Non poteva mai aspettarsi nulla da Elijah Sullivan, poiché ogni previsione sarebbe stata disattesa completamente. Sembrava farlo apposta, con quell’aria furba e svelta di chi è abituato a doversi adattare velocemente alle situazioni più spinose e a doverle volgere a proprio favore. Sorrise per circostanza, ma dentro di sé Thalia covò il sospetto che il Serpeverde volesse soltanto prendersi gioco di lei. A ruoli invertiti si sarebbe limitata a riflettere sulla proposta per un attimo, salvo esibire un’espressione contrita e rifiutare seccamente. Il fatto che lui, al contrario, avesse accettato l’aveva gettata in uno stato simile allo sconforto; com’era possibile che desiderasse
volontariamente di trascorrere del tempo con lei,
lei che era la sua nemesi e spina nel fianco? Dov’erano finiti i battibecchi telegrafici di Gerusalemme e il desiderio di appenderlo alle porte della Città Santa come un salame? «
Ne sono sicura... prego.» e gli indicò la panca vuota dinanzi a lei. Pensò a questo e a molto altro, mentre il ragazzo prendeva posto; lo esaminò con cura, seguendo i suoi movimenti ed assistendo alla disposizione dei pezzi sul campo. Indice e pollice stringevano la base di un pedone di cristallo trasparente - uno dei bianchi - e rimase col pezzo a mezz’aria, sbigottita. Cercò di nascondere l’evidente disagio per la maniacale disposizione di ciascun alfiere e dei cavalli e, abbassando il braccio fino a distenderlo sulla tavola, un pensiero inquietante le attraversò la mente. Quell’attenzione al dettaglio, la ricerca della perfezione e la simmetria erano aspetti che lei stessa cercava prima di ogni partita. Era come se, in quel gioco di parti, tutto dovesse corrispondere perfettamente cosicché ne giovasse non soltanto l’ordine di fatto, ma anche e soprattutto quello mentale. Era come se, posizionando il pedone sul margine, si scombinasse la disposizione degli altri quindici pezzi e si segnasse già in partenza l’esito fallimentare della partita. Sullivan era preciso e già quel dettaglio poté fornirle un'informazione non trascurabile del suo stile di gioco: non sarebbe stato approssimativo né precipitoso. Ogni mossa sarebbe stata studiata al centimetro e non gli avrebbe reso le cose facili. Così, all'espressione basita - con le labbra appena schiuse in un silenzioso "Oh" mai pronunciato, si sarebbe sostituito un sorrisino appena accennato, ma carico di soddisfazione. «
E' l'anno dei G.U.F.O. Sullivan. Sono concentrata sugli studi... e sul futuro.» temporeggiò, posizionando precisamente ogni pezzo. Se il linguaggio non verbale comunicava notoriamente gran parte del messaggio, anche in quel caso la calma dimostrata dalla Tassorosso e la meticolosità d'azione avrebbero espresso un concetto abbastanza chiaro, senza tuttavia una vera e propria nota minacciosa. *
Ti renderò pan per focaccia, sempre.* e, a quel punto, sollevò lo sguardo su di lui.
Si aspettava di trovarlo nella stessa posa con cui l'aveva sfidata, anche se poco apertamente, da Florian. Ancora una volta, Thalia dovette ricredersi e constatare quanto la sua attenzione fosse attirata dal pezzo principale della scacchiera. La Regina Nera giaceva nel suo palmo, fredda e inanimata, ma ben presto le danze si sarebbero aperte, col fragore dei pezzi di cristallo infranti. «
E tu, Sullivan? Sei concentrato sul futuro?» chiese, intrecciando le dita sul tavolo, alle spalle del suo piccolo esercito trasparente e brillante. Era curiosa di conversare con lui, a dispetto di ogni previsione; ogni volta che s'incontravano le frecciatine non mancavano, ma tra loro vigeva un rapporto complesso che non sarebbe stato possibile semplificare in alcun modo. Non si trattava di antipatia a pelle né di una contrapposizione netta per chissà quali ragioni. Erano anime affini - negarlo sarebbe stato stupido -, intelligenti ed accorte, ma erano anche opposti su alcuni importanti fronti. Quello scontro in gioco sarebbe rimasto impresso nella sua memoria come l'unica occasione di confronto ad armi pari. Sul gioco aleggiavano lo spettro delle regole e del rispetto, un po' come accadeva ai giocatori. Per quanto non potesse sopportare l'idea di essersi incastrata da sola in quella partita, Thalia era anche soddisfatta; Sullivan aveva meritato il suo rispetto molto tempo prima, anche se a lui quell'idea non sarebbe piaciuta troppo. «
Cercherò di essere delicata, Elijah. Lo prometto.» lo canzonò un po', il sorriso malizioso appena accennato e il pugno chiuso a sostenere il mento. Il suo sguardo abbracciò dapprima la scacchiera e poi l'avversario. Il tempo di studiarsi era finito: era giunto il momento di giocare davvero. Senza enfasi ed immaginando il decorso di quelle prime mosse da ambo le parti, Thalia annunciò la propria decisione con calma. La fretta era nemica giurata e voleva godersi quel momento - e i successivi - in ogni caso. «
Pedone in E4.» - Il soldatino di cristallo trasparente si mosse, passeggiando sulla scacchiera come un fante vero e proprio, con le sue armi in bella mostra. Nell'osservarlo, Thalia arricciò impercettibilmente il naso: non sapeva se Sullivan sarebbe caduto nei suoi tranelli, ma c'era tutto il tempo per indurlo in tentazione.