Non spegnerti, fiammella. Non ora.
Allo sfinimento, all'ultimo bagliore, potrai correre, correre via. Lontano dal tempo che tutto vede, lontano dal sortilegio che ti contiene. Non spegnerti, fiammella; il ragno è imprigionato,
e del suo operato non resta che una ragnatela già sfilata.
Io ti invoco, Fiamma Eterna.
Io ti invoco, all'eco dei giorni e delle notti.
Non spegnerti, fiammella.
E divorali, divorali entrambi, divorali tutti.
Non avevano percorso chissà quale distanza, i Corridoi si estendevano a vista d'occhio nelle loro intricate geometrie fino alle viscere del Castello. L'uno all'altro, in intreccio imperfetto, all'occorrenza sempre così nitido all'attenzione dei suoi studenti; gli allievi di Tosca da una parte, quelli di Salazar dall'altra, alle rispettive Sale Comuni. Il punto di arresto, al confine preciso, era banalmente un punto di principio, quasi di svolta. Camillo e Casey non avevano fatto grande strada, non del tutto, e già si ripristinava un'atmosfera a tratti strana, a tratti folle, a tratti anche leggermente farlocca, che richiamava un tempo di festa, probabile Halloween, di un Ottobre sicuramente dimenticato. Poteva trattarsi e dell'una e dell'altra cosa, non ci pioveva, ma ogni ragionamento compiuto dai ragazzi fino a quel momento non tardava ad ottenere se non una risposta, perlomeno una parvenza di chiarezza. I pochi altri studenti lì nei paraggi, circa quattro e alcuni dei quali concasati dello stesso Tassino, si guardarono per pochi attimi tra di loro, l'uno alla ricerca del conforto o della più ambita spiegazione dall'altro. La parete era macchiata fino al soffitto, il gesso quasi vi scorticava cemento e mattoni alla rinfusa, e tuttavia peccava di ordine vero e proprio. Il significato di tutti quei lineamenti, di quelle stesure all'infinito, poteva far riflettere e allo stesso modo far distrarre. In ogni caso, non erano nitide, non del tutto. La furbizia, a pieno tondo, non era un difetto né di Camillo né di Casey, e l'istinto di non barcamenarsi caoticamente nel prosieguo del passaggio del corridoio giocò ancora una volta a loro favore. Camillo si affacciò all'imbocco libero della parte dei Sotterranei che avevano ormai tutti loro raggiunto e poco o nulla, purtroppo, si risolse alla sua introspezione: dei ragazzi di poco prima, del loro avanzare non così circoscritto, non si scorgeva più alcuna ombra. Erano letteralmente spariti, il percorso era sufficientemente dritto da non poter aver fagocitato ognuno di loro all'improvviso. Tuttavia, allo stesso modo Casey si risolse ad un'azione diretta, la manica già pronta a scivolare al polso e alla mano fino al tentativo di cancellare una parte del complesso archimedeo di gesso e di suoi lineamenti. Banalmente, come c'era da aspettarsi, la parte considerata sfumò via in uno sbuffo bianco, un soffio di granelli e di roccia, nulla di particolarmente complesso se non semplice gesso.
«Possiamo tornare in Sala Comune?»«Ecco, sì, ci fate passare?»Le voci degli studenti nei dintorni non tardarono a farsi sentire. La richiesta di spiegazioni, di teorie, di condivisione anche imminente di un'idea o di una riflessione al riguardo dell'intera situazione, a quanto pareva, non aveva colto a punto da parte di Camillo nei loro confronti. Tutto quello che chiedevano, forse a buona ragione, era di fare rientro in dormitorio: la cena era ormai conclusa, il dovere scolastico attendeva alla porta con insistenza, e c'era ancora quella partita di Scacchi Magici in programma serale. Dei ragni, tra le altre cose, nessuno sembrava preoccuparsi più di quanto non avessero fatto pochi attimi prima. La schiera tornò visibile, poco distante dal punto cancellato dalla manica della Grifondoro, e rapida sfumò via verso il continuo della parete. Ancora una volta in fila indiana, furono così visti anche da Camillo poco più avanti. Correvano via, zampettavano ancor più velocemente, e davano l'impressione - tutti insieme, l'uno dopo l'altro - di avere fretta, timore, reverenziale aspettativa. Cattivo presagio, forse.
«Andiamo, Ari.»Il primo studente, Serpeverde, si strinse nella divisa scolastica e avanzò verso la svolta del corridoio, accompagnato al suo fianco da una ragazza dai capelli più chiari dell'oro. Salutarono a stento - un cenno del volto, uno sguardo ancora incuriosito - la coppia di ragazzi in analisi accurata, e sotto gli occhi dello stesso Camillo non si fermarono verso il lungo tratto. Si percepì uno scricchiolio, come una porta appena aperta lentamente, e tutto accadde di sfuggita, di scatto, di repentina successione. La parete di fronte Casey, ancora intrisa di lineamenti in gesso, si alterò in solitaria reazione: il punto cancellato dal Prefetto brillò convulsamente e originò una serie di altre linee, in diagonale, che si disegnarono in automatico verso zone più alte. Come se qualcuno avesse appena deciso di ridipingere la parete, l'intricata rappresentazione iniziò a muoversi da sé, ad attivarsi, a disperdersi, fin quando le linee, le rette, le croci formatesi, tutte loro si unirono alla rinfusa sotto l'attonita costernazione di Casey. Il punto cancellato ridiventò visibile, la macchia di gesso tappò l'interruzione, e le linee tornarono - fisse, di nuovo - compatte. Per la prima volta, con più attenzione, Casey avrebbe potuto infatti notare che la geometria di per sé fosse sì confusionaria e caotica, ma unita, mai divisa: tutto collegava tutto, era uno schema, e non c'era una sola parte distaccata dall'altra. Qualcosa doveva essere successo, però, perché dal corridoio poco più avanti - in cui sostava l'osservazione di Camillo - lo scricchiolio aumentò fortemente. I ragni parvero fermarsi sulla parete destra, come se attoniti, in attesa. Dalla fine del corridoio, una serie di suoni attutiti, poi leggeri, poi pari a ticchettii si sollevò sempre più vicina. Come il peggior finale della Battaglia dei Bastardi, si palesarono repentinamente uno, due, infine tre figure di medie dimensioni, più grandi di due corpi umani insieme, in continuo avanzamento verso Camillo e i due Serpeverde. Se Casey si fosse affacciata, tutti loro avrebbero visto ormai nitidamente un trio d'eccezione, fuori luogo, e tuttavia presente. Tre ragni, ben più grandi dei loro vicini sulle pareti. Le zampe battevano il pavimento, i suoni fagocitavano i singhiozzi della ragazza poco vicina. Un'esplosione di luce, il primo Incantesimo del Serpeverde andato a vuoto. Erano lì, erano arrivati. Riprendevano, brillavano di sguardi lattiginosi, il manto ricoperto di peluria scura, color della notte, al bagliore fioco delle torce del corridoio così lungo. Una Creatura più grande di dimensioni avanzava per prima, le altre due seguivano ai suoi lati, ma l'Offensiva del Serpeverde rimbalzò sulla corazza che rivestiva le zampe. Aumentarono di velocità, erano vicini.
I figli di Aracne ad Hogwarts.
Acromantule, lì nei Sotterranei.