Il vento pregava con lei, in un sussurro più armonico. Le fronde pregavano con lei, piegandosi in moti estatici in favore di quell'ancestrale richiamo. Il giardino si muoveva attorno a quel sacrario, e alle anime che in esso passeggiavano con ignara consapevolezza. Senza fretta, come se il tempo non fosse stato più una costante, come se non esistesse affatto. Raccolti in quel limbo pacifico, ogni oscurità era stata bandita. Che fosse una condizione momentanea, o più duratura questo non voleva saperlo. Le dita strette le une sulle altre raccoglievano al loro interno un nuovo calore.
Nel bianco e freddo inverno di Hogsmeade, quella preghiera le permetteva di sentire un sole più caldo, e nel vento il profumo delle primule sulle scogliere, e quello dei muschi nel sottobosco di Inis Mor. Riaccendeva in lei quella spiritualità capace di trasportarla laddove i ricordi più vivi risiedevano. Là dove Lei riposava, in una valle di eterna primavera, ad un passo dal suo cuore e dalla sua mente.
Amina si era spenta poco più di un anno prima, a pochi giorni dal Natale. Era stato suo padre a scriverle, preoccupato per le condizioni sempre peggiori in cui l'uccellino sembrava scivolare giorno dopo giorno. In tutta fretta la tassina aveva preparato uno zaino con le poche cose che le servivano, comunicando alla capocasa l'urgenza di partire il prima possibile. Aveva volato senza fermarsi fino ai confini del castello, riuscendo poi a smaterializzarsi appena oltre le barriere. Al suo arrivo, quasi non aveva salutato i suoi genitori, mollandoli sulla porta d'ingresso e chiedendo dove lei fosse. -
Nella tua stanza, come sempre - le aveva detto il padre, non sforzandosi di rendere meno dura quella affermazione. Per mesi le aveva ripetuto di riportarla ad Hogwarts, al suo fianco, lì dove era il suo posto. Ma la ragazza si era rifiutata categoricamente, vedendola sempre più debole e ritenendo il castello un luogo troppo carico di stimoli e di pericoli per la sua piccola amica. Il suo nido era ad Inis Mor, un caldo tetto sopra la testa, vento tiepido ad ogni ora del giorno, niente caos, nessuna creatura violenta a rincorrerla e nessun ragazzino fastidioso nei paraggi.
Ma quella sicurezza valeva il prezzo di tanta solitudine? Quella domanda Mya non se l'era posta fino al momento in cui non aveva spalancato la porta della sua stanza, trovando Amina affondata in una sua vecchia sciarpa sul bordo della finestra. Le dava le spalle guardando il sole tramontare oltre l'orizzonte, senza accorgersi del suo arrivo. Sembrava immobile eppure era ancora viva, poteva capirlo dal pulviscolo pietroso che le aleggiava attorno, trasportato da un raggio di sole che tagliava in due la piccola stanza. Quel riflesso ambrato sfiorava le sbozzature della sua forma trasformando la dura pietra in una gemma preziosa. Chissà se sapeva quanto bella era in quel singolo istante, in quella silenziosa malinconia che la vestiva come la più eterea delle creature. Il respiro di Mya era immobile, quasi quanto il cuore che debole rintoccava, animato solo da una crescente paura. Aveva mosso qualche passo, di poco più pesante, per far sì che potesse sentirla arrivare, ma ancora non era riuscita ad avere la sua attenzione. Le era dovuta arrivare di fianco, e sfiorarle il corpo per farle girare debolmente la testa. Al suo tocco, per quanto delicato fosse stato, una nuova scheggia era saltata via scivolando fra i nodi di lana. La ragazza aveva allora ritratto la mano nel terrore di poterla distruggere irrimediabilmente. Amina era diventata di una fragilità indescrivibile, anche se il suo sguardo continuava ad essere vivo e intenso, pieno di quell'amore di cui le aveva sempre fatto dono. C'era una muta felicità sul fondo di quegli occhi scuri, eppure non possedeva la forza fisica di dimostrarlo, bloccata in quella prigione terrena che era il suo piccolo corpo di pietra. Una prigione che Mya stessa le aveva creato, per paura o egoismo, con la leggerezza e l'inesperienza di un cuore bambino. Improvvisamente il peso dei passati errori tornò a farsi vivo, schiacciandola a sedere sul pavimento.
Una consapevolezza che aveva intravisto molti anni prima, su una delle scogliere del castello, e che ora tornava a giudicarla con maturità ed intensità maggiore. Aveva creduto di avere ancora del tempo, tempo per rimettere assieme le cose, per crescere e ottenere il potenziale di cui necessitava per darle quel corpo vivo, e quella vita che meritava. Ma la verità era che aveva finito per scegliere sentieri egoistici, lasciando al tempo il potere di distruggere ciò che aveva lasciato indietro. Così come aveva fatto con tutti i suoi legami, con Horus, ed infine con Amina stessa. Quel sentimento le aveva inaridito il respiro, la tristezza non era mai fatta di lacrime e umido sollievo, somigliava più ad una sete inappagabile e una secchezza che ricopriva ogni parte del corpo. Si sentiva sgretolare dentro, spaccatura dopo spaccatura.
La sua dopotutto era solamente una sensazione, mentre il corpo dell'uccellino viveva quella medesima frattura in una maniera più crudele. Quanto le sarebbe rimasto ancora, prima che un'incisione più profonda la spaccasse inevitabilmente a metà? Poteva permetterlo? Per quanto il peso dell'errore, e dell'abbandono, le gravasse inevitabilmente sul cuore, Mya sentiva di non essere pronta a dire addio. E forse non lo sarebbe mai stata. Lasciare per ritrovare, per quanto dolorosa potesse essere come scelta, sentiva di non averne un'altra. O se ci fosse stata, non era disposta ad accettarla. Non un altro addio.
L'aveva raccolta tra le mani sollevandola con l'intero involto della sciarpa e si era spostata sul letto, incrociando le gambe sul letto. Le scarpe sporche lasciavano fango sul piumino di patchwork ma non aveva alcuna importanza. Solo Lei ne aveva. L'aveva poggiata delicatamente fra le gambe, come era solita fare quando nel dormitorio le raccontava delle avventure vissute tra le lezioni e le missioni archeologiche. Deglutì appena, cercando di contrastare quella ruvidità che aveva rivestito la gola e tutto il suo corpo. E prese a parlarle, come aveva sempre fatto, con euforia ed entusiasmo, gesticolando le raccontò tutto ciò che era accaduto negli ultimi mesi. Delle lezioni andate male, delle pozioni sbagliate, delle fughe notturne e degli incontri strani, di quel gufo che volava sempre a testa in giù e delle salse strane che avevano iniziato a servire insieme alle verdure, della pantofola introvabile e delle lezioni di volo che aveva dato ad un primino, lei proprio lei. Parlò tanto, fino a quando la voce non iniziò a grattare costringendola a tossire. Ma si era trattenuta quando si era accorta che l'uccellino si era addormentato, per quanto sapesse che non era possibile per lei riposare. Doveva solo essere l'effetto di quella stanchezza mortale, che iniziava a tenerla sempre più stretta tra le sue braccia. Il momento era quello, e lo sapeva. Non ne avrebbe avuto un altro, il coraggio stava svanendo.
Senza muoversi eccessivamente sfilò la bacchetta dalla tasca della giacca e nel muto silenzio la avvicinò al corpo della sua piccola amica.
Un sospiro nella mente richiamò un semplice incantesimo. *
Finite* Anche se ad occhi chiusi, la mano e le gambe percepivano ancora il peso di quel piccolo corpo, eppure Amina non c'era più.
A sciogliere quel legame mnemonico, che si era stabilito attraverso quel fiume sacro che divideva il mondo terreno da quello ancestrale, fu la voce bassa e familiare di Horus. Parole dal significato sconosciuto le sfiorarono la mente, aggiungendosi come spuma leggera al fiume spirituale che sentiva scorrere tutto attorno. Riaprì gli occhi, osservando il ragazzo compiere un gesto inaspettato, ricurvo a terra. Un dono prezioso e importante arricchiva ora il nido di Amina, custodendolo dal mondo e dagli orrori. Non riconosceva il verbo pronunciato, anche se non era la prima volta che lo udiva, non gli aveva mai chiesto di tradurre qualcosa, reputandolo un limite intimo. Quell'espressione, quel modo di comunicare quasi interiore, aveva un che di sacro. Era parte dell'anima stessa, un costrutto inviolabile. Eppure, anche se non capiva l'esatto senso delle parole, avvenne qualcosa di particolare.
Non lo comprendeva, eppure lo capiva.
Non lo ascoltava, eppure lo sentiva.
Come se l'anima non avesse avuto bisogno di parole per comprendere il significato profondo di quelle parole arcane. Una connessione indescrivibile che non aveva mai provato, come una forma superiore di empatia, tra due preghiere, due anime, due cuori. Non capiva cosa stesse succedendo al suo corpo, ma si sentiva scossa da piccoli brividi ed un calore crescente le avvolgeva la nuca, per poi ridiscendere fino al petto. Bruciava, come se avesse avuto il potere di sciogliere quel rigido inverno e portare la primavera prima del tempo. Bruciava, risalendo i polmoni, fino alla gola e ancora più su verso gli occhi. Nemmeno il tempo di realizzare cosa stesse accadendo al suo corpo che una lacrima rovente era sfuggita alle sue ciglia, disegnando una piccola curva sulle gote arrossate. Mya d'istinto si era portata una mano al viso, sfiorando con le dita la guancia e raccogliendo l'intrusa. Era talmente calda da averle lasciato credere potesse essere sangue, ma era trasparente e umida. Non faceva in tempo a togliersene una dal viso, che la successiva sfuggiva all'occhio opposto, in una corsa incontrollabile. Quando capì che le mani non le bastavano più per tamponare la sorgente, lasciò che quel sentimento fuoriuscisse senza freno, scivolando goccia dopo goccia sulla sua maglia nera. Non riuscì ad incrociare lo sguardo di Horus, ma non per vergogna. Eppure da lui si stava lasciando osservare, come se non avesse nessun timore di essere giudicata, o non le importasse. Ricordava la volta in cui aveva pianto di spalle, nel silenzio, lasciandolo a parte di quel dolore come se gli fosse estraneo. Aveva sempre avvertito dentro quel bisogno di essere ostinatamente forte, come se mostrare le proprie debolezze avesse potuto compromettere il suo futuro, rendendola debole e vulnerabile. Ma quale dono le aveva poi fatto quella forza, se non delusione e rimpianti? Quella forza le aveva forse permesso di salvare Horus? E di salvare Amina? Perchè mai avrebbe dovuto lasciarle tanto potere nella sua vita?
Ogni lacrima sembrava alleggerirla di pesi che non sapeva nemmeno di avere sulle spalle. Le labbra prima arricciate per il debole imbarazzo, erano andate via via stendendosi in un sorriso che si disegnava dopo ogni lacrima. Con il viso rivolto verso l'alto e gli occhi chiusi, attendeva che il suo corpo sfogasse ogni sussulto e ogni riserva, mentre ne sorrideva quasi sollevata. Era viva, e aveva tutto il coraggio di cui aveva bisogno, il coraggio di fallire. Come le tante volte in cui si era lanciata ad ali dispiegate all'interno di una tempesta, senza porsi domande.
Quando le lacrime si fossero ormai seccate sulla sua pelle avrebbe riaperto gli occhi, riportandoli verso il nido di Amina. La pietra posta in sua protezione da Horus la accarezzava come un guardiano, rasserenando i suoi ultimi timori. Era stato un gesto tanto delicato, e sentiva di dover in qualche modo ringraziarlo. Dopo anni passati nel silenzio, quello che era accaduto in quei pochi attimi ancora le metteva sottosopra la razionalità, incapace di capire se fosse accaduto davvero. Tutta l'insofferenza e l'indifferenza cullata era davvero potuta svanire con una tale facilità? Troppe erano ancora le cose lasciate in sospeso, e ne era sempre più consapevole. Sollevò nuovamente entrambe le mani, questa volta per strofinarsi con i polpastrelli le guance, cercando di togliere quella fastidiosa salinità che le tendeva la pelle. Il modo in cui lo fece doveva apparire ad occhi esterni, estremamente buffo, al pari di un criceto che si massaggia il viso paffuto. Lo sguardo trasversalmente raggiunse il viso di Horus, quasi potesse mentalmente comunicargli "se ne parli a qualcuno ti trasfiguro il cuscino in un maialetto soffice".
Fu in quell'istante che gli occhi vennero calamitati da un elemento cui non aveva prestato attenzione fino a quel momento. Le dita di Horus erano avvolte e tenute strette da leggeri strati di garza medica, che gli impedivano di afferrare correttamente gli oggetti. Non ci aveva fatto caso quando ricurvo a terra lo aveva visto estrarre la bacchetta, ma ora quella specie di invalidità le era più percettibile. Ancor prima di formulare un pensiero al riguardo, una sorta di inevitabile e incontrollabile preoccupazione l'aveva colta.
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Cosa è accaduto alle tue mani? - gli chiese, senza pensare all'invadenza con la quale si stava forse intromettendo in qualcosa che non le riguardava. Il suo timbro appariva tranquillo, con un velo appena percettibile di curiosità mista a turbamento. Non c'era ferita umana che la magia non potesse guarire, questo lo sapeva bene. Eppure quelle bende richiamavano ricordi che credeva sopiti.
Hogsmeade - verso il tramonto
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