emanava. Sebbene la sensazione di costante pericolo non l’avesse abbandonata, affrontare quel vicolo sotto quella prospettiva aveva sicuramente tutt’altro sapore.
Avanzava con il cuore in gola, con indosso ancora incollata la sensazione di allerta, che sembrava non volerla abbandonare sebbene i tentativi escogitati fino a quel punto. Un leggero rumore alle sue spalle l’allarmò, tanto che sentì un vuoto improvviso invaderle lo stomaco e brividi di freddo trapassarle la pelle. Chiuse gli occhi un istante, aumentando il passo e spostando i pensieri altrove.
Sono solo pipistrelli, sono solo pipistrelli!
Forse qualcuno si nascondeva ancora fra i cunicoli sopra alla sua testa e si muoveva disturbato dal bagliore della sua bacchetta.
Il legno di ciliegio continuava a puntare in avanti, verso la meta ormai sempre più vicina. La giovane sperava tanto di non cacciarsi in qualche guaio perché si rendeva perfettamente conto quanto in mezzo a quella via sconosciuta fosse solo un piccolo sassolino, probabilmente fastidioso, da poter spazzare via. Decise così di non pensare, di abbandonare ogni tipo di negatività, iniziando a canticchiare nella sua testa la melodia di una canzone che le suonava sempre sua madre quando era piccola. Così cadenzava i suoi passi seguendo il ritmo e liberando la mente si avvicinava sempre di più al suo obiettivo.
Proprio mentre tutto sembrava prendere una piega più leggera, il volto di un uomo, a pochi passi da lei, l’allarmò. La canzone nella sua testa iniziò ad avere un suono tetro, spettrale e d’istinto arrestò il passo. L’uomo aveva posato lo sguardo su di lei per qualche istante, poi l’aveva spostato altrove e l’espressione che uscì dalle sue labbra confuse totalmente la ragazza.
«S-scusi? » era totalmente in preda a un panico intermittente che balbettò. Iniziò di nuovo a sentirsi soffocare e cercò di prendere aria.
Lo sguardo dell’uomo mirava oltre la sua figura e d’istinto Megan si voltò, senza alcuna esitazione a fermarla questa volta. Davanti a lei il nulla, solo l’oscurità da cui si era lasciata avvolgere consapevolmente.
L’espressione di totale smarrimento non abbandonò il suo volto, il quale impallidì alla sensazione che, probabilmente, le stava suggerendo di non essere sola in quel momento. Quella percezione, nascosta nella parte più profonda della sua mente, l’aveva condotta a quello stato mentale e fisico durante l’infinita traversata. Lo sguardo così tornò a guardare avanti e in preda al panico indietreggiò di qualche passo.


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In quell’impasse, Rob Sykes tremò per un istante fuggevole quanto un battito di ciglia.
Non era il tipo che si spaventava facilmente, questo mai, eppure la situazione non era delle migliori. La ragazzina non lo aveva visto, ma l’altro?
Le sue parole avevano confermato quanto il ladro aveva correttamente supposto e due sole vie si prospettavano al trio più sconclusionato di sempre: attaccare o fuggire.
La mente del furfante aveva iniziato a considerare la situazione da un punto di vista diverso, ora che la sua copertura era letteralmente saltata. Non sapeva chi fosse il giovane uomo, né quale fosse la sua occupazione. Non era un Auror né un membro della Squadra Antimago, ormai conosceva i servi del Ministero come le proprie tasche bucate, dunque non aveva interesse nel catturarlo.
E la sua dolce vittima preda della paura? Quella aveva iniziato ad indietreggiare e l’istinto di cogliere i suoi pensieri più profondi si era fatto impellente; ciononostante, non poteva sfruttare la sua arma preferita, poiché ella ancora gli voltava le spalle.
Avrebbe potuto agire alla vecchia maniera, con la sua fidata bacchetta stretta nel pugno, ma anche in quel caso lo sconosciuto terzo incomodo avrebbe potuto reagire.
Sebbene la scelta fosse semplice, per lui che non aveva nulla da perdere, Sykes trattenne il respiro. Restare immobile era l’unica scelta che avesse per sopravvivere.

Quando aveva deciso di svoltare all’angolo della via buia, Axel Prowse non aveva fatto i conti - come sovente accadeva - con le svariate possibilità del Caso.
I suoi occhi grigi, freddi non soltanto per il colore limpido, ma tesi nello spasimo della paura, ammirarono i lineamenti della ragazzina; non poté fare a meno di pensare che potesse avere la stessa età di sua sorella, la piccola Penny che ora si trovava ad Hogwarts, al sicuro. Rabbrividì nell’osservare la figura lurida nascosta nell’ombra alle spalle di lei, curva come un animale pronto ad attaccare, e per un momento fu tentato di sguainare la bacchetta a propria volta.
Axel Prowse non era uno stupido, anche se - in talune e rarissime circostanze - era noto per la sua goffaggine. Il suo mestiere gli imponeva elasticità mentale, dopotutto, e non certo quella fisica: anche uno sciocco studente del primo anno avrebbe capito che tre bacchette in un vicolo fin troppo affollato e una sola via di fuga, alle sue spalle, non sarebbe stato esattamente lo scenario migliore nel quale affrontarsi.
Il ragazzo, appena ventenne, vide arretrare la giovane vittima di quel gioco pericoloso; provò il forte impulso di afferrarle il braccio e di Smaterializzarsi con lei altrove, in qualunque altro posto ben più sicuro di quello, ma era certo che lei avrebbe opposto resistenza. In fondo, lui e la ragazzina erano due sconosciuti e, in quei giorni turbolenti, chi mai si sarebbe fidato di lui?
Avrebbe potuto ingaggiare un duello, anche se doveva ammettere di non averne mai affrontato uno in vita sua, ma il rischio sarebbe stato ancor maggiore se la piccola si fosse trovata nel mezzo di un fuoco incrociato. Non poteva permettersi il lusso di mettere in pericolo una vita che non fosse la sua.
Trascorsero minuti appesantiti dal silenzio e mentre Axel tornava a posare il proprio sguardo su di lei, un sorrisetto a metà strada tra il divertito e il sollevato iniziò a curvargli le labbra sottili, nascoste in parte dai baffetti scuri e dalla barba di pochi giorni.
Aveva scelto la via più complessa, ma anche quella più sicura per la ragazzina e sperava che lei capisse. Il suo viso magro dai lineamenti decisi e rischiarati dalla luce flebile della bacchetta di ciliegio avrebbero ben presto assunto i toni dell’innocenza e dello stupore tipici di un risvolto imprevisto, ma anche piacevole. Quel sorriso doveva rassicurarla, Axel la guardò intensamente sperando che la sua calma diventasse quella della Corvonero. Ammiccò, infine, inclinando il capo alla propria destra - dietro l’angolo, lì dove Sinister si trovava - e pronunciando poche parole: «Scusami tu... Non mi aspettavo di trovare qualcuno qui a quest’ora, men che meno te.» ribatté semplicemente, indietreggiando a propria volta. L'enfasi sull'ultima parola denotò la necessità di creare una relazione tra loro che fosse ben più che casuale o, forse, di attirare l'attenzione della giovane su qualcosa che lei non aveva - o non aveva potuto - considerare pienamente. Sollevò i palmi delle mani, fino a quel momento rintanate nelle tasche di un paio di pantaloni sdruciti sulle ginocchia, e non gli restò che sperare che la ragazzina capisse che doveva stare al suo gioco se voleva portare a casa la pelle.

Che cosa poteva voler dire con quelle parole e quei gesti rispettosi del suo spazio e dell'evidente timore nei suoi confronti?
Megan doveva sapere che il proprio sesto senso e la paura non potevano mentire: il fatto che dietro di sé non vedesse nulla ad eccezione dei gradini e del buio più totale non significava che non ci fosse davvero nessuno.

Sykes, alle spalle di Megan, a quel punto s’irrigidì ancor di più. Dimenticò la forma di cortesia usata dalla ragazzina, concentrandosi sul fatto che quei due, per ironia del destino, potessero davvero conoscersi. Se avesse potuto, Rob avrebbe grugnito in un atto di disappunto estremo, ma scelse, invece, di fare un passo indietro. Risalì un solo gradino, trattenendo il respiro e cercando di non fare rumore. Se la ragazzina non aveva visto nulla e l’uomo non aveva parlato, forse poteva ancora lasciar perdere la sua preda e tornarsene da dove era venuto.
Megan

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Rob Sykes

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Axel Prowse

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Megan Milford-Haven

Non riusciva a capire realmente cosa stesse facendo, il suo corpo si muoveva in balia delle sensazioni che provava, per qualche istante credette di non riuscire più ad averne il controllo e non esisteva cosa più tremenda per lei del perderlo. Non solo era pericoloso per gli altri ma lo era soprattutto per se stessa. Ricordava perfettamente cosa aveva fatto anni prima, quando pur di ottenere la vittoria aveva cercato di dare fuoco ad una persona. Quello era stato solo un duello, eppure non le era importato della sfida amichevole a cui si era spontaneamente sottoposta. Si era sentita in pericolo e aveva agito di conseguenza, forse in maniera troppo impulsiva e fatale. Rammentava ancora bene lo sguardo della giovane donna che aveva sospeso la competizione per un gioco troppo rischioso, intimandola a non farlo mai più. Aveva vinto però, quello era ciò che l’aveva resa più orgogliosa, non le importavano i mezzi che aveva utilizzato. Del resto aveva dato modo di mostrare un lato forte di sé che avrebbe dato filo da torcere a chiunque avesse avuto voglia di sfidarla. In realtà amava vincere ma non le importava perdere, le piaceva il confronto e scontrarsi con chi avrebbe potuto batterla senza troppe difficoltà. C’è chi lo chiamerebbe masochismo ma per lei è solo una lezione da cui di può solo che imparare. Non le importavano le ferite che avrebbero potuto marchiarle la pelle e il dolore che avrebbe provato; voleva imparare dal suo avversario, questo era ciò che contava.
I sensi di colpa, tuttavia, l’avevano tormentata per mesi dopo quelle azioni al Club dei Duellanti. Oggi, però, non sentiva più alcun rimorso, solo la voglia di tornare indietro e cambiare qualche dettaglio. Con il senno di poi non avrebbe chiesto scusa, per esempio, e non avrebbe fatto alcun passo indietro. Semplicemente lo avrebbe fatto ancora, era inutile mentire a se stessa e nascondere un lato che le apparteneva senza sforzo alcuno.
La situazione si era ripetuta a Gerusalemme e anche lì non aveva nascosto le sue capacità di vendetta. Era pur vero che da quella guerra era tornata distrutta, non solo fisicamente, ma troppe cose erano cambiate da allora. Non le importava più niente di nessuno se non della sua stessa vita che avrebbe protetto ad ogni costo.
Aveva fatto qualche passo indietro ma i suoi occhi tenevano sotto osservazione la figura a pochi metri da lei. Se doveva fare una scelta in quel momento era sicura di non poter tornare da dove era giunta. Immaginava il tanfo e l’oscurità che aveva attraversato, gli occhi puntati su di lei come fosse una perfetta preda per affrontare un lungo inverno. No, non poteva ripercorrere quella strada. Così i passi che poco prima l’avevano fatta retrocedere, la riportarono al punto esatto dove si era fermata.
Quando il giovane uomo parlò lei ancora teneva stretta la bacchetta accesa fra le mani e non la spense. Bensì si mosse lentamente non perdendo di vista il suo nuovo obiettivo.
«E ti sembra questo il modo?»
Rispose mentre avanzava. L’arma non si era abbassata e Megan non aveva alcuna intenzione di farlo fino a che non avrebbe verificato con certezza che fosse al sicuro.
Quella situazione era davvero assurda. Le veniva quasi da ridere per il nervoso, perché doveva trattarsi solamente di un giro veloce da Magie Sinister e invece il fato sembrava averla voluta mettere ancora una volta alla prova.


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Un sorriso furbo increspò le labbra di Prowse, che quasi scoppiò a ridere nel momento in cui Megan rispose a tono. Era una ragazza intelligente e aveva saputo rispettare le regole di quel nuovo gioco senza conoscerle del tutto. Con le braccia lungo i fianchi, mosse un passo indietro a propria volta, permettendo a Megan di avanzare ancora. Un passo verso di lui era un passo verso la salvezza, anche se la Corvonero non poteva saperlo con certezza.
Lo stesso si sarebbe potuto dire di Axel che, a quel punto, non guardava più la figura nell'ombra - impossibilitato a vederla a causa della luce che Megan gli puntava contro -, ma solo e soltanto lei. Temeva che la frase sbagliata avrebbe potuto farla indietreggiare ancora, che ogni sforzo compiuto sarebbe stato vano. Inspirando profondamente e senza mutare l'ombra di quel sorriso gioviale, Axel rimise le mani in tasca, iniziando a muoversi per tornare sui propri passi.
«Di' un po', Penny ti ha chiesto di consegnarmi la posta del mese? Quella fifona di mia sorella ha ancora paura dei gufi di Hogwarts?» chiese, distogliendo lo sguardo da lei e sbirciando l'angolo su cui Sinister si affacciava.

Non c'era nessuno e il negozio doveva essere deserto; a pochi metri da quello - circa dieci dal punto in cui Axel e Megan si trovavano - c'era un vicoletto, un passaggio chiuso tra edifici di mattoni scuri e coperti di chiazze verdastre di muschio e erbacce. «Credi di poter abbassare quel coso? Mi stai accecando.» protese la mano davanti a sé, nel tentativo di scorgere l'uomo che aveva visto poco prima. «Pensavo di andare al Paiolo a bere qualcosa, ma evidentemente è destino che torni sui miei passi...» proseguì quello, incurante del fatto che Sykes, in tutto quel tempo, avesse indietreggiato ancora, nascondendosi ancor di più nell'oscurità. Il malfattore osservava la scena inebetito, incapace di comprendere le ragioni di quella sfortuna. Quello non era certo un incontro programmato, ma che quei due si conoscessero era chiaro. Una serie non ben definita di insulti alla sua cattiva stella impegnarono la sua mente per qualche minuto buono, ma ciò che importava davvero era portare via la sua vecchia pellaccia e fare in modo che nessuno, in quel vicolo, serbasse il ricordo di lui.

Quasi intercettando i pensieri di Sykes, Axel s'irrigidì e abbassò la mano, tendendola verso la ragazzina. Lo sguardo penetrante che le riservò poteva riferirsi a quella famosa lettera che quella sconosciuta Penny doveva aver scritto al fratello, oppure... a qualcos'altro. Sarebbe bastato un cenno, un altro passo - uno soltanto - e la mano testa di Axel Prowse l'avrebbe afferrata per Smaterializzarsi oltre Sinister, in quel vicolo buio che poteva essere la salvezza di entrambi, oppure direttamente sulla soglia di casa propria. In quegli occhi chiarissimi, Axel cercò d'instillare un briciolo di fiducia. Non voleva obbligarla, ma sentiva di doverla portare via di lì e se si fosse fidata fin da subito sarebbe stato meglio per entrambi.
Megan

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Axel Prowse

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Megan Milford-Haven

Lo aveva osservato, non vedeva in lui nulla di sbagliato. Non si fidava, ma d’altronde non aveva fiducia in nessuno quale sarebbe stato il mistero di tale sensazione? Non c’era.
Era andata avanti fino ad affiancarlo e quando fu a pochi passi da lui tornò a prestare ascolto alle sue parole. Estremamente confusa, lo aveva guardato con in volto un’espressione accigliata. Era pazzo, senza alcun dubbio, oppure voleva dirle di più?
«Odio le lettere. Ne spedisco poche, quasi per niente. Figurati se ora mi metto a fare da postina per conto di tua sorella!» lo guardò, la bocca si strinse e scosse la testa. Cosa significava quell’atteggiamento? Penny chi? Ma soprattutto perché gli stava dando spago? Doveva prendere e continuare a camminare avanti, dritta per la sua strada, nient’altro.
Eppure la mente iniziò a viaggiare, alla ricerca di ogni volto presente nella sua Casa legato a quel nome. Magari aveva sbagliato lei questa volta, forse si era dimenticata qualcosa e stava dando per scontate le azioni di quell’uomo.
Ginny Craig, Helena Cole, Peace Sparks, Victoria Sullivan… ma nessuna Penny. Okay, nell’ultimo periodo era stata assente, viaggiava in un mondo tutto suo e non di certo positivo, ma se c’era una cosa che non dimenticava mai erano i nomi dei propri compagni di casata. Lui doveva essersi sbagliato, sì, ma inizialmente preferì tacere.
Abbassò la bacchetta alla richiesta dell’uomo e la spense con un “Nox” mentre, ormai, era arrivata ad affiancarlo. L’intenzione era quella di andare avanti, salutarlo, invece lui continuava a parlare e sembrava non volerla lasciare in pace. Ma, seriamente, cosa voleva? Si conoscevano? No. Ne era certa di questo, eppure iniziava ad avere dei dubbi. Che facesse parte di quelle persone a cui poteva aver rivolto un sorriso cordiale e un saluto senza badare realmente alla fisionomia? Questo era probabile, magari in qualche evento scolastico o extra.
C’era qualcosa che non andava e non avere delle risposte per lei era inaccettabile.
«Destino?! Si può sapere cosa stai dicendo?»
Si irrigidì, non riusciva a comprendere quale assurdo gioco stesse facendo.
«Senti, io sono arrivata.-» aggiunse, non aveva voglia di perdere un minuto di più. Doveva solamente fare un salto veloce in quel dannato negozio e invece sembrava essere diventata una cosa impossibile. Avrebbe dovuto fare dietrofront tempo prima, quando a metà del percorso aveva avuto la percezione che qualcosa non andasse. Non si sbagliava mai e infatti… eccoli i risultati!
«-In ogni caso devi avermi confusa con qualcun’altra. Non so chi sia Penny e nemmeno so chi sei te, sinceramente!» concluse mentre con sguardo attento notò il gesto improvviso dell’uomo.
Le aveva teso la mano, perché? La confusione diede accesso all’irritazione che senza alcuna fatica si insinuò nel suo corpo dandole l’istinto di avanzare con più decisione. Non diede peso ai suoi sguardi, non riusciva a capirli. Lo superò, non aveva nient’altro da dire, sperava solamente che non la toccasse perché si sarebbe ritrovato una spina nel fianco. Una piccola ma appuntita spina che avrebbe mirato dove avrebbe fatto più male.


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Sarebbe stato tutto più semplice se quella ragazzina si fosse fidata di lui, ma non poteva credere possibile che al mondo esistesse ancora quel tipo d'ingenuità. Cercò di coprire la sua voce col suono della propria risata, fasulla quanto la storia inventata su Penny e la posta da consegnare: doveva agire in fretta se voleva salvarle la vita, ma ogni movimento brusco avrebbe potuto indurre il furfante nell'ombra a reagire. Gli effetti di un simile risvolto sarebbero stati ignoti finché non si fossero verificati e, in tal caso, ogni buon proposito di portare a casa la pelle sana e salva sarebbe stato vano. La ringraziò mentalmente per aver seguito il suo consiglio e godette del buio per la prima volta; l'oscurità poteva essere nemica oppure alleata, ma in ogni caso doveva essere sfruttata al meglio. Per deformazione professionale, Axel Prowse improvvisava spesso: non che gli piacesse granché, ma aveva un buon istinto e sapeva quando era il momento di imporre al gioco nuove regole. Che la ragazzina fosse d'accordo con lui era da escludere e quando evitò di prendere la sua mano, la decisione della giovane gli fu ben più che chiara. La scorse a malapena mentre lo superava e Sykes tratteneva il fiato restando immobile.

«Con questo buio è probabile, ti chiedo scusa.» rispose lesto, estraendo la bacchetta dalla giacca sgualcita. Ora che Megan gli dava le spalle - errore grossolano per una diffidente come lei - Axel poteva agire indisturbato. La mano tesa verso di lei in un gesto accogliente si mosse in avanti e prima ancora che lei potesse voltarsi per terminare il suo sfogo più che lecito, il braccio magro ma forte di Prowse si serrò alla vita della Corvonero.
La strinse a sé, mentre la decisione di Smaterializzarsi sulla soglia di casa propria - a qualche vicolo di distanza - prendeva forma e la rotazione del corpo suggellava l'intenzione.
Ad ogni strattone di Megan, la presa si sarebbe serrata maggiormente su di lei, finché il tipico suono della Smaterializzazione non avesse animato il vicolo accompagnato dal grugnito di disappunto di Sykes. Poteva non aver visto nulla di quanto accaduto, ma il suo udito non mentiva. La sua preda era scappata.

Un alito di vento e uno schiocco sonoro avvisarono Megan di essere arrivata lì dove Axel aveva desiderato. La nausea avrebbe tenuto impegnato il suo corpo e forse la rabbia sarebbe esplosa come una bomba ad orologeria. Axel era pronto a difendersi, se necessario, ma non voleva farle del male.
Si trovavano in un vicolo adiacente a Diagon Alley, a pochi passi dal Paiolo. Era il principio di una propaggine del quartiere malfamato, eppure l'esterno delle palazzine sbilenche aveva l'aria di un quartiere curato, seppur con qualche porta scrostata dagli agenti atmosferici. Megan si trovava al centro di quella stradina, mentre il suo presunto rapitore sostava in bilico su un gradino davanti alla soglia di un'abitazione. «Non voglio farti del male... Mi chiamo Axel.» protese le mani avanti, mostrandole la bacchetta inoffensiva. Il legno liscio e scuro riluceva al riverbero delle lampade appese alle pareti che gli illuminavano anche il volto. Ora che poteva vederlo chiaramente, l'espressione di Axel Prowse le sarebbe dovuta sembrare quella di un bambino innocente, colto in flagrante con le mani nel vasetto di miele.«Se me lo permetti, ti spiegherò ogni cosa, ma sappi che in quel vicolo non ero io la minaccia.» proseguì allora, deglutendo a fatica. «Non dirmi che credevi di essere davvero sola.»
La ragazzina aveva già dimostrato di essere imprevedibile e di non aver notato dettagli che a lui non erano sfuggiti. Doveva solamente capire quanto fosse disposta a credergli.
Le cose si son fatte movimentate, ma tutto avrà un senso, lo prometto.

Megan

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Megan Milford-Haven

C’era stato un breve istante, un piccolo e fuggente attimo, in cui aveva creduto di essersi finalmente liberata di quell’angoscia. Di aver superato l’ansia e la paura che l’avevano avvolta durante l’infinito tragitto, che ora la vedeva a pochi metri dalla sua meta.
Sembrava come avesse percorso la strada senza respirare, come se in quel momento stesse riprendendo l’aria necessaria per riempire del tutto i polmoni.
Si sentiva libera.

Inspirò ed espirò e proprio laddove l’ultimo respiro si effondeva nell’aria autunnale e gli occhi si chiudevano per qualche attimo, si sentì afferrare.
Un grido soffocato mentre le mani cercavano di liberarsi dalla presa che le cingeva la vita. Il cuore in gola le tamburellava impazzito, ogni muscolo si irrigidiva a quella stretta che, ad ogni ribelle movimento, diveniva sempre più forte. Aveva lottato il tempo necessario per capire che sarebbe stato inutile continuare a farlo, avrebbe dovuto agire d’astuzia proprio come le era stato insegnato. Così, nel momento in cui la bocca andava a stringere la carne sul braccio del suo assalitore tutto divenne confuso. Tutto scomparve e un suono le rimbombò nella testa destabilizzandola completamente.
Si accorse di aver tenuto gli occhi chiusi in quegli istanti di completo caos, solamente quando la carezza del vento e uno schiocco improvviso la risvegliarono dal torpore che stava provando.
Le luci notturne riuscivano a malapena a renderle possibile mettere a fuoco ciò che aveva attorno. Nausea, mal di testa e tensione l’avvolsero come un fiume durante l’apertura di una diga. Violente tanto da farla oscillare appena, mentre lentamente chiara diveniva l’immagine del posto in cui si trovava.
Era il centro di una stradina di uno stretto vicolo, nulla di buono a pelle.
Teneva così le braccia attorno al proprio corpo e la totale confusione iniziò a tormentarla. Se era un maledetto sogno voleva svegliarsi!
La voce calda e familiare si insinuò fra i suoi leciti pensieri. Alzò così lo sguardo, finora rivolto verso il terreno, e riconobbe la figura di fronte a lei.
Non capiva, si chiedeva per quale motivo fosse lì e cosa volesse quell’uomo da lei.
Quando riuscì a prendere la forza necessaria per reagire, gli occhi blu si accesero come un fuoco che divampa improvvisamente da una innocente scintilla su una macchia di benzina.
«Tu…-» esitò appena, poi un passo avanti e la bacchetta si tese in direzione della figura. «-Cosa vuoi da me?»
Chiara e semplice, quella domanda avrebbe dovuto far trapelare la reale intenzione della studentessa. Un altro passo o movimento e niente l’avrebbe fermata nell’esecuzione di un incanto preciso e mirato.
«Non c’era nessuno lì, eccetto te.» mentì. Sapeva benissimo che fin dal principio qualcosa l’aveva tormentata ma in quel momento il punto era altro.
«Per quale dannato motivo lo hai fatto, spiegamelo!» la voce era diretta, priva di qualsiasi esitazione. Il controllo che aveva assunto sembrava non tradire alcun movimento. Poteva dire lo stesso dei suoi pensieri?
Non sapeva bene cosa stesse provando: rabbia, paura e curiosità si mescolavano pericolosamente nella sua testa, distribuendosi nel corpo senza alcun equilibrio stabile. Era un dividersi tra: colpire, scappare e avanzare ad armi basse. Chi avrebbe prevalso sull’altro?
C’era qualcosa in quell’uomo, qualcosa che la incuriosiva e la spingeva ad ascoltarlo. D’altra parte però la difesa era la sua migliore amica e sarebbe stato difficile abbatterla senza condizioni.


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Non l'avrebbe biasimata, non più di quanto la ragazzina meritasse. Essere trascinati a zonzo per Diagon Alley con la Smaterializzazione non doveva essere piacevole per nessuno, men che meno per lei. Spaventata e arruffata come un pulcino indifeso, la ragazza aveva prontamente sguainato la bacchetta e gliel'aveva puntata contro nel più normale dei modi possibili. Lui non mosse un solo passo nè esalò un respiro. La piccola aveva bisogno di ritrovare la calma e di raccontare a se stessa la verità dei fatti, prima ancora che fosse lui a rincarare la dose. Voleva spiegazioni, la piccola, e le avrebbe avute, ma prima doveva dargli modo di identificarsi a dovere e di spiegarle perché - tra tutti gli individui in libera circolazione - la Fortuna avesse voluto che lei incontrasse proprio lui.
«Qualsiasi cosa dirò non ti basterà. Perciò ti chiedo di leggere che cosa c'è scritto qui...» e così dicendo indicò un foglietto stropicciato, che sbucava appena dalla tasca della giacca che indossava. Per facilitarle la mossa, Axel sollevò ancor di più le braccia, invitandola a farsi avanti e a prendere il documento.

«Ci troverai scritto il mio nome, un numero identificativo e la mia occupazione. Ti direi di fare un salto alla Gringott per controllare che sia tutto vero, ma temo che i Folletti siano andati tutti a nanna.»

Un sorriso malandrino curvò le labbra sottili, nascoste dalla barba scura. Tuttavia, l'espressione bonaria dello sguardo non avrebbe lasciato adito a dubbi. Axel Prowse non mentiva e se solo Megan avesse voluto testare la veridicità delle sue parole non avrebbe dovuto far altro che starlo a sentire. Come nel vicolo, anche in quel caso Megan non aveva scelta e ancora una volta avrebbe dovuto chiedersi se valesse la pena recalcitrare tanto oppure scegliere di fidarsi del prossimo. «Non conosco l'uomo che ti stava seguendo, ma dall'odore che emanava non credo avesse buone intenzioni. Puzzava di alcol di qualità pessima e di altre cose che sicuramente il tuo olfatto ti aiuterà a ricordare.» abbassò le braccia, a quel punto, portando le mani sui fianchi «Non puoi aspettarti di girare per Nocturn da sola senza incontrare anima viva e soprattutto qualcuno che non voglia fregarti. Solo io, per tua fortuna, non voglio nulla da te. Anzi...» fece una pausa, appoggiandosi allo stipite scrostato della porta alle sue spalle. Si guardò attorno con attenzione, prima a destra - verso Diagon - e verso sinistra, ammirando gli oscuri meandri di Nocturn. Un tramestio sempre più ravvicinato aveva rianimato il silenzio della strada. «Ci conviene salire. La strada a una certa ora non è più sicura.»

Non si curò più della bacchetta puntata contro di sé né dell'espressione della giovane studentessa; voltandole le spalle, l'uomo impugnò la bacchetta, che eseguì un incantesimo, e la toppa opaca brillò, prima che uno scatto annunciasse l'apertura dell'uscio. Axel la spinse col piede e con un altro svolazzo di bacchetta fece in modo che le lampade ad olio dell'ingresso si accendessero in serie. Dal punto in cui si trovava, Megan avrebbe visto un lungo corridoio tappezzato di carta da parati di discutibile bellezza - a motivo floreale e con qualche macchia di umidità a sollevarne gli angoli - ed una scala stretta che conduceva al primo piano di quella palazzina sbilenca. Axel ricambiò il suo sguardo e si limitò a farle strada. «Ti conviene muoverti, se non vuoi ripetere l'esperienza del vicolo. Ho l'impressione che stiano arrivando i soliti poco di buono.» e così, lasciandole scegliere il percorso da intraprendere - col rumore dai vicoli vicini sempre più forte -, Axel cominciò a salire i gradini due alla volta. Se Megan voleva rischiare la pelle era affar suo: lui voleva solamente crogiolarsi al calore del fuoco e riposare un po' nella quiete e nella pace del suo appartamento.


Megan

PS 156
PC 95
PM 102


Axel Prowse

PS 160
PC 110
PM 110


 
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view post Posted on 2/3/2019, 11:18
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Ocean eyes.

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Inventario

∆ Bacchetta - Legno di Ciliegio, Lacrima di Veela,10 pollici, semi rigida (legata in vita)
∆ Borsa a tracolla
∆ Anello Gemello (anulare sx)

∆ Anello Difensivo (indice dx)

∆ Mantello della Disillusione (nella borsa)


Megan Milford-Haven

Doveva iniziare a chiedersi dove sarebbe andata continuando ad assumere quell’atteggiamento ma non lo fece, perché non aveva mai posto dei limiti alle sue azioni. Sì spingeva sempre oltre aspettando una reazione che, anche in questo caso, non c’era stata. In quel modo non sarebbe andata da nessuna parte e continuava ad averne l’ennesima conferma.
La calma dell’uomo, poi, la irritava quanto basta da voler andare affondo alla questione senza fare un singolo passo indietro. Cosa voleva da lei realmente? Perché si era spinto a tanto? Quelle domande continuavano a ronzarle in testa e non avrebbe avuto pace finché le risposte non sarebbero giunte.
Avanzò verso di lui senza abbassare la guardia e iniziò a studiarne i duri ma dolci lineamenti. La speranza che fosse qualcuno che lei aveva conosciuto da piccola le riempì il cuore per qualche istante: forse poteva aiutarla riguardo i suoi genitori, e magari concedergli una possibilità non sarebbe stato sbagliato.
Ascoltò le parole calme, educate, e ne restò sorpresa: aveva previsto una reazione non troppo gentile e i modi del giovane la spiazzarono.
Si soffermò qualche attimo prima di accorciare del tutto le distanze, la bacchetta era ancora stretta fra le dita, puntata verso il ragazzo. Quando fu a un solo passo da lui afferrò il biglietto nella tasca, che le aveva indicato, cercando di capire se il nome avrebbe potuto dirle qualcosa. Indietreggiò appena e con la mano sinistra posizionò il pezzo di carta nel modo corretto.
Axel Prowse, chi sei?
Il suo sguardo, concentrato in quelle poche lettere, cercava di capire se aveva già conosciuto quell’uomo, nel mentre elaborava quanto le aveva detto rendendosi sempre più conto che non poteva dargli torto. Il suo caratteraccio non avrebbe di certo permesso di far trasparire un briciolo di fiducia ma il fatto che lui le avesse salvato la pelle aveva acceso in Megan qualcosa.
Per quanto poteva fingere di non aver visto né sentito nulla, aveva avuto il sentore fin dal principio che dietro le sue spalle c’era stato qualcuno o qualcosa. L’ansia, la paura e l’agitazione l’avevano stretta in una morsa soffocante e se fino a qualche minuto prima aveva avuto dei dubbi in merito, convincendosi fossero solo stupide paranoie, ora v’era una certezza. Quello sconosciuto l’aveva salvata, doveva ringraziarlo forse? Non ci riusciva. Così si limitò ad abbassare la bacchetta, in segno di una resa apparente, e lo seguì alle spalle mentre continuava a chiedersi per quale dannato motivo lo stesse facendo.
Non era sicuro rimanere in balia del buio in quei vicoli sporchi e putridi; dove ogni crepa, che scorreva tortuosa sulle strette pareti, evidenziava la loro pericolosità. Per quanto volesse dimostrare di essere forte, di non avere paura, sapeva benissimo che restare in quella condizione sarebbe stato un errore. Ma se da una parte aveva la certezza dell’alto margine di rischio, dall’altra aveva l’ignoto che poteva avere il suo stesso grado. Eppure si trovava a dover per forza scegliere di inoltrarsi con lui e appigliarsi al fatto che, in qualche modo, l’aveva protetta.
Pertanto la vicinanza ora era ridotta a qualche centimetro e lo osservava in attesa. Le ampie spalle, ricoperte dalla giacca blu notte, le fecero subito pensare al momento in cui se lo era ritrovato addosso. Rabbrividì per il senso di impotenza che aveva provato e cercò di dimenticare quel contatto.
Il silenzio che era sceso fra di loro era strano, Megan aveva smesso di ribattere e sembrava volere semplicemente lasciarsi trascinare perché stanca dei giri di parole che non avevano mai dato le risposte che cercava. Ma era una tregua, non si sarebbe arresa e Axel poteva averne avuto il sentore quando un lungo sospiro era giunto in risposta alla sua ultima frase.
Superata la soglia, indugiò per qualche attimo sulle vecchie pareti illuminate dalle lampade a olio, niente che a che vedere con il lusso a cui era abituata. Lo sguardo poi si voltò in direzione del ragazzo appena sentì i rumori delle suole scricchiolare sul legno. Lo vide salire le scale e per un piccolo istante credette di dover andare via subito da lì: stava entrando in un appartamento di uno sconosciuto, doveva aver perso la testa durante la smaterializzazione, era evidente.
Respirò profondamente prima di afferrare il corrimano e calpestare i primi gradini. Se da un lato qualcosa le diceva di tornare indietro, dall’altro v’era la curiosità di capire e scoprire i perché che la tormentavano. In entrambi i casi riusciva a percepire il pericolo, sebbene di diversa provenienza, e a lei piaceva da morire.


PS: 156 | PM: 102 | PC: 95 | EXP: 12,5


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