La Morte e la Fanciulla, Privata

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view post Posted on 28/4/2019, 10:55
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Ekaterina ObraztsovaRussia87 anniPurosangueNeutrale MalvagiaMinisteriale V Livello
Marzo 1941
La luce della grande sala da pranzo del palazzo di Cracovia si rifletteva nelle posate d'argento e nei vassoi lucidi. I piatti di porcellana di Meisen, bordati in oro, erano colmi di tutte le leccornie che i loro potenti protettori erano riusciti a procurare. Suo padre, ingobbito da una postura da sempre china, era piegato sul piatto. I lisci capelli biondi scivolavano a lato del visto, evasi dalla stretta del nastro di velluto nero, mentre le mani portavano alla bocca il pollo; la figlia dall'altro capo del tavolo lo guardava con la bocca piegata in segno di disgusto e, vagamente disturbata dalla scena, intingeva un pezzo di pane nel sugo del suo arrosto.
Il padre tossì un pezzo di pollo fino a metà del tavolo, scena non infrequente vista la voracità con cui, il piccolo uomo grezzo, riusciva a spolpare la carcassa cotta che era stata poggiata, come offerta sacrificale ad un dio crudele, nel suo piatto, e prese a parlare
«Trina devo dirti una cosa e voglio che tu mi ascolti con calma. Non voglio che tu faccia scenate perché se le farai dovrò punirti e sai che non mi piace farlo perché le tue grida disturbano il mio sonno. Come tua madre hai una voce troppo acuta ed io ho le orecchie così sensibili.» addentò un altro pezzo di pollo portandosi alla bocca anche una pagnotta che divorò in pochi istanti strappandola a morsi come avrebbe fatto un qualunque cane. «Mangia, Trina, sai quanto io odi mangiare da solo » la piccola continuava a intingere pigramente il pane nel sugo dell'arrosto. Il suo pensiero scivolava con paura alla cisterna del cortile in cui il padre la gettava di notte quando voleva punirla di qualcosa. Il suono delle grida che il padre sentiva attraverso la sottile finestra della sua camera, appoggiato ai guanciali di seta del letto a baldacchino, erano le stesse che le ritornavano in un'eco spaventosa che le perforava il cranio. Nessun appiglio se non un piccolo mattone a cui aveva legato la sua vita tante volte con determinazione. «Trina? Mi ascolti? » chiese il padre. « Si padre, ti ascolto» Rispose con la voce spenta, indecisa quasi tremante. « Lo sai, Trina, che non mi piace quando non parli bene, ti fa sembrare debole. Te non sei debole, vero Trina? Perché se avessi una figlia debole tutti riderebbero di me! Vuoi che la gente rida di me? Stai sempre lì a complottare qualcosa ai miei danni, vero Catarina? » in un rapido climax il tono s'era fatto, da tranquillo, profondamente aggressivo e dicendo ciò si alzò spingendo indietro la sedia con le gambe. Non era raro che avesse questo genere di scatti d'ira, Ewald, e la bambina aveva quasi vinto quel nemico anche se non lo sapeva. Gli occhi, iniettati di sangue, si schiarirono e le membra furiosamente tremanti, lentamente, si placarono. « Vedi cosa mi fai fare, Trina? Lo fai apposta perché io ti getti nel pozzo, pensi di meritarlo? Beh avresti ragione. Tutti meritiamo una punizione. Ricordati, figlia mia, " Ciascuno ha ciò che si merita, niente di più e niente di meno." Se sei sola, con me come unico appiglio alla vita, è perché te lo meriti. »
A quel punto l'attenzione di Ewald entrò nell'orbita del vino posto davanti al piatto e vi si scagliò contro trangugiandolo con sete vorace. I rivoli di sostanza rossastra gli scendevano negl'incavi rugosi ai lati della bocca e cadevano sul bavero della pelliccia che indossava. Dopo aver emesso una serie di rumori, frutto della fame d'aria dovuta all'apnea in cui si era costretto bevendo, riprese a parlare « Vedi, figlia, te sei troppo piccola per ricordare la tua storia e la mia ed è per questo che è il caso che te la racconti. Il tuo nome non è Catarina de Wit, ed il mio non è Ewald. Noi siamo fuggiti da Leningrad anni fa quando il corpo morto di tua madre era ancora caldo al piano nobile della nostra casa. Ricorderai il periodo trascorso nella dacia nelle campagne, ti ricordi quando andammo via di corsa? Beh era perché quel traditore di Lavrentinij aveva spiattellato tutto alla guardia rossa. Insomma, te il prossimo anno andrai a Durmstrang, dove ho studiato io, e non potrai andarci come Catarina de Wit. Catarina de Wit non esiste. Mi capisci?»
Meccanicamente, la bambina, fece si con la testa in risposta allo sguardo alterato del padre ma non era vero, lei non ci stava capendo niente. Chi era Catarina de Wit se non Catarina de Wit? Chi erano loro, allora?
«Ecco ciò che ti devo dire, ma voglio che tu stia calma e che non ti agiti con domande assurde, chi? Chi? Chi? Perché? Perché? Perché? » la canzonò « io ti dico quello che ti è permesso sapere, ogni domanda in più sarà un'ora di punizione. Bene? » lei rimase in silenzio, non avrebbe saputo cosa dire. « Io ti restituisco una cosa che ti tolsi anni fa: il tuo nome, figlia mia. Questa è l'unica cosa reale della tua vita: il tuo nome non potranno strappartelo mai più. Il tuo nome, figlia, è Ekaterina Elena Sergeevna Obraztsova, ed io mi chiamo Sergeij Vladimirovich Obraztsov»
La bambina sembrò accigliarsi un poco, aveva solo nove anni e ancora non capiva bene il senso delle cose, l'avrebbe poi capito a lungo andare e avrebbe continuato ad arrovellarsi sul nome che le aveva appena detto per molto tempo da quell'istante fatale in poi. "Yekatarina Elena Sergevabrassova" ripeté mentalmente, con una punta di soddisfazione. Il padre non lo capiva, per lui quell'essere con due braccia e due gambe, un torso minuscolo, una testa coronata di capelli bruni e due occhi azzurri come l'acqua della Neva era in toto un'adulta in miniatura, mentre, per quanto la piccola Trina, fosse molto brillante non poteva afferrare allora il perché di quel discorso, qualche anno dopo lo comprese, eccome se lo fece. « Padre » disse lei seria « Però mi insegni a scriverlo ». L'uomo sorrise, trovava ironico che, con tutto quello che comportava una situazione simile, lei si preoccupasse di imparare a scriverlo.

L'anziana donna scosse la testa come a voler lasciar che vecchi ricordi scivolassero nel limbo da cui erano ritornati. Circondata da tavolini rosei e da merletti e trine si lasciò andare sulla sedia, cercando una comoda posizione. Era tanto tempo che non vi pensava più, quegli anni portavano solo un tetro e cupo retaggio che la distraeva dai ricordi lieti dei periodi successivi. Le erano tornati in mente mentre ascoltava una matinée dedicata a Schubert. Come suo solito aveva saccheggiato dal programma ciò che le interessava, rimanendo giusto il tempo di sentire il quartetto Der Tod und das Mädchen, e poi si era diretta all'appuntamento. L'esecuzione l'aveva toccata più profondamente di quanto volesse confessare anche a sé stessa. Alzò la manica, della giacca grigia, del tailleur grigio antracite, che indossava, e guardò il Reverso che brillava sotto la seta bianca della camicetta, nel quadrante la più corta striscia d'oro lambiva il cinque mentre la lunga, dei minuti, arrancava verso il nove disegnato in oro, come di consueto la lancetta dei secondi sembrava girare vorticosamente, ubriaca. Il programma del concerto sbucava ancora, solo per un angolo, dalla borsetta in coccodrillo.
La pioggia picchiettava sui vetri incastonati nelle aste di legno, tinte di rosa, e dentro, stretti l'un l'altra per difendersi, idealmente giacché il clima interno era riscaldato da un caminetto scoppiettante, dalle ultime grinfie stanche del gelo invernale, i piccioncini tubavano ammantati dai fumi tenui e dai colori pastello. Ekaterina sbuffò. L'odore della sua crema per le mani al cedro del libano e delle sigarette senza filtro si spargeva come un'aura mefitica costantemente ostacolata dai profumi dei tè, dei dolci, che sembravano scivolare, sui vassoi, di tavolo in tavolo e spargersi di bocca in bocca. Il piccolo tavolino che aveva prenotato era posto lontano dalla finestra ma, comunque, riusciva a veder la strada . Attendeva assorta già da qualche minuto ma preferiva aspettare rispetto ad essere aspettata, in certe occasioni. Rufus l'aveva accompagnata fino alla porta del locale e, incoraggiante, aveva chiesto
« E' sicura, Signorina? » lei aveva chiuso « Ricordati del vestito che ho in sartoria, Rufus, vallo a prendere prima che chiuda» . Ed eccola lì, seduta a ricordare di ere passate conclusesi nel sangue. "Questa è l'unica cosa reale della tua vita, il tuo nome: nessuno potrà mai più strappartelo" lei aveva fatto di peggio, a suo padre, aveva divelto quel nome da ogni fibra del suo corpo. L'aveva condannato e nessuno sapeva che fine gli fosse toccata, nessuno eccetto lei. Era stata una figlia ingrata? Figlia carnefice di un carnefice? Nessuno avrebbe potuto dirlo ma non era pentita. Ogni cosa che aveva fatto era stata necessaria e non ci si può pentire delle necessità: una cosa necessaria va fatta a prescindere dal godimento, o dal disgusto, che si prova nel farla. Ekaterina era sopravvissuta per tanti anni perché aveva saputo capire questa regola che trascende la morale e l'etica, supera le leggi di una comunità e raggiunge il senso del divino. La donna aveva sempre creduto in un dio crudele, vendicativo, creatore imparziale, spietato, e incapace di perdono, aveva, insomma, creato dio a sua immagine e somiglianza. Ripassò mentalmente alcune parti di ciò che avrebbe detto di lì a poco alla giovane ma, improvvisamente, la sua testa si vuotò di ogni immagine e discorso persuasivo, la mente vagò vacua. Perché l'aveva convocata? Cosa avrebbe potuto dirle? Era d'accordo con l'Ekaterina di trent'anni prima: ciò che c'era in quel fascicolo doveva rimanere in quel fascicolo, non poteva essere disvelato, certo non così presto. E allora cosa?
Improvvisa nacque in lei una nuova idea. Sì, avrebbe fatto così.
Si rilassò sulla sediola appoggiando i gomiti sui braccioli di legno e si concesse di lanciare uno sguardo disgustato a ciò che la circondava. La mano corse istintivamente al portasigarette
. "Maledetto vizio! Maledetto, dolce, vizio" pensò ritirando la mano con un sorriso teso sulle labbra.

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Edited by Katherine Lee-Carter - 28/4/2019, 12:11
 
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The Death and the MaidenCasey Bell▴14 anni▴Madama PiediburroUna sera di Gennaio, Sala Comune.
Le ragazze erano acciambellate sul divano e le poltrone, sparse attorno al fuoco in attesa di prender sonno. Alcune sfogliavano dei libri, altre armeggiavano con delle spazzole, altre parlottavano e lanciavano sguardi equivoci oltre la loro bolla sociale, sulle schiene e le nuche dei ragazzi piegati sui compiti e gli scrittoi. Qualcuna sfilava per mettere in bella mostra il pullover o la mantellina regalatale dai parenti a Natale, o faceva passare di mano in mano un nuovo ciondolo per permettere a tutti di ammirarne i luccicanti dettagli.
«Questo ciondolo raffigura Excalibur, la spada di Artù. Mio padre me lo ha regalato, proprio per il mio nome». La voce squillante di Nimue fece alzare un po' di teste dai tomi di Storia della Magia e di Pozioni. Ben pochi però erano effettivamente interessati all'argomento, e dopo aver scorto la testolina bionda della tredicenne muoversi a ritmo con le proprie vanterie, ritornarono ad ascoltare nelle loro teste il tono monocorde di Peverell e quello pacato di White.
«Mi hanno chiamata così in onore della Dama del Lago. E vi dirò di più: mio nonno ha detto a mio padre che suo nonno era un pro pro pro pro nipote della Dama del Lago. Non vi sembra assurdo? Cioè, io sarei la sua pro pro pro pro pro...».
Le parole sfumavano nell'ambiente come il fuoco perennemente acceso del camino della Sala Comune e, assieme al calore emanato da questo, facevano lentamente chiudere gli occhi degli studenti. Si passava da un argomento all'altro, si sorseggiava un po' di camomilla, ci si sforzava di mandare a memoria l'ultimo paragrafo prima di andare a letto, ma nemmeno - e forse soprattutto - i racconti su possibili avi di spicco dell'antica Britannia sarebbe riuscito a strapparli dalle braccia di Morfeo.
«Casey, tu che hai ricevuto a Natale?».
«Una stecca di sigarette». Fu un istantaneo botta e risposta, e non perché fosse sincero: il sarcasmo si poteva tagliare col coltello. Ma quel sorrisetto stampato sulle labbra e la freschissima nomina a Prefetto non riuscirono a riscuotere le solite occhiatacce e battutine sul fatto che "si comportava così perché aveva bisogno di attenzioni". Nimue rise civettuola e si trascinò dietro qualche altra compagna.
«Casey!» sghignazzò «Mi fai sempre morire dalle risate! Però non ci credo che i tuoi ti hanno regalato delle sigarette a Natale. Non è così, giusto?».
Il Prefetto non mutò di un millimetro la piega delle sue labbra, e si limitò a chinare per alcuni secondi il capo per dar adito alla compagna e alle sue velate prese per il culo. Ormai era abituata, sia a quello che alla menzogna. Quattro anni insieme erano tanti per non parlare mai delle rispettive famiglie. All'inizio aveva solo evitato l'argomento, poi, oltre ad evitarlo come la peste, si era ritrovata a dover formulare delle risposte neutre dimodoché nessuno potesse mai veramente interessarsi ai suoi parenti, che in tal caso non esistevano.
«Che nome stano "Casey" per una strega.» continuò Nimue con un tono un po' pungente «Perché i tuoi lo hanno scelto?».
Una leggera onda di bruciore le si adagiò sulla bocca dello stomaco ma Casey, imperturbabile, non mosse un ciglio. Sfoderando l'espressione più naturale e divertita che aveva in repertorio si stiracchiò sul divano, e poi posò i gomiti sulle cosce, avvicinando così il viso a quello di Nimue e delle ragazzine sedute tutt'intorno.
«E io che cazzo ne so?». Qualcuno rise, Nimue no: continuò a fissarla con sulle gote il riverbero dell'affronto. «Probabilmente gli piaceva».
La discussione continuò a scivolare di argomento in argomento, e Casey, ottenuto il suo breve ma insignificante momento di gloria, non vi partecipò. Ogni tanto ascoltava, ogni tanto si eclissava in attesa di far scorrere via certi pensieri e l'invidia nei confronti delle compagne. Anche se le detestava con tutta se stessa, anche se ringraziava Dio o chiunque fosse complice del Fato per non essere come loro, una parte di lei desiderava sapere come fosse indossare i loro panni almeno per un giorno, come ci si sentisse ad avere un nome che esprimesse le gioie e le passioni dei propri genitori e l'appartenenza a qualcosa. Eppure il suo - sebbene posticcio al proprio ritrovamento - era l'unica cosa che sapeva di se stessa: veniva da Kersey, oppure qualcuno l'aveva mollata lì.

***

Casey correva. Il vento freddo dei monti delle Highlands le tagliava la faccia e le schiaffeggiava la nuca. Alcune goccioline di sudore sfuggirono alla rasatura sopra il collo - nemmeno un dito di spessore - che si era fatta fare dopo la visione del Pozzo di San Patrizio. Detestava aspettare e farsi aspettare, ma in quel particolar caso, si era detta, riuscire a cogliere la sua ospite in procinto di arrivare sarebbe stata una mossa furba. Per una settimana le domande create da quell'invito avevano governato la sua mente notte e giorno, e ora, all'apice della tensione - se non dell'aspettativa -, questa ne era talmente piena da apparirle vuota. Perché incontrarsi? Perché lei? Perché lì? Se la signora avesse voluto proporle una somma ancor più profumata del dicembre scorso per farsi dire il nome tanto desiderato, fra profiteroles alla crema e sorsi di tè, sarebbe stato parecchio comico. Osservarla arrivare, constatare in che stato emotivo si trovasse, come si fosse vestita e in che modo si relazionasse a quell'ambiente, mentre lei era comodamente seduta a un bel tavolino ornato di pizzo del Madama Piediburro, forse le avrebbe dato un assaggio di risposta. Sempre se la vecchia avesse lasciato trapelare qualcosa. Quella donna le provocava una miriade di impressioni diverse: durante i loro due brevi incontri l'ottantenne non era riuscita a mantenere una nitida posizione nei suoi confronti; ma considerati gli ambienti e le situazioni diverse che le avevano ospitate poteva esser stato anche un caso o la risposta alle contingenti richieste della società. Sarebbe stato appunto ottimo precederla, ma così non fu.

Fra i veloci e profondi respiri imposti dalla corsa, la vista della signora von Kraus già comoda sulla sua sedia le provocò una smorfia. Non poté far altro che sistemare il ciuffo nero di capelli all'indietro sul cranio, il colletto della giacca di jeans e chiudere la bocca per riprendere a respirare dal naso. Serrò la mascella e i molari scricchiolarono per la pressione.
Non si poteva certo affermare che Casey Bell non provasse nemmeno un po' di ansia per quell'incontro. Proprio nel momento in cui aprì la porta del locale un velo infuocato avvolse il suo stomaco, anche se lei tentò di mostrarsi il più calma possibile, come se stesse andando a spazzolare Julius Marvin in cambio di fusa e carezze. Dunque si avvicinò al tavolino in cui era seduta le donna e le porse un leggero sorriso.
«Buonasera signora von Kraus. Sono in ritardo?».
No, non era in ritardo; forse era addirittura in anticipo. Sarebbe stato inutile e sgarbato rimanere ad attendere le diciassette fuori dal Madama nonostante fosse stata vista. Anche se odiava quell'etichetta imposta ai giovani in presenza di adulti - le ricordava il rispetto arrogato dalle suore e dalle istitutrici in orfanotrofio - rimase in piedi, in attesa che la signora le facesse un cenno per sedersi. Gli occhi verdi fissi su di lei le avrebbero chiesto però silenziosamente - ma esplicitamente - di darsi una mossa.



Edited by Keyser Söze. - 9/5/2019, 00:16
 
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Ekaterina ObraztsovaRussia87 anniPurosangueNeutrale MalvagiaMinisteriale V LivelloLa posizione che occupava nel tavolo le permetteva di vedere la strada, l'aveva scelta apposta. Malgrado fosse sovrappensiero, presa dai mille caleidoscopici riverberi della sua immaginazione, riuscì a scorgere la ragazzina che entrava, la riconobbe facilmente malgrado, o, forse, proprio a causa, del cambiamento nel colore dei capelli. Tanto era stato fatto, dopo il loro ultimo incontro ad Hogwarts, e la piccola non ne sapeva niente * Meglio così * aveva pensato Ekaterina. La ventata di aria fresca che era entrata con la giovane, nonché la situazione in sé, la portò con la mente alla fredda sera del settembre del 2002 quando, sotto il nome di Adelheid "Elke" de Wit (già vedova di Don Luigi Umberto Cavallari e di Francis Ludendbridge), era atterrata all'aeroporto di Londra dopo 15 ore di volo. Aveva viaggiato senza bagagli ed aveva la sua vettura ad attenderla. Schriek era seduto sul sedile posteriore della Mercedes 170s blu scura. L'autista in divisa aveva aperto la portiera accompagnando il gesto con un inchino formale ed un sommesso «Lady Adelheid.» Era la prima volta che rivedeva Heinrich Schriek da quando l'aveva colpita durante l'attentato, e la prima volta che tornava in Gran Bretagna dal 1974. Le loro guance si sfiorarono tre volte sul sedile posteriore « Sono felice di vederla … Donna Adelheid » aveva detto lui dubbioso sull'utilizzo del vezzoso titolo onorifico ereditato dal secondo marito. Il suo antico collaboratore era invecchiato e, probabilmente, era malato: il volto già lungo si era smagrito ed era pallido. « è tutto pronto? » aveva chiesto, senza lasciar trasparire la minima traccia di interessamento circa la salute dell'uomo, accendendosi una sigaretta che avrebbe finito in poco tempo. L'uomo non aveva risposto: si leggeva nei suoi occhi una preoccupazione muta. Si separarono dopo un breve colloquio, poi la macchina, rombando, era partita per raggiungere l'appartamento da lei acquistato al primo piano delle Albert Hall Mansions. L'autista era andato a lasciare la macchina nel deposito, sarebbe tornata a prendere la signora, nel medesimo posto, due giorni dopo e l'avrebbe riportata all'aeroporto dal quale sarebbe ripartita per Hong Kong. L'appartamento era disabitato e, malgrado l'avesse comprato diversi anni prima proprio per quell'occasione, non ci aveva mai messo piede. Superata la cucina, i due bagni ed il salotto aveva ignorato le due camere da letto che davano sul cortile interno e si era diretta verso la stanza per cui aveva comprato l'appartamento: la camera da letto che, posta ad angolo, dava sulla via, sulla piazza e sul limitare del parco. Lì, oltre al letto coperto da un telo di plastica, c'era una poltrona che tirò verso la finestra per godere del panorama. Sistematala era andata in cucina e si era preparata un caffè che, ricordò, era veramente schifoso ma comunque non il peggiore che avesse mai bevuto; era allora tornata nella camera da letto e si era seduta sulla poltrona ad aspettare.
Dopo alcune ore di attesa, non appena si era fatto buio, era arrivato Schriek accompagnato da un suo uomo ed erano stati raggiunti da una terza figura. Era una serata insolitamente fredda e la tensione premeva il fiato di Ekaterina contro le finestre mentre il fumo si levava dalla sigaretta accesa nella sua destra. Le figure al limitare del parco avevano discusso e, dopo poco, Schriek si era allontanato. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo, cosa fosse successo. Mentre osservava assorta la voce di Schriek le arrivò da dietro ma non la fece trasalire.
« Signora. Dice che non l'ha con sé » a queste parole lei si girò fulminandolo con lo sguardo « L'ho visto che non l'ha con sé, razza di imbecille, voglio sapere dove sono e tu ti ingegnerai per fartelo dire. Sono stata chiara?» in uno dei rari scatti d'ira, causato dalla situazione snervante che poteva solo osservare da distante, aveva scagliato la sigaretta accesa contro l'uomo producendo mille scintille che si estinsero prima di toccar terra. « Devi scoprirlo, sei qui per questo. Schriek! Impegnati, maledizione! Promettigli il paradiso, per quanto mi riguarda, tanto non sono promesse che intendiamo mantenere! » lui era tornato là e lei lo vedeva attraverso il vetro. Quella era una missione che aveva organizzato diversi anni dopo la propria uscita dalle scene, aveva richiesto la spesa di vaste finanze personali e l'impiego di vecchi contatti in seno a quel Ministero che l'aveva cacciata, non era un'operazione che potesse veder fallire. Troppi anni di preparazione erano culminati in quel momento e le figure che dovevano essere lì riunite non c'erano. Cos'era successo? Perché non c'erano? Mille e mille domande le si affannavano nella mente, tutte plausibili, tutte reali fintanto che non avesse quella definitiva; e ciascuna di queste domande gettava le sue ombre che gravavano come uno stato di irrequieta calma sugli occhi di Ekaterina che si spostavano di figura in figura. Scorgeva la tensione crescente tra i tre uomini, sapeva che stava per succedere qualcosa: se lo aspettava. L'ansia la spinse a premere le mani contro il vetro come potesse agire in qualche maniera, come potesse cambiare il presente.

« No, non è affatto in ritardo, Signorina Bell » disse guardandola negli occhi senza abbassare lo sguardo; facendo scivolare il ricordo lontano, come non fosse nemmeno riaffiorato dal profondo della memoria . Prima di farla accomodare si concesse di guardarla nella sua interezza, squadrandola senza educazione: come stesse studiando un pezzo di carne dal macellaio. Poi, solo allora, alzò la mano con il palmo rivolto verso l'alto « Prego, si accomodi. Sono felice che mi abbia fatto il piacere di essere mia ospite » il tono era accomodante e pacato, simile a quello che aveva usato alla commemorazione ad Hogwarts. Non sapeva come rapportarsi ad una così giovane donna, che linguaggio usare e come porsi. Con i suoi nipoti non era mai stato un ostacolo giacché la paura e l'ordine facevano da collante e non aveva necessità di conquistare la loro simpatia né le interessava.
Lei da giovane era stata piuttosto sui generis, avrebbe potuto definirsi anche ribelle, ma aveva sempre mantenuto contegno e riservatezza. La giovane che si trovava davanti, con la sua giacca di jeans, era qualcuno che avrebbe mantenuto dignità e contegno? Su di lei non aveva alcuna autorità e, anzi, aveva mostrato subito dei comportamenti che, avesse saputo, avrebbe trattenuto nascosti fin tanto che la giovane non fosse stata avvinghiata nella sua tela.

L'anziana donna sentì il cuore che batteva, come sotto l'impulso di quella irrequieta calma che spesso aveva vissuto, e affrettava sempre più. Lei, prendendo un respiro silenziosissimo, tirò le redini di quel galoppare ma quel mare magnum di aspettative e emozioni ribolliva in lei, comunque, indocile.
« Spero che questo posto le sia gradito, confidavo ci fosse meno… fauna. Pensavo che il tè fosse una bevanda ad appannaggio dei miei coetanei, più che dei suoi » A quel punto, e solo allora, tirò le fila di ciò che aveva osservato. La luce calava addosso alla giovane riempiendola di ombreggiature, di chiaroscuri segnati dagli spigoli del volto. I capelli scuri, gli occhi verdi e intensi coronavano l'elenco di punti salienti che erano guizzati all'attenzione della donna ma non smetteva di riflettere e, probabilmente, avrebbe frugato quel volto in cerca di altro. Chi avrebbe potuto immaginare cosa vi avrebbe trovato?

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Edited by Katherine Lee-Carter - 10/5/2019, 23:08
 
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The Death and the MaidenCasey Bell▴14 anni▴Madama PiediburroOcchi di ghiaccio e occhi verdi ribollenti di vita si incontrarono e rimasero incastonati l'uno nell'altro per molto, troppo tempo. Il sopracciglio nero si inarcò quasi impercettibilmente, una dubbiosa fossetta si scavò fra i muscoli della fronte, lasciando percepire quanto la ragazzina fosse attenta e desiderosa di informazioni in quel frangente.
Ekaterina, dal suo posto, l'aveva seguita con lo sguardo sin dal momento in cui ne aveva visto sbucare la capigliatura sbarazzina dalla finestra, e non l'aveva persa un attimo. Tuttavia, nonostante le sue pupille seguissero il giovane corpo come un segugio, apparivano vuote del presente. Una sensazione che morì presto nella giovane, quando i dettagli del volto si ricongiunsero alla consueta espressione baciata dal disgusto.
Casey si sedette senza dire una parola. Accavallò arrogantemente le gambe poggiando il piede destro sul ginocchio sinistro, aderì perfettamente - e con una certa forzatura - la schiena all'imbottitura della sedia e incrociò le mani in grembo. Il viso perpetuava il proposito di rimanere imperturbabile. Cominciò a sentirsi a disagio proprio in quel momento, faccia a faccia con la vecchia signora - in un locale per fidanzati.
Mantenne quel mutismo anche dopo la frase successiva della donna. La sua voce accomodante, infatti, le giunse alle orecchie come un sonoro campanello d'allarme, e si convinse del fatto che si trattava solo di una maschera costruita - in ritardo. Ciò che aveva visto da Sinister non poteva essere nulla di più dissimile dalla vecchietta gentile con cui aveva avuto a che fare le ultime volte, e le motivazioni potevano essere due: o Ekaterina si era resa conto di qualcosa, oppure era una persona dal carattere instabile, cosa molto probabile considerata l'età. E la piccola non riteneva salubre per nessuna delle presenti temporeggiare e rimandare la risoluzione dei dubbi. Lo sguardo attento e la fronte aggrottata puntarono la donna e non si mossero di un millimetro. Avrebbe scoraggiato ogni camuffamento.

Diffida, diffida sempre. Non gliel'aveva mai detto nessuno per esplicito: era una mantra che l'esperienza aveva assodato come il migliore, in particolar modo nei confronti degli adulti, e applicabile in tutti i contesti.
Un angolo della bocca si alzò, contraendo una delle sue guance paffute e rivelando un ghigno. "Fauna" era proprio il termine giusto per definire le persone che le attorniavano.
«Qualsiasi posto va bene quando si hanno gli ormoni sparati a mille» disse. Oh, lei conosceva molto bene quella tipologia appetiti fanciulleschi. Tre mesi con Camillo sembravano pochi visti da fuori, ma stupido era chi credeva che la fame di contatto reciproco non glieli avesse fatti vivere come anni.
Ovviamente Ekaterina non sapeva. Meglio così.
Sorridere fu un ottimo modo per sciogliere la tensione, ma anche di convincere l'altra che non sarebbero arrivate subito al punto della questione. Continuò a fissarla, lottò con ogni muscolo del suo corpo per rimanere dritta e non piegarsi sul menù delle bevande come suo solito. Tentò di mostrarsi integra. Probabilmente la vecchia ottantenne non si sarebbe mai sentita intimorita al cospetto di una quattordicenne che peccava di arroganza, ma il messaggio le sarebbe arrivato chiaro e forte se gli acciacchi dell'età non avevano ancora intaccato le sue facoltà percettive: non mi piego, anzi, sono scettica.
KC sentì le estremità del viso formicolarle e la punta della lingua scottarle per La domanda che per una settimana l'aveva assillata. Non vi sarebbero state cerimonie, né cortesie come "Grazie per avermi invitata in questo splendido posto" o "La trovo molto bene", e neanche un grezzo "Come va la vita?" buttato lì. La fissò seria e chiese: «Perché sono sua ospite.

 
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Ekaterina ObraztsovaRussia87 anniPurosangueNeutrale MalvagiaMinisteriale V LivelloCon lo sguardo la seguiva mentre si sedeva, buttando indietro il corpo, accavallando le gambe in maniera piuttosto mascolina. Ekaterina, di contro, si presentava in posa classica, rigida, pur se un po' ingobbita dal tempo e dolorante alle gambe. Gli occhi, agilmente, scandagliavano le forme che il volto della giovane donna davanti a lei assumeva.
Al sentire la replica della ragazza alla sua affermazione circa le coppiette Ekaterina si prestò ad una risata secca, impostata. Pragmatismo e forse una punta di cinismo puntinavano quella frase, entrambi erano nel pieno rispetto dei gusti della vecchia signora. Armi che brandiva in quel suo stile tutto passivo-aggressivo, come si conviene ad una signora.
« Tutti in fregola, ha perfettamente ragione! » disse sempre sorridendo. Che si ricordasse non era mai stata vittima di quella frenesia. Non c'era mai stato un fremito sfiorando la mano di Faustus o di un altro uomo, non aveva mai inseguito, come facevano le altre con lo sguardo, i bellocci. Certo provava attrazione fisica ma mai incontrollabile. C'era sempre qualcosa che le permetteva di girarsi e andarsene o di allontanarsi senza dare a vedere il proprio interesse. Decisamente non aveva mai avuto un periodo giovanile durante il quale provasse quella miriade di emozioni: le sue emozioni erano state castrate, recluse, incatenate e costrette dentro la parvenza di civiltà e, questa volta, non suo padre ma lei era la carnefice. Così aveva educato i suoi figli: interiorizzare è sempre meglio che esternare. Gioia, felicità, amore, eccitazione possono essere controllati e mascherati, nascosti, sopiti così come una fiamma che lentamente viene privata dell'aria e si spegne, perché solo gli animali non hanno controllo ed il controllo su sé stessi è la più alta forma di potere.
La folta capigliatura nera sembrava indocile e risvegliava alcune memorie nell'anziana donna ma questa volta Ekaterina non permise ai suoi ricordi di prendere il timone della sua mente e rimase salda, come un timoniere nella tempesta, alla guida.
Fortunatamente era riuscita nel farlo perché l'ondata decisiva giunse dalla ragazza. Rigidamente e, quasi, scompostamente gettata sulla poltrona a vaga rassomiglianza di un rigido burattino incastrato nelle sue pose asimmetriche, fissando sul volto dell'ottantasettenne uno sguardo degno d'un leone in fieri, gettò la domanda che, come una scossa tellurica, rischiò di conquassare tutte le verità della donna.
"Perché sono sua ospite?" chiese mettendo un indecifrabile quid di enfasi sull'ultima parola, ripresa dalla cortese asserzione fatta da Ekaterina pochi istanti prima.
« Perché avevo piacere che lei lo fosse, chiaramente » disse, con un moto di orgoglio nella voce che, pur se dissimulato, faceva capolino attraverso le parole. Poi si aprì in un sorriso impostato « Iniziammo una conversazione, ad Hogwarts, e avevo piacere di continuarla. »

Si sforzava, il più possibile, di sottomettere a sé quella parte indocile e selvaggia, quasi violenta, che la spingeva alla crudezza nell'esprimersi e spolverò la più dolce e accomodante espressione vocalica che la sua voce, seccata e mozzata dai cinquant'anni di sigarette senza filtro, potesse formulare. Sorridendo osservava, e studiava, il volto della ragazzina che le sedeva di fronte. Le sembrava strano darle del lei eppure non aveva altro modo di concedere dignità.
« Spero che nella stanza messa a disposizione dal Professor Peverell abbia trovato ciò che cercava.» Non si sarebbe ricordata quest'ultima informazione se non se la fosse segnata nei suoi fascicoli. Ormai erano più che una stampella per la sua memoria. Immaginò che questo non fosse il modo migliore per presentarsi. A nessuno piaceva che una sconosciuta scandagliasse gli eventi della nostra vita, come grufola un maiale nel fango sotto il truogolo in cerca dell'ultima ghianda sfuggita alla sua famelica attenzione, eppure Ekaterina si disse che se alla ragazza piaceva andare fino al punto, sarebbe stata … deliziata dall'invadenza prorompente della donna. A quel punto prese il menù che riposava sul tavolo, e disse:
« Io credo che prenderò un tè alla menta, o saprebbe consigliarmi di meglio? » Sapeva che cambiar discorso avrebbe sortito un particolare effetto in chi l'ascoltava. Ebbe terrore di sapere quale polta infernale le venisse propinata come tè ma, vedendo cuoricini e nuvolette ovunque, pensò che, se avesse voluto evitare di saltare per aria, dell'acqua con delle foglie in infusione sarebbero state quelle meno pericolose: potevano soltanto ucciderla.

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"Perché sono sua ospite?"
"Perché io volevo così"
SBAM PIZZA IN FACCIA
"Bugiarda!"
* come mi immagino la scena*
 
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*She keeps her Moet et Chandon
In her pretty cabinet
"Let them eat cake", she says
Just like Marie Antoinette
A built-in remedy
For Kruschev and Kennedy
At anytime an invitation
You can't decline*


Mentre osservava la vecchia sfogliare il menù del Madama dalle trame fiorite, KC si chiese per quale caspita di motivo le fosse venuta in mente quella canzone. Ah, quanto amava i Queen, li avrebbe ascoltati dalla mattina fino alla sera lì al castello, se solo nel Mondo Magico gli smartphone non prendessero fuoco in tempo due secondi come cuccioli di Ashwinder appena nati...
Ma ora torniamo al dunque: perché le era venuta in mente quella canzone?

*Caviar and cigarettes
Well versed in etiquette
Extraordinarily nice

She's a Killer Queen
Gunpowder, gelatin
Dynamite with a laser beam
Guaranteed to blow your mind*


Ah, già. Con l'aggiunta di una bella maschera di tele di ragno sul volto, Ekaterina era la perfetta personificazione della Killer Queen della canzone: fumava come una ciminiera ambulante, sempre composta e con un cipiglio pungente smussato dall'autarchia imposta su ogni più piccolo muscolo, buone maniere stese come un candido velo fin troppo aderente su statue deformi, tanto per infondere ancor più timore nello scoprirne le fattezze. E questo era solo l'assaggio che la piccola Grifondoro aveva avuto della vecchia russa, considerato che era totalmente all'oscuro del suo passato e dei suoi tempi record nello scuoiare viva una persona. Ma questi erano dettagli.

*Recommended at the price
Insatiable an appetite
Wanna try? ---- No, grazie*


Eppure era lì. La vecchia Acromantula era riuscita ad attrarla nella sua tela, e scappare sarebbe stato impossibile. La curiosità era una brutta bestia, un peccatuccio per cui si poteva anche morire! Non era quello il caso, ma Ekaterina era stata in grado di sfruttare la sua piccola debolezza, chissà a quale fine. Il motivo, KC, continuava a chiederselo, proprio perché quel sorrisetto accomodante le metteva un'ansia addosso degna di pollo di fronte a una mannaia, e perché la risposta alla sua domanda era stata detta in una maniera così semplice da render fuori luogo ogni plausibile insistenza.

*To avoid complications
She never kept the same address
In conversation
She spoke just like a baroness
Met a man from China
Went down to Geisha Minah
Then again incidentally
If you're that way inclined*


Che si trattasse di uno sprazzo di consapevolezza mantica - in assiduo tentativo di affiorare alla superficie sfruttando i personalissimi codici del target - o di una pura coincidenza, la conferma che Ekaterina fosse la giusta dedicataria di quella canzone le arrivò subito.

«Spero che nella stanza messa a disposizione dal Professor Peverell abbia trovato ciò che cercava».

Eccola lì, la frase a effetto, la vendetta che surfava sulla lingua inarcata e stretta contro il palato, ansiosa di limare la sua cresta. Se non le fosse stato chiaro che la vecchia l'aveva vista scappare via sconvolta da quella saletta, almeno avrebbe potuto pensare a un sottile ammonimento per averla mollata nel bel mezzo di un "discorso", mirato a zittirla col senso di colpa - anche se non le era del tutto cristallino cosa avrebbero potuto condividere due tipe come loro. *Touché* pensò, ma se Ekaterina voleva condurre il gioco, allora dove voleva portarla?

«E' stata un'esperienza piuttosto... costruttiva. Probabilmente anche lei l'avrebbe trovata intrigante se ci fosse entrata».

Pensò di rispondere a tono, forse più per stupidità che per furberia. Ad ogni modo ciò che aveva carpito su quello specchio le era valso come propulsione al non darsi più la possibilità di autocommiserarsi per le proprie mancanze, in particolare su ciò che erano i suoi obiettivi scolastici. Era stata dura ammettere di essere una scansafatiche - una di quelle buone -, causa il suo impenetrabile orgoglio; e ciò l'aveva portata a credere che il famoso "dono" messo a disposizione di tutti gli invitati da Peverell fosse in realtà una sorta di giudice oggettivo in grado di penetrare le menti e di elencare mancanze e i difetti delle persone, così da invogliarle a darsi dei nuovi buoni propositi per l'anno nuovo - o per trovare subito gente con la coscienza sporca e arrestarla, dopo l'assurdo attacco subito da Hogwarts. Questo ragionamento mancava di una piena consapevolezza della sua soggettività, ma la ragazzina era convinta che Ekaterina avrebbe trovato una bella gatta da pelare in quello specchio se ne avesse esperito le proprietà. Se la immaginò proprio così, a parlare col suo riflesso:

Specchio: «Come hai anche potuto pensare di corrompere una piccola, giovane, innocente ragazzina per una semplice cappa?».
Ekaterina: «Ma, io, veramente...».
Specchio: «Vergognati!».


Il piedino continuò a muoversi a tempo seguendo la scia lasciata dalla voce di Mercury nella sua testa - provò anche ad immaginarsi la vecchia con una di quelle tutine aderenti, leopardate o a scacchi, girare attorno al suo bastone da passeggio come se fosse l'asta di un microfono, ma la situazione attuale non le permise nemmeno di avere l'impulso di ridere. Tesa, al cospetto di quella donna, e ansiosa di scoprirne i fini, si rese conto di avere lo stomaco ritorno e per nulla propenso a ricevere una qualsivoglia forma di vivanda. Ebbe persino un attimo di sconforto nella disperata ricerca di una consumazione all'altezza della signora, che non riuscisse pure a metterle in imbarazzo. Di fatto, le avrebbe consigliato i fantastici profiteroles che erano riusciti nel farla legare con Drinky, ma, oltre al fatto che non avrebbero attecchito con la vecchia e lei, avrebbe pagato cento galeoni pur di non vederle la faccia incorniciata da cuoricini palpitanti. In quel cavolo di locale non c'era niente di adatto a quella situazione.

«A meno che non voglia correre il rischio di innamorarsi di me o del cameriere per un'ora o due... il tè è ottimo. Penso che lo prenderò anche io».

 
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L’aveva notata dal momento in cui la cotonatura aveva sfiorato il sonaglio di putti seminudi posto alla sommità della porta d’ingresso. Non che fosse possibile fare altrimenti, del resto! La sconosciuta di veneranda età che si era spinta fin dalla Piediburro non era soltanto una cliente atipica per quel covo d’innamorati, ma era anche il pezzo di donna più raffinato che avesse mai visto in tutta la sua vita. E, per chi aveva trascorso buona parte della propria vita come esploratore nel folto delle foreste selvagge, equivaleva a imbattersi per la prima volta in un taglio di Kobe finemente cucinato. Aveva la salivazione a tremila.

«Merlino, Fülke! Avrà più del doppio dei tuoi anni. Che diavolo ti passa per la testa?»

L’espressione disgustata di Göpf non avrebbe potuto essere più esplicativa: se mai si era fatto toccare dal dubbio che il collega fosse matto come la vittima del canto di uno Fwooper, adesso poteva dire di averne avuto la conferma. Possibile che i sedici mesi trascorsi nell’ultima, remota, segretissima località da esplorare per conto del Ministero ne avessero provato a tal punto il corpo da incidere anche sulla psiche?

«Capisco che non vediamo una donna da più di un anno, ma cercati una coetanea. Quella ha l’età di mia nonna e non tanto per dire. Sarà anche distinta, ma… Porca fenice, non ci credo che ti sto facendo questo discorso!»

Fülke, in tutta risposta, ebbe l’ardire di alzarsi. Non aveva sentito una sola delle argomentazioni di Göpf, intento com’era a capire come avvicinarsi a quell’elegantissimo esemplare di stagionatura umana. Era sicuro che sapesse di tartufo!
L’attimo di distrazione di un garzoncello gli offrì l’occasione che cercava. Afferrati un tovagliolo di stoffa col bordo di trine e il vassoio derelitto dello sbarbatello, raggiunse il tavolo presso il quale sedevano Casey ed Ekaterina giusto in tempo per cogliere l’ultimo scambio di battute.

«Anch’io gradirei un po’ di te esordì, esibendo un’attitudine da cameriere, sporcata appena dalle intenzioni lascive che gli deformavano il volto mentre osservava la Obraztsova.

«Ma che diavolo!» Il ritorno e il conseguente intervento del garzone furono provvidenziali. Gli tolse il tovagliolo e il vassoio di mano e gli riservò un’occhiataccia della peggior specie. Da quando li aveva visti entrare, lui e il suo compare vestito di pellicce, si era convinto a tenerli d’occhio; e non era nemmeno una gran sorpresa che, alla fine, avesse avuto ragione. L’avrebbe rinfacciato alla Piediburro, che aveva liquidato le sue obiezioni con un “Sii più dolce, tesorino, e la vita si addolcirà”. In lontananza, Göpf preferì nascondere il viso dietro la torre di profiterole che gli avevano appena consegnato. «Cosa sta facendo? Torni al suo tavolo. Lasci stare le nostre clienti.» Il cameriere, mortalmente serio, osservò Fülke indietreggiare in preda ai ridacchi e non distolse lo sguardo finché non si fu accertato di averlo visto mettersi a sedere. «Chiedo scusa a nome di tutto il locale,» esordì, rosso in volto tanto per la rabbia quanto per la mortificazione. «Ditemi pure cosa posso fare per voi e mi assicurerò che il vostro ordine abbia l’assoluta priorità.»

Fülke, dalla distanza, afferrò un profiterole con le mani e lo addentò senza staccare gli occhi da Ekaterina.





Ordinate ufficialmente, ditemi dal conto di chi scalo e vi aggiorno tutte. :bello:


Edited by ~ Nieve Rigos - 26/6/2019, 12:45
 
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Ekaterina ObraztsovaRussia87 anniPurosangueNeutrale MalvagiaMinisteriale V Livello« Sì » disse sibilando tra le labbra serrate « Ho potuto … apprezzare il menù zeppo di pozioni dai più raccapriccianti effetti. » fece con una smorfia sardonica in volto.
Mentalmente stava radunando tutti i suoi argomenti e li schierava ordinati davanti a sé, come generalessa che sfiora con lo sguardo i drappelli e le balze del terreno di battaglia e si fissa sulle mura della fortezza nemica. Le mura solide del pensiero non variavano con l'avanzare dell'età, come le barriere delle fortezze, ma dall'inclinazione del carattere di chi si trovava di fronte. E perciò nel suo cuore tamburellava una sola domanda: "Quanto avrebbe resistito all'assedio?" Quale tattica sarebbe stata quella vincente per sconfiggere il nemico ed assoggettarlo alla propria bandiera? Guardò le menzogne che teneva in serbo, come i cadaveri dei nemici che avrebbe utilizzato per avvelenare le risorse idriche, e comprese che, per prima cosa, avrebbe dovuto saggiare le difese della cinta muriaria. Avrebbe usato quella strategia come ultima risorsa.

« Lei trova sia stato costruttivo? » chiese curiosa « In quale maniera? Io l'ho trovato uno scherzo di cattivo gusto, molto immaturo. Le recriminazioni hanno presa facile sugli insicuri, quello specchio valeva quanto il pensiero del popolo che ci circonda » prese una pausa « Lei non si sente a posto con sé stessa? Così giovane e ha già delle recriminazioni? »

Si accorse di essersi protesa in avanti quando ormai l'aveva fatto, assumendo una posa rapace niente rassicurante. Allora si tirò indietro con un gesto disinvolto e fluido, niente affatto veloce. Lo sguardo, comunque, rimaneva affamato del volto della giovane e si impuntava, invadente, a setacciare ogni aspetto del viso e del corpo.
Concentrata com'era sulla giovane non aveva notato nulla dell'evento che si stava consumando nella sala - una mancanza inaccettabile - e quando sentì
«Anch’io gradirei un po’ di te,» non si voltò nemmeno a guardare la persona da cui proveniva la frase e, certamente, non si premurò di riflettere, circa ciò che aveva udito, prima di rispondere .

« Sì del tè, grazie. Ed un posace- » Poi si fermò e si voltò, simile ad un gufo, verso l'uomo che la fissava con lascivia. « Come ha detto? » Era sicura di aver sentito bene, e lo fu ancora di più guardando l'espressione inebetita dell'uomo, aveva davvero detto "gradirei un po' di te". Ekaterina era incredula. Se qualcuno tra coloro che conoscevano l'anziana da più tempo l'avesse vista ora avrebbe potuto giurare che un po' di colore avesse cominciato a prendere piede sulle guance e sul naso; che si trattasse di ira o altro nessuno lo poteva sapere, nemmeno lei stessa.

Chi era quell'uomo che, così, si presentava al suo tavolo? Cosa pensava di fare con una frase del genere? La tensione che fino a quel momento si era creata nei suoi muscoli e nella sua mente si sciolse. Mentre lo fissava totalmente interdetta, allibita, stupita e infastidita iniziò a muoversi una ruga della guancia, seguì il corrispettivo sull'altra. All'inizio pareva un colpo di tosse, stranamente muta, poi divennero due, tre, e continuarono fin quando la donna non esplose in una risata tonante, quasi sguaiata. La risata incredula, pian piano, si affievolì e la donna rimase a guardare, con'espressione mista di derisione e divertimento, il personaggio che tanto incautamente aveva proferito quella frase. La mano sinistra della donna era scivolata a giocare con le perle che aveva attorno al collo, mentre il gomito era poggiato sul bracciolo.

Il destinatario di quella risata venne scacciato dall'addetto alla sala prima che Ekaterina potesse dire ciò che pensava di lui, prima che potesse uscirsene con un vuoto "Lei non sa chi sono io!" o un "Ho ucciso per molto meno" e, in realtà, l'intervento del cameriere, che privò l'intruso del fazzoletto e del vassoio, la tolse dal problema di dire qualcosa, giàcché senza parole, effettivamente, era rimasta.
Tornò immediatamente seria e assunse un modo severo « Lei ci chiede scusa a nome del locale? Vorrei ben vedere! Lasciarci in balia di un lunatico, altro che scuse! » non smise di stuzzicare le perle con le dita e deglutì disgustata quando vide il "lunatico" azzannare il profiterole con voracità ferina. « Lo guardi! È inquietante! Ma la colpa non è di quell'uomo, è più giusto prendermela con un miserabile che è evidentemente cresciuto all'ombra o con l'addetto di sala che, lasciando il suo posto per negligenza, ha permesso che si compisse il delitto? » malgrado queste parole e lo sguardo di disgusto, gli occhi non riuscivano a staccarsi da quella scena che scivolava verso il perturbante. Era come quando, da bambina, trovava le carcasse dei polli attaccati dalle volpi: per quanto la disgustassero non riusciva a smettere di fissarli e questo la faceva sentire strana; erano grotteschi nelle loro pose scomposte contornati di piume sparse e insanguinate. Eppure ogni volta che varcava la porta un brivido di speranza la coglieva quando usciva nel parco sperando di trovarne uno.
« Accettiamo le sue scuse, caro. Per questa volta passeremo sopra alla sua sbadataggine. » tagliò corto, addolcendo l'espressione ed il tono, mentre girava nuovamente gli occhi sul cameriere. Il tono con il quale continuò era ammorbidito e civettuolo, forse nascondeva un certo vivido divertimento per l'esperienza al di fuori della normalità, difficile a dirsi, « Per me vorrei un bicchierino di Cherry Heering, del té alla menta ed un posacenere, caro. E per la signorina un tè ... non è così? E' possibile avere anche alcuni biscotti che non producano effetti tipo cuoricini svolazzanti o nuvolette e puttini? Non ho più l'età per sopportare certe emozioni. » si voltò verso la ragazzina che non aveva più considerato da prima dell'intrusione. Attese che Casey dicesse la sua ordinazione e poi concluse « Porti il conto a me, la signorina è mia ospite.»
Lasciò ancora gli occhi indugiare sullo spettacolo che si stava svolgendo ai danni del profiterole.

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view post Posted on 26/6/2019, 10:34
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The Death and the MaidenCasey Bell▴14 anni▴Madama PiediburroQuando la donna si sporse sul tavolo avvicinandosi a lei, Casey si protrasse istintivamente e si poggiò nuovamente allo schienale. Un breve sussulto la indusse ad accavallare le gambe in una posizione più composta, stringendo coscia contro coscia come in difesa, e le palpebre, dopo aver accennato qualche battito più frenetico, si incurvarono per dar sfogo al suo fastidio. Non faceva alcuna fatica ad esplicitare pensieri e pareri su chi le stava di fronte, in particolar modo se la persona in questione non le stava per nulla simpatica. A parere suo, questa poteva essere persino in grado di meritarselo, come se quanto il suo io provava in presenza della suddetta fosse in realtà il sentimento generale. Il caso di Ekaterina però era particolare: circostanze ed attenzioni sospette, un gap di età che non poteva esserle indifferente e la costante sensazione di essere messa alla prova. E di fatto era così.
Ekaterina aveva un modo di imporsi subdolo. Infingarda, strisciava e si infilava sotto le vesti del suo interlocutore per carezzarne la pelle lì dov'era più sensibile, abraderne ogni crosta per leccarne il sangue e inocularvi il veleno delle sue fauci; poi, austera e composta, si raddrizzava e lasciava la sua bestia, ormai domata, ragionare a briglie sciolte secondo il suo volere. Emanava paura, emanava rispetto. Sembrava un essere puramente razionale, la persona giusta a cui affidare la propria vita per farla condurre al meglio, nonostante in quegli occhi di un azzurro ghiacciato si schiudesse una monocromia di follia. La piccola KC, però, non era un cavallino da domare; e anche se lo fosse stato avrebbe scalciato, forte e convulsamente, al fine di schiacciare la testa del serpente.
«Niente mi può scalfire ma solo migliorare» fu ciò che rispose, dando la parvenza di una difesa, non solo della propria posizione in merito alla questione ma anche della propria persona da una perfetta instabile sconosciuta quale Ekaterina era. La voce ferma, sicura, accompagnò un movimento in ascensione del corpo, atto a riacquisire una posizione più umana. Il tono, invece, era straordinariamente positivo. «Persino la critica più aspra e falsa del mio peggior nemico può arricchirmi, se l'accolgo senza arroganza».
Simili parole dette da una ragazzina di quattordici anni potevano suonare strane, ma erano il germoglio di un senso morale innato nutrito dalla tendenza ad una violenta critica contro se stessi. Sebbene orgoglio e accettazione cozzassero in lei come una nave contro una scogliera durante una tempesta, mesi di autocommiserazione passati a rimuginare su quelle che riteneva le sue sconfitte le avevano sempre permesso di riapparecchiare le proprie credenze. E proprio perché lei era la regina dell'arroganza un'elaborata perla di saggezza come quella da inculcare, sfoggiando una ricca umiltà, a una signora di ottant'anni poteva essere motivo di un rinnovato e più forte orgoglio.
«O no? Certo che ho delle recriminazioni nei miei confronti. Sarebbe strano se non ne avessi, come se noi tutti nascessimo candidi e puri, come se...».
La brusca interruzione del suo discorso avvenne alcuni attimi prima che l'uomo, tanto irsuto da apparire un orso dal pelo fulvo, giungesse a porre la sua ordinazione. KC rimase a fissarlo imbambolata, come se non avesse mai visto un maschio in vita sua. Avvolto in una pelliccia, con la barba e i capelli inselvatichiti e due cicatrici che gli scavavano il volto dall'orecchio sinistro al sopracciglio destro, era proprio inverosimile come pretendente della mano di Ekaterina. Non appena Fulke svelò le sue carte la ragazzina ebbe l'improvvisa necessità di ridere come una matta, ma siccome matta non era - almeno non così tanto da rischiare di accaparrarsi l'antipatia della vecchia per una presa per il culo più adatta ad un compagno di classe - si trattenne e si infilzò le unghie della mancina nella carne della coscia. Inverosimile, anzi, fu la risata della russa - Ekaterina era in grado di ridere? - e ne seguì incredula il crescendo finché non prorompé in tutta il suo fragore. Un leggero accenno di riso le incurvò all'insù gli angoli della bocca aperta per l'ilarità del momento, ma ad esso si sostituì repentinamente un'espressione di sdegno per il duro richiamo che le sentì fare al cameriere. Rimase zitta a guardare la scena e il colorito del povero ragazzo farsi sempre più paonazzo mentre veniva accusato di essere "un miserabile che è evidentemente cresciuto all'ombra", abbassando poi gli occhi nel momento in cui egli voltò il suo sguardo colmo di vergogna verso di lei onde evitare di infliggergliene ancor di più.
Ekaterina si era di nuovo scoperta. Dal solo modo in cui aveva reagito a quella innocua avance era intuibile il fatto che non sarebbe stata per niente d'accordo con quanto KC aveva tentato di dire prima. Così questa si ammutolì, la osservò seria in attesa del prossimo dardo che avrebbe scoccato in sua direzione, armandosi della rabbia e dell'adrenalina degne di un guerriero pronto a difendere la propria fortezza. *Nemmeno tu puoi scalfirmi*.
«Sì, un tè» disse, e annuì con un «grazie» all'offerta della signora per poi chiudersi nuovamente.

 
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view post Posted on 4/7/2019, 13:47
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Un tripudio di panna e cioccolato si spalmò sulle dita e sulla barba di Fülke mentre, sotto lo sguardo attonito di Ekaterina, l'uomo procedeva a leccare via i residui dalle labbra e dalle falangi in modo molto minuzioso. Era, in soldoni, una dimostrazione di ciò che avrebbe saputo farle, se solo gliene avesse concesso la possibilità.
Il garzone, per parte sua, arrossì dalla cima del capo alla punta dei piedi sotto gli incalzanti rimproveri della cliente. Avrebbe voluto spiegarle le motivazioni del suo allontanamento; avrebbe persino desiderato fare ammenda e riqualificarsi agli occhi severi di lei. Sapeva, tuttavia, che non sarebbe servito e, men che meno, avrebbe potuto ritenersi opportuno. Per questo, paonazzo in volto, rimase in silenzio ad accusare il colpo e si limitò a un inchino, quando le due ebbero infine a comunicargli le rispettive ordinazioni.

«Sarà mia premura accontentare entrambe!»

Fu più complesso del previsto, invero, mantenere quella solenne promessa. La scorta della Piediburro, in fatto di alcolici, lasciava parecchio a desiderare. Nato come locale per scambi e promesse svenevoli, d'altra parte, non avevano mai sentito l'esigenza di spingersi più in là nella vendita di qualcosa di più forte. Per quello c'erano i Tre Manici di Scopa e... be', anche il Testa di Porco.
Quando tornò al tavolo della Obratztsova e della giovane Bell, pertanto, il cameriere portava con sé un vassoio solo parzialmente occupato dalle ordinazioni delle due. Depositò la tazza con le foglie che sapevano di menta di fronte alla prima e una seconda tazza — dalla quale promanava un incredibile aroma ai frutti di bosco — al cospetto della ragazzina. Infine, adagiò un piattino coi biscotti al centro e la riproduzione del menù poco distante.

Si schiarì la voce. «Sono desolato, madame, ma il nostro locale non serve quel liquore. Le ho portato il menù, se volesse ordinare qualcos'altro. Quanto ai biscotti, nessun cuore: emanano solo un piacevole odore di fiori non appena mangiati. Vi auguro una buona continuazione e non esitate a chiamarmi in caso di bisogno.»

Lui, intanto, avrebbe vigilato sul duo in pelliccia come un falco.



Totale: 7 falci.
Aggiornato (conto di Ekaterina).

Scusatemi per l'attesa, bimbe! :flower:
 
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view post Posted on 24/7/2019, 09:56
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Ekaterina ObraztsovaRussia87 anniPurosangueNeutrale MalvagiaMinisteriale V Livello Ekaterina ascoltava interessata le parole della giovane. Con una mano, distrattamente, andò a sistemare la piega dei capelli mentre si concentrava sul discorso che la ragazza le stava proponendo. Sicurezza ostentata, aria di sfida, la determinazione della gioventù trasudava di innocenza. In qualche modo le ricordava sé stessa ma vi era in lei la medesima scintilla di spietatezza necessaria a farcela? L'avrebbe scoperta, piano piano, e l'avrebbe coltivata, se necessario, con la durezza utile a trasformarla in pianta. Avrebbe scoperto se quelle parole che descrivevano la corteccia dura della quercia secolare nascondevano invece la soffice scorza dei verdi anni.

Il susseguirsi di interruzioni la distrassero dalla risposta: dapprima l'uomo, poi il cameriere. La situazione stava diventando fastidiosa. Cercò di concentrarsi nuovamente sulla sua ospite, sul loro appuntamento e sulle informazioni che le servivano.

Der tod und das mädchen, le venne in mente, come titolo appropriato a quel momento, aiutata dal programma che le sbucava dalla borsa. L'incontro con l'inevitabile, l'appuntamento a Samarra: l'avrebbe chiamato così, qualcuno.
"Ero incredula - aveva detto la Morte rivolta al servo- del fatto che tu mi avessi vista a Baghdad" pensò ricordando la vecchia storia.

« Perché qualcosa ci migliori dobbiamo essere per forza scalfiti, è come un innesto. » sorrise quando tutto il teatrino fosse finito e il cameriere si fosse allontanato a preparare gli ordini. Lo disse in maniera quasi estemporanea, dopo un lungo silenzio. « Lei ha mai visto innestare un albero da frutto? Nella nostra casa di Potsdam, mio marito ed io, avevamo molte piante ed i contadini innestavano. È un lavoro delicato, innestare, così come lo è accettare i miglioramenti e crescere con essi. È qualcosa di estremamente maturo: certo non sempre maturità ed età vanno di pari passo. Non è così?»
Guardò fissamente la giovane cercando un segno d'intesa, un cenno d'assenso. Poi mutò discorso rapidamente, senza farci troppo caso. Non aveva intenzione di appesantire troppo la conversazione, non subito almeno.
« Fate sovente feste simili a Hogwarts? Sono delle belle occasioni, mi pare, per rafforzare i legami tra Hogwarts e il mondo esterno, gli ex alunni ed i parenti.» Mentre diceva questo il cameriere venne a portar loro le ordinazioni. Ovviamente mancava qualcosa, come era prevedibile. Lo sguardo della anziana donna si rivolse al cameriere mentre le mani si infilarono nella borsa dalla quale entrassero, in ordine: portasigarette, bocchino in avorio intagliato, dupont d'oro e portamonete.
« Non sono... » disse pizzicando la sigaretta senza filtro nel bocchino e incastrandolo nelle labbra secche e tirate «… minimamente impressionata dalla sua incapacità nel riuscire in un incarico così banale... » fece scattare l'accendino ed aspirò con moderata decisione « ... nel caso impressionarmi fosse il fine ultimo del suo impegno. Perché, ammetto, vedo tutta la sua perseveranza nel risultare pessimo nel suo mestiere. » Sbuffò il fumo mentre sette falci esatte venivano fatte scivolare tra le dita delle mano destra e spinte con il pollice verso indice e anulare per ricontarle con occhio vigile. Non appena persuasa della conta fece in modo di allungare il braccio sopra il tavolo e impilare le monete il più vicino possibile al cameriere senza dargli intendere che avrebbe fatto passare la moneta direttamente nella sua mano. Il contatto con la servitù non era solo sconsigliato dalla buona educazione, era praticamente proibito. Ascoltò con sospetto la descrizione dell'effetto dei biscotti e, fingendo di lasciarsi convincere, aggiunse « Allora se non hanno effetti collaterali, oltre al profumo di fiori che, detto tra noi, spero non sia quello delle margherite, li gradiremo senz'altro » riservò il primo sorriso cortese al cameriere. La cortesia dissimulava il fastidio e la noia che l'assenza d'alcol le produceva.
«Tornando a noi, mia cara» disse abbandonando ogni interesse circa il cameriere « Le ho mai detto che conoscevo una famiglia Bell che abitava a Inverness? Gerbera, si chiamava la signora. » improvvisò « Era molto più vecchia di me, avrà almeno novant'anni » disse dimenticandosi, con un guizzo di femminile vanità, di aver spento ottantasette candeline l'ultimo compleanno e che, dunque, non avrebbe avuto tutto il diritto di calcare, pur inventandosi l'esistenza di questa Gerbera Bell, sul "molto più vecchia" descrivendo l'immaginaria novantenne. « Ma era una signora così gentile … non sarà, per caso, sua nipote? » prese una boccata di sigaretta e, notando la mancanza di un posacenere, estrasse il proprio dalla tasca della giacca. Un piccolo contenitore di metallo di forma ovale, il coperchio, con apertura a scatto, aveva una base di lacca blu ed una baroccheggiante " E " dorata sopra. Dopo che ebbe esercitato una leggera pressione, su un bottone metallico posto sul davanti, con il pollice, si vide la scatoletta aprirsi con uno sbuffo di cenere. Apertala si notarono dentro alcuni mozziconi già fumati e abbandonati ed un odore di cenere stantia infestò il tavolo. L'anziana sembrò non preoccuparsene e fece cadere la cenere dentro il contenitore.
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scusate il ritardo fanciulle, abbiate piacenza u_u in sto periodo nonna è super-incasinata ma siete sempre nei suoi pensieri :fru:
 
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The Death and the MaidenCasey Bell▴14 anni▴Madama Piediburro
La Morte alla Fanciulla:
Dammi la tua mano, bella creatura delicata!
Sono un'amica, non vengo per punirti.
Su, coraggio! Non sono cattiva,
dolcemente dormirai fra le mie braccia!


Le mani rimasero allacciate in grembo facendosi calore a vicenda. Nonostante le dita fossero gelate, la ragazzina non si azzardò a toccare la tazza di tè appena postale davanti finché Ekaterina non terminò la sua scenetta. Bloccata e deprivata della sua facoltà espressiva dal dubbio se imbarazzarsi o indignarsi per il maltrattamento imposto al cameriere, non sfiorare nemmeno quella tazza era un istintivo rigetto dell'offerta della sua ospite. Quanti clienti come Ekaterina aveva incontrato al Testa di Porco? Quanti, a una ragazzina di soli dodici anni, avevano detto di essere un'incapace anche solo a lucidare il bancone? Per fortuna Abe l'aveva sempre difesa a spada tratta. Per fortuna le aveva insegnato tutto come se fosse stata sua figlia e, sebbene a malincuore, l'aveva incoraggiata ad andare via da quella topaia del Testa di Porco.
Se non avesse mai abbandonato il Testa di Porco per un posto più redditizio da Sinister, Casey non avrebbe mai incontrato Ekaterina. Si ritrovò a riflettere su questo particolare, e si chiese per quale assurdo motivo la vita le avesse giocato quello strano tiro. Le risposte della vecchia erano state evasive al proposito, e forse l'appuntamento fra loro non era stato coordinato da nessuna delle due. Forse era il caso, la dannata contingenza a dettar le regole; oppure vi era un disegno più grande, un finale inaspettato che necessitava di quel piccolo passo per compiersi.

«A volte bisogna maturare prima per forza». KC completò il discorso di Ekaterina, come se si trattasse di un ragionamento incompleto, dopo che il cameriere sparì dietro il bancone dei pasticcini. «So cos'è un innesto. Lo facevamo con alcuni alberi da frutto quando ero bambina. Non l'ho mai fatto con le mie mani prima di seguire Erbologia ad Hogwarts, ma ce lo facevano vedere le suore mentre noi...». Si fermò perché tutto d'un tratto si ascoltò, e si stupì di quanto fosse semplice per Ekaterina far uscire l'interlocutore dalle rotaie preposte. «Mentre io raccoglievo le mele sul prato».
Finalmente, dopo mille resistenze, prese la sua tazza di tè alla menta e ne bevve un sorso. Oltre al fatto che non intendeva parlare con una sconosciuta delle sue sorti di orfana, alla vecchia Von Kraus cosa avrebbero dovuto importare? Di fatto il discorso che seguì mise in allerta Casey, che già provava difficoltà di suo a mantenere il segreto.
«Inverness? Non ci sono mai nemmeno stata» rispose facendo finta di interessarsi ai biscotti dalla fragranza floreale. «Credo esistano tanti Bell nel mondo. E' un cognome così diffuso». Evasiva, lasciò in questo modo intendere che non poteva esservi alcun legame di parentela fra lei e Gerbera Bell. In fin dei conti si trattava di una verità più che appurata da parecchio tempo. Il suo intero nome era una pura invenzione della Madre Superiora che deteneva le redini del Saint Vincent. Si faceva così coi trovatelli nell'istituto, e la maggior parte delle sue compagne poteva vantare un'identità del tutto nuova di zecca, seppur a malincuore. Ad esempio vi era una Jasmine London, trovata una mattina su una panchina di un parco della capitale sotto un profumato rampicante di Gelsomini, una Sarah Dover, la sua vecchia amica, affidata alle suore dalla comunità ebraica della città del Kent, e una Joanna Bridge, trovata sul ponte San Giovanni di Txxxxx. Sarebbe stato bello carpire un nesso tra lei e Gerbera, un indizio - da sempre tanto agognato - sui suoi legami di parentela. Infatti, non appena Ekaterina la tirò in ballo, Casey ebbe un piccolo tuffo al cuore e si nascose ancora una volta dietro la tazza di tè. Adesso nella sua mente vi erano i fotogrammi di una tenera vecchina dai capelli bianchi e le guance paffute, che indossava guanti verdi da giardino e che le insegnava a potare le rose. Ma si trattava solo di un sogno ad occhi aperti, e se lo lasciò alle spalle con un velo di malinconia.
«Lei si interessa molto agli eventi mondani della mia scuola, non è così? Mi dica, vuole per caso che la inviti? E' per questo che voleva incontrarmi?». Riprese quanto detto dall'altra prima dell'interruzione con un piccolo sorriso. Era impossibile non lasciar trasparite almeno un pizzico di quel nervosismo che Ekaterina aveva instillato con la sua domanda. Oltre al maltrattamento del cameriere - si sa, i Grifondoro si prendono a cuore gli oppressi -, anche se si trattava di un'innocente domanda, la difficoltà provata nel non lasciarsi scoprire era immane per lei. Proprio per questo, prendendo uno di quegli appetitosi biscottini e inzuppandolo nel tè, tentò di cambiare argomento. «E' per caso affezionata ad Hogwarts? E' una ex-studente, non è vero? Com'era la scuola ai suoi tempi?»

 
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Ekaterina ObraztsovaRussia87 anniPurosangueNeutrale MalvagiaMinisteriale V Livello"Le suore". Era sempre stata affezionata alla figura delle suore. Donne che mettono il loro affetto nei confronti dei bambini al servizio della comunità raccogliendo tutta quella pletora di indesiderati, di reietti e di bastardi. Sante donne: non fosse stato per loro molti figli sarebbero rimasti senza educazione, senza competenze e senza un progetto. Le sorelle caritatevoli, invece, davano a ciascuno una prospettiva della propria vita, garantendo l'anonimato a chi, per i più svariati motivi, affidava alle loro cure la creatura.
« Che immagine bucolica » disse spalancando le palpebre e concentrando le pupille nere incorniciate dalle iridi azzurre sull'interlocutrice quasi la stesse mangiando con gli occhi, inglobando in quei pozzi capienti. « E' molto soddisfacente, non trova?, veder maturare ciò che si è seminato? Raccogliere i frutti dagli alberi, così come i fiori dagli steli, è qualcosa che ho sempre incoraggiato nei miei figli. » per "incoraggiato", l'anziana intendeva che aveva concesso, fino ad una certa età, che i suoi figli avessero un'ora d'aria nei giardini di casa sotto lo sguardo attento e severo del cane da guardia di Ekaterina: Nadhezda Berja. Ricordò che Tata Berja, in un raro momento di informalità tra le due, aveva confessato che, prima di essere arrestata per maltrattamenti su minori, aveva pensato di farsi suora. Ekaterina, che l'aveva assunta proprio sapendo della "verve" che metteva nell'accudire i piccoli figli delle agiate famiglie e nella devozione ai sacri principi dell'educazione, l'aveva guardata e aveva sorriso: 'Tata Berja ringrazio che la vocazione non sia stata così forte, allora' e quella ridacchiando aveva risposto 'Madama von Kraus, la vocazione non c'entra. Non mi hanno voluta!'.
Quando la tata era morta, Ekaterina aveva perso una valida collaboratrice ed un'ottima educatrice. I suoi figli ancora ricordavano con terrore la grossa sagoma che si avvicinava e la vasca da bagno colma, e le irritazioni che l'acqua provocava scendendo nelle vie respiratorie mentre il corpo si dibatteva per tornare a respirare aria. Avevano presente i morsi della fame e la rabbia provocati dalla decisione della madre di punirli per qualcosa e il godimento della tata che si sarebbe mangiata pranzi e cene al posto loro.
Quello che però non avevano capito, né loro né la tata, era che Ekaterina, giorno dopo giorno, stava costruendo un nemico acerrimo: nella figura corpulenta della tata c'erano le angherie che la madre aveva inventato per loro. Era una trappola che la donna aveva costruito nell'arco di anni. Trappola che era scattata e aveva portato alla morte della Berja e alla scoperta dell'erede di Ekaterina. Tra i tre solo uno dei figli si era ribellato e aveva fermato le violenze crescenti, solo uno aveva avuto il coraggio di uccidere la donna, simulacro osceno della madre, e quindi solo una meritava il suo affetto. Affetto ricambiato con la fuga, ma quella era un'altra storia.
« Lei disapprova i metodi con cui redarguisco il cameriere. Non è così? » disse cercando di incrociare gli occhi della ragazzina. « Ma vede mio padre diceva sempre :"Servire non deve essere frutto di una necessità, per necessità si coltivano patate o si fa il mezzadro. Servire è una vocazione, un'arte e spesso anche un privilegio." Le mie considerazioni sono volte a migliorare la loro consapevolezza e spingerli a far bene il proprio lavoro, perché non si può esser fieri di un lavoro fatto male. Chi sbaglia deve vergognarsi del proprio errore e portarne la cicatrice per molto tempo. » concluse severa. Il suo corpo era coperto di invisibili cicatrici e lei aveva imparato a convivere perfettamente con ciascuna di essere. Sapeva di aver commesso errori, azioni ingiuste, atti vergognosi e ci conviveva perfettamente perché sapeva che erano necessari.
Mentre aveva parlato, qui e là, aveva preso qualche boccata di sigaretta. Non era nemmeno terminata quando la spense e, mentre premeva il mozzicone nella scatolina di metallo, si lasciò sfuggire « Certo che una sola tazza di tè, mi sarei aspettata portassero la teiera. Nei locali dei paesi civilizzati si fa così, almeno. Evidentemente… » lasciò in sospeso che, evidentemente, questo non fosse un locale da paese civilizzato.
« Inverness è un paesino piuttosto triste, come lo sono, in genere, i paesi di pescatori. Se non ha parenti non è il caso di andarci. Ma le zone confinanti sono meravigliose. » scosse la testa fingendo di ricordarsi perfettamente dei giri che lei e la signora Bell avevano fatto, magari accompagnate dai rispettivi mariti « Indubbiamente è un cognome piuttosto comune, ha ragione! » disse come a volersi scusare dell'errore « Certo sarebbe stato un bel caso! E' solo che lei mi ricorda così tanto qualcuno … ma non saprei proprio dire chi! » menzogna spudorata nascosta sotto l'elegante sollecitudine del tentativo di agguantare un ricordo sfuggevole « E mi appigliavo all'unico collegamento che potessi avere… il suo cognome. » a questo punto lasciò la presa sulla sua preda. Ne vide il dubbio, lo aveva visto già quando si era corretta dopo aver citato le suore, e comprese che il seme era stato piantato e innaffiato a sufficienza. Si ritrasse e assaggiò il suo tè, prendendo la tazzina delicatamente. Con la stessa delicatezza con la quale mesi prima aveva stretto la stessa mano della ragazzina che ora si trovava seduta davanti a lei. Portò alle labbra la tazza e bevve, degustando, il liquido dall'aroma di menta. Rimase piacevolmente sorpresa: si sarebbe aspettata, dopo quel preludio infausto, un tè disgustoso di terzultima categoria. Invece, si disse, era appena passabile.
« Credo che, vista la natura delle sue domande, » come se le proprie non fossero state ben più personali «lei possa cominciare a chiamarmi per nome, mia cara. Fare domande personali senza chiamare per nome il proprio interlocutore è tipico degli Antimago, non crede? Può chiamarmi Ekaterina, se vuole. » disse muovendo la testa in maniera incoraggiante verso la ragazzina.
"Proviamo a vedere se funziona…" si disse
« Comunque, per risponderle, io non sono un'ex allieva. Io ho studiato a Durmstrang, così come tutta la mia famiglia ed i miei figli. Ma forse gliel'avevo già detto. Confesso che sono interessata ad andare alle feste per questioni di famiglia: mio nipote è stato mandato a Hogwarts ma, purtroppo, non riesco a vederlo spesso come vorrei. E vede, è un po' patetico… ma speravo… » si interruppe cercando di mostrare una parte umana che in lei era morta - o credeva tale - da molto tempo « Lei capisce … »

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The Death and the MaidenCasey Bell▴14 anni▴Madama PiediburroA Ekaterina non sfuggiva nulla, ma la piccola KC di certo non si faceva alcun problema nel mostrare il proprio disappunto sui metodi di approccio alla "servitù" dell'altra. Per inciso li assimilava ai metodi bigotti e del tutto anti-pedagogici che le suore usavano con le bambine dell'orfanotrofio Saint Vincent. Ogni monelleria veniva semplicemente punita con la faccia rivolta verso l'angolo di una stanza e ammonita con una frase tratta dalla Bibbia e recitata a memoria. Casey aveva sempre fatto finta di ascoltare le prediche della vecchia Madre, tant'è vero che tutt'oggi non ha la minima idea di cosa trattino l'Antico e il Nuovo Testamento. Tuttavia, era quando una delle bambina prendeva un brutto voto in classe che la faccenda si faceva seria: la predica si trasformava in un'umiliazione pubblica con tanto di bacchettate sulle mani, poi in un dibattito fra istitutrici su quanto fosse incapace la povera scolara. Casey, che aveva mollato la classe dell'orfanotrofio già da tre anni, non solo si riteneva fortunata per aver scoperto di essere una strega, ma anche per aver trovato una nuova scuola con un sistema educativo meno medievale. D'altronde, quando tornava a Londra durante le vacanze estive e passava quel paio di mesi con le sue vecchie compagne si rendeva perfettamente conto dell'inefficienza di quel metodo. Una per una, le ragazze del Saint Vincent si erano arrese all'idea di essere delle buone a nulla - forse più per ribellione che per una vera mancanza di intelligenza -, a parte le poche dotate della vocazione tanto agognata dalle suore e dalle istitutrici, che non facevano altro che ripetere ciò che queste ripetevano e assecondare i fili attraverso cui venivano manipolate come burattini.
Questa volta le orecchie della ragazzina erano state attentissime e, macinando rabbia fra i denti per quanto esse avevano captato, lei non riuscì più a trattenersi. Finalmente, la schiettezza della Obraztsova era riuscita a dare il via a quella sorta di carneficina che aveva immaginato nella sua mente dal giorno della contrattazione da Sinister. Così, armata di una vena sarcastica - piuttosto gonfia -, scoppiò e vomitò su quel tavolino tutto ciò che fino a quel momento l'aveva tormentata.
«Be', guardi gli elfi domestici: non credo che all'alba dei tempi si siano svegliati e abbiano capito che la loro vocazione era quella di servire i maghi. A volte si è costretti a servire, da persone ingiustamente più potenti e più abili nel fare il lavaggio del cervello di altri, o dalla necessità di guadagnare, dato che persino un pezzo di terra deve essere comprato per essere coltivato e non tutti possiedono beni sin dalla nascita». Toccata nell'intimo da quel discorso, non più unicamente per il povero cameriere ma anche per le insinuazioni di derivazione alto-borghese sui poveri servi della gleba, KC stava cominciando a dare i numeri. «Mi sta parlando di selezione naturale, per caso? Dio, siamo così tanti. Potremmo mettere un veggente nelle nursery e fargli separare i bambini vincenti da quelli perdenti, i bravi camerieri dai bravi benzinai, e quelli che non vanno bene li gettiamo da un monte, come nella vecchia Sparta. Così scremiamo la popolazione mondiale e quando prendiamo il tè non ci sono cretini impellicciati che abbattono il cameriere perché vogliono infilarci la lingua in gola». Sottolineò l'ultima frase con una particolare verve ironica e indicando con un cenno del mento lo schifosissimo orso polare antropomorfo che si era avventurato poco prima fino al loro tavolo. Qualcuno nella sala si voltò verso di lei e alcuni bisbigli cominciarono a infiltrarsi nel sottofondo cantato da Celestina Warbeck. «Mmmh, magari si potrebbe investire sui buttafuori nelle pasticcerie e dai kebabbari, perché quel coso lì lo avrebbe di sicuro steso e appeso a essiccare come un'aringa sotto il sole norvegese. Mi sarebbero stati tanto utili al Testa di Porco, quando i pecorai delle Highlands ubriachi facevano a gara a colpirmi in testa coi boccali di vetro, o, perché no, pure da Sinister, prima che mi becchi una maledizione da qualche vecchia pazza perché non ho ciò che mi viene richiesto. E tanto per la cronaca non sono andata a servire al Testa di Porco o da Sinister perché ho sempre voluto farlo ma semplicemente perché non ho un soldo, Ekaterina».

Respirò. Si sentì libera, come se avesse finalmente ripulito i polmoni da strati e strati di catrame accumulato. Si accasciò sulla poltroncina e guardò il pavimento piastrellato, il viso contratto per il nervisismo, e sfilò un pacchetto semivuoto di Kent dal taschino interno della giacca di jeans. Si mise una sigaretta industriale fra le piccole labbra e l'accese, il tutto tremando ma imitando i gesti noncuranti della sua interlocutrice anziana. Tirò una lunga boccata e l'amaro, assieme alla cenere volatile, si insinuò di nuovo nella sua bocca, poi in gola, infine nei polmoni ostruendoli di nuovo. Si sentì quasi in colpa per quella sceneggiata; forse aveva esagerato. Si era lasciata andare a uno scoppio incontrollato, ghermito da Ekaterina nel giusto momento ma inevitabile, data la rabbia immagazzinata giorno dopo giorno come magma incandescente nel sottosuolo. Era lei, quella donna, ad aver voluto tutto ciò. Probabilmente Casey non se lo immaginava nemmeno, ma lei era lì per conoscerla. Ed era ciò che aveva ottenuto.
Non le era ancora molto chiaro che tipo di ruolo dovesse avere Ekaterina Von Kraus nella sua vita. Non aveva ancora capito nemmeno quale maschera sociale indossare nelle occasioni in cui la incontrava. Senza ombra di dubbio erano stati momenti particolari, e il primo fra tutti aveva segnato quella conoscenza con uno spontaneo marchio di diffidenza, almeno da parte sua. La possibilità che certi suoi costrutti potessero crollare da un momento all'altro le era apparsa così lontana nel momento in cui aveva messo piede al Madama, che non aveva esitato nemmeno per un attimo nell'abbassare le difese e a scoccare i suoi dardi. La sua presunzione di saper carpire tutto e subito l'aveva portata a identificare la donna come una scocciatrice o, meglio, come una di quelle zanzare che, mentre leggiamo un libro accarezzati dalla brezza estiva e all'ombra di un albero, continuano a ronzarci attorno bisbigliandoci all'orecchio quanto sia gustoso il nostro sangue, ma che appena ci giriamo per schiacciarle sono già scomparse.
Ekaterina afferrava la sua preda, la rilascia al momento opportuno, e poi mendicava comprensione facendo gli occhioni dolci come un cucciolo. Casey invece - che non poteva essere definita una perfetta ingenua - era anche troppo buona. Non si sarebbe spinta oltre le argomentazioni date ad occhi bassi dell'altra, e non avrebbe pensato a un simile sotterfugio per farsi invitare a una festa o, addirittura, per farla semplicemente sentire in colpa. Di fatto, tornando con la mente a prima che il suo scoppio avvenisse, Ekaterina si era lasciata identificare come una vecchia sola e abbandonata dai suoi stessi cari. Fu lì che il senso di colpa cominciò a grattarle le membra e, pur sempre rivolgendo lo sguardo altrove, passata la tempesta riprese a parlare più piano.
«Mi dispiace» disse «per suo nipote. Mi dispiace per suo nipote. Forse potrò fare qualcosa io».
Al contrario delle sue simili russe, la Kent trattenuta fra le dita della vera Bell venne gettata nel posacenere solo quando la fiamma arrivò ad arderne il filtro. Osservando il liquido color corteccia dentro la sua tazza, KC si chiese se non fosse giunto il momento di levare le tende. Avrebbe inviato il biglietto per l'ingresso al ballo ad Ekaterina senza porsi alcuna domanda - anche se doveva essere una situazione piuttosto disperata se la nonna andava a trovare il nipote proprio ad una festa per adolescenti, con tanto di alcolici e slinguazzamenti - e poi, dato che quello doveva esser stato il vero motivo per cui era stata portata lì, non l'avrebbe più rivista e, nel caso, l'avrebbe salutata come la cortesia voleva.



OPSITY WHOPSITY



Edited by Keyser Söze. - 7/8/2019, 01:11
 
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Ekaterina ObraztsovaRussia87 anniPurosangueNeutrale MalvagiaMinisteriale V LivelloVide, dal momento in cui aveva citato le parole del vecchio Sergeij, montare qualcosa nel volto della giovane. Riconobbe quel qualcosa e lo catalogò: era rabbia, senso di rivalsa, forse persino odio. Avrebbe voluto sorridere davanti alla giovane ma se lo risparmiò e ascoltò seria l'insurrezione.
Trasudava rivincita sociale che era stata preludio, tante volte, alla violenza. In quelle parole vide l'odio per la propria razza: la rabbia priva di cultura che portò alla morte di tanti nobili e alla morte di tante famiglie Regnanti scelte da Dio e uccise dall'uomo. Considerò che le suore avessero mancato in zelo educativo, questa volta, o la scorza della giovane fosse più robusta dei metodi gentili delle sorelle. Sapeva storie di bacchettate sulle mani, di sferzate sulle natiche o di inginocchiamenti sui ceci: metodi pittoreschi ma, forse, troppo delicati, poco penetranti. "Ci sarà tempo per domare il leoncino" pensò prima di accingersi a parlare. Lasciò che il silenzio avvolgesse le due donne e che gli sguardi indiscreti si concentrassero altrove.
« Io sono stata a servizio per la maggior parte della mia vita. E malgrado avessi soldi per vivere degnamente la mia esistenza isolata dal mondo ho scelto di mettermi a disposizione del mio paese e, per quarant'anni, ho lavorato nella Cancelleria Tedesca. » si fermò un istante non sufficiente a far intervenire la ragazza « Perché vede, anche quello è servizio. Tutto è servizio. » qui la pausa teatrale fu un po' più lunga perché la donna si accese una seconda sigaretta. Questa volta senza l'intermediario eburneo ma pizzicando la carta tra le labbra. Al primo tiro un pezzo di tabacco le si conficcò sulla lingua, unico inconveniente di una sigaretta senza filtro.
« Ho avuto elfi domestici per tutta la mia vita e spesso sono stata anche dura con loro, posso concederlo. Eppure le molte volte che ho chiesto loro se preferissero la libertà al lavorare per me hanno sempre scelto di mettere la loro vita nelle mie mani. Le grandi stirpi di Elfi domestici hanno sempre messo a disposizioni di grandi famiglie magiche i loro antichi poteri, soltanto ora qualunque borghese, arrivato dal nulla e destinato all'oblio, può comprarsene uno. Nemmeno fossero cani. » scosse la testa con disapprovazione « Lei hai conosciuto Rufus, mi pare. Beh mi venne donato da mia nonna e la sua stirpe segue la mia da centinaia d'anni. Egli è il mio più vecchio e instancabile collaboratore: gli ho affidato incarichi che non avrei affidato a nessun altro. Vede, lei semplifica molto la relazione tra maghi ed elfi. Tutto si basa sulla lealtà, sulla fiducia reciproca e sull'onore e non semplicemente sulla legge del più forte, perché se così fosse, io credo, Rufus avrebbe potuto eliminarmi tanti anni fa. No, queste romanticherie rivoluzionarie ed insurrezionaliste portano solo caos. Lei ha mai visto la paura negli occhi di un elfo? Io sì ed è stato quando avevo paventato la possibilità di licenziarlo dai suoi uffici. Il disonore che ciò avrebbe gettato su di lui sarebbe stato superiore ad ogni altra punizione, un'onta che non si sarebbe più mondata. »
Aspirò delicatamente dalla sigaretta compiacendosi delle espressioni contrastanti che dimoravano sul volto della giovane. E dalla foga crescente nelle parole della giovane.
« La selezione naturale avviene, per l'appunto, di natura, mia cara, non deve essere incentivata. Quello che lei propone sarebbe omicidio! Io sono contraria a questo genere di pratiche barbare perché credo che ogni vita abbia uno scopo intrinseco. Ciascuno di noi nasce, e vive, per una ragione ignota a tutti e trova il suo senso a compimento di quel misterioso attimo» Spesso il senso della propria vita poteva essere la morte, come nel caso di Faustus. Lui era nato per salvarla, era cresciuto per proteggerla, ed era morto perché il suo sacrificio l'avrebbe liberata da un futuro indegno di lei. Tutti coloro che lei aveva incontrato erano uno scalino che il Fato le aveva posto dinnanzi per salire ancora, per superare ogni avversità, doveva essere così. « No, le giovani vite non sono da spezzare ma da forgiare perché la loro spina dorsale sia forte e attraversino indenni ogni asperità della vita. Viviamo in un mondo imbarbarito, privo di speranze, mia cara Casey, e lei se ne è già resa conto, malgrado la sua troppo giovane età. » "Kebbabbari?" si chiese per qualche istante decidendo di non investigare sull'origine della parola e sul suo significato. « La vita è piena di ingiustizie. » disse scrollando delicatamente le spalle con sufficienza « Ma non è una buona scusa per sdoganare comportamenti villani o inadeguati. L'umana comprensione può arrivare a compatire certe situazioni… disagiate… ma non può essere un appiglio per ogni incompetente. Invece di tollerare, io credo, sarebbe il caso di educare fin da subito a non lanciare boccali ai camerieri così come educare i camerieri a fare il proprio lavoro con professionalità. » aspirò un'ulteriore boccata da quella sigaretta che pareva infinita e guardò il tè che l'aspettava davanti sfumacchiando pennacchi di vapore.

Si accorse troppo tardi dell' "Ekaterina" finale. Era una via di mezzo tra il soprannome con cui sui padre la chiamava "Trina" ed il "Signora Madre" che usavano i figli. Un misto di sfida e di biasimo. Venato di … era timore? Assaporò quel suono con intenso rimpianto. Le fece senso. Le ricordava lo sguardo di paura negli occhi della sua famiglia mentre l'ombra della sua capigliatura scivolava sulle mura del corridoio, sentiva i fremiti ed i tremori rincorrersi nelle membra dei bambini che la osservavano con gli occhi gonfi di paura e di ira. Il senso di frustrata rivalsa che non avrebbero mai nutrito. No, lei non avrebbe mai permesso loro di abbeverarsi alla fonte della rivalsa, non sarebbe mai stata detronizzata.

"Nulla dura per sempre, Casey" pensò l'anziana, nascondendo questa frase dietro un'espressione serafica.
Poi dopo aver fatto un discorso, a suo dire, perfettamente accettabile e comprensibile, decise di distendere i toni « Ma che discorsi cupi che mi porta a fare! » rise spensierata perché i suoi pensieri scendevano in oscurità ben più profonde di quelle. Ma cosa si poteva fare? D'altro canto i bambini sono come i cuccioli di cane: curiosi, invadenti e selvaggi; attendono solo di trovare qualcuno che sappia tenere il guinzaglio a strozzo senza aver paura di fare male. E lei aveva una certa consuetudine in merito. « Mi sembra di capire che lei sia una giovane donna che si interessa molto di questioni politiche, non è così? Sa mi ricorda un mio collega al ministero. Abbiamo avuto una conversazione molto interessante circa questioni simili. » il sorriso non si spegneva mentre scuoteva la testa, idealmente biasimando il pensiero egualitario che il suo onorevole collega propugnava. Spesso ripensava a quella conversazione e trovava sempre meno tollerabile il concetto che un uomo fosse uguale all'altro, che non si contassero i suoi diritti di nascita, di stirpe e di retaggio.

« Vede » disse continuando con un tono che molti avrebbero percepito come il sibilo dei sonagli del rettile mortifero « Molti eventi mi hanno tenuta a distanza dai miei familiari, non ho potuto vedere i miei figli per oltre vent'anni! Ed i miei nipoti non mi hanno conosciuta se non tramite le lettere che mandavo.» lasciò che una punta di amarezza tingesse le linee del volto, il labbro si ritorse in posa delicatamente intristita « Si sarà accorta che tendo ad essere piuttosto rugginosa nel parlare con i suoi coetanei. Ma vede, gli ultimi giovani con cui mi sono rapportata erano i miei figli ed è passato qualche tempo. » Bevve un sorso di tè e ringraziò che ci fosse una sola tazza, non avrebbe mai creduto che un inglese potesse definire quella polta un "tè" ma, in effetti, gli inglesi erano una popolazione piuttosto arretrata sotto molti aspetti. I toni della giovane, prima di sfida poi più contriti, la convinsero che il tempo per affondare i denti nella carne viva fosse giunto.

« Lei invece deve sentirsi più a suo agio a parlare con signore della mia generazione, essendo cresciuta in un orfanotrofio. Non credo di aver mai visto suore giovani. Dice che esistano? » un taglio le si disegnò sul volto. Indecifrabile via di mezzo tra chi s'è accorta di aver fatto una gaffe e chi, pentita, avrebbe voluto colpire più duramente.

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