| Certamente il Giapponese sapeva come tenere le redini di una conversazione e le piaceva, pur non essendo abituata a che qualcun altro conducesse il discorso. D'altro canto le avevano insegnato che in una buona discussione, come nel valzer, bisogna lasciare sia l'uomo a condurre e a decidere la lunghezza dei passi. E così, pur non fidandosi, continuò a far condurre il suo onorevole collega. "Beh è sicuramente un invito ad andarla a visitare! Io non credo riuscirei più ad andare. Mi accoglierebbero troppi ricordi spiacevoli. Sa, nel 1951, per la prima volta dopo vent'anni di assenza, andai a vedere per acquistare la vecchia casa di famiglia; era, in origine, un palazzo di 117 stanze, con un vasto cortile che la mia famiglia aveva fatto progettare da Le Notre, il famoso architetto. Bene, la trovai per metà rasa al suolo, e ciò che ne restava era stato lottizzato ed occupato mentre i grandi giardini erano stati riempiti di baracche e case posticce. Era diventato un posto di miseria e dolore." sospirò ancora ricordando il senso di perdita che le aveva dato quella visione. "Riuscì a riscattare la proprietà di campagna, a Velikij Novgorod, che però persi per una serie di, veramente, sfortunati eventi. E pensare di vedere un nuovo cambiamento mi provocherebbe un dolore insormontabile. Temo" Accolse il brindisi con un sorriso ed un lieve cenno della testa. Si ricordò il giorno della morte di sua nonna, prima che partissero per la Germania. Leonilla non aveva voluto partire diceva che era nata in Russia, si era sposata in Russia e sarebbe morta in Russia. Allora, ormai preda di qualche illusione o allucinazione, le ghermì il vestito con le mani secche e ossute e l'aveva tirata a sé con forza. L'aveva guardata negli occhi con lo sguardo confuso e pieno di spavento "Ekaterina, dì che sono morta giovane" aveva 130 anni, su per giù.
"Mi sembra esagerato definirla ascesa, diciamo che feci quello che andava fatto senza eccedere in zelo. Chiaramente non fu una libera scelta, fosse stato per me e per la mia famiglia, saremmo ben volentieri rimasti nel rango sociale, e nel luogo, cui apparteniamo, veder messo in dubbio il proprio valore dalle nuove borghesie è sempre stata una cosa dolorosa e umiliante, tuttavia non avevamo alternativa e così lasciammo tutto" Ascoltò a quel punto il lungo discorso programmatico del collega trovandolo, a tratti, molto interessante. Rimaneva assorta, appoggiata comodamente al dorso della mano, e concentrata a sentire di alleanze internazionali, di uguaglianze, di "mescolanza giusta e democratica". Le sembrava che un orrido incubo stesse prendendo forma davanti ai suoi occhi, che tutto ciò contro cui aveva combattuto negli anni si stesse materializzando, come orrida furia, a chiedere vendetta. Non lasciò trapelare il disgusto che provava per alcune parti del discorso, esclusa forse cooperazione internazionale, che erano tutte delle idee figlie della rivoluzione francese. Prima che potesse iniziare a parlare giunse il cameriere così, anche lei, poté ordinare l'agnello. Una volta che lui si fu allontanato, prese a parlare:" Noto con piacere che viene subito al dunque. Apprezzo questa dote" disse "Certo è molto interessante ciò che dice e perciò va analizzato con massima cura. Innanzitutto penso che l'uomo sia sempre l'uomo, in entrambe le varianti di tempo e di spazio, ma, pur, l'uomo è sempre diverso da sé stesso. Intendo dire: l'uomo che fece la rivoluzione francese è, bene o male, lo stesso che oggi protesta. E' per questo che tendiamo a dire che la storia si ripete: perché l'uomo resta sempre uguale eppure bisogna incentivare la diversità tra individui. Perché non è vero che siamo tutti uguali. E' banale, lo so, ma è spesso necessario ricordarlo. Siamo diversi per intelligenza, per indole, per ceto, per educazione, per idee e per attitudini e, e questo è chiaro, per abilità: c'è chi può fare magia e chi no. Questo ci rende uguali per specie ma diversi per individui, o gruppi di individui. E fermarci alla visione puramente macroscopica, di - siamo tutti uomini, siamo tutti uguali - incentiva, a mio parere, la frustrazione degli individui che più possono dare alla comunità." Si interruppe per bere un goccio di vino poi avrebbe potuto continuare dicendo che "le cooperazioni internazionali devono essere estremamente mirate per mantenere, nel popolo, la coscienza di sé. Miro all'autodeterminazione degli stati, miro alla comprensione di sé come popolo e come nazione. Solo allora le cooperazioni su grande scala avranno un vero successo perché la distinzione tra me e l'altro è qualcosa di imprescindibile per la comprensione di sé e io voglio un popolo che sappia chi è, un popolo educato, conscio di ciò che è bene e di ciò che è male, di ciò che è vero e di ciò che è falso. Ma non bisogna, e questo l'ho imparato rimanendo quarant'anni nella Cancelleria di cui trenta nel ruolo di Sottosegretario al Dipartimento Rapporti interni, che si occupa delle relazioni con tutto ciò che c'è all'interno dello stato: dai maghi ai subumani, dicevo non bisogna cedere alle pressioni dei rivoluzionari. Ogni volta che abbiamo ceduto la situazione è peggiorata drasticamente. Guardi la Rivoluzione Francese o quella Americana, guardi la Rivoluzione Russa, guardi i moti che portarono alle dittature europee del ventesimo secolo. Le rivolte devono essere sedate nel sangue ed i capi gettati in prigione senza processo o eliminati senza pietà. La protesta della plebe è sterile o dà figli malati, degeneri e ciò che uno stato saggio deve fare è disinnescare, in qualsiasi modo, la sciocca protesta e rimettere in fila gli scioperati, i perdigiorno, gli ingrati che alzano la testa." Questo era il pensiero lucidamente folle di Ekaterina, ma non lo espresse, questo aveva messo in pratica per trent'anni: omicidi programmati, attentati e violenze. Nessuno si era accorto che dietro tutto c'era lei, all'inizio, nessuno si era accorto che tutto ciò che accadeva era preventivo. La Germania magica sembrava, in apparenza, stranamente tranquilla eppure gli incidenti accadevano di sovente e i gruppi armati erano sempre ben controllati. Quanti soldi ministeriali aveva devoluto ai terroristi interni per fare in modo che le venisse accordato sempre più potere. Il suo trono era stato posto sempre più in alto sopra la pila di cadaveri che lei aveva costruito; dicono che San pietroburgo sia costruita sui cadaveri: se è vero, lei aveva attinto a piene mani da quella fonte e, anche lei, prendendo esempio dall'immortale città degli Zar, si era eretta sopra quelli dei suoi avversari o, anche soltanto, di figure scomode e pensatori liberi. Invece, del suo reale pensiero, disse "Certo il nostro scopo è garantire una collaborazione fruttuosa e libera di tutti gli stati, specialmente in un momento così difficile. Pur mantenendo una linea salda contro le bordate che gli arruffapopolo da mercato cercheranno sempre di darci. Ho sempre pensato che sia compito del buon politico, dello statista, saper chiamare a sé tutti, e tendere una mano a chi ha più bisogno, per fare in modo che l'essere umano e l'individuo, come anche lo stato, possano giungere ad una completa e soddisfacente realizzazione di sé. Perché un individuo bistrattato forma un popolo infelice, un popolo infelice è uno Stato debole ed uno stato debole indebolisce tutte le alleanze che lo legano agli altri stati. E' interesse di tutti che l'individuo sia felice e, certo, sta alle diverse correnti filosofiche che, giustamente, devono formare la trama di un Ministero, proporre le ricette che rendano l'individuo, e gli uomini tutti, realmente felice. " sorrise conciliante, accomodante, senza dar sfogo a ciò che in realtà ribolliva in lei: una smania di potere, una fame insaziabile che, avesse potuto, avrebbe scatenato contro questo piccolo Ministero in crisi.
Edited by Katherine Lee-Carter - 27/2/2019, 17:02
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