Il Ballo della FeniceLa Danza delle Ceneri

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view post Posted on 22/12/2018, 15:51
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la danza delle ceneri
« Il Ballo della Fenice »

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Quell'anno il Natale era arrivato sottovoce, sbiancando piano oltre le finestre, lungo le guglie, sui palmi delle mani impastati di neve. Il soffitto della Sala Grande si era dipinto di tinte delicate, e l'oro della sera si stemperava nei tenui grigi delle nubi stracciate.

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Non era ancora l'ora della paura e delle stelle: le pareti riverberavano della purezza bianca, cristallina, della volta, come se il respiro della montagna fosse disceso a colorare la pietra della sua ingombrante presenza.

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Un grande abete troneggiava solitario in fondo alla Sala, raccogliendo rispettoso e dolente gli impalpabili fiocchi di neve livida che fluttuavano radi e scomposti come cenere.
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Tra i suoi rami, grosse sfere di nobile lucentezza brillavano rischiarando l'ombra della sua immensa mole, astri fluttuanti che richiamavano infiniti, sconosciuti scenari ancora lontani ma carichi di speranza. Di tanto in tanto si facevano fioche, e lisce come perle sfuggivano al loro nido per visitar le compagne; quindi divampavano ancora una volta, in uno splendido lampo prezioso.
Si creavano così, involontari, curiosi giochi di barbagli e ingenui richiami di luci lungo le vertiginose altezze gotiche al limitare dell'area.

L'ambiente era stranamente imponente nella sua essenzialità. Il vuoto era parte integrante dell'allestimento, un sentimento più che una mancanza. La neve incantata scendeva minuta e fragile lungo imprevedibili percorsi che si chiudevano con un'armoniosa metamorfosi in aironi. Il loro candore era etereo, inquieto, vibrante. La loro esistenza si esauriva in uno sfarfallio silenzioso, dopo appena qualche battito d'ali.

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Era uno sfoggio di virtù, un inno all'innocenza, un monito alla fragilità dell'essere. L'aere pareva cantare al ritmo del delicato carezzar di piume.

• • •


Il primo Natale dalla Battaglia di Giugno. Il primo Ballo. Un anno si chiudeva leccandosi le ferite, ammiccando a qualcosa di nuovo, una strada diversa. I futili orpelli che ostentatamente gridavano alla festa erano stati sostituiti da una decorazione rispettosa e sobria. Nulla era stato fatto per nascondere la pietra annerita, lì dove il Fuoco Maledetto aveva scarnificato il ventre florido della madre Hogwarts. Era l'occasione per un nuovo inizio, senza dimenticare gli errori, e gli orrori, del passato, ma imparando da essi e traendone rinata forza. Lì dove tutto era cominciato, il popolo unito si raccoglieva nell'abbraccio rassicurante delle tradizioni, spazzando pazientemente via il ricordo della pena con gli strascichi di vesti eleganti.

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Sangue era stato versato, compagni erano stati traditi, responsabilità erano state prese. I cuori pesanti sussultavano ancora nel timore di una violenza gratuita, incontrollata. Il coraggio si diffondeva per contatto, risollevando gli occhi sfuggenti, sciogliendo le braccia conserte. Tutto il calore che Dicembre non poteva dare era lì, nei timidi sorrisi di chi desiderava andare avanti.

• • •


Al centro della grande Sala, un unico elemento faceva da contrappeso alla solennità dell'immenso abete. L'imponente falò si levava dal marmo con inaspettata veemenza, aggrappando le sue fiamme agli intensi aranci della volta.

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Nonostante la sbalorditiva circonferenza, solo un sottile filo di fumo si perdeva nei grigi che decantavano la maestosità dell'inverno, e nel suo appassionato rosso si fondevano languidi i cristalli più sfacciati che incrociavano impudenti la sua scia.
Era un contrasto potente, il vivido caos delle scarlatte lingue guizzanti, finalmente domato, e l'ordinata geometria delle pietre, scottata dal passaggio funesto di Michael [ndr: x].
Era un simbolo, un manifesto: il fuoco bruciava, la fede divampava.

• • •


Lontano, quasi nascosta dalle fronde, vi era una porta che in pochi fino a quel momento avevano potuto varcare.

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Di solito passava inosservata, incastonata nella parete di fondo, dietro il lungo tavolo dei Docenti. Dava accesso ad un'area di servizio, dicevano. Era una sala riunioni, dicevano. Era un passaggio segreto, dicevano.
Quella volta sarebbe stata diversa. La chiave era stata girata nella toppa, e sarebbe bastato ruotare la maniglia per aprirla.
Al suo interno, un confortevole salotto sorprendeva per la ricercatezza dei suoi velluti cremisi e la raffinata cascata di arazzi. Ma non erano gli elaborati ricami ad attirare l'attenzione, né i candelabri lavorati o i legni pregiati: al centro di un maestoso tappeto persiano, un colossale specchio pareva mangiarsi tutto lo spazio vitale.

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Alto, cupo, l'oggetto trasmetteva soggezione e apprensione. Artigli bronzei di creature mostruose serravano la superficie macchiata dal tempo; i graffi poco distanti dalla ferrea presa parevano suggerire che non fossero stati arti sempre perfettamente immobili.
Non era stata una decisione facile, consentire di accedervi: lo specchio era veritiero ed ingannevole a un tempo. Chiunque vi si fosse avvicinato avrebbe visto sì sé stesso, ma un sé stesso più profondo: spogliato da ogni scusa, menzogna, cavillo, si sarebbe osservato e ascoltato per ciò che realmente era.
Era una prova dura, come duri erano i tempi che correvano. Si sarebbe potuta rifiutare, negare quella visione, o si sarebbe potuti uscirne rafforzati. Poiché la verità era sempre una sola: l'unità veniva dal conoscersi, e conoscersi significava poter accettare sé stessi e gli altri senza vivere nella vergogna, nel sospetto o nella falsità. L'obiettivo era rinascere in nuova veste per l'anno a venire, dopo aver abbandonato quanto di più spiacevole e rancoroso si fosse scoperto di portarsi ancora dietro. Dopo aver scoperto la generosità dietro la spietatezza dello specchio.

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Poco distante, su un tavolinetto dalle gambe esili, alcune pergamene erano impilate ordinatamente accanto ad una boccetta di inchiostro nero ed una piuma. Là dove il raffronto con lo specchio avesse sortito il giusto effetto di smuovere una coscienza sopita, e di aiutarla a trovare la vera risposta ai più profondi dilemmi del proprio io, l'invito era quello di buttar giù poche righe personali, in chiave di "buon proposito" per il nuovo anno, prima di tornare nella Sala Grande dove con ritrovata consapevolezza tutti avrebbero lasciato simbolicamente cadere il proprio biglietto tra le fiamme del grande falò della speranza.

• • •


Hogwarts sfidava così il mondo magico ad essere migliore. I frammenti papiracei dei nuovi obiettivi di giovani e adulti avrebbero brillato danzando incandescenti tra la neve candida, e dalla cenere una nuova vita si sarebbe generata, più forte, più bella.


Benvenuti al Ballo della Fenice.

Chiunque non l'avesse ancora fatto, è pregato di leggere innanzitutto le informazioni riportate nel bando in news, dove tra le altre cose si esplicita secondo quali modalità gli invitati non residenti ad Hogwarts possono accedere ai luoghi della festa.

Come si sarà compreso dalla lettura della parte descrittiva, è inteso come il primo Ballo ufficiale post GUFO di Patrick Swan [x].
L'evento era ambientato verso giugno, nel periodo degli esami giust'appunto; qui è possibile reperire alcune informazioni aggiuntive su quanto orientativamente dovrebbe essere accaduto a Hogwarts nel frattempo, con particolare riferimento ai cambi ai vertici e nel corpo Docenti, con motivazioni annesse.
Il Ballo della Fenice tiene quindi conto di questo contesto storico ed evita eccessi fuori luogo già nel suo stesso allestimento. Tutti sono tenuti ad attenersi a tali speciali condizioni e al delicato clima che si respira, mantenendo coerenza di comportamento con la storyline.
La festa viene quindi contestualizzata all'interno della linea principale degli eventi del GdR e si ripromette di sincronizzare in maniera più fattiva i background dei singoli pg.

A tal proposito: a partire dal discorso del Preside, che spiegherà in On i dettagli del caso, sarà possibile accedere alla saletta che contiene lo "specchio spietato".
A tale saletta si accede singolarmente: ognuno potrà descrivere il suo ingresso all'interno e la sua esperienza con lo specchio in qualunque momento off (o on) desideri, ma sempre avendo cura di specificare in on che sia arrivato il proprio turno.
Una volta all'interno, l'utente potrà automasterare il faccia a faccia del pg con il suo alter ego "privo di scrupoli". L'estetica sarà fedele all'originale, sebbene possano apparire più chiari alla coscienza dell'osservatore determinati difetti o punti di forza. L'immagine riflessa potrà invece parlare e muoversi in maniera scissa dal personaggio reale: se il vostro pg ha mentito, tradito, ucciso, o anche solo pensato male di qualcuno, cancellato un ricordo, negato una verità, per vergogna, rabbia e così via, l'alter ego lo saprà, e lo dirà in modo pungente senza peli sulla lingua. E' l'occasione per raffrontarvi con una versione del vostro pg inedita: di giocarlo come potrebbe essere ma non sarebbe mai per via di vincoli morali e caratteriali. L'occasione per dibattere realtà che convivono e non si incontrano mai. L'occasione anche, perché no, di mostrare agli altri utenti le attuali "paturnie" dei vostri pg, di renderli partecipi della vostra storia dando la possibilità di creare nuovi intrecci e sensazioni. Lo Staff si augura anche che possiate trovare in questo lo stimolo per tenere aggiornate le schede dei vostri pg.

Naturalmente in on tutto ciò, come già spiegato in fase descrittiva, si risolve nella necessità di ritrovare coesione e fiducia reciproca dopo i fatti di giugno e le destabilizzanti dimissioni di mezzo corpo docente. «Conosci te stesso» è sempre un ottimo punto di partenza.
Nessuno potrà venire a sapere quanto accadrà privatamente nel salottino dove è collocato lo specchio: di qualunque segreto decidiate di scrivere, in on non se ne verrà mai a sapere nulla (il metagame è come sempre severamente vietato).
L'azione che riguarda la saletta, lo specchio e la scrittura della pergamena va svolta in un unico post.

Una volta scritto il suo "buon proposito", il pg potrà ripiegare e portare con sé fuori il pezzetto di pergamena, che dovrà essere bruciato (senza dunque che nessuno ne scopra in on il contenuto) nel falò centrale, richiamando un gesto simbolico.

Quando il pg non è impegnato nel salottino, in quanto in on - per scelta dell'utente - non ancora giunto al suo "turno", o perché già recatovisi (vale a dire per tutta la restante parte della festa escluso il post di automasteraggio), esso potrà godere tranquillamente dell'ambientazione descritta per la Sala Grande e svolgere attività di socializzazione.
Si può dare per scontata la presenza di musica per ballo da sala, e di un discreto buffet contro la parete entrando a destra.

Il Ballo
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view post Posted on 22/12/2018, 16:03
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Scopro Talenti, Risolvo Problemi

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E così, infine, era giunto anche il Natale.
Era stato un anno complesso sotto molti punti di vista, sin troppi.
Dalle malie di una vita da dedicarsi allo studio, alla ricerca, alla scrittura, per un ultimo periodo in patria, tentazione cui ineluttabilmente aveva finito per il cedere, in poco tempo, troppo poco anche solo per poter apprezzare il cambiamento rispetto agli ultimi anni in Giappone, tutto era nuovamente cambiato, prendendo una piega che anche per quella che si vantava essere una mente ben organizzata era risultata... inaspettata. Il passo era stato breve, era mancato una mezza giornata per uno di quegli impegni tutti babbani cui ancora doveva e voleva sottostare, e il tarlo dell'inspiegabile si era insinuato all'interno dell'arazzo: si poteva pensare e affermare che tutto potesse essere cambiato così drasticamente in un solo giorno? Da che era sorto il sole, a che era tramontato era cambiato tutto per le sorti del Regno. Era ancora davvero Unito? Quanto ne erano risultate scosse le fondamenta stesse? Da che se ne serbasse memoria mai c'era stata tanta incertezza, generata da un'incomprensibile e impronosticabile distruzione. Eppure la domanda era sempre la stessa: perché in sua assenza? Perché doveva accadere sempre tutto in sua assenza? Non era la prima volta, anzi, ormai era una conferma. Quanto era probabile che tutto fosse semplicemente frutto del caso? Considerando che trascorreva ormai da qualche anno, buona parte del tempo proprio tra quelle mura, e considerando che in fondo i suoi spostamenti e le sue assenze fossero quasi tutte ampiamente prevedibili, sincronizzate com'erano con il calendario istituzionale babbano, quanto era azzardato insinuare che tutto fosse subdolamente studiato a tavolino? Se era possibile farlo, perché non avrebbero dovuto? Uno in meno con cui fare i conti. Non aveva certo la pretesa di credere di essere l'uomo in grado di fare la differenza, non era il caso, era sempre stato consapevole che le sue abilità fossero ben altre, che fosse un semplice spreco di tempo dedicarsi a quella sorta di attività: gli scontri non erano degni della sua attenzione, in fondo chiunque poteva prendervi parte in una qualche maniera, altra questione il come potesse poi uscirne, eppure erano ormai decenni che neanche la tentazione si offriva più. Da quando aveva voltato le spalle al suo passato, in maniera sistematica qualunque sorta di incidente che potesse anche solo stuzzicarne l'appetito si era tenuto ostinatamente alla larga di almeno cinquecento miglia. Un segno? E lì si tornava a bomba proprio sul perché. Qual era la logica di una tale decisione? C'era davvero un senso recondito che doveva essere svelato? Lo stava evitando, al pari di quanto non facesse del resto lui? Si poteva affermare dunque che si evitassero vicendevolmente? Non che mancassero i problemi, comunque. Da che era finita l'ultima guerra mai vi era stata una situazione più caotica e confusa, con la netta differenza che in quel frangente era anche compito suo prendere determinate decisioni. Gli era stata offerta una seduta, ma quanto scottava? Pur avendo la sponda del Ministero, quanto c'era da fidarsi di un'organizzazione pletorica, pachidermica, inesorabilmente lenta e farraginosa nei suoi mille rivoli? Con l'eccezione di quanti aveva imparato a conoscere nel corso del tempo, nel corso di decenni di onorato servizio, con il vulnus dell'essere per la maggior parte del tempo all'estero, tra le retrovie, su chi poteva davvero fare affidamento? Certo, conosceva la magistratura, i massimi vertici dei tribunali del Regno, ma a cosa poteva servire in quei frangenti il Wizengamot? Non si trattava di fare un processo che risolvesse il problema. Anzi, nonostante tutto era probabile l'esatto contrario, un processo dopotutto scontato avrebbe contribuito esclusivamente a sollevare un polverone utile a che non potesse essere determinato pressoché nulla. Del resto se anche avesse potuto, com'era il caso, fidarsi della bontà del verdetto, cui in definitiva avrebbero anche potuto chiedere di prendere parte, in assenza di un solo indiretto conflitto d'interessi, era pur vero che il giudizio sarebbe dovuto basarsi su prove e indagini, condotte proprio dall'incognita più grande dell'intero sistema, cui nessuno voleva pensare. Il più famoso dei calderoni ribollenti, da rimestare: gli Auror. Aveva chiesto il loro aiuto, per il tramite del Ministero, ma al netto del valore di facciata che potesse avere tale richiesta, tanto scontata nella sua formulazione, tanto ovvia nella sua accettazione, qual era il valore effettivo del circondarsi di perfetti sconosciuti che potenzialmente avrebbero potuto essere i primi nel riportare il caos tra quelle aule? Erano le stesse domande prive di risposta che aveva rivolto al Consiglio, in un imbarazzato silenzio. Se dunque era evidente che falle non mancassero, era altrettanto manifesto che fossero ben lungi dall'aver risolto un problema che era esclusivamente ancora agli esordi, e lontano da una sua anche solo parziale archiviazione. L'unico aspetto positivo di tutto quello era che tenendone una fetta più consistente lì ad Hogwarts, sarebbero stati presenti meno Auror al di fuori, il che poteva significare meno problemi da risolvere altrove. Certo, una magra consolazione. Anche pensando al fatto che lui dovesse in primo luogo preoccuparsi proprio ed esclusivamente di quel Castello, non dell'intero Paese, del Regno, o dell'Impero. Mettendo a bilancio la percezione di sicurezza aumentata, e l'eventualità di avere invitato uno stuolo di traditori a presidiare ancor più da vicino i loro confini, il saldo a consuntivo qual era? Aveva davvero fatto un affare? Le famiglie si sarebbero sentite rassicurate dal solo pensiero degli Auror, ma se anche vi avessero pensato per qualche minuto più a lungo non sarebbero inevitabilmente finite con il pensare lo stesso? O forse, la gente è semplicemente stupida, e il problema non si sarebbe posto? Da lì tutti i conseguenti problemi di quel dannato ballo. Anni prima organizzare la Coppa del Mondo doveva essere risultato uno scherzo, con il senno di quei momenti irreplicabile, fuori da qualunque logica. Aprire le porte del Castello per Natale, prestarsi a sei mesi di distanza a un nuovo salto nel vuoto, servendo l'occasione su un piatto d'argento. Un azzardo ragionato? In fondo era intenzionato a esserci, anzi, doveva proprio, secondo il ragionamento che ormai sembrava essere divenuto uno slogan di guerra, una litania ecclesiale, non si correva alcun rischio che succedesse alcunché: avevano convenuto tacitamente di evitarsi, no? Lui gli aveva voltato le spalle, l'altro aveva fatto lo stesso. Un congedo silente, un arrivederci in punta di piedi, quasi in amicizia. Ma era disposto a scommettere su quello? Era risposto a testare un ragionamento privo di qualunque base, sulla pelle di quelli che erano ormai tutti suoi studenti? No. Per quanto la soluzione che infine avevano individuato si prestava comunque a mille problemi logici, mettendo come diaframma nient'altro che il Ministero. Un problema stava dunque per bussare con insistenza ai cancelli? I colpi di un ariete sarebbero riecheggiati nel loggiato ancora una volta? Eppure, era una buona scusa per chiudersi in una bolla di sapone? Da ultima, sempre la solita questione irrisolta... ma non c'era più tempo, ormai era ora. Un ultimo riflesso purpureo e il vecchio mago era andato.
In fondo, c'erano degli ospiti da accogliere. Se quella era stata la decisione, un Ballo aperto anche al mondo esterno, questo significava indirettamente anche che qualcuno avrebbe dovuto fare gli onori di casa. E guarda caso... a chi toccavano? Se c'era una cosa che non sopportava erano le feste, ormai erano decenni che aveva sviluppato quella particolare allergia. Aveva lasciato l'ambiente diplomatico all'insorgere del problema, scommettendo sul fatto che in fin dei conti un giudice dovesse sicuramente prender parte a meno balli di un ambasciatore, ed era finito solo con il peggiorare il tutto. Ironia della sorte? Uscì dalla stanza, lasciandone le porte aperte, tornando in Sala Grande, dove in effetti la folla iniziava a rumoreggiare. Natale ad Hogwarts. Non fossero state quelle le circostanze, era certo che un Preside in ristrettezze e con un minimo di fiuto per gli affari avrebbe potuto farne un buono slogan. Il giorno seguente l'Espresso avrebbe riportato a casa tutti i richiedenti, che sarebbero tornati al termine delle festività con la ripresa dell'anno scolastico, in quel lasso di tempo molto si sarebbe potuto pensare, e fare, nella prevedibile calma che sarebbe calata insieme alla neve che quell'anno si era mostrata insistente da ottobre. Un altro segnale?
Ma non c'era più tempo nemmeno per quello, tra un sorriso stanco a uno e il farsi largo tra un altro capannello di studenti, era tempo di altro.


Signori, ben trovati e buon Natale!
Ben trovati ai nostri studenti, ben ritornati ai nostri ex alunni, e benvenuti ai nostri gentili ospiti che quest'anno hanno deciso di trascorrere qualche ora qui ad Hogwarts. Non negherò essere stato un anno particolare sotto molti, forse troppi, punti di vista. Mai come prima ci troviamo al centro di una fitta rete di problemi che è nostro compito prima ancora di risolvere, non sottovalutare. Come sapete tutti la nostra scuola è stata teatro di tristi vicende quest'estate, proprio durante l'espletamento della massima espressione dei suoi obiettivi: la verifica della formazione raggiunta da parte della maggioranza dei presenti. Nonostante infatti il succedersi degli eventi possa spingerci a dimenticare, seppur temporaneamente, il perché siamo qui, è bene che questo non accada mai. La vostra meta deve sempre essere la vostra istruzione, non per dare soddisfazione ai vostri professori o ai vostri ospiti qui presenti, ma perché questo è il vostro compito. Questo non significa chiudersi tutto il giorno in biblioteca come alcuni potrebbero pensare, ma ciò non toglie che oggi vi siano le migliori precondizioni possibili perché tutti gli elementi vadano ad allinearsi. Avete un'occasione, più unica che rara, sta a voi saperla cogliere al meglio, o gettarla alle ortiche. Non dovrete risponderne a noi, ma dovrete risponderne a voi stessi, in quello che potremmo definire il primo atto di una vera maturità, più intellettuale che fisica. Gli esami, anche con i costi che abbiamo visto possano richiedere, devono servirvi quale misura di questa maturità. In questa chiave un Accettabile potrà anche essere di gran lunga migliore e più auspicabile di un Oltre Ogni Previsione, se servisse allo scopo.


Passeggiava per quella che abbastanza inaspettatamente era divenuta la Sala Grande della sua scuola, nel giro di poche settimane, pochi mesi prima. Unico vecchio, in una scuola di giovani, sempre più giovani, in cui a cambiare non erano le scale o i soggetti dei quadri, ma anche tutto il resto. I presenti erano davvero interessati alla logorroica elocuzione di uno che in più d'un caso era stato addirittura già ai tempi il vecchio professore di storia dei rispettivi genitori? Nel mezzo di quel congestionarsi di paradossi temporali, senza speranza di una qualche logica soluzione, non sembrava essere di fondo la più stonata delle note.

Ma non è veramente di questo che volevo parlavi questa sera, prima di cedere il passo ai 'festeggiamenti'. Come ho detto in settembre ai nostri studenti, e come dico anche oggi ai nostri più che graditi ospiti, si aprono innanzi a noi scenari inediti, che metteranno alla prova in più d'un senso la nostra determinazione. Quanto accaduto tra queste mura solo pochi mesi fa non deve mettere in forse la nostra risolutezza nel compiere ciò che è giusto, quale che possa esserne il costo. Il futuro non ci riserva scelte semplici, indagini sono in corso, e la giustizia farà il suo corso, ma credo di poter dire senza troppi problemi che quale che ne sia l'esito resteranno comunque sufficienti problemi da vivere almeno qualche altro decennio cercando di risolverli. Non dobbiamo illuderci che sia una fase transitoria, e che presto potremo tornare tutti felici alla nostra consuetudine. Così come è indispensabile che la rivalità storica e giustificata tra Casate venga e messa da parte, e riletta in una nuova chiave, dandole una nuova positiva accezione, perché contribuisca a corroborare ulteriormente la solidità della nostra istituzione, così dovrà essere fatto anche fuori dai nostri confini. Nuovi e potenti mezzi ci difendono, da quest'anno, pur tuttavia questi non possono essere la garanzia di nulla. Solo la leale collaborazione di tutti potrà permetterci di uscire a testa alta e vittoriosi da questa fase cronica di instabilità, che minaccia di travolgerci. Diversamente dai suoi autori e responsabili, di cui chiunque può indovinare l'identità, noi non possiamo nasconderci, e forse non sarebbe nemmeno giusto che lo facessimo. Le nostre istituzioni, invece, il Castello e il Ministero, per quanto il vento ululi forte, non possono piegarsi a esso, ne andrebbe di noi stessi, e di centinaia d'anni di storia alle nostre spalle. L'unione è la nostra forza, il caos e la disarmonia i nostri principali avversari, gli alleati del nostro nemico. Sta a noi permettere loro di avere il sopravvento, o tenere la barra dritta nonostante le avversità, e raggiungere le acque calme del porto. Non sarà un viaggio semplice, non ne abbiamo alcuna certezza, anzi, è probabile che sarà una storia lunga e molto complessa, non priva di colpi di scena, ma quello che è certo è che tutti avranno bisogno di tutti. Se nessuno è indispensabile, è anche vero che è assolutamente imperativo non perdere nessuno per strada, pur nella consapevolezza che non possa essere salvato nessuno che non lo voglia davvero. È in questa cornice che, misurandoci anche con quelle parti di noi stessi che più ci possono risultare scomode, dobbiamo vivere questi festeggiamenti, pensando a chi non è più con noi, ma voltando anche pagina, il che non equivale a dimenticare, ma semplicemente significa tener conto di quanto sia capitato, vederlo da un nuovo punto di vista, e cambiare approccio nei confronti di un problema che da solo appare improbabile possa lasciarci. Lo abbiamo per anni ignorato, senza fare nulla, ora che ci è arrivato un secondo conto da pagare cosa decidiamo? Ignorarlo ancora, sperando che si scordi di noi? L'azione del Ministero non è forse stata sufficientemente incisiva, o decisa, cosa dovremmo dunque derivarne? Lavarcene le mani, continuando a credere che essendo una responsabilità altrui, il problema continuerà a non toccarci, come in effetti non è stato sino a oggi? O dovremmo invece forse pensare finalmente di fare qualcosa? Qualora questo qualcosa dovesse effettivamente dimostrarsi comunque ancora insufficiente, potremo almeno affermare di avere tentato, diversamente da ora dove più che sdegno e lamentele non si è soliti sentire molto altro.

Certo, a buon diritto era lui il primo a lagnarsi delle inefficienze e delle mancanze di una macchina inefficiente per definizione, ma era anche vero che diversamente da molti altri quanto meno il Castello ci provava a fare qualcosa. Con la logica accortezza conseguente, non era nemmeno compito del Castello farsi carico dell'intero Paese. Anzi. Teoria voleva che fosse proprio il Ministero a dover garantire la sicurezza di una scuola, e non certo di una scuola il Ministero. Ovvietà? Forse, ma non ne era poi così convinto. Cosa potevano poi pensare le centinaia di invitati? Erano state attirate lì con l'inganno, per sorbirsi la ramanzina di un vecchio, senza prove che avesse ragione, e senza prove nemmeno che quanto proposto in fondo avesse una pur remota possibilità che funzionasse. L'avrebbe fatto? Quella figura avvolta in una lunga veste purpurea, ricamata in oro, era semplicemente l'ennesimo Babbo Natale di quell'anno, o il quadro che dipingeva per il futuro era talmente fosco da essere improbabile che reclamasse anche quel ruolo, in quella pur stramba storia?

Quale che sia il nostro futuro, nei prossimi mesi o anni, la nostra unica possibilità di successo passa dall'Unione. Che in definitiva è quanto cerco di dire ai miei Ateniesi da anni, solo uniti avremo qualche possibilità, non sarà semplice, non sarà facile, non sarà agevole, ma avremo una speranza. Senza di essa innanzi a noi va profilandosi un vuoto, all'interno del quale pronostici e previsioni perdono di senso, essendo la sconfitta inevitabile. È tempo di decidere, signori, o con noi, o contro di noi.
Ciò detto, auguro a tutti un buon Natale, e un buon ballo! In occasione di questa occasione una mia collega ha pensato che molti potessero trovare... utile, confrontarsi con una 'sorpresa' che abbiamo preparato oltre quelle porte. Tutti gli interessati potranno accedere alla stanza, singolarmente, uno alla volta, il resto sono certo lo intuirete. A più tardi quindi, con il vincitore della Coppa delle Case.


Ormai era fatta.
Fuori uno. Avanti due?
Restava la seconda rogna.
Sicuramente più veloce.
Quello era il pregio.

 
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view post Posted on 23/12/2018, 11:05
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When the snow falls, the fox tries to survive.

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Il Ballo della Fenice - La Danza delle Ceneri
Aiden Weiss

Tensione. Il Ballo di Natale sarebbe stato saturo di tensione dopo quanto era accaduto ai G.U.F.O. dello studente Swan sei mesi addietro.
La Battaglia di Giugno aveva voluto Hogwarts come scenario indiscusso, un’arena in cui si erano fronteggiati il Bene e il Male, e dove gli studenti avevano dovuto combattere per la propria sopravvivenza e la propria casa. Molti animi erano stati scossi, alcuni addirittura spezzati. Nessuno avrebbe potuto rimpiazzare quelle perdite, colmare il vuoto lasciato, se non andare avanti e onorare chi era caduto.
Il giovane Auror non era stato in grado di intervenire, impegnato in un altro incarico che lo aveva visto impossibilitato a rispondere all’appello di un tempestivo intervento. Weiss aveva provato un profondo sconforto una volta appresa la notizia, il respiro bloccato a metà strada nella propria gola, rischiando di soffocarlo. Eppure si era dovuto aggrappare a gran forza al Dovere, evitando così di crollare sotto quella che per lui fu alla stregua della scossa tellurica più potente del mondo, ma restando eretto in tutta la propria compostezza e tenacia.
«Poveri ragazzi....» Aveva detto a sua madre. «Non oso immaginare come si siano sentiti e come si sentano tutt’ora.»
Spaventati? Traumatizzati? Arrabbiati? Aiden non poteva biasimarli, ma aveva giurato che da quel momento in avanti ci sarebbe stato per loro finché ve ne era la possibilità.
Il Dovere era il Dovere. E Aiden Weiss, di certo, non si sarebbe sottratto ad esso perché era quella la vita che si era scelto: gli altri prima di se stesso.

La fortuna di vivere nei pressi di Hogsmeade avevano consentito ad Aiden di giungere al castello senza l’uso di particolari mezzi magici, se non tramite le proprie gambe. Un’oretta per giungere a destinazione, ma tutto sommato si concesse quel lasso di tempo per distendere i nervi e non sviluppare prognostici per l’intera serata.
Quando arrivò la tensione era palpabile.
Silenzioso e discreto, l’Auror si mosse con aria guardinga mentre lo sguardo vagava su ogni anima vivente che sfilasse sotto al suo naso. Come un cane da caccia, il fulvo fece un giro di ricognizione del perimetro della Sala Grande, sondando ogni faccia presente e assicurandosi che persino l’ambiente fosse sicuro. Gli occhi blu come l’oceano, sotto i riflessi delle luci, parevano delle pozze che conducevano all’Abisso più profondo, capaci di inghiottire qualsiasi cosa.
Anche se non era un Legillimens come sua madre, l’Auror cercò quantomeno di captare qualsiasi tipo di segnale visibile all’occhio umano che potesse insospettire, se non addirittura costituire una minaccia. Emotivamente, però, Aiden era decisamente controllato e non avrebbe faticato molto a svuotare del tutto la mente per lasciarsi colmare della sua rudimentale Occlumanzia; aveva ovviamente ancora molto da imparare e da affinare, ciò nonostante sarebbe stato capace di reggere qualche attacco dai Legillimens più inesperti. Questo almeno se lo augurava o sua madre lo avrebbe torchiato per benino come punizione per quel suo scarso impegno.
Le braccia erano distese lungo i fianchi, pronte a correre alla bacchetta che teneva accuratamente a portata di mano in una fondina appesa tra petto e spalla sinistra, celata alla vista grazie alla giacca del proprio smoking. Arcigno e di pessimo umore al solo pensiero di vedere Thalia Moran sfilargli da sotto il naso assieme al suo fantomatico “ragazzo” citato nella sua ultima lettera, andò a posizionarsi davanti alle porte della Sala Grande in cui si sarebbe svolta la festa.
Pur di non pensare troppo alla rossa di Cork, Aiden si domandò se avrebbe visto Killian tra un giro di perlustrazione e l’altro e se Rhaegar avrebbe presenziato per dare maggior conforto ai ragazzi con la propria figura. Vedere il Capo Auror avrebbe potuto contribuire ad allentare la tensione, facendo presagire che si stava facendo il massimo per rendere impeccabile tutte le misure di sicurezza. Era solo un pensiero, ma d’altro canto Weiss avrebbe fatto il proprio lavoro con o senza Wilde nei paraggi.
Il discorso del Preside giunse alle sue orecchie mentre rimaneva immobile quanto uno dei suoi Gargoyle, avvertendo un retrogusto per lo più amaro. Il vecchio si era dovuto assorbire un compito gravoso e - probabilmente - persino scomodo, non c’era da biasimarlo se si stava affaccendano nel trasmettere un chiaro e profondo messaggio ai presenti, studenti e adulti, con certi toni. L’Auror trovò un fondo di verità in quel discorso, ma l’unica cosa che si domandò, prima di tornare a focalizzarsi sul suo lavoro, fu: Quanti dei presenti si sarebbero mostrati concordi? E quanti si sarebbero lagnati storcendo il naso?
Difficile a dirsi.
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view post Posted on 23/12/2018, 11:51
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You can take the darkness out of the man, but you can't force him to step into the light.

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Avvolta nel suo mantello nero con gli alamari d'argento sulle spalle, aveva intrapreso la strada verso il quinto piano. Non aveva potuto fare a meno di rispondere alla chiamata, quella sera più di altre volte, poiché le circostanze e la motivazione erano riuscite ad intenerirla nonostante l'agitazione palpabile per la serata.
Era trascorsa un'intera estate dai G.U.F.O. di Patrick, il ragazzo che l'aveva accolta nell'Esercito degli Studenti, e il Castello - così come i suoi abitanti - portava ancora i segni della lotta tra Bene e Male. Non si era curata di parlarne con anima viva, non aveva espresso a nessuno i propri timori o l'ansia provata quel giorno insieme ad Amber, provando ad ogni costo a tenere insieme gli studenti di Tassorosso nella Sala Comune, al sicuro. Aveva tratto la conclusione più semplice a riguardo e cioè che, dopotutto, quello che le era accaduto era parte di un progetto più grande di lei, in cui il suo ruolo era stato deciso dalla spilla che ora portava al petto. Non si era chiesta se fosse giusto o sbagliato, se fosse saggio oppure no lasciare che fossero altri a rischiare la vita. Era stata una scelta imposta dalle circostanze e lei l'aveva accettata senza battere ciglio. Le conseguenze di quell'evento tragico si erano ripercosse sul Castello, che nei giorni seguenti sarebbe stato sottoposto ad una scrupolosa manutenzione e messa in sicurezza, senza tuttavia eliminare le tracce di ciò che era stato. Per ricordare bisognava vedere, per sapere bastava guardare; ciò che la preoccupava ancora, nonostante il tempo trascorso, erano le persone. Erano davvero al sicuro? Quel Ballo, il primo evento ufficiale dopo gli esami di Swan, sarebbe stata la decisiva prova del nove.

⚜⚜⚜

La porta del Bagno dei Prefetti si profilò ben presto all'orizzonte e il pensiero di quei momenti funesti fu spazzato via in un attimo. Al suo interno, una certa creatura dall'indomabile natura l'aspettava nella più completa (e mal celata) disperazione.
«Rigos, ci sei?» la chiamò, chiudendo la porta alle proprie spalle. Il bagno era immerso nel silenzio più totale, quasi che la Grifondoro temesse di farsi vedere o riconoscere. Sorrise divertita, aprendo la chiusura del mantello con un 'click' che risuonò in tutta la stanza grazie all'eco prodotta dagli alti soffitti. Liberandosi del soprabito scuro, la gonna non troppo vaporosa prese finalmente respiro e le braccia nude reagirono appena alla temperatura più fresca dell'ambiente.
La voce di Nieve la sorprese ed un sorriso affettuoso curvò le labbra piene dell'Irlandese.
«E tu sembreresti meno selvaggia rispetto al solito se ti sistemassi quei capelli.»
Non aveva mai smesso di considerare Nieve come una sorella minore: il legame tra loro era così semplice e spontaneo da non lasciare spazio ad altro se non alla pura onestà. Le fece cenno di sedere su un muricciolo di marmo, bianco come la neve, e rimase a guardarla per un istante, col cipiglio tipico di una madre che non si rassegna alle ragioni della propria figlia.
«Non pretendo di influenzarti col mio stile e la mia... classe...» scherzò, spostandole una ciocca di capelli chiarissimi dalla fronte «Ma permettimi almeno di raccogliere questa foresta incolta in una treccia degna di essere chiamata tale.»
Sebbene Nieve fosse poco convinta, Thalia non perse un attimo e, dopo aver scorto un barlume di rassegnazione negli occhi dell'amica, appoggiò il mantello accanto a lei estraendone un pettinino da viaggio, piccolo quanto bastava per essere nascosto in un mantello o nella borsetta.
Seguì una lotta furibonda tra la strega, il pettine e i capelli della Grifondoro, ma alla fine - con una tiratina un po' troppo decisa, fatta più per ripicca che per reale necessità - l'acconciatura fu sistemata. Allontanandosi da Nieve per ammirare il risultato del proprio operato, Thalia annuì soddisfatta.
«Ecco. Ora non assomigli affatto ad una bambina cresciuta in mezzo ai lupi. Che te ne pare?»
L'espressione di stupore e la luce negli occhi dell'amica, la ripagarono del viaggio compiuto dai Sotterranei: ora non restava che scendere al piano terra e dare inizio alle danze.

La scalinata principale brulicava già di studenti pronti a far baldoria e alla vista dei compagni emozionati per l'evento, persino Hogwarts le sembrava diversa. Le cicatrici lasciate dal fuoco maledetto avevano eroso le pareti, forse, ma non il cuore della Scuola e quel pensiero l'aveva confortata per tutte quelle volte in cui, spensieratamente, si era mossa da un corridoio all'altro dall'inizio di quel nuovo anno. Ora, la presenza dei coetanei riuniti e pronti a festeggiare il Natale, la fine di un ciclo e l'inizio di un percorso nuovo, anche se non troppo diverso dal precedente, la faceva ben sperare.
Senza difficoltà intravide le misure di sicurezza del Ministero nella forma di maghi e streghe adulti e non appartenenti al corpo docenti. Gli Auror dovevano essere stati disposti in zone diverse della Scuola, pronti ad intervenire ad ogni evenienza. Prima che il suo sguardo saettasse a cercare quello di Nieve Rigos, il pensiero corse ad un Auror in particolare. Aveva considerato l'idea che lui potesse essere lì e che, dopotutto, si trovasse al Castello per svolgere il proprio lavoro. Con quei presupposti, il pericolo di un contatto visivo o verbale si sarebbero ridotti all'essenziale. Non desiderava parlare con lui, naturalmente, ma non poteva impedire ad Aiden Weiss di adempiere al proprio compito. Istintivamente, il suo sguardo abbracciò la Sala d'Ingresso nella vana speranza di non riconoscere la chioma rossiccia che le aveva causato tanto dispiacere e frustrazione: la sua parte razionale desiderava glissare sulla sua presenza, fingere che non esistesse e proseguire la serata nella serenità più totale; il suo cuore, smanioso di impartire una lezione a quel pallone gonfiato, non vedeva l'ora di trovarselo di fronte per poter esprimere a voce tutto quello che nelle settimane precedenti aveva solamente pensato.
Trattenne il respiro per una frazione di secondo che le sembrò eterna, il tempo di constatare che - almeno da quel punto - Aiden non fosse visibile. Si sarebbe preoccupata volentieri di mettere tra loro la distanza necessaria a far sì che quell'uomo non la sfiorasse nemmeno con lo sguardo, fingendosi distratta agli occhi di Nieve che, ormai, la conosceva come i palmi delle proprie mani.

⚜⚜⚜

L'ingresso nella Sala Grande fu caotico e un po' affollato, attraverso la strettoia del portale di accesso; come acqua fluita da un imbuto, tutti i presenti scivolarono nel salone addobbato per le feste e il suo sguardo si lasciò rapire dal fuoco che si originava dal centro esatto della sala; le fiamme amaranto salivano al soffitto, senza sfiorarlo, ma dando l'impressione di volersi proiettare al di là da quello. Non ebbe modo di accorgersi subito delle meraviglie legate all'abete in fondo alla Sala, poiché il Preside, il buon Peverell, prese posto per un discorso d'esordio tutt'altro che atteso, ma doveroso. Dopo che ognuno ebbe preso posto nella Sala Grande, Thalia e Nieve l'una accanto all'altra in disparte, il Preside parlò. Non perse una sola parola di quel discorso, non una virgola; per tutti quei mesi si era chiesta cosa pensasse l'anziano Professore di Storia della Magia e se, come storico, avesse affrontato la questione da un punto di vista distaccato, come se ciò non lo riguardasse. D'altro canto, Peverell aveva preso il posto della Bennet, l'amata Preside, e con quella nomina aveva potuto dire addio alla pace della sua buona anima. Ora, tutti i presenti dipendevano da lui, dalla sua fermezza e tenacia.
Annuì ai passaggi di quel ragionamento che più di altri accolsero la sua visione d'insieme; non si trattava di un discorso motivazionale, non in senso canonico. Il Preside chiedeva loro una lealtà difficile da trovare, un modo per rimanere coesi di fronte alle minacce del mondo esterno che tanto sembravano lontane durante il periodo da trascorrere ad Hogwarts. I G.U.F.O. di Patrick, però, avevano smentito questa versione. Hogwarts non era fuori dal mondo e per molti di loro la Scuola era il centro focale della vita. Studenti e insegnanti avrebbero dovuto sapere che, prima o poi, la coesione sarebbe stata l'unica chiave di lettura per quel presente burrascoso e controverso.
Alla nomina degli Ateniesi, Thalia rivolse un'occhiata in tralice a Nieve e le sorrise fiduciosa; tra loro non si sarebbe mai insinuata l'ombra del sospetto, poteva metterci una mano sul fuoco; nessuno avrebbe potuto negare la purezza della loro amicizia e il comune versante in quella lotta tra Bene e Male. Istintivamente, il Prefetto cercò nella Sala gli altri Ateniesi, le menti brillanti che già due volte l'avevano accompagnata nei viaggi nel tempo e nella storia. Fu così che, isolandosi per un momento ed escludendo i suoni intorno a lei, una figura in particolare attirò la sua attenzione.
Un completo scuro ed elegante, le spalle larghe e una chioma rossiccia praticamente inconfondibili; ebbe il timore di aver confuso uno sconosciuto per lui, dopo che un gruppetto di studenti del settimo anno, più alti di lei di almeno una spanna, si era frapposto tra loro. Si scostò un minimo, cercando di sbirciare meglio, e le guance avvamparono nello scorgere i lineamenti dell'Auror che aveva sperato di non vedere quella sera.
Immediatamente distolse lo sguardo e lo riportò su Peverell, fingendo di aver ascoltato ogni parola. Il suo unico pensiero, ora, verteva sulla possibilità di defilarsi immediatamente, evitando qualsiasi incidente di sorta. Si mosse nervosamente sul posto, torturandosi le mani e lisciando l'abito lungo. Aveva dimenticato il mantello nel Bagno dei Prefetti e si maledì per la propria disattenzione: qualsiasi scusa sarebbe stata perfetta per dimenticare la figura a qualche metro dietro di lei, appostata come un falco ad osservare la scena e i presenti; inoltre, se lei lo aveva visto, presto o tardi anche lui avrebbe posato il proprio sguardo su di lei.
A quel punto, si sentì svuotata di ogni buona intenzione, di quel fuoco che era divampato in lei dal giorno della gita ad Hogsmeade. In un istante, era tornata ad essere la ragazzina in lacrime nella radura, stretta tra le braccia di uno sconosciuto al quale aveva confidato il suo più intimo segreto.

Interazione con la mia adorata Niniska


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view post Posted on 23/12/2018, 12:37

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Daniel Anderson

I° Anno - Serpeverde - 13 anni
Il ballo, in quel momento della sua vita, doveva partecipare? Gli importava sul serio? Sapeva già la risposta a quella domanda, No. Si fermò con la camicia in mano per qualche secondo, tutto quello era davvero troppo per lui, la infilò con pigrizia per poi andarsi a sedere sul letto per poi stendersi ad osservare il soffitto della sua stanza. Passò una buona mezz'ora fermo immerso nelle sue turbe mentali, poi cercando in qualche modo di farsi forza, si alzò nuovamente per finire di vestirsi. Mentre si faceva il nodo alla cravatta, si ricordò il momento in cui il padre gli aveva insegnato e, inevitabilmente, le emozioni ebbero la meglio su di lui facendolo sprofondare nello sconforto. Un pianto rabbioso lo colse, sentiva le lacrime scendergli copiose sul viso, continuò a piangere per diversi minuti mentre i ricordi attraversavano la sua mente. Quando trovò nuovamente la forza di muoversi si asciugò gli occhi e finì di prepararsi. Osservò la sua immagine riflessa nello specchio, dovette trattenersi più volte per non finire a prendere a pugni il se stesso nello specchio, strinse così forte i pugni che senti le unghie che iniziavano a lacerargli il palmo delle mani, provò quasi sollievo per quel gesto, osservò i palmi delle sue mani per poi avvicinarsi al comodino e tirarne fuori un fazzoletto per tamponare alla meglio, quel poco sangue che fuoriusciva. Gettò il fazzoletto sul letto e senza pensarci troppo si diresse verso l'uscita della sua stanza. Percorse tutta la strada fino alla sala grande con passo lento, continuava a tenere le mani dentro il cappotto che aveva scelto per l'occasione, quel suo gesto sembrava in qualche modo manifestare il suo modo di essere chiuso in stesso. Arrivato a pochi passi dal piano terra, si fermò, era arrivato ancora una volta il momento di nascondersi dietro una maschera. Sospirò come a farsi forza, levando le mani dalle tasche del cappotto, cercò di modificare il suo atteggiamento, sperando così di riuscire a mascherare il suo stato d'animo, ma ci sarebbe riuscito fino alla fine serata? Riprese a camminare con passo più spedito fino ad arrivare davanti all'entrata della sala grande per poi rallentare nuovamente il passo, dato l'innumerevole mole di persone che cercava di varcare la soglia, ora era completamente immerso nel trambusto e neanche aveva varcato la soglia della sala e si maledì ancora una volta per aver deciso di partecipare. Finalmente riuscì ad entrare, non prestò neanche particolare attenzione a come era stata allestita la sala, voleva solo levarsi del centro di quella marmaglia che continuava a muoversi, prese a muoversi verso sinistra il più lontano possibile dal rinfresco. Si fermò guardandosi intorno, era circondato da sconosciuti, ma del resto quasi tutti per lui erano dei perfetti sconosciuti all'interno di quel castello. Aprì i tre bottoni del cappotto, non sapeva come ingannare l'attesa, quindi iniziò ad ingannare il tempo con dei semplici gesti, sperando che così si velocizzasse in qualche modo. Per fortuna il preside preside prese la parola, iniziando un lungo discorso. Ascoltò sommariamente quel discorso, aveva saputo cosa era successo prima l'estate prima del suo arrivo ad Hogwarts, ma si ritrovò ancora una volta a pensare in totale indifferenza a quello che era successo nel corso degli esami di fine anno. Aveva i suoi problemi da risolvere e non gli interessavano minimamente altre situazioni che si erano andati a sviluppare nel corso del tempo. Del resto qualcuno aveva fatto qualcosa per dargli una mano anche in minima parte? No. Sentiva la rabbia e la tensione montargli di nuovo addosso. Doveva trovare il modo di calmarsi, in quel momento avrebbe voluto volentieri spaccare tutto. Aveva smesso di ascoltare le parole del preside concentrato com'era nel contenersi, quindi si perse completamente la parte finale del discorso.


PS 107 - PC 59 - PM 56 - EXP 3

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Edited by Heinekeñ - 29/12/2018, 19:51
 
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Ad ogni paragrafo coincide una traccia musicale per sottolineare insistentemente le sensazioni di Casey. Purtroppo per voi dovrete stopparle ogni volta che ne comincerete un altro, altrimenti si sovrapporranno :c una piccola interazione con Aiden.

E' necessario, è davvero necessario. Continuò a ripeterselo tutto il giorno, dalle prime luci dell'alba che le trafissero le palpebre, al momento in cui, ai piedi delle maceria della scalinata principale, aveva udito il brusio e la melodia festiva della Sala Grande. Casey non era il tipo che disdegnava le feste e gli eventi mondani, era proprio in quei momenti che più riusciva a gettarsi alle spalle ogni tipo di pensiero e a lasciarsi andare. I giorni che precedevano una festa trascorrevano con una certa trepidazione, un entusiasmo che cresceva ogni ora di più fino al raggiungimento dell'istante X, come il culmine di un ciclo, dopo la cui fine tutto appariva incerto e vuoto. Quella volta però non era esattamente lo stesso. I sei mesi che avevano seguito l'attacco ad Hogwarts erano stati grigi, scuri come i segni lasciati dal fuoco sulle sue mura. Quel luogo, la sua scuola e la sua casa, era stato lo scenario di una guerra. Le mura e i lunghi corridoi erano stati cosparsi del sangue dei suoi stessi abitanti, e, come una madre a cui erano morti i figli, si reggeva in piedi stanca, a pezzi e con gli occhi gonfi di lacrime. Casey non avrebbe gioito allo stesso modo dell'ultimo evento scolastico in cui per poco non si era sfracellata sull'asfalto. Continuava a ripetersi che il suo dovere era partecipare, anche se l'idea di rivivere le sensazioni vissute durante l'attacco la rendeva pesante come una statua di marmo. Si sentiva un'ingrata a volteggiare col suo nuovo e candido vestito al ritmo di un minuetto, proprio sul palco che aveva ospitato una tale tragedia, lei ie tutti quegli altri sopravvissuti che non avevano fatto nulla per la loro casa.

La sala comune di Grifondoro era sempre stato un luogo accogliente e rumoroso. Gli studenti vi passavano sempre la maggior parte delle ore di studio, a fare i compiti in compagnia, a scherzare e ad attendere l'ora di cena. Anche KC restava lì quando si trattava di preparare un'interrogazione o un esame, e proprio quel giorno si era ritrovata con altri studenti del primo anno per ripassare una materia. Nessuno di loro avrebbe mai immaginato che ore così oziose e monotone come quelle, di cui volentieri avrebbero fatto a meno, gli sarebbero state strappate via con una tale violenza. Dalla cima della Torre di Astronomia non poterono udire le urla che avvolgevano l'intero piano terra. Ciò che ravvivò per primo la loro attenzione fu un boato che riuscì a scuotere le salde pareti della vecchia Hogwarts. Pensarono ad un terremoto, ma poi, rendendosi conto che si trattava di un'ipotesi impossibile data la natura magica del luogo, tesero ancor di più l'orecchio e qualcuno uscì per cercare di capire cosa stesse accadendo. Furono i quadri ad informarli: uomini oscuri con delle maschere spaventose si erano introdotti nella loro casa e avevano invocato un demone. Nessuno di loro sapeva cosa fosse il fuoco maledetto né chi fossero e cosa volessero questi nemici di Hogwarts, ma pian piano le grida strazianti iniziarono a farsi sentire dalle fondamenta della scuola e i loro animi si pietrificarono. Coloro che erano usciti tornarono in sala comune allarmati, raccomandando ai più piccoli di rimanere al sicuro finché tutto non sarebbe passato, di tenere le bacchette pronte in caso di bisogno. A non far entrare nessuno ci avrebbe pensato la Signora Grassa. I compiti furono dimenticati, così come la leggerezza e i sorrisi di prima. I ragazzi si erano rannicchiati a terra, gambe incrociate e spalle al muro, chi piangente, chi con gli occhi fissi nel vuoto, chi a consolare gli amici, ma tutti con le orecchie tese nella speranza che quell'inferno si placasse il prima possibile. I secondi, densi delle immagini più orride che i suoni provenienti dall'esterno creavano, passavano lenti in uno stillicidio, finché all'ombra della sera non si tinse del rosso delle fiamme al di là dei vetri delle finestre. Alcuni di loro, i più in pena per i loro amici là fuori e per la loro casa, si diressero verso l'uscita della sala comune. I pugni sul retro del ritratto non furono utili a nulla: la donna che li sorvegliava aveva ricevuto degli ordini ben precisi. "Proteggi i bambini" le avevano detto, e con le braccia serrate e le lacrime d'olio che le rigavano il volto bloccava il passaggio sia dall'una che dall'altra parte. Erano soli e sarebbero rimasti lì finché tutto non sarebbe finito.

Casey ascoltò il discorso del preside con lo sguardo rivolto a terra mentre gli archi continuavano a rimbalzare voluttuosi sulle loro corde. La malinconia in cui quelle parole l'avevano gettata era l'effetto di un sipario distrutto in ogni suo ornamento su cui pochi superstiti continuavano a ballare e a cantare le gioie della vita. In mezzo all'infinita tristezza non trovava una buona ragione per tutta quella distruzione, come non trovava speranza. La richiesta di essere più forti da lì in avanti le apparve vana alla pari della presenza di tutti quei volti sconosciuti nella sala che sbigottiti osservavano le vecchie mura incenerite e le pozze d'acqua che stagnavano nell'atrio. Non riusciva a pretendere da se stessa più di quanto avesse fatto quel giorno. Gettò uno sguardo dall'altra parte della sala, dove stava la porticina spalancata indicata da Peverell. Quando ebbe finito si guardò attorno, sorvolando le teste delle persone in cerca della loro espressione, quasi con cipiglio di rimprovero. Su di esse svettava quella dell'inconfondibile rosso Weiss che salutò da lontano con un gesto della mano e un timido sorriso.




Edited by Keyser Söze. - 23/12/2018, 20:25
 
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Intento com’era a dare un senso a quel groviglio di mille e più pensieri, il giovane Serpeverde non avrebbe dato bado all’avanzare del freddo intenso e pungente della sera. Avvolto da un pesante mantello dagli alamari verdi argentei, Mike aveva scelto di attendere l’inizio della cerimonia di fine anno all’aperto, augurandosi che la calma e la quiete del giardino riuscissero là dove interi momenti trascorsi nell’osservare i riflessi più profondi del Lago Nero non erano riusciti; avrebbe mai ritrovato un po’ di pace e di serenità?
Gli eventi dell’ultimo anno, con l’ipotetico coinvolgimento di uno o più concasata tra le schiere di chi aveva cercato di impadronirsi della scuola e la successiva convivenza forzata con la figura del Capocasa, avevano lasciato più di uno strascico nell’animo del Serpeverde. In un contesto così mutato e in continua evoluzione, trovare se stessi e la consueta spensieratezza era qualcosa di estremamente complesso, forse addirittura illusorio.
Ritrovare i vecchi equilibri non sarebbe stato facile ma, forse, la celebrazione di quella sera avrebbe potuto far da stimolo per voltare finalmente pagina, augurandosi i migliori propositi per l’anno venturo.
Con quella nuova speranza, Mike avrebbe compiuto gli ultimi semplici passi verso il portone d’ingresso, prima di compiere un ultimo e profondo respiro. Sì, ce l’avrebbe fatta anche in quell’occasione. Pronto a cambiare prospettiva e ad evitare qualsivoglia ulteriore turbamento, il giovane Prefetto sarebbe stato pronto a lasciare il freddo giardino in favore dell’accogliente Sala.
Proprio mentre si accingeva a salire gli ultimi gradini, tra illustri invitati e abiti sfarzosi, un ciuffo dal colore chiaro e ramato attirò la sua attenzione, come il viso familiare dell’uomo che stava per intraprendere la medesima salita.

Mr Remar, quale sorpresa! Lo sguardo corse lungo l’elegante mantello, prima proseguire: Ero sicuro che avrebbe preso parte a questo momento, ma mai mi sarei aspettato di scorgerla qui, davanti al portone d’ingresso.
Vath Remar, dopotutto, con la sua dedizione al lavoro e al Ministero poteva rappresentare un barlume di impegno e di speranza nel futuro.
Così com’era venuto, il velo di tristezza sembrò iniziare ad andarsene dalla mente e dal volto del Serpeverde, lasciando come unica traccia un sorriso visibilmente tirato per un momento di festa.
Da quanto tempo è che non metteva piede ad Hogwarts? Avrebbe aggiunto, prima di stingere con la propria fredda mano quella del ministeriale. Buon Natale anche a lei e ben ritornato a casa! Dopotutto, Hogwarts continuava ad essere un posto accogliente per tutti coloro che vi erano transitati e che proprio in quelle aule erano stati formati alla vita di tutti i giorni.

Nel mentre, raggiunta la Sala Grande, Mike avrebbe iniziato ad ammirare il fuoco che ricopriva la parte centrale della Sala, tanto imponente da riuscir a sfiorare la parte più alta del soffitto: cos’avrebbe dovuto rappresentare il più forte e distruttivo dei quattro elementi?
Prima ancora di lanciarsi in mirabolanti ipotesi su quel simbolo, il Professor Peverell sembrava intenzionato ad aprire la serata con un doveroso ragionamento sugli accadimenti dell’ultimo anno. Si trattava forse di una replica di quanto andato in onda all’inizio di quello stesso semestre? Prefetti e Capiscuola era stati prontamente avvisati che solo tramite una nuova e più attiva collaborazione tra più e più parti il destino e il prestigio della scuola sarebbe tornato al consueto splendore.
Ma si poteva forse imporre tale cambiamento? Giorno dopo giorno, dalla mera collaborazione sarebbe potuto nascere qualcosa di più, là dove più di un’affinità avrebbe potuto creare un sentimento di fiducia con l’altra persona.
Era proprio questo il motivo della festa? Rassicurato da quell’ultimo ragionamento, Mike avrebbe iniziato a calarsi nel ritmo della festa tornando ad essere il giovane che era sempre stato. Un semplice diciassettenne al termine di un lungo e duro anno scolastico.

Nessun ministeriale è stato maltrattato per al stesura di questo post.
Tutte le azioni autoconclusive sono state concordate.

 
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La danza delle ceneri
« Il Ballo della Fenice »
Capitolo I
Vath Remar
28
Purosangue
Dip. Ministeriale V° Livello C.M.I.
Acero, pelle di Runespoor, 12 pollici e 3/4, rigida.
Ex Serpeverde
Legilimens Apprendista
«La conoscenza è potere.»

Era stato un anno complicato sotto molti punti di vista, gli ultimi mesi se li era trascinati dietro come un macigno. Quel giorno, più che mai, Vath era indeciso su ciò che era da fare. Era il primo Natale di Shawn, il secondo per Sophie e Simon e, per tutti e quattro, il primo senza Sybella. Natale era una festività che per la famiglia Remar era sempre stata passata in famiglia eppure, lui, si stava vestendo per andare a trascorrere una serata ad Hogwarts. Quante volte l'ex Serpeverde aveva sognato il proprio ritorno alla prestigiosa scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts una volta conclusi gli studi? Troppe per essere enumerate, eppure Vath Remar non aveva piacere di ritornare con queste premesse, il suo dovere era stare con i suoi figli, cenare con i suoi genitori e trascorrere un Natale tranquillo. Tuttavia non poteva mancare, Issho lo attendeva e i suoi doveri come dipendente del Ministero non potevano essere messi da parte. La serata infatti era stata indetta per commemorare l'evento occorso a Giugno. Vath era al ministero quel giorno e seppe tutto solo durante il successivo, tramite la Gazzetta del Profeta. Aveva provato un grande sconforto per l'attacco organizzato dai Mangiamorte e da Tu-sai-chi, c'erano stati morti e feriti da entrambe le parti e il suo pensiero andò a Nixy e Marcus all'interno del castello. Si era attivato subito per capire come stessero e, contattate entrambe le famiglie dei cugini, si rassicurò. Certo, nulla toglieva che l'attacco fosse avvenuto in un istituzione che si sarebbe dovuta ritenere sicura ma, come il Ministero, Hogwarts rimaneva un obiettivo sensibile. Sangue magico era stato versato e, per Vath, questo era un qualcosa di inconcepibile. Già erano pochi, per quale ragione portarsi all'estinzione con le loro stesse mani, perdipiù attaccando le nuove generazioni, quelle che tra qualche decennio si sarebbero dovuti far carico del futuro. La serata qui di sarebbe stata carica di significato e conseguentemente si vide quasi obbligato a dover presenziare per tributare omaggio a quell'istituzione ferita. Una volta che fu pronto focalizzò la propria meta, la sua Destinazione era l'Atrium del Ministero della Magia: esso apparì nella mente con i suoi camini della Metropolvere, la statua dei magici fratelli, il freddo ascensore che portava ai vari livelli, Vath si sarebbe Materializzato pochi centimetri sopraelevato dal terreno. La Determinazione era la componente successiva, il Serpeverde era noto per la propria determinazione, la sua mente si focalizzò sul materializzare ogni cellula del suo corpo nell'imponente struttura governativa che aveva deciso di servire. Con Decisione compì il movimento fluido della giravolta, un turbinio di colore e la sensazione di esser pressato in un tubo stretto. Si ritrovò a destinazione e, una volta presa la passaporta per Hogsmeade, si iniziò ad avviare verso il castello. Con la mente piena di pensieri Vath percorse silenziosamente il tragitto tra Hogsmeade e Hogwarts, fu un colpo al cuore quando vide il profilo illuminato della scuola. Hogwarts era stata la sua casa per sette anni, gli occhi dell'ex Serpeverde ne osservarono l'imponente maestosità, si posarono sulle torri e un sospirò sfuggì dalle sue labbra, un sospirò che stava come a significare: "Eccomi, sono a casa." Il ministeriale lasciò di buon grado che gli addetti del Ministero, di cui alcuni li conosceva di vista, ai controlli verificassero la sua identità e percorse lo spazio tra il giardino e l'ingresso, il suo sguardo si posò sul lago nero, lago che era solito osservare sia da sopra che sotto la sua superficie. Stava per accingersi a salire i pochi gradini dell'ingresso di Hogwarts quando una voce nota lo raggiunse e gli fece voltare il volto verso una figura avvolta in un mantello con alamari verdi e argento. Un lieve sorriso si formò sul volto serio del ministeriale al riconoscimento di Mike. «Mike, è un piacere rivederti. Certo, speravo non in un occasione così triste, ma l'importante è farci forza a vicenda, no?» Avrebbe percorso gli scalini rapidamente per non intralciare il passaggio e poi gli avrebbe teso la mano. «Buon Natale comunque sia. Undici anni in effetti, non pensavo né speravo di vederla così presto.» Con Mike accanto Vath si diresse verso la sala grande, vide Weiss, l'Auror con cui aveva avuto da dire durante gli anni ad Hogwarts. Il dipendente del C.M.I. rivolse un cenno del capo all'uomo poi si concentrò sulla sala grande, il fuoco che ardeva sulla parte centrale del soffitto della sala grande e successivamente sul preside, l'anziano Peverell. Rivolse un discorso che Vath ascolto con interesse e rispettoso silenzio, condividendo certi punti e ritrovandosi ad annuire in alcuni momenti. Una volta che Peverell ebbe terminato di parlare il ventottenne rivolse il proprio sguardo alla sala a cui aveva fatto cenno l'anziano professore di Storia della Magia. «Mike, ti spiace se andassi a provare?» Avrebbe rivolto uno sguardo al Prefetto Serpeverde, desideroso che comprendesse la sua voglia di immergersi nuovamente in tutto ciò che aveva a che fare il Castello.

//azioni autoconclusive nei confronti di Mike Tors Minotaus sono state concordate con il player dello stesso.

Narrato ~ «Parlato» ~ “Pensato”
PS:215/215 ~ PC:143 ~ PM:142 ~ PE:29

code © by Vath Remar




Edited by Vath Remar - 24/12/2018, 17:39
 
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Fin dal suo annuncio, il Ballo era stato percepito da Jolene come una sfida personale.
Ci sarebbe andata.
No, non lo avrebbe fatto. Sarebbe rimasta a Londra, a fare ciò che da sempre le riusciva meglio: nascondersi. Come? Come affrontare le ceneri?
Forse, se avesse assistito alla distruzione delle fiamme, all'azione violenta e prepotente, sarebbe stato più semplice attribuire alle macerie un senso di realtà. Allora, però, non aveva ancora assunto l'incarico di Infermiera, e la sua vita si svolgeva nella tranquilla anticipazione del ritorno alla seconda casa. Non poteva immaginare che l'avrebbe trovata segnata dall'incendio.
Jolene sedeva di fronte alle ceneri e scuoteva la testa, quasi fossero solo un brutto pensiero che, con un po' di determinazione, sarebbe riuscita a cancellare. Tendeva i muscoli del collo e soffiava ma, anziché dissiparsi, la polvere morta si tramutava in una nube soffocante. Se solo avesse avuto dei polmoni abbastanza forti, pensava, l'avrebbe spazzata lontano, e avrebbe riportato alla luce l'originale splendore della pietra. Come si sbagliava!
Si era quindi rifugiata nell'ultimo porto sicuro dei vigliacchi: il rinnego. Negli ultimi mesi aveva mantenuto un silenzio religioso su quegli avvenimenti e, quasi per un tacito accordo, coloro che la circondavano avevano fatto altrettanto. Come altro garantire la sicurezza: della comunità, dell'individuo? Se anche Hogwarts poteva essere data alle fiamme, quale pretesa di solidità poteva vantare un essere umano?
Alla fine, a dispetto di tutte queste riflessioni, aveva vinto una corrente sotterranea dal corso misterioso; tratteggiava forse il desiderio di redenzione, la consapevolezza che la virtù non si trova tra alte mura innalzate a proteggerci dalla realtà. Qualsiasi fosse il motivo, Jolene si era agghindata nei colori delle fiamme, come una fenice nel terribile momento del suo massimo splendore. Si teneva in prossimità del divampare delle fiamme, seppure a distanza di sicurezza: si sentiva più accomunata al fuoco che ai volti, perlopiù sconosciuti, che la circondavano. Cercava nei loro tratti il riverbero di emozioni simili alle proprie, cercava un senso di comunità che potesse sostenerli. Tra i tanti presenti scorse un paio di figure familiari: se avesse catturato il loro sguardo, Jolene avrebbe rivolto un sorriso e un cenno di saluto a Daniel Anderson e a Vath Remar. L'imminente discorso del preside, però, l'avrebbe tenuta ferma sul posto.
Le sagge parole dell'uomo riuscirono ad infonderle un po' del coraggio agognato, ma non dissipò il generale senso di pesantezza dovuto alla sua spiccata emotività. Si chiese se gli altri avessero voglia di festeggiare; si chiese che tipo di festeggiamenti fosse adatto alla celebrazione della vita nella consapevolezza della morte.



Edited by Jolene White - 26/12/2018, 21:18
 
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Interazione con Thalia



NIEVE RIGOS
« Ma tu che vai, ma tu rimani, anche la neve morirà domani. L’amore ancora ci passerà vicino nella stagione del biancospino. »
Schierate con la fermezza di due generali di fanteria, Grimilde e nonna Lucrezia discutevano animatamente da una buona manciata di minuti. Il nocciolo della querelle — era appropriato che Nieve indossasse il septum in occasione del ballo? — aveva protratto la conversazione ben oltre il previsto, allungando i tempi della merenda e violando la regola delle cinque in punto. Il tè giaceva freddo nelle porcellane intatte, oramai.
In compenso, la Rigos e il nonno se la ridevano di gusto con una certa complicità.

«Ma da quando appoggiate la scelta di Nieve, mamma?»
«Non fare la bigotta, Grim. È un orecchino. Non si sta mica facendo di pozioni proibite! E trovo che le stia bene, ora che mi ci sono abituata. Sembra una mucca molto affascinante.»
Nieve e nonno Gaspare fecero eco a quell’ultima frase con un “muuuuu” in sincrono. Poco dopo, il salotto risuonava delle risate dei presenti, eccezion fatta per Grimilde che ancora si tratteneva.
«Vi siete messi d’accordo! Quindi, io non avrei voce in capitolo su quello che mia figlia vuole indossare al ballo, ammesso che le dia il permesso di andarci.»

Tutti sapevano che la questione relativa alla partecipazione fosse stata superata da un pezzo. Grimilde aveva soltanto bisogno di una feritoia mentale capace di assicurarle l’illusione di poter cambiare idea all’ultimo momento, se avesse temuto l’emersione di pericoli inaspettati. Fermare il complotto in atto ai danni della sua isteria, del resto, avrebbe richiesto uno sforzo non da poco ora che gli eserciti erano scesi in campo!
Nonna Lucrezia, che era una sarta (e una cuoca) formidabile, aveva lavorato notte e giorno per confezionare l’abito e, sebbene differisse di molto dall’immagine elaborata dalle sue fantasie a riguardo, Nieve non aveva saputo sollevare una sola obiezione: l’abito era oggettivamente incantevole. Non fosse bastata la manifattura a persuaderla, la donna — furbescamente! — aveva trovato la via per pungolare il suo interesse in un modo che difficilmente sarebbe caduto vittima dell’oblio: “Nieve significa neve in italiano ed è per questo che il tuo vestito è cosparso di cristalli”.

«Non capisco perché tu te la stia prendendo tanto e con me, soprattutto. È stato tuo padre a comprarglielo, non io. Se hai qualche lamentela, sbraita contro di lui.» Aveva parlato con semplicità, le mani ai fianchi e l’espressione neutra di chi non ha turbamenti poiché non teme recriminazioni. «Andiamo a provare questo vestito per vedere se va accorciato, bambina,» fece, rivolta alla nipote. «Gaspare… Be’, so che saprai cavartela! Ha preso la testa dura da te, in fondo.»

Nieve l’aveva seguita, smaniosa, coi polpastrelli che tastavano le scanalature del piccolo gioiello, impaziente d’indossarlo.

❆ ❆ ❆


«Sei bellissima!»

Il complimento lasciò le labbra di Nieve ben prima che l’informazione raggiungesse la sfera della razionalità e ne superasse il vaglio. Investita dai giochi di luce e colore dati dalla prossimità alla finestra, la sedicenne rivolse un sorriso all’amica e ne registrò l’affettuosa lamentela. A quel punto, scosse il capo perché la chioma leonina guadagnasse in volume. Sentì le ciocche sfiorarle le spalle coperte da un sottile strato di tessuto trasparente.

«Ora va meglio, piccola snob che non sei altro?» chiese, mentre prendeva posto su una sporgenza in marmo chiaro e concedeva tacitamente a Thalia il permesso di darle una sistemata. Non prima di aver aggiunto una precisazione al pepe: «Vada per la treccia, ma che sia semplice. Non mi va di sembrare una vecchia matrona irland- Pardon, romana!»

La tirata a suon di pettine che le venne inflitta decretò la cessazione delle ostilità: come sempre, si erano punzecchiate abbastanza da pareggiare i conti e tanto bastava perché l’equilibrio preservasse quel rapporto nato dal nulla e sopravvissuto a tutto. Procedette a una rapida specchiatura senza che le riuscisse di frenare lo stupore di fronte al risultato. Grimilde avrebbe approvato con soddisfazione la treccia e l’aspetto ordinato che le conferiva — per questo, di lì a breve Nieve si sarebbe assicurata di scombinarla appena lungo il tragitto che conduceva alla Sala Grande.

«Prima di andare, però…» Con le mani nascoste dietro la schiena, si mosse lateralmente. La campana formata dall’ampia gonna ondeggiò al ritmo dei passi di Nieve, che procedeva in modo esageratamente goffo. Estrasse la macchina fotografica magica dall’angolo in cui l'aveva nascosta. «Concedimene una o non ti faccio uscire!»

❆ ❆ ❆


Tremò, vigile.
La voce del Preside spandeva le sue note di pragmatismo nella Sala Grande, che ancora portava i segni del torto subito, quando Nieve assorbì l’effetto del significato dietro la scelta di Hogwarts. Non l’aveva compreso da subito, persuasa — come molti, del resto — che mantenere alto il livello di vigilanza e diffidenza fosse il solo modo per scongiurare una recidiva. Infine, la raggiunse: il sospetto non poteva fare da guida, la paura non poteva farsi compagna e la chiusura non poteva essere la risposta. In quel modo, sarebbero stati perduti veramente.

Per un istante, la fagocitò il ricordo di quel giorno. Stretta nell’abbraccio della Sala Comune, aveva fatto la sola cosa che le fosse stato dato di realizzare: occuparsi della sicurezza dei suoi e impedire che i più piccoli venissero spinti a compiere azioni sconsiderate mossi da panico e inesperienza. E così aveva fatto, anche a costo di inimicarseli. L’immagine dei due primini che aveva preso per la collottola e scaraventato all’indietro, lontano dal dipinto della Signora Grassa che speravano di forzare, si stagliò a tinte accese davanti ai suoi occhi ora vacui. La vista del Marchio Nero — imponente e spaventoso nel cielo alto, oltre il vetro della finestra a ogiva — aveva abbassato la sua soglia d’attenzione, costandole quasi un’evasione. Non aveva più lasciato la postazione che dava sul quadro, dopo quell’episodio.

Batté le palpebre per ridarsi un contegno. E sorrise, scioccamente riscaldata dalla menzione del Preside agli Ateniesi: appartenere a un gruppo, che aveva l'onore di godere degli insegnamenti di una delle personalità che più stimava al mondo, le risultava confortante a un livello che non sarebbe stato traducibile in un discorso di senso compiuto. Volse l’attenzione in direzione di Thalia e la colse nell'atto di trafficare nervosamente con la gonna del vestito. L’aveva cercata attraverso l’anello gemello, quel giorno di sei mesi prima, annichilita dal pensiero che fosse esposta al pericolo.
Erano salve entrambe, si disse, e stavano bene.
Lasciò scivolare la mano in quella dell’amica.
E strinse forte.
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Edited by ~ Nieve Rigos - 24/12/2018, 01:28
 
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isshonome
Dipendente Ministeriale ☯ C.M.I. ☯ 44 anni ☯ Giapponese
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Soffia il vento, cala la neve e si accendono le luci. I giochi di colore rallegrano l'animo; la soffice massa bianca e gelata diverte gli spiriti e l'atmosfera dello scambio di doni, dell'amore reciproco e dell'estasi del divertimento si insinua nelle membra di tutti; questo per lo meno, vuole la regola. Il Natale, la festivita' per eccellenza e piu' sentita, vuoi perche' momento di puro altruismo sociale e benessere psicologico, vuoi perche' semplicemente ci si riposa o riceve doni. Nabe ni yakimasu (nel paiolo cuocera'). Canticchiava, camminando per l'atrium ministeriale. Direzione? Una passaporta....per portarlo dove? In un posto che fino a qualche giorno fa non avrebbe nemmeno immaginato di poter mettere piede, per lo meno senza un vero obiettivo o motivo: Hogwarts. Suisei Hebi-san (una serpe acquatica). Il bastone batteva a ritmo nel freddo pavimento ministeriale. Solo passaporte autorizzate e identificazioni da parte di dipendenti dell'istituzione raccomandati per l'evento. Quale evento? Una commemorazione. Appena sei mesi prima, da poco arrivato in Inghilterra, aveva potuto solo sentire storie al riguardo. La sede scolastica magica per eccellenza era stata violata e barbaramente ridotta in rovina in varie aree da parte del male, vero cancro di quella societa', insieme ai propri scagnozzi caos e distruzione. Non si sapevano tantissimi dettagli, men che meno come tutto fosse potuto succedere; chi dava colpa al ministero per una scarsa attenzione alla scolastica che tanti ritenevano, giustamente, sotto la sua responsabilita' e chi diceva che il castello tanto decantato e ricco di persone di lustro e saggezza non fosse dotato di buoni ed efficaci sistemi di sicurezza, magica e fisica. I rapporti al riguardo erano stati letti in maniera confusionaria dal giapponese, fra le troppe cose da appurare e attenzionare da appena neo-assunto che a distanza di mesi doveva rimettersi in pari con i fatti, carpire piu' informazioni possibili da aggiunger a quelle gia' lette in passato e focalizzate maggiormente negli ultimi giorni insieme ai colleghi. Se c'erano stati problemi e una colpa l'aveva presa il ministero era giusto che questo rispondesse agli inviti di chi aveva subito un torto, palesandosi all'evento per mezzo dei suoi dipendenti; Issho, come componente del C.M.I. non sarebbe stato da meno. Doragon no sukēru to ha (scaglie e denti di dragoni). Continuava, mentre la mano veniva portata con attenzione alla passaporta che, in pochi istanti, fra distorsioni dello spazio, vortici confusi e luci e ombre alternate, lo portarono dritto al paese al di sotto del castello: Hosgmeade. Majutsu-shi no mīra to iki (mummie e fiato di stregoni).

hogsmeade
Un attimo di fermo, per alcuni controlli di identificazione, prima di riprender il passo. Aveva saputo che l'area era stata ben messa in sicurezza estendendo anche l'incanto a protezione dei limiti della scuola fino al villaggio. Gia' in lontananza l'emozione di veder la scuola tanto celebrata nei libri letti era tanta; una curiosita' innata la sua, sin da giovane da sfamare....Quante differenze con la sua Mahoutokoro. Tutto un altro mondo e un'altra magia. Pensare che un posto simile fosse stato deturpato e macchiato di sangue da parte di esseri non meritevoli ne di onore, ne della stessa vita, fecero gonfiare la vena in testa all'orientale, che cesso' dunque di canticchiare per intrattenersi nel viaggio. Il solito sorriso, quello che vantava non far tramontare mai, era in quell'occasione stato messo da parte. Era in veste di ufficiale ministeriale...nel suo lavoro si facevano e discutevano leggi a livello internazionale. Se c'era qualcosa che si poteva portare all'attenzione della cooperazione magica internazionale e che potesse aiutare tutta la societa', scuola e suoi membri inclusi, a resistere e controbattere piu' efficacemente il lato oscuro, con meno rischi, meno perdite e piu' conquiste, Issho non avrebbe battuto ciglio nel proporlo. Doveva solo sapere cosa...cosa era mancato? Cosa lo aveva causato? Come era stato organizzato? Erano le radici da rintracciare e estirpare in un campo putrido e oramai ricco di metastasi maligne. Risposte e indagini fu detto esser state portate avanti, ma sembrava quasi che la cosa si fosse risolta nel silenzio, con contentini, senza dovuta giustizia e messa in sicurezza. Questo evento, la fine dell'anno, il natale...erano le condizioni perfette per poter capire meglio e viver in prima persona un'atmosfera che chissa' come sarebbe stata materializzata da parte dello studentato e cariche invitate. Una passeggiata al fresco e con la continua nevicata lo avrebbe accompagnato ai portali della scuola, finalmente. Lo sguardo scrutava attentamente. Non si sarebbe voluto perder nessun dettaglio; era un peccato far visita in simil situazioni, ma oramai che c'era non se lo sarebbe perso per nessuna ragione al mondo. Spettacolare, nel suo stile antico...magico, nel suo proporsi. I libri non rendevano giustizia e l'occhio unico funzionale non si sarebbe soffermato troppo ai vari e possibili danni dell'incidente e le ricostruzioni avvenute. Buonasera, buonasera....buonasera. Salutava in generale a chi fosse dinanzi la porta della Sala Grande, addobbata in maniera eccelsa, calda, accogliente e sfavillante nei suoi giochi e trucchi incantati. C'era gia' gente, quasi confusione anche per entrare. Si sentiva un po a disagio...spiccava in altezza e se aggiungevamo a cio' i tratti asiatici e il vestiario orientale ma piu' cerimoniale possibile, si sentiva un pesce fuor d'acqua. Anche se aveva deciso di non mostrarlo, fu impossibile non sorridere all'istituzionale e maestoso albero in fondo alla sala....casa. Questo doveva esser questa scuola per ogni studente. Il posto dove fremere di tornare per sentirsi coccolati, al sicuro, in famiglia. Questi erano i valori che poteva immaginar esser stati violati sei mesi prima, da bestie, sciacalli e fiere viventi solo per nuocere per una personale volonta' errata e mal cosciente. Vedeva, con suo piacere, che determinate persone non eran nuove alla vista. Dal suo bel vedere non poteva non notare mr. Aka (Aiden), l'auror irlandese con il quale aveva scambiato già discrete chiacchiere, cosi' come non sarebbe mancato il biondo Remar, piu' distante e che si sarebbe premurato di raggiunger come accordi presi giorni prima. Tuttavia la gente rallentava il passo e fra un chiedere scusa e il permesso di far spazio avrebbe cercato di goder di una migliore compagnia dei propri colleghi. Un rapido sguardo ancora attorno avrebbe adocchiato una ragazzina snella, dal nero capello e corpo esile. La signorina Bell, conosciuta in estate e con la quale si trovo' bene in una giornata di caldo. Avrebbe cercato di incrociarle lo sguardo per poterle porgere un mezzo inchino per salutare, mentre un ulteriore volto, questa volta piu' maturo e dai capelli rossi, fece spazio nei ricordi dell'uomo di mezza eta'. La signorina JolenA, conosciuta nei parchi londinesi tempo addietro. Non gli sarebbe venuto facile intercettarle lo sguardo, dato che fu preso dal discorso del preside...prima persona saggia e quasi in sintonia con le parole a Issho. Il passo si fermo'. Non riusci' e non volle raggiunger il collega biondo...doveva sentire cosa aveva da dire...doveva meditare e capire cosa chiedeva l'araldo. Parole di invito, di coraggio, di cooperazione...quasi di scuse, celate sotto parole piu' solidali. Speranza e decisione. Riassunse il discorso dell'anziano purpureo. Avrebbe voluto intrattenersi con esso, chiedere il senso di determinati periodi e riferimenti, ma rimase fermo a pensare e a guardarsi intorno. Avrebbe voluto capire come era stata e veniva vissuta la questione da quella microsocieta' che era composta da docenti e studenti. Avrebbe cercato di discutere con loro se ce ne fosse stata possibilita'. Era un adulto spigliato, alla mano e profondamente votato al dialogo....era il suo lavoro.
hogwarts

Issho arriva a Hogsmeade tramite passaporta autorizzata del ministero, fa i controlli e si incammina a Hogwarts. E' serio, nonostante non riesca a non sorridere agli addobbi in sala grande, dove ha modo anche di notare persone che ha conosciuto tempo a dietro; cerca di intercettare lo sguardo di Casey Bell per salutarla, mentre non riesce a far lo stesso con gli altri che nota. Ascolta il discorso del preside, gli piace ed'e' pensieroso.

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view post Posted on 24/12/2018, 13:54
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CYosL0B
„Come cosa sto facendo! Un albero!”, un sospiro, un passo indietro, uno sbuffo mentre la mano andava a grattare la testa, „o almeno credo!”
Non gli era parso di star facendo così tanto rumore. Era colpa di quella casa, pensò. Era così silenziosa e vuota che bastava anche un passo felpato per far credere, a chi vi abitava, che stava per prender piede una guerra, eppure non era sempre stata così…
Con un festone sbrilluccicante ancora aggrappato tra collo e testa, l’uomo prese a fissare la sua opera d’arte, allontanando così il passato.

„È quasi decente, non credi?” , tentò, rivolto ad un calzino rosso in festa, che si muoveva in modo convulso tra le decorazioni natalizie in rovina e sparse sul pavimento. Karl, lo Knarl, però non sembrò apprezzare e cacciato il musetto fuori, fissò terrorizzato la scheggia di un enorme palla di vetro caduta in pezzi che gli regalava il proprio riflesso distorto.
Sì, si disse, bastava ignorare il casino sparso sul pavimento di quell’angusta stanza e le mille decorazioni in frantumi per ammirare quel piccolo capolavoro [xxx] .

⫸ Outfit ⫸ Identità
Soddisfatto, mentre sfregava i palmi tra loro e stiracchiava le braccia, diede un veloce sguardo al rumoroso orologio babbano che sormontava un’orribile carta da parati: era in anticipo.
Si era detto che avrebbe fatto ufficialmente ritorno nel Mondo Magico nel medesimo modo in cui l’aveva lasciato: in punta di piedi. È quale modo migliore se non ritrovarsi imbucato per sbaglio ad una festa dove nessuno l’avrebbe mai riconosciuto? Quei bacucchi dei suoi insegnanti non potevano essere ancora vivi, il rischio era davvero minimo.
Armato di una sola, lurida valigia, era tornato a Londra non molti mesi prima, quando Hogwarts era impegnata a spogliarsi delle ceneri dei suoi resti. La notizia gli era giunta subito; ricordava di non aver nemmeno varcato il cancello della Dimora dei suoi vecchi amici che già qualcuno era corso a informarlo prima di dargli il bentornato a casa. Ovviamente, aveva subito notato delle falle nei loro racconti ma non aveva corso il rischio di chiedere alla prima persona che aveva saputo del suo ritorno – infastidirla chiedendo fatti di cronaca non era… Ehm… una buona idea – ma non gli ci era voluto molto per giungerne a capo. O almeno, dopo l’ultima missione che aveva portato egregiamente a termine, così aveva creduto.
Come aveva previsto, la notizia non lo aveva scombussolato: quel Mondo era ancora così lontano da lui; tanto lontano che nemmeno tornarvi a vivere, come se nulla fosse cambiato, era bastato per sentirsi di nuovo casa. Ad ogni modo, doveva pur sempre iniziare da qualcosa, no? Aveva dei piani incrostati di polvere da attuare e doveva darsi da fare.
Vestito a festa, per la prima volta dopo tanto tempo, lasciò in fretta e furia la dimora.
Da quanto era stato diffuso, non sarebbe stato semplice ritrovarsi al Castello. V’era dunque da raggiungere una Passaporta, in uno dei luoghi appositamente scelti e dopo essere stati catapultati a Hogsmeade, compiere il tragitto che l’avrebbe condotto al grande portone di pietra. Se aveva calcolato tutto, memore dei sette anni che aveva passato in quei luoghi, sarebbe arrivato in perfetto orario.
Il freddo umido e pungente di quella notte gli pizzicò la guancia e la mano, ornata di un guanto consunto di pelle, andrò a infastidire la cicatrice. Non aveva, in effetti, pensato a quanti occhi avrebbe attirato su di sé, non tanto perché abituato ad avere quell’aspetto quanto più per l’esatto opposto: non aveva ancora imparato a fare i conti con un volto sfigurato.
Facendo spallucce mentre oltrepassava una signora che s’era fermata per guardarlo, continuò la sua strada.
„Bacchetta, legno di Biancospino, scaglia di Ashwinder, 13 pollici, Rigida. Paul Dwight. Prego può… Andare”
La titubanza dell’uomo lo infastidì appena ma lui, di rimando, gli sorrise, preservando una naturale calma e rilassatezza. L’addetto ministeriale, tuttavia, continuò a fissarlo. Lo conosceva? Impossibile. Era per la cicatrice? Probabile. Ignorandolo, Paul tirò, ancora una volta, avanti.
Era passato più di un decennio dall’ultima volta che aveva fatto visita a quel villaggio e nulla, nemmeno lì, era cambiato di una virgola. Decise di non starsene impalato a rimembrare i vecchi tempi e, mani in tasca, con gli aculei Karl che foravano i guanti già bucati, s’incamminò lungo il percorso che l’avrebbe condotto al Castello.
Quel che una volta aveva chiamato Casa si erse presto e prepotentemente contro il cielo buio. Solo in quel momento, mentre le luci delle finestre illuminavano la notte, si rese conto che, almeno un po’, gli era mancato. Hogwarts aveva significato molto per lui; quelle mura custodivano i suoi successi, così come i suoi fallimenti.
In quell’istante, chinando il capo incapace di osservare oltre, Paul si chiese cosa avrebbe provato lui se avessero distrutto la sua Scuola quando ancora vi abitava. Per quanto devoto a taluni ideali, non poteva dirsi a favore di certe sconsiderate azioni e questo fondamentalmente perché il Caos non gli piaceva. Più tentava di porvi ordine e più se ne circondava e quando il silenzio del Castello lo accolse, fu certo di riuscire a percepirlo anche lì, ancora. Non tutto era stato sistemato, le spoglie di quanto doveva essere accaduto, per quanto invisibili, giacevano ancora sui fondali di pietra.
„Signore! ”
Un bambinetto, dal corpo minuto rinchiuso nella finta maturità di uno smoking nero, catturò la sua attenzione. Nel voltarsi, avvertì nuovamente un pizzicore strano allo zigomo e, con la piacevole scusa di grattarsi il mento, nascose il volto – non voleva certo spaventarlo, nella penombra di quell’uscio scarsamente illuminato.
„Perché ha quella cosa sulla testa? ”
Addolcendo lo sguardo, prima contrito da contorti pensieri, Paul allontanò la mano dal volto.

„Ho fatto esplodere la pozione di un Serpeverde per gioco e lo scherzo mi si è ritorto cont…”
„No, non quella. Ne ho viste di peggio sul Campo da Quidditch. Intendevo il festone.”
Con espressione incredula, il Mago portò le dita sul capo ma non riuscendo ad agguantare nulla per via della pelle che limitava il tatto, scosse violentemente la testa. La decorazione natalizia, rovinata ma ancora lucida, cadde sulla pietra riflettendo la luce dell’ingresso.
Per tutto quel tempo non l’avevano fissato per la sua faccia ma semplicemente perché aveva dimenticato di togliersi quel coso di dosso. Era buffo.
Sorrise mostrando i denti, le labbra sottili unite in un’unica fossetta.

„Oh, grazie. Ma le pozioni sono comunque pericolose!”
„Sì lo so. Ciao Signore.”
E lo vide correre verso un gruppetto di amici, piccini tanto quanto lo era lui.

„Siamo a casa, Karl. Almeno un po’.”
La creatura sbucò fuori, il cappellino storto sugli aculei per accogliere la Sala Grande appena affollata.
Fece giusto in tempo a volgere lo sguardo tutt’intorno prima che Studenti e chissà quali Adulti facessero da padrone. Fu inevitabile sentirsi un po’ fuori luogo, per quanto nulla, dai suoi movimenti e sorrisi, lasciasse trapelare questo sottile disagio. Tale sentimento era dovuto anche a ciò che gli si parava innanzi, si disse. Non aveva mai visto la Sala addobbata in quella maniera; non era lì, non sapeva nei dettagli le dinamiche della battaglia, chi avesse scagliato cosa e quali fossero state tutte le vittime, eppure, quando gli occhi incrociarono la pietra bruciata della parete, sentì il peso di tutto ciò gravagli appena sulle spalle. Scrollò appena la schiena, dunque, mentre avanzava come se niente fosse per osservare il grosso abete che padroneggiava l’ampia stanza. E poi di nuovo le fiamme, come attratto, nonostante cercasse di fuggirle.
A tal proposito, dov’era quel dannato? Guardò in giro, cercando di non tradirsi con lo sguardo colorato da una rara furia, ma non lo vide, quel maledetto. Sirius White. Ricordava ancora il suo volto, lungamente studiato per accertarsi della fermezza della sua decisione, per percepire anche il minimo dubbio nel momento in cui quel Voto Infrangibile, tra lui e il Mangiamorte Rinnegato, stava per compiersi.
Quando un Anziano prese la parola zittendo i fitti sospiri dei presenti, fu inevitabile non volgere la mente curiosa al bando dei docenti e dimenticarsi della sua battaglia, quella a Ben More Assynt. Riconobbe dunque la figura del Preside. Così a misura in quelle vesti, così preciso che era impossibile sbagliarsi. Sentendo la mancanza di un bicchiere stracolmo tra le mani, prese ad ascoltarlo. La mente di Paul viaggiava veloce, percependo collegamenti, rimandi, frasi che credette di leggere tra le righe. Il suo volto, tuttavia, dalla fronte corrucciata, rivolto appena verso l’alto come a voler sentire meglio, dava tutta l’aria che lui, in verità, non ci stesse capendo un..o Knarl.
È tempo di decidere, signori, o con noi, o contro di noi.
Un sorriso volò via dalle labbra, la mano cercò il suo appuntito compagno. Portando la creaturina sul palmo, sfilò via una margherita dal sacchetto che aveva sempre in tasca e gliela porse.


 
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You are not saving this world, you are preparing it for me.

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Maurizio Pisciottu ◆ 27 anni ◆ Antimago - Lycan

U0HFCMK
Erano passati sei mesi da quando per la prima volta si era trasformato ed era effettivamente diventato parte del branco di Brandon, eppure quel ricordo gli lasciava ancora un'angoscia tremenda, un terribile senso di vuoto. Proprio mentre era a Brandon Hogwarts veniva presa d'assalto dalle forze dell'Oscuro Signore, la ricorrente rabbia di Maurizio era scoppiata ancora una volta, in parte incolpava se stesso per non aver potuto dare una mano, in parte continuava a ricevere conferme su quello che aveva già esposto a Rhaegar tempo fa, il Ministero non è pronto, gli Auror non sono pronti.
Un anno terribile stava per volgere al termine, attacchi terroristici da due fronti, Ministri in fuga, la massa diveniva via via sempre più scontenta e far saltare qualche testa sembrava non essere ancora abbastanza per placarla.
Eppure il natale arrivava sempre nei momenti migliori, quale miglior momento per organizzare un ballo commemorativo? Nessuno. Maurizio aveva deciso di vestirsi più pesante del solito, avrebbe dovuto camminare sino ad Hogwarts dato che la smaterializzazione era stata involontariamente estesa anche a casa sua.
Arrivato a Hogwarts notò come questa fosse terribilmente più affollata del solito, alla festa in cui aveva conosciuto Trhesy la gente era meno della metà, tutti avevano deciso di partecipare, guardandosi attorno Maurizio vedeva gente di tutti i tipi, colleghi del Ministero, genitori preoccupati e ovviamente gli studenti. Arrivato ai cancelli la gente scorreva molto più lentamente e Maurizio riuscì a trovare la fonte dell'ingorgo soltanto dopo che metà della folla era già riuscita ad entrare, vedeva alcuni volti noti di Auror perquisire ogni singola persona con un'attenzione tremenda, sicuramente un evento di questa portata sarebbe saltato anche all'occhio degli attentatori e non era il caso di concludere quest'anno col botto...letteralmente.
La sala da ballo era splendida, maestosa come tutto il resto del castello, ogni volta che vedeva un nuovo angolo del castello la reazione era sempre quella. Prima ancora di poter iniziare i festeggiamenti il Preside Peverell prese la parola.
"Tsk, la fa così facile lui."
Disse stizzito. Non si rese nemmeno conto di aver parlato ad alta voce o di essere tremendamente vicino ad un collega di lavoro (Shisho).
PS: 202 ◆ PC: 147 ◆ PM: 163


 
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When the snow falls, the fox tries to survive.

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Il Ballo della Fenice - La Danza delle Ceneri
Aiden Weiss

Sospirò mestamente mentre fissava il marasma di studenti e ospiti provenienti dall’esterno della scuola, con occhio vigile e diffidente. Il groppo che percepiva all’altezza della laringe sembrò farsi più opprimente anche grazie alla pressione esercitata dal suo papillon e si maledisse mentalmente per aver scelto di indossare quella sottospecie di tortura moderna, ma con lo smoking la cravatta stonava alla grande. Insinuò l’indice nella fessura tra collo e papillon e tirò un poco, cercando di trovare un po’ di sollievo. E invece no, il fastidio, la sensazione di soffocamento, non sembrò cedere di un palmo.
L’Auror era stato impotente una volta, non voleva esserlo nuovamente, non lo avrebbe permesso né tollerato. La Comunità Magica contava su di lui, sia adulti che studenti, che in quel preciso istante stava vegliando come un silente Guardiano. Aveva spianato le prime basi, le fondamenta per così dire, durante la sua prima avventura tra le schiere della Scuola di Atene. E anche se si era mostrato apprensivo e molto protettivo, Aiden sentiva - in cuor suo - di aver fatto il possibile per non deludere nessuno, sia Peverell che la squadra che gli era stata affidata.
Aveva addirittura cercato di prendersi cura di Nieve una volta ritornati alla normalità, ma lo shock dell’esperienza lo aveva superato su tutta la linea, tant’è che per un attimo aveva considerato di Obliviarla. Non l’aveva fatto perché si sarebbe odiato moltissimo nel compiere un simile gesto contro la sua stessa volontà, senza chiederle il permesso, verso quella che considerava un’amica. Cosa avrebbe pensato di lui se solo l’avesse messa al corrente su quanto aveva pensato di fare?
Non volle pensarci nemmeno per un’istante, ormai il dado era tratto e non avrebbe mai fatto nulla contro la volontà di qualcuno, specialmente di una persona amica.
Pensò ad alcune delle persone che aveva incontrato in quei mesi e con cui aveva parlato riguardo alla guerra. Megan e Amber avevano detto la propria all’Auror e lui, di certo, non era stato da meno. Avrebbe però voluto fare di più per loro, sebbene fosse ben consapevole che non avrebbe mai potuto dire ciò che volevano sentirsi dire. L’onestà, così come la lealtà, era una merce rara, ma di certo il fulvo avrebbe sempre fatto in modo di esserlo, nel Bene o nel Male. Aveva, tuttavia, dato la sua parola d’onore che ci sarebbe stato in caso di bisogno, anche solo per parlare, così come aveva fatto con molte altre persone; perciò, sarebbe bastata una chiamata e Aiden Weiss si sarebbe presentato senza farsi il minimo problema.
E se ora era teso era solo perché avrebbe voluto fiancheggiare ognuno di loro e confortarlo come farebbe un padre, uno zio, un fratello. Era consapevole, nonostante i propri e forti desideri, che non sarebbe mai riuscito nell’intento, non con tutti almeno; così come non sarebbe mai riuscito a salvare e a proteggere tutti. Era una cruda realtà ma l’importante era esserne consapevoli, perché il lavoro che si era scelto era sì onorevole, ma ti lasciava un senso di amarezza in bocca. Era un duro prezzo da pagare, sentirsi impotenti davanti alla Morte degli innocenti, alla Paura dei deboli, ma ora che era lì non poteva fare altro che accettarlo e fare il possibile con il potere che si aveva tra le mani. Finché aveva Volontà e Forza per combattere, avrebbe combattuto con ogni fibra di sé stesso.

Il Mago si rigirava nella propria postazione per tenere sott’occhio sia quanto avveniva all’interno della Sala Grande che fuori: nulla sfuggiva ai suoi occhi vigili. La figura di Vath Remar apparve sulla sua visuale e rimase colpito del saluto che l’uomo gli rivolse con un cenno del capo, un gesto che si premurò di ricambiare con altrettanta cortesia. Anche il signor Fuji-Tora avrebbe presenziato e si domandò se Hogwarts lo stesse incuriosendo a tal punto da volerla visitare. Al Giapponese concesse un inchino degno della sua cultura. A Maurizio, invece, concesse un piccolo pugno sulla spalla quando gli passò accanto e fece finta di non essere stato lui, fischiettando.
Quando si girò, per la decima volta - o quasi - verso la Sala Grande gli parve di scorgere una treccia argentata tra la folla ma non ebbe modo di appurare se effettivamente si trattasse di Nieve, che la sua attenzione venne catturata da una mano che sventolava nella sua direzione: una giovane Strega lo stava salutando timidamente, come se lo conoscesse, e Aiden devette aguzzare lo sguardo per riconoscere KC, la ragazza “Sgonfia-Natiche” alla festa di Zonko. Con un piccolo sorriso, l’uomo alzò una mano e agitò le dita in un piccolo saluto, per poi tornare a sorvegliare la folla.
Si lisciò la barba mentre il sospetto continuò ad albergare in lui. Fidarsi o non fidarsi? Di chi e chi no?
Alla base di tali enigmi, l’uomo prese l’iniziativa di ripercorrere il perimetro della Sala Grande, incapace di abbassare la guardia. Prese quindi ad aggirare la folla, il passo leggero come quello di un gatto ma veloce come quello di un ghepardo. Mentre avanzava con aria arcigna e concentrata, percepì la propria gola secca e allora decise che si sarebbe fermato alla zona rinfresco per afferrare qualcosa da sgranocchiare e un succo d’arancia ghiacciato. Era meglio prestare servizio con la pancia piena e la sete soddisfatta piuttosto che restare a secco e permettere ai propri neuroni di fondersi per la tensione.
Quando raggiunse il buffet, Aiden ordinò quello che sarebbe stato il suo cocktail serale e afferrò un tramezzino, che si premurò di mettere al sicuro tra le sue avide fauci. Lo addentò con aria distratta, per poi portarsi il liquido arancione alle labbra.
Per lo meno - si disse - la Rigos non pareva nei paraggi per ucciderlo con la sua strabiliante dote da “Soffocatrice Seriale”.
⤿ Auror ⤿ 27 anni ⤿ Ex Grifondoro ⤿ Outfit

© Thalia | harrypotter.it



Citati KC, Vath, Issho, Maurizio e Nieve. Menzione d'onore a Megan e Amber.

 
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Lia Soxilia
view post Posted on 24/12/2018, 17:54





Ecate Soxilia O'Connor
scheda - 26-Veela Medimaga
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Era arrivato il Natale, quel giorno dell'anno dove per i babbani un uomo grasso e barbuto vestito di rosso portava regali durante la notte in tutto il mondo grazie ad una slitta volante trainata da renne magiche. Era arrivato il giorno in cui l'albero grondante di luci e decori, sfere decorate e ghirlande luccicanti diveniva il centro di ogni discorso. Qualche giorno prima Lia aveva deciso di evitare di andare da Ab ed Aida per il compleanno della piccola per quanto volesse riavvicinarsi alla giovane, che aveva deciso di rientrare da Hogwarts per le vacanze, Lia non si era sentita di festeggiare quel giorno soprattutto perché per lei non era esattamente un bel ricordo. Così il ventuno di dicembre Lia aveva chiesto di fare un doppio turno e quando finalmente si era potuta ritirare nel suo appartamento crollando sotto il peso della stanchezza aveva semplicemente svegliarsi all'anti vigilia di natale. Anche quell'anno perciò aveva finto con sé stessa che molti anni prima lei non aveva dato via la sua bambina.
Quel natale però sembrava volerle giocare un brutto scherzo con quella strana festa che Hogwarts aveva indetto come commemorativa per ciò che era successo a giugno; Lia lo sapeva, aveva visto con i suoi occhi ciò che avevano dovuto subire i giovani studenti della rinomata scuola,nonostante quel suo periodo di perdizione ed ebrezza. Così aveva deciso di recarsi proprio in quella scuola, proprio il luogo che lei più di tutti voleva evitare, memore di quegli anni piatti e intrisi di una solitudine beffarda.
Per quell'occasione, dove in molti erano invitati, anche Hogsmeade era stata circoscritta da un incantesimo anti smaterializzazione e perciò era raggiungibile solo tramite passaporta ministeriale; Lia perciò si era subito diretta al Ministero, dopo aver indossato l'abito che riteneva più adatto abbinato alla mantella in cui risiedeva la sua bacchetta. I controlli furono accurati nel villaggio e per molti minuti Lia vide l'Auror fissare la sua tessera identificativa con un cruccio in volto poco rassicurante, solo dopo aver letto per l'ennesima volta quel che vi era scritto l'uomo la lasciò incamminarsi verso il castello.
Il silenzio era quasi spettrale mentre l'ombra della foresta si allungava senza sosta oscurando i giardini e il lago che quieto e cristallino risplendeva degli ultimi raggi del sole, solo il leggero fruscio del suo abito e del vento fra le fronde interrompevano quell'atmosfera di assoluta calma ed inerzia che avvolgeva il castello; i segni della lotta si mostravano fieri sulle mura alte del castello romanico e solo qualche luce faceva brillare le finestre delle torri e del castello, probabilmente alcune ragazze si stavano ancora preparando mentre altri avrebbero preferito evitare quella serata. Vi era qualcosa di inquieto e malinconico nell'aria, o forse era solo Lia ad avvertirlo, ogni angolo della sua mente era in preda a convulsi ricordi che le tempestavano la mente cercando di dissuaderla dall'idea di fare un'altro passo verso il luogo del suo odiato passato. Eppure là avanti, ove la scuola apriva il suo grande portone d'ingresso e si faceva oltrepassare anche da chi avrebbe potuto essere una minaccia, Lia poteva vedere l'affluenza aumentare e sparire oltre le soglie solitamente chiuse a colore che per età avevano superato l'obbligo di entrarvi. Improvvisamente il gelo divenne più intenso e pungente tanto da farla stringere nella sua mantella nella vana speranza che quel ghiaccio non entrasse nelle sue ossa fino ad aggredirle un cuore ancora impreparato a tutto quello che stava per fare; si strinse le braccia al petto e si rannicchiò in sé stessa attendendo che il freddo calasse.
Solo quando le lontane voci furono sparite ed intorno a lei non vi era altro che il vuoto silenzio della notte Lia trovò il coraggio di rialzarsi e terminare il suo viaggio verso Hogwarts entrando alle ultime parole del preside che parlava di una stanza con uno specchio della verità. La donna si bloccò davanti alla sala spoglia dei soliti addobbi esagerati e con gli occhi alzati osservava gli aironi che si perdevano per la stanza creandosi dai fiocchi incantati. Così immobile pareva una statua di marmo con quel vestito di taffetà di seta lucido color celeste argentato, era un ingombrante abito a pieghe con il tipico cul de paris formato da un fiocco che si perdeva fra le pieghe e uno spacco frontale vertiginoso, il corpetto stretto e steccato aveva un taglio dritto lasciandole spalle e braccia libere;anche i suoi capelli le lasciavano libere le spalle raccolti in quel delicato chignon elaborato, mentre un trucco leggero sugli occhi e rosso carminio sulle labbra le faceva risplendere la pelle pallida; gli stivali erano alti fino a metà coscia chiusi da nastri e composti da numerosi intrecci di pelle spazzolata color cipria con un tacco sottile ed alto poco più di otto centimetri. Erano in molti, anche conosciuti, eppure Lia non riusciva a muoversi da dove si trovava immersa in un blocco temporale che la costringeva a rivedere il natale di undici anni prima sola in quell'immensa scuola svuotata di tutto: cos'era cambiato da allora? Anche le parole del preside erano per lei solo una riconferma di ciò che lei aveva vissuto anni prima: ad Hogwarts funzionava solo l'assolutismo, funzionava solo il tutto o il niente, amico o nemico, buono o cattivo. E lei non rientrava in quegli schemi... Cosa avrebbe dovuto fare?
yypLX
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