Nonostante il tremito d'apprensione stretto al petto, Oliver sentiva di essere al sicuro in quella stanza: ogni più intima, vivida inquietudine s'apprestava ad estinguersi rapidamente, le parole di Sirius a guidarne chiarezza vera e propria. Avrebbe potuto ascoltare la sua voce per tutti i giorni futuri – una trama melliflua, di suoni e di promesse sincere, tuttora così resistente a distanza di anni e di tragedie. Non era mai andato via, era tra i pochi a non aver mai tentennato. Un tempo erano stati molto più vicini, complice un'appartenenza comune alle schiere di rubino, e tuttavia nulla,
nulla avrebbe mai cambiato una verità assoluta: Sirius White gli voleva bene, e lui contraccambiava fin nel profondo del cuore. Al seguito del martirio che aveva vissuto in prima persona, Oliver aveva temuto d'aver perso chiunque – più per scelta che per reale conseguenza. Quando s'era ripreso dalla lunga degenza cui era stato costretto, aveva dimenticato il valore della condivisione. Nel paradosso di un'identità che lo ritrovava pubblicamente in più contesti, aveva preferito la solitudine peggiore – una bizzarra, folle idea di vendetta, che aveva avuto il prezzo di un'inutile scelta, e il sacrificio di un animo altrimenti presente.
Aveva dissacrato ogni intimità, imponendosi un distacco tanto netto quanto illusoriamente necessario. Per giorni non aveva voluto mettere piede al di fuori della camera privata, perfino quando era stato affidato alle cure degli affetti più stretti; per notti aveva aperto gli occhi, indagando i segreti del soffitto all'assenza d'una Vista da cui era stato ferito, e che per assurdo continuava a mancargli maledettamente. Quando i danni s'erano placati, aveva temuto l'esito dei loro confini.
Sono io, aveva cercato cautamente di scoprire – una risposta che aveva avuto il peso di una domanda, zampillando nell'ansia del diniego completo. Perché... una parte di sé ne era stata convinta da sempre, perfino quando le bende avevano coperto ogni percezione: l'Occhio esigeva offerta e rinuncia, e spesso in un confronto che lasciava tutto da perdere. Finalmente lo comprendeva.
«Non hai paura.» Commentò ad alta voce, involontariamente. Soltanto quando ne ebbe concretezza, infatti, sollevò lo sguardo sul volto del Docente – una stilla d'imbarazzo s'affievolì brevemente nell'espressione del Grifondoro, mentre un quesito irrisolto s'insinuava per l'ennesima volta tra uno e più pensieri. Restava lì, sospeso in eterno: più tentava di negarlo all'attenzione, più capitombolava alla sua forza. Restava lì, la confusione ultima.
Perché, chiedeva. Perché Sirius non aveva paura? Avrebbe voluto dire d'esserne grato, e di certo lo era; a dispetto di quanto affrontato insieme, talvolta per sua stessa colpevole, indiretta intercessione, Sirius restava. Più volte aveva posto accuse severe verso di sé, più volte aveva temuto di aver affidato l'amico al pericolo – le Visioni che avevano sferzato mente e cuore, infatti, avevano coinvolto gradualmente Sirius White. D'altronde essergli vicino era un rischio.
Ma c'erano stati momenti in cui aveva addirittura pregato che andasse via, pur di proteggersi. Momenti che cercava di annullare in memoria.
«Grazie, questo significa molto per me.» Quello che s'accingeva a compiere, in effetti, confermava una fiducia estremamente rara. Il cenno di dubbio che sfumò nelle iridi smeraldine non sindacava al riguardo, non interrogava l'altra figura. Il dubbio era...
per sé.
Occhieggiò la coppa d'idromele, quasi a richiederne coraggio. Poco dopo trafficò con la borsa a tracolla, recuperata dai piedi della sedia: incastrato tra i libri, infatti, sfilò via un fazzoletto color lavanda.
«Mi auguro possa funzionare. Qualsiasi cosa accada, non interrompere il contatto, altrimenti sarà come un tuffo nel vuoto.» Portò così tutto sulla scrivania, adagiandovi qualcosa dalla forma circolare. Quando scoprì un lembo del tessuto, tanto finemente ricamato, si presentò una sfera di cristallo, il manufatto divinatorio per antonomasia. Non chiarì l'ovvio, Sirius sapeva di cosa si trattasse; quello che non avrebbe potuto conoscere, invece, riguardava il legame che Oliver aveva instaurato con l'artefatto. Per anni la sfera di cristallo era rimasta assopita, volutamente dimenticata sul fondo del proprio baule: era stato un regalo da parte di una persona che tuttora gli mancava profondamente, una persona che aveva lasciato il segno in uno e più modi nella sua vita. Ma era stato un dono altrettanto sconosciuto, nato da una confessione personale e privo d'una conoscenza adeguata. Per molto tempo non era stato pronto – il timore che il Cristallo potesse fargli del male era stato intenso.
«Ho impiegato così tanto per scoprirne il valore e ancora oggi vi restano infiniti segreti. Quanto potere racchiude al suo interno, è...» Catturò il riflesso opalescente, in superficie. Il cristallo brillava in mistiche, occulte presenze, attingendo e intrappolando schegge di colore tutto intorno. Vestigia d'antica magnificenza, appariva bizzarramente innocua – un giocattolo tra le dita di un giovinetto.
«È bellissima.» Negli approcci d'esordio alla Divinazione, come disciplina e come esperienza soggettiva, aveva intravisto la sfera di cristallo come un traguardo ultimo – per molti lo sarebbe stato, e per molti altro non avrebbe rappresentato che un tramite assente. Per lui, fin da quando ne aveva avuto assaggio, era stato come
ritrovarsi.
«Non ho paura.» Non più. Desiderò dirlo ad alta voce soprattutto per sé, cercando così la conferma di Sirius per procedere. Un attimo, soltanto un attimo, prima che si sporgesse delicatamente – senza titubanza – verso il banco. Sulle gote diafane, l'incarnato pallido di un volto che perdeva riposo da lungo andare, il Cristallo disegnò scintille argentee. Nulla più di un riverbero di luce, in una stanza solitaria del Castello di Hogwarts. Si ritenne pronto, e nella comune partecipazione con l'amico, proseguì senza più voltarsi indietro. Un sospiro, un soffio leggero – inspirò come in preparazione, come in un'immersione in acqua, e per un attimo... sorrise, sorrise
follemente. L'Estasi del momento era tutta per sé, e dolce ne diveniva la consapevolezza. Dischiuse il palmo della mano destra in alto, in minuta distanza dalla sfera. Come in presagio, il Cristallo s'animò in spirali nebulose.
Avvicinati, sussurrava. Avvicinati, avvicinati
adesso.
***
«Rivelati.» Conferì l'eco d'imposizione e delizia alla voce, nell'unicità del suono che tutto anticipava. Come un appello, un'intercessione – accoglimi, sembrava dire; accoglimi senza rimostranze, senza rinunce. Mutava il bagliore dello sguardo, s'invigoriva d'una affidabilità vera e propria; per un attimo quasi lasciò concretizzare l'impressione di essere altrove, e d'essere
altri. Qualsiasi parola gli fosse giunta, lui non avrebbe potuto più ascoltare: l'Occhio s'apriva, nel risveglio di un torpore che a stento sopportava; un tremito all'altezza delle ciglia, il refolo dei tempi segreti scivolando sotto le palpebre.
Sono qui, ripeteva.
Sei qui. Ascesa e rovina, il Sacrilegio visionario.
Non avrebbe saputo dire – né ricordare – in che modo e in che intensità le Simbologie della sfera di cristallo potessero concedersi allo sguardo esterno: aveva avuto prove, in passato, di come talvolta il Divenire s'offrisse in macerie. Per gli altri, e in principio perfino per chi come lui. Sirius avrebbe potuto vedere il moto perpetuo delle nubi catturate nel cristallo, la trama di magia più antica, di magia innata. Un vortice luminescente, sempre più caotico, già divampava all'intreccio dell'attenzione di entrambi; assolto in sensazioni che nessun'altra manifestazione avrebbe mai potuto donargli, Oliver reagì come intimamente rapito. Un movimento cadenzato, la carezza d'una mano aperta – sembrò guidare i nembi temporaleschi in maggiore equilibrio. Un lampo, una scintilla, un singulto tra i cieli, la progenie di Visioni in breve accennate; scintillò infatti in un cerchio, una spirale congiunta all'altra, a realizzare una geometria perfetta.
Il Cristallo vibrava all'assalto futuro, esigeva l'ordine che mai avrebbe percepito come naturale; quando il Veggente ne avvicinò l'indice alla superficie, nuove figure ne profanarono l'assetto d'insieme. Il contatto gli strappò un gemito, il singulto di una creatura in trappola.
Lo era davvero? Le pupille si dilatarono, spegnendo le iridi smeraldo in un guizzo; la bocca s'increspò nello spettro dell'ultimo sorriso, labbra trattenenti un singulto d'aria; e infine, come avvinto dalla seduzione in atto, si abbandonò pienamente alla Vista. Era vero, quello che aveva rivelato prima; frammenti della loro discussione ottennero testimonianza, mentre il crescendo iridescente s'arrestava in forme: il simulacro d'una testa di cavallo, nel busto in statua di pietra; il frontone, la trave maestra, a sorreggere colonne di un tempio; sparirono così com'erano apparse, avvinte nel gorgo luminoso. Le spirali di fumo cenere s'espansero a più non posso, invadendo l'intera superficie della sfera – dava l'idea di celarsi, l'idea d'essere coperta. C'era qualcosa, c'era
altro: sentì la resistenza dell'Occulto, la certezza di essersi già spinto oltreconfine. Non bastava, non per lui.
Exsurgere. Dedicò insistenza, nuova pressione dell'indice sulla sfera. In risposta, in palese contrattacco, il Veggente cominciò ad esserne soggiogato. Era una relazione ambivalente, quella. Non osare troppo,
non osare – ne aveva lucidità, oramai lo sapeva. Uno spasmo al petto, la gola ardente, gli mancò l'aria; il brivido lungo le braccia, la bocca tirata in una smorfia dolorosa.
D'improvviso la foschia si diramò, offrendosi nella simbologia di un serpente – un fulgido gioiello, un bracciale, l'avambraccio di un'ombra indefinita. Poteva essere Penny Laurence, il monile che aveva descritto era lì, sotto lo sguardo privilegiato di entrambi – lui e Sirius. Tuttavia, il rettile stilizzato s'animò lentamente, oltre l'incavo del collo, oltre il volto intangibile delle nubi del cristallo. Un volto, quello, che aveva sembianze assenti – cenni umani, colti dalla blasfemia non appena il serpente sgusciò nelle orbite vuote degli occhi. Tremò, il rantolo del respiro a segnare d'essere
oltre. Avrebbe dovuto smettere, avrebbe dovuto evitare: l'esperienza che aveva guadagnato nel corso degli ultimi anni rappresentava l'unica strategia di salvezza, in altre circostanze ne sarebbe stato travolto. Invece, si controllava: al di là dei cenni sofferenti lungo il viso, non sembrava in vero pericolo. Riprese a respirare, deglutì in fretta. Una nota d'incenso, soltanto per lui, pizzicò le narici; era il tempo, era l'Infinito. Ovunque, tutto intorno, il Richiamo che tanto gli era familiare. Ma s'arrestò, come braccato.
*Non è possibile*, il primo pensiero. Il timore ancestrale colse il cuore, nella sfera di cristallo si manifestò una pira funebre, un cumulo di tizzoni e di tronchi – e infine...
«No, non di nuovo.» Perdeva vigilanza, sempre più rapido. Il battito frenetico del petto, la fronte s'imperlò di sudore, le mani tremanti; il cristallo sfuggì sotto la punta dell'indice, e le nubi sfilarono un'ultima volta. Mai dimenticata... l'immagine del fuoco divampante. S'avvinghiava attorno ad un fantoccio, come uno spettro.
«No.» Un grido, un singhiozzo, uno
strappo.
Lasciò il Cristallo, interrompendo il contatto. Respirò in fretta, fino a spingersi contro la sedia. La sfera taceva, ma l'ultima rivelazione gli sembrò tuttora visibile: una figura dai tratti riconoscibili. Non è possibile, aveva pregato. Ma la sfera non mentiva.
Non hai paura, gli aveva chiesto.
Sono qui, Oliver. Sono sempre qui per te.
Orrore cremisi, lo stesso fuoco.
Sirius White bruciava.