Hurricane, Contest a Tema: Ottobre 2018

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view post Posted on 30/10/2018, 19:31
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Cosa c'è da sapere?
La role si svolge post evento Scuola di Atene. Megan si trova in infermeria a seguito dei danni subiti a Gerusalemme (Recovering).


Tell me would you kill to save a life? Tell me would you kill to prove you're right?


C’era il caos.
C’erano gli incessanti passi, la polvere e il caldo.
C’erano le grida, il sangue che macchiava la sabbia gialla, i singhiozzi delle donne e dei bambini.
C’era l’odore di bruciato, di violenza e di paura.
C’era.

In ginocchio, a terra, teneva le mani immerse nella sabbia, respirava a fatica.
Tossiva, cercava di lasciar fuoriuscire la sabbia che le stava impedendo di prendere aria.
Boccheggiava, il caldo le aveva ustionato la pelle e profondi graffi le marchiavano il corpo lasciando scorrere il sangue lungo la pelle sporca.
Strinse la sabbia sotto le mani, la sentì incastrarsi fra unghie, mentre con forza cercava di tornare in piedi, di tornare sui suoi passi.
C’era fumo denso e ombre che correvano ovunque. La confusione le annebbiava la mente e le tempie pulsavano diffondendo un’emicrania che le impediva di tenere gli occhi del tutto aperti. Mentre a fatica si solleva sulle gambe, tornando in posizione eretta, copriva con la mano il sole che, forte, rifletteva sulla sabbia, come se quest’ultima fosse una distesa di piccoli pezzi di vetro rotti. Non era certa di capire dove fosse, o meglio si convinceva di non saperlo e addosso portava un peso che cercava di spingerla sempre più a terra. Con le spalle curve, le braccia ad avvolgere il petto, provava a farsi da scudo, a porre resistenza, ma sentiva come se una parte di lei fosse altrove, persa.
Aprì del tutto gli occhi per la prima volta, erano passati minuti, forse ore, lasciò che la luce penetrasse le sue iridi blu. Le pupille si strinsero mentre una fitta alla testa la costrinse a sollevare l’avambraccio, tutto era confuso e la luce, troppo forte, le impediva di mettere fuoco lo spazio che la circondava.
Tuttavia, il contatto con il duro acciaio dell’armatura accese in lei qualcosa, e proprio in quell'istante le fu chiaro che era inutile continuare a nascondere ciò che in realtà conosceva bene.
Con un semplice gesto allungò le mani di fronte a sé, osservando con attenzione ogni dettaglio di quel vestiario. Iniziò, così, a prendere più coscienza del suo corpo, a sentire il peso della corazza sulle spalle, lo scudo sfiorargli le scapole e la spada toccarle la gamba.
Ora tremava, la paura iniziò ad avere il sopravvento e il peso diveniva sempre più grande da sorreggere.
La consapevolezza era giunta e con essa ogni cosa le sembrò familiare. Volse lo sguardo su ciò che la circondava, scorgendo le mura di una città distrutta che ergevano fronte a lei stanche, sconfitte. Le urla, i boati divenivano sempre più forti e i lampi delle esplosioni sempre più nitidi. Era sola, ed era di nuovo lì.
Il panico sopraggiunse senza chiedere alcun permesso ma non fermò l’avanzare dei suoi passi verso la cinta muraria. Si trascinava a fatica, sollevando i cumuli di sabbia che riempivano le sue calighe. Dove erano gli altri? Perché era sola?
I sensi di colpa avevano iniziato ad intaccare la sua mente, come ventose, premendo talmente forte da lasciare accelerare i battiti del cuore senza alcun controllo.
Tossì, portando il polso alle labbra mentre con passi cadenzati e attenti scavalcava le grandi pietre sulla sabbia. Il fumo era sempre più intenso ed il silenzio, ora, era spaventoso.
L'impulso di urlare venne frenato dal terrore che, ormai, aveva preso il pieno possesso del suo corpo ora tremante. Dove erano tutti? Cosa stava succedendo?
Iniziò a piangere, sentiva il peso di tutto ciò che la stava circondando. Sì, lo sentiva premerle sullo stomaco dandole la nausea. Era colpevole, aveva preso parte a qualcosa di così grande e tremendamente sbagliato da non riuscire a perdonarselo, sebbene non fosse stata una sua decisione o almeno in parte.
A pochi metri dagli ammassi di pietre distrutte, il fumo nero e l'odore della carne bruciata avanzavano diffondendosi nel cielo ormai grigio. Mentre con coraggio cercava di addentrarsi per scoprire cosa si celasse al suo interno, una sagoma apparve nella fitta nebbia scura. Davanti a lei la figura di una bambina in lacrime, che la osservava con gli occhi spenti e lo sguardo perso nel vuoto, la indusse ad avvicinarsi. Poteva aiutarla, poteva fare qualcosa per lei, poteva rimediare, farle sentire che non era più sola.
Così si avvicinò e non appena i metri divennero centimetri, allungò la mano cercando di sfiorare il corpicino minuto. Poteva vedere chiaramente quanto i segni di quella battaglia l'avessero coinvolta, i lividi e le ferite le segnavano la pelle e, a quella visione, non poté che sentire un pugno diretto allo stomaco.
«-H-hey!» Quando posò le mani sulle sue esili spalle la tirò a sé abbracciandola, poi la strinse. Il contatto con la pelle gelida e delicata della bambina la fece rabbrividire.
«Va tutto bene, sono qui.» Cercò di rassicurarla.

Un soffio d'aria abbracciò quel momento, mentre l'eco di una voce inondava la sua mente come fa un fiume dopo ore di instancabile pioggia.
Perché?
Perché?
Perché?
Il flebile suono di quella domanda riecheggiò nell'aria mentre piano piano il corpo della bambina si sgretolava fra le sue braccia. Come polvere si dissolse, lasciandosi trasportare dalla scia di vento improvvisa. Quest'ultima spostò la foschia che copriva ciò che si celava al di là di quello spazio, e fu allora che vide tre corpi a terra. Tra loro i capelli corvini e il volto pallido, rivolto verso il cielo, non le lasciò alcun dubbio nel riconoscerne l'identità: era la bambina che poco prima stringeva a sé e, affianco a lei, un uomo e una donna, probabilmente la sua famiglia.
«No-»
Si trascinò nella sabbia per raggiungerli. Piangeva, si struggeva nel vedere quello che era stato fatto e i sensi di colpa la invasero. Aveva preso parte anche lei a quella battaglia e la visione di quel risultato, così crudo, la uccise senza alcuna esitazione.
«-no, no…»
Ansimava, la tremenda angoscia di avere la conferma che tutto ciò che stava vedendo era reale le lacerava la pelle, come una lama affilata alla quale basta un delicato tocco per recidere la carne senza alcuna difficoltà.
Ma, quando fu a pochi passi da loro, una luce la colpì in pieno, poi il buio.
Non vedeva più nulla.

***



«NO!.»
Sbarrò gli occhi mentre il respiro affannato le gonfiava il petto con violenza: stava sudando e il terrore era ancora dentro di lei.
Alla vista degli archi ogivali, le volte a crociera e le ampie vetrate che scendevano verso il pavimento, Megan realizzò di essere in Infermeria e fu in quel momento che sentì la mano stretta da una presa delicata e il suono dolce di una frase.
Abbassò lo sguardo, seguendo la voce calda e familiare, focalizzando la figura che accanto a lei, a pochi centimetri, le teneva la mano.
«W-wolfgang,-» le iridi blu incrociarono quelle cristalline del ragazzo mentre un sorriso, appena accennato, si palesò sul volto. Il senso di tranquillità l'avvolse come il calore di un fuoco in una giornata fredda, polare.
«-perché sei qui?-»
Sebbene la presenza del ragazzo avesse acceso in lei una luce, il fatto che lui la vedesse in quelle condizioni la imbarazzava. Benché provasse a nasconderlo, a mostrarsi forte anche di fronte all'evidenza, nell’espressione del Serpeverde era chiaro quanto poco fosse credibile la maschera che stava indossando.
«-Vedi? In qualche modo l'ho pagata.» aggiunse mostrando un sorriso amaro. Il riferimento a quanto era successo qualche mese prima al duello era chiaro, come era chiara e limpida la domanda che ogni volta si rivolgeva: Perché continui ad esserci per me?
Dopo tutto quello che le aveva fatto, dopo il male, l’indifferenza, le barriere, lui era sempre lì per lei.
Sapeva bene di non meritarlo affatto, eppure continuava a non essere capace di manifestare ciò che provava realmente, quanto apprezzasse quei gesti e quella preoccupazione. Ma proprio in quel limite che percepiva la paura, e la consapevolezza si faceva spazio facendole comprendere di non volerlo perdere, perché sentiva quanto fosse importante per lei.
Così si arrese a quella domanda, provò a concedersi, ad abbassare qualsiasi muro e rilassò il proprio corpo totalmente. Lui era lì per lei, di nuovo, e vedeva, percepiva, il senso di protezione.
La tensione si disperse tra le morbide e calde coperte lasciando spazio ad una confessione sincera, priva di qualsiasi nascondiglio. Non era facile, non lo era affatto, il ricordo le batteva in testa come un martello contro un tubo di ferro. Lo sentiva rimbombare, provocarle un senso di nausea, poi le emozioni e gli odori riaffiorarono con violenza.
«-Ho visto la guerra… H-ho p-partecipato a uno sterminio.-» la voce le tremava, il racconto era troppo doloroso e gli occhi lucidi evidenziavano quello stato.
«-Peverell, la Scuola di Atene, Gerusalemme.» farfugliò quelle parole, mentre la gola iniziava nuovamente a chiudersi.
«Non ero pronta, Wolf. Non lo ero.»
Sospirò mentre a fatica fece scivolare la mano dalla presa di lui portandola agli occhi, per frenare le lacrime.
«Ho fatto del male di nuovo. Sì, mi sono difesa è vero, ma quello che ho visto è stato terribile.-» il nodo diveniva sempre più stretto, ogni parola pesava come un grosso macigno che, a mano a mano, le riempiva lo stomaco.
«Mi chiedo se è giusto far vivere un'esperienza così a dei ragazzi. Non è un gioco!»
Il petto iniziava a farle male, memore del ricordo troppo fresco e dell'incubo che aveva tormentato le sue ore di riposo.
Era viva e sebbene fosse grata di questo, non riusciva a staccarsi del tutto da quelle sensazioni.
«Per favore, resta.» la mano scivolò lungo le coperte bianche a cercare le dita di Wolfgang. Le sembrava così assurdo ma era lì che trovava la sua sicurezza, una sensazione di protezione che l'avvolgeva, come se lui fosse la sua ancora, a cui riusciva ad aggrapparsi prima di essere inghiottita dal buio.
«Resta.»


Crash crash, Burn let it all burn, This hurricane's chasing us all underground.


© Thalia | harrypotter.it



Edited by Megan M. Haven - 30/10/2018, 20:11
 
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view post Posted on 30/10/2018, 19:33
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Secondo Anno

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Tell me would you kill to save a life? Tell me would you kill to prove you're right?

Quella mattina il sole aveva deciso di non fare la propria comparsa né tra le mura della Sala Grande né nel grigio cielo di Novembre.

Wolf non si era mai considerato meteoropatico, ma la fin troppo usuale combinazione di pioggia e nebbia scozzese non faceva altro che acuire la strana malinconia con cui si era alzato dal letto solo poche ore prima: durante la colazione aveva scandagliato il tavolo di Corvonero nella speranza che la vista di un volto familiare potesse spazzare via la sensazione che qualcosa di brutto stesse per accadergli, ma sembrava che quel giorno la dea bendata avesse deciso di volgere i suoi favori altrove. Non vi era traccia di Megan neppure a lezione e quella leggera ansia che lo stava tormentando fin dal momento in cui si era svegliato stava rapidamente assumendo contorni sempre più preoccupanti, impedendogli di concentrarsi sulle ultime parole del professor White.

Hey Bogdanow, ho sentito dire che la Corvonero che ti ha stracciato a duello è finita in Infermeria ieri notte: alla fine sembrerebbe che qualcuno sia riuscito là dove hai fallito.

Almeno adesso era sicuro di sapere dove avrebbe potuto trovare Megan: allora perché non era contento?

***



Wolf aveva percorso il corridoio del Secondo Piano come in un sogno, non ricordava nemmeno parte del tragitto o se avesse incontrato qualcuno degno di nota - le gambe pesanti e la testa vuota, priva di ogni pensiero. Mano a mano che si avvicinava all'ingresso, alla porta a doppio battente che custodiva l'Infermeria di Hogwarts, sentiva un peso nel cuore: non era la prima volta che varcava tale porta, ma solo ora sembrava essere in grado di notare ogni particolare di quella stanza - peccato che né le spesse assi di quercia né la parete di dura roccia fossero in grado di distrarlo dal pensiero che l'aveva condotto fino a lì. Giunto a quel punto, non avrebbe notato le armature che ne decoravano l'ingresso o le ampie vetrate decorate in perfetto stile gotico: tutto ciò che riusciva ad osservare in quel momento erano le due fila parallele di letti ordinati e di paraventi in grado di fornire privacy ai pazienti.
Dietro uno di quei ripari, si trovava Megan - ferita, sofferente e probabilmente in condizioni peggiori di quando avevano duellato qualche mese prima. Solo qualche passo lo divideva dalla ragazza, dalla testimonianza diretta di quanto stesse affrontando in quel momento: non sapeva cosa le fosse successo, non sapeva se qualcuno l'avesse aggredita ma il solo pensiero gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Tuttavia, adesso, Wolf si trovava bloccato a qualche metro dalla porta, incapace di compiere i passi rimanenti che ancora lo tenevano lontano da lei: che cos'era quell'ansia sottile che gli stava avvelenando il cuore?

L'odore che aleggiava negli ospedali non gli era mai piaciuto, se avesse avuto una qualche scelta non avrebbe mai camminato lungo quei corridoii di propria sponte: eppure per lei avrebbe fatto questo e altro. Lei e la creatura che portava nel grembo, la stessa che gli stava succhiando la vita di minuto in minuto. E lui era intrappolato in quel posto, incapace di fare alcunchè per salvare sua moglie o impedire al loro figlio di portargliela via per sempre.


Un passo. Due passi.

Finalmente poteva osservare con i suoi occhi le condizioni della Corvonero: sparite le escoriazioni del suo corpo - merito dell'Infermiera di Hogwarts probabilmente - Megan pareva solamente addormentata, come se si fosse trovata all'interno delle mura del proprio Dormitorio. Tuttavia non si trovavano nella Torre di Divinazione e questo era evidente non solo dagli addobbi presenti nell'Infermeria: il viso di lei, sempre così espressivo, in quel momento era contorto in un'espressione di profonda sofferenza, quasi come fosse tormentata dai ricordi di quanto aveva appena vissuto.

Non si era mai sentito così impotente in vita sua.

Wolf si sedette su una sedia posta accanto al suo letto - o meglio, vi cadde sopra come a peso morto - per poi sporgersi e afferarle la mano, cercando di donarle un po' di conforto: o di confortare sè stesso, ancora non era sicuro di quale risultato stesse cercando di ottenere con la sua visita.

Avrebbe voluto trovarsi all'interno della stessa stanza di sua moglie, ma dottore ed infermiera glielo avevano impedito: a nulla erano valse le parole di Jonas per calmarlo - il muro dell'ospedale recava i segni della sua furia. Quello e le nocche sanguinanti della sua mano destra: forse era un bene che non si trovasse all'interno della stessa stanza di sua moglie - era sicuro che avrebbe provato a fare male al bambino.


Non riuscì a trattenersi, una volta afferrata la mano fredda della Corvonero la strinse con forza cercando di strappare la ragazza dai propri incubi, che sembravano peggiorare di secondo in secondo. Forse era stata la sua stretta, forse il sogno aveva esaurito il proprio corso, ma improvvisamente la ragazza sbarrò gli occhi, lasciandosi sfuggire un grido strozzato - lo sguardo fisso sul soffitto sopra le loro teste.

Megan - Liebe - ti senti bene? Puoi dirmi cosa è successo?

Neppure durante il loro duello aveva sentito una tale ira, un tale desiderio di ferire chiunque avesse fatto lei del male - fosse stato anche lui stesso. Forse per la prima volta riusciva a comprendere il motivo per cui suo padre non riusciva neppure a guardarlo negli occhi: se i sentimenti che quell'uomo aveva provato per sua madre combaciavano almeno in parte con quanto stava iniziando ad avvertire per la ragazza distesa sopra quel letto, riusciva a comprendere l'odio che pensava di osservare negli occhi di Anton Bogdanow quando, per sbaglio, il suo sguardo si posava sul figlio. Lui stesso avrebbe voluto poter sfogare in qualche modo i sentimenti contrastanti che aveva provato nell'osservare le condizioni di Megan: tuttavia, la furia cui la sua mente era sottoposta in quel momento, veniva in parte lenita dalla prova evidente che, nonostante il proprio passato, nonostante l'assenza di affetto da parte dell'unica figura genitoriale da lui conosciuta, Wolf fosse in grado di provare sentimenti simili per qualcuno.

Per Megan.

Non riusciva a comprendere cosa stesse succedendo in quel momento: vedeva solamente infermieri correre lungo quel dannato corridoio come tante galline decapitate - strepitanti e incapaci di rispondere alle sue domande. Da dentro la stanza di sua moglie, provenivano rumori poco comprensibili e sempre più preoccupanti: Anton sentiva l'ansia e l'ira aumentare di minuto in minuto, incapace di comprendere il motivo per cui loro figlio stesse cercando di privarlo dell'unica donna avesse mai amato in vita sua.


Vedere Megan sorridere, seppur stesa in quel letto dell'Infermeria, fu come vedere spuntare un arcobaleno sopra una spiaggia distrutta - una tempesta in grado di estirpare ogni traccia di vita, messa in fuga al primo sorgere del sole. Come lei fosse ancora capace di domandarsi il motivo della sua presenza era al di là della sua comprensione: quello, però, non era il momento giusto per rivelare alla Corvonero la profondità dei suoi sentimenti - doveva ancora scoprire quali disavventure avessero condotto la sua Alice a uscire dalla tana del Bianconiglio in tali e pessime condizioni.

Qualcuno ti ha visto entrare in Infermeria e - per quanto non ami credere alle voci di corridoio - ho sentito il bisogno di verificare di persona.

Non aveva intenzione di permettere alla ragazza di nascondersi dietro a una maschera, di permettere a delle menzogne e finte insicurezze di sbocciare tra loro e dividerli - sentirla parlare del karma in quel modo, come se il destino avesse voluto punirla per averlo battuto in uno stupido duello scolastico, gli lasciava un sapore acre in bocca. Wolf, scosse la testa, rilassando la bocca in una smorfia amara: sapeva per esperienza personale, però, che cercare di far cambiare idea a una persona spaventata era controproducente - avrebbe lasciato che Megan si sfogasse e raccontasse cosa le fosse successo, continuando a stringerle la mano nella speranza che lei si rendesse conto di non essere realmente sola.

Ti prego, Liebe, raccontami cosa ti è successo.

Le parole di Megan, per quanto sconnesse a causa del trauma vissuto, erano a un tempo comprensibili e inintelligibili: non riusciva ad immaginarsi le motivazioni per cui il Preside di Hogwarts avesse mandato un gruppo di ragazzini a Gerusalemme, nel pieno di uno sterminio - almeno secondo le parole della ragazza. Non dubitava che Peverell fosse in grado di viaggiare attraverso il tempo, ma non riusciva a sopportare la vista delle lacrime sul viso della Corvonero: una fitta vederla piangere, una fitta osservare la sua mano scivolare leggera dalla sua presa per portarla agli occhi, per nascondere le tracce del suo dolore.

Nessuno può essere pronto a vivere un'avventura simile, non oso immaginare cosa tu possa aver visto: ma tu non puoi assumerti la colpa per ciò che sei stata costretta a fare pur di sopravvivere.

In quel momento, Wolf si sentiva pervaso da sentimenti contrastanti: se da una parte non poteva che gioire per il fatto che da quell'avventura Megan ne fosse uscita solo con un po' di escoriazioni e i segni evidenti di ciò che aveva subito, dall'altra una specie di ira profonda e gelida l'aveva pervaso al pensiero di quanto era stata costretta ad affrontare la Corvonero - avrebbe voluto sfogare la propria furia su colui che riteneva responsabile di quanto avvenuto. Se avesse potuto costringere il Preside Peverell a subire la medesima sofferenza cui aveva sottoposto Megan, in quel momento non si sarebbe trovato in Infermeria ma al Quinto Piano - pronto a fare il proprio ingresso nella Torre del Preside. Purtroppo non aveva né le capacità né il potere per ottenere la propria vendetta - soprattutto non era il momento adatto per una simile ricerca.

Non me ne vado da nessuna parte, Liebe.

Ora doveva pensare solamente alla ragazza sdraiata nel letto di fronte a lui: non aveva senso perdere tempo nelle proprie fantasie di vendetta, quando Megan aveva bisogno di lui - non poteva smarrirsi nel desiderio di rivalsa quando la sua Alice non si era lasciata consumare del tutto dalla tana del Bianconiglio. Quando Megan avvicinò la sua mano alla propria, decise di correre un rischio e sfruttando una tale apertura da parte della Corvonero la abbracciò, lasciando che la sua presenza le fosse di qualche conforto.

Non sarebbe scappato via.

"Signor Bogdanow dove sta andando? Suo figlio ha bisogno di lei."
"Quell'assassino non è mio figlio."





Crash crash, Burn let it all burn, This hurricane's chasing us all underground.


© Thalia | harrypotter.it



Edited by Wolfgang Bogdanow - 30/10/2018, 19:51
 
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