«You must believe in spring»KC▴Prefetto▴14 anni▴Quinto PianoOra che il gioco si faceva insieme più interessante e arduo i nervi di KC erano tesi come corde di violino. Al buio e in mezzo al fetore che solo anni e anni di incondizionata crescita della muffa, l'attenzione rasentava i limiti dell'inverosimile. Come un savio esploratore, la piccola grifondoro controllava ogni singola porzione di spazio prima di addentrarvisi. La punta della bacchetta illuminata con un Lumos percorreva pareti, pavimento, scalini e i residui delle poche statue corrose dal tempo e ormai del tutto irriconoscibili. Così, ogni volta che stabiliva di aver ispezionato per bene ogni centimetro, si voltava verso Gwen per farle cenno che lì vi era qualche buco a cui fare attenzione o delle nuove scale, e poi si proseguiva.
La brama di avventura era qualcosa che governava Casey dall'interno, e introdurre qualcuno nelle sue bravate era sintomo di profonda fiducia, oltre che di grande aspettativa. Dopo che Caleb l'aveva "tradita" eliminandola totalmente dalla sua vita, riacquisire la forza per metter da parte l'orgoglio e la paura e dare un ruolo a qualcun altro era stato estremamente difficile per lei. Trovare il coraggio di continuare a credere nella possibilità di poter avere anche solo un amico o un'amica le era costato tempo, eppure, finalmente dopo mesi e mesi, Gwen era lì, e lei le sorrideva, l'ascoltava, rideva alle sue battute e la avvertiva dei buchi nel pavimento. C'era qualcosa che andava oltre la paura di rimanere di nuovo - e per sempre - sola, che condivideva la stessa natura di quella sete di avventura: la radicata consapevolezza che c'era qualcosa di più, nella vita, nel cosmo, in tutto. Così come la magia, di cui aveva sentito parlare solo nelle storie, era venuta a salvarla da un'infanzia soffocata, doveva esistere qualcos'altro in grado di stupirla e di darle la dimostrazione che tutto non poteva finire nel vuoto. Essere curiosa, voler rompere le righe per andare a sbirciare sotto il velo della normalità, era il suo non arrendersi alla cruda realtà di essere un'orfana, di essere stata gettata via alla nascita. Non poteva essere questo il vero, o non poteva essere solo questo. Vi era la muta speranza in un futuro migliore, così come in delle radici migliori, e di conseguenza non si sarebbe mai potuta arrendere.
Casey però sentiva di star crescendo. Entro qualche mese avrebbe compiuto quindici anni, ma il fluire di quel pensiero non era dato solo dall'aumentare della sua età anagrafica. La sua mente continuava a rimpinzarsi di preoccupazioni, la sua persona di responsabilità; in più quel che lei stessa ricercava spontaneamente - un ragazzo, la sua vicinanza e la sperimentazione del rapporto con esso - le dimostrava quanto questo passaggio all'età adulta fosse semplice e veloce. Gwen invece ancora non ne risentiva, a suo parere.
Gwen aveva dodici anni e proveniva come lei da un orfanotrofio. Aveva i capelli scuri come i suoi, corti, e si assomigliavano molto, eccetto per il colore degli occhi. Si erano subito lasciate un segno vicendevolmente, ancorando la timida dolcezza di una all'eccentrica esuberanza dell'altra. KC la guardava con affetto e un'inspiegabile desiderio di porla al di sotto della sua ala protettiva la guidava nel rapporto con lei. Amava il fatto che fosse più piccola, che, nonostante la stessa origine dannata in comune, conservasse ancora alcuni di quei tratti ingenui dell'infanzia; amava che fosse delicata, sebbene il nucleo della sua bacchetta risuonasse della eco di un gigante, e amava quella vitalità e quella curiosità affine alla sua. Si rivedeva in lei, e quel rapporto le serviva per rimanere ancorata, almeno per un altro po', al mondo dell'infanzia e quella brama.
«Marcabrù è una carogna di uccello» esordì non appena schivò la caduta dalle scale.
«E' come se ogni consegna necessiti uno scotto da pagare per lui. Credo me lo faccia apposta perché non gli piaccio o che so io. Dovrò farmi aiutare da qualcuno per capire che tipo di problemi abbia. Meno male che non ti ha fatto nulla, altrimenti lo avrei reso cibo in scatola per Julius Marvin».
Il percorso sembrò fluire liscio come l'olio. Si aggiunsero solo alcune novità in quella remotissima porzione del castello governata dal buio: alcuni teli bianchi e ricoperti di polvere adagiati su dei mobili, delle travi di legno ammassate per terra come stecchini in una partita di Shangai e ancora più macchie scure di muffa sulle pareti intonacate. KC provò a tirare via uno di quei lenzuoli, azione che poi rimpianse ingoiando polvere e tossendo mentre rispondeva a Gwen - Non saranno mica i peli delle sue ascelle quelli che hai nel nucleo, vero? Scherzi a parte, hai mai provato a fare una ricerca su cosa potrebbe significare? - e scoprire una vetrinetta bassa, vuota e dai vetri scuriti dal tempo. La lasciò perdere e si concentrò sulla scalinata davanti a lei, decisamente più interessante.
Il Prefetto sapeva per certo che quel passaggio segreto avrebbe dovuto portarle in giardino dal quinto piano. Per tutto quel tempo infatti si era aspettata di dover scendere dalla sommità del castello, magari per vie strane e tortuose, ma non di salire. Di fatto i gradini ascendevano a quella che sembrava essere la sommità estrema di una torre; e come se non bastasse questa sommità coincideva con un minuscolo puntino luminoso in mezzo al buio.
I nervi tesi la fecero scattare sull'attenti. «Cos'è stato?» chiese puntando la bacchetta-lampadina lì dove credeva di aver sentito quel rumore. Poteva essere stato di tutto. Un topo, una trave di legno marcia scricchiolante, un doxy, un mostro pronto a farle fuori...
Ti ringrazio davvero tanto per l'infinita pazienza
Ti lascio via libera per stabilire qual è l'origine del rumore