Come un folle al patibolo, passo dopo passo, in attesa eterea; il cammino lento, straziante, a tratti asfissiante, di un corpo che non era più pronto e che forse, a malincuore, non lo sarebbe stato più per davvero. Il respiro era l'unico suono che il giovane Stregone ancora sentiva, sulla scia di una schiera di battiti affievoliti. Non andava bene, lo sapeva. Non sarebbe stata quella la scelta giusta da compiere, e tuttavia ogni più intima parte di sé suggeriva di tentare, di provarci, almeno una volta. Una sola volta, si era ripromesso. La fiducia che nutriva nei riguardi dell'Auror al suo fianco, d'altronde, necessitava - impellente, estrema, anche fuorviante - di prove su prove, quasi per antitesi alla sua stessa definizione: da tempo aveva rinnegato quella libertà di per sé innocente, quasi mutata in spensieratezza, ma che per un animo come il suo non avrebbe avuto più valore d'esistere. Cercò di piegare la bocca in un cenno di sorriso, almeno veloce, così da favorire la richiesta che aveva appena fatto al Mago. Tutto quello che apparve a fior di labbra fu una smorfia, e tanto bastava per corrucciare la fronte, per stringere i denti, per sentire il cuore fermarsi, ostacolarsi, annullarsi da solo, da sé, da sempre.
«Non preoccuparti, non farà male.»*Non a te*, si ritrovò a pensare; la mente si chiuse come uno scrigno, articolò pensieri su pensieri, macinò distrazione e confusione insieme, all'unisono, e fu vuoto l'esatto istante in cui il contatto tra la sfera di cristallo e la mano di Aiden prese dinamica consapevolezza. A quel punto, come il più triste dei condannati, Oliver sorrise per davvero. C'era una nota di follia malcelata nel suo sguardo, la stessa nota che andava a disintegrarsi in un momento, quello in corso, che di felicità e divertimento non aveva alcun legame attivo. Ma per la prima volta, avrebbe dovuto ammetterlo perlomeno a se stesso, il Veggente sapeva cosa fare, come agire, in che modo spingersi oltre. Per la prima volta, non era all'oscuro di tutto. La tecnica, la maestria, lo studio, tutto quello non si avvicinava neanche un minimo ai dettagli che aveva saputo scorgere nel corso del tempo: la solitudine, al contrario, era stata la chiave vincente.
Sapeva cosa fare, e quella convinzione da un lato lo eccitava, dall'altro lo intimoriva come mai prima di allora. La conoscenza, ne aveva compreso il pericolo, poteva essere preziosa e meschina quasi in contemporanea. Con gli occhi ancora aperti, le palpebre sempre più pesanti, Oliver rinnegò in quel modo l'invito al sonno, al riposo, all'oblio. Si abbandonò tuttavia all'ultimo sospiro dell'Auror, ne seguì le vibrazioni del corpo, il peso di un dolore, di una preoccupazione, di un intreccio indefinito dell'uno e dell'altro, e ogni cosa aveva il senso di familiare, di conosciuto, di vicino. Avrebbe voluto sfiorare il braccio dell'altro, per una volta lui - e non viceversa - a fare da conforto. Ma non aveva altro che peccati da offrire, l'uno insieme al successivo, in un disegno che non aveva in sé del divino, che mai ne avrebbe avuto sentore. La sfera di cristallo finalmente si attivò, scossa dal contatto leggero della pelle del Mago. Un battito di ciglia, lo sguardo sempre più pesante, il cuore lieve al suo colpo minore, infine il Veggente dischiuse la bocca dal sorriso iniziale, folle e sbagliato, in un cenno di concentrazione che avvolse tutto il volto. Le stesse gote sbiancarono, le pupille si dilatarono di poco, lentamente, fin quando l'iride accesa di smeraldo si disperse in una sfumatura tenue, macchiata, a tratti completamente oscura.
«Mostrati.» Apparve come una lingua antica, diversa, mistica, e in generale divenne soltanto un sussurro appena. Al comando di un equilibrio tuttavia dispersivo, la nebulosa all'interno del Cristallo cominciò fortunatamente a plasmarsi, a correre in più direzioni. Soffiava da destra a sinistra, in modo concentrico, a tratti a spirale, e sempre con un ritmo scandito. Dal fumo apparve la prima figura, si articolò in una serie di strutture geometriche, poi rettangoli, poi quadrati, poi piatti. Legno, si vedeva. Altalene, in fila indiana, con bambini sotto le vesti di ombre pronte ad un gioco silenzioso. Scomparvero in uno sbuffo, mentre il corpo del Veggente già si liberava e opponeva insieme: un tremore convulso alle gambe, infine stasi ripristinata.
La sfera parve scottare istante dopo istante sempre più, al contatto della mano di Aiden attingeva nuovo calore, fino a riformarsi, ritornare alla chiarezza della sua simbologia. Resisti, avrebbe voluto aggiungere Oliver, ma era perso. Sentiva il peso del Tempo farsi finalmente dinamico, attivo e vicino, e non appena le palpebre calarono di netto, lasciando gli occhi di volta in volta socchiusi sulla Vista del Vuoto, il respiro parve interrompersi a sua volta. Immediato, il Cristallo si liberò in un'esplosione di fumo, di nebbia, di tinte di per sé scure e accese, in contrasto crescente. Sfumarono le figure degli infanti, delle loro altalene, della normalità che portavano in risalto, fino a piegarsi di netto, capovolgendosi, come se ad un tratto la stessa sfera avesse cominciato a girarsi in autonomia. Le ombre diminuirono, fino a lasciarsi intatte in un'unica forma. Un corpo umano, l'ultima altalena. In una vertigine infinitamente complessa, la figura parve ruotare su se stessa fino a mutare in testa in giù: in perfetto equilibrio, senza il peso della gravità, senza confini né legami di sorta, rimase per pochi secondi in quello stato capovolto. Un filamento bianco si frappose alla nube circostante, si avvolse al petto dell'ombra, serpeggiò sul collo. Stringeva, stringeva maggiormente. Il soffio perlaceo in evidenza sulla figura visibile, scura, buia, fin quando aumentò il peso dell'esplosione tutto intorno, fin quando la sfera riprese a scottare, a bruciare, ad ardere sotto la pelle dell'Auror. Stringeva, stringeva ancora. Capovolto, impiccato, strangolato.
«Basta.» Per un attimo lo sguardo del ragazzo si fece vitreo, gli stessi colori luminosi dei suoi occhi tentennarono leggermente, prima di ripristinarsi del tutto. Respirava a fatica, come al seguito di uno sforzo non indifferente, mentre le mani tremavano fino a scuotere le braccia. Seduto scompostamente sulla roccia improvvisata come sedia, Oliver osservava con aria contrita, palesemente preoccupata, il volto di Aiden. La sfera di cristallo, al contrario, era tornata fredda come in principio: al suo interno, come per scherzo, una macchia indistinta di bianco era in perfetta stasi, immobile, come ad attendere di essere scossa solo per gioco tra i più irrisori. Delle figure in successione non c'era più traccia.
«S-stai bene?» A voce fioca, indicò la mano del Mago, là dove il fuoco aveva sconfitto il freddo. Nello stesso momento, coprì la sfera con il fazzoletto color indaco, nascondendola all'attenzione e riponendola in fretta nella borsa ai suoi piedi.
Sono da solo, lo so bene. Lui morirà, so anche questo.
La sfera è viva, la sfera è viva per me.
«Dannazione.» Non posso fermarmi, non posso fermarla
- Calendule,
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