Un movimento dolce, come una carezza; la mano si dischiuse lentamente, il palmo accolse una liana verdeggiante di un baccello posto di fronte, sul davanzale di una finestra rettangolare. Uno sguardo intenso, gli occhi socchiusi; un sorriso a fior di labbra, la consapevolezza di instaurare un contatto con l'arbusto magico, un contatto che avrebbe compiuto la differenza; quando l'Incantesimo Immobilizzante si spezzò, i legami che costringevano la talea ormai così cresciuta si recisero di netto, di pari modo. Questione di attimi, il Pugnacio si accorse di aver guadagnato una scintilla di libertà e con un fruscìo di steli e foglie, come un gemito umano, cominciò a destreggiarsi e muoversi all'impazzata - da destra verso sinistra, in un moto ondeggiante, perpetuo, comprensibile soltanto ad uno studioso e appassionato di Erbologia.
Un soffio, un sospiro trattenuto, il singulto di un corpo pronto all'assalto, Oliver scattò sull'attenti, mentre con la mano sinistra - quella libera - impugnava un paio di forbici dentellate; riuscì a recidere appena un fusto, tra i gambi saettanti del Pugnacio, e si ritenne soddisfatto. Ne avrebbe ricavato quanto ricercato, e in quell'incontro - di quel giorno, come di tanti altri già avvenuti - si rinnovava la sua più innata armonia. Sentì il peso di radice, semi e spore fin sulla pelle, e a quel punto si ritenne soddisfatto. Un colpo di bacchetta, un Immobilus come un velo passeggero, e il bacello ritornò ad uno stato di quiete. Prima o poi, Oliver lo sapeva, Venceslao - quello il nome del Pugnacio che aveva da tempo - sarebbe stato troppo grande per essere contenuto da un sortilegio; l'idea che restasse ancora un po' con lui, in dormitorio, continuava tuttavia ad essere fonte di benessere.
La tavolata rosso-oro, quella sera, era un continuo cicaleccio di voci - qualcuna più alta di un'ottava, qualcuna più simile ad un sussurro concitato, l'una e l'altra di gran lunga familiare per il loro Caposcuola. Con un sorriso malandrino all'ultimo commento di Penny sull'incantevole Docente McLinder, di cui si era preso una cotta ormai da lungo andare, Oliver alla fine non riuscì più a trattenersi e si rese partecipe di un divertimento condiviso. Recuperò un piattino di patate al forno, lasciò che Herbelia gli passasse la maionese e la senape, e cercò con lo sguardo eventuali altre creme da aggiungervi sopra; quando fu il turno dei dolci, non si trattenne più del dovuto, e fra una fetta alla melassa e un pasticcino alla zucca, concluse la cena nel migliore dei modi. Il pensiero di dover abbandonare il Castello, un giorno, avrebbe significato di pari modo sottrarsi ai più luculliani banchetti degli Elfi Domestici. Si morse la lingua, inconsapevolmente, quando il Preside Peverell prese la parola. Un battito di ciglia, un calice di succo di zucca tra le dita della mano destra, infine una rivelazione sempre più sentita; si affrettò rapidamente verso il punto di incontro, recuperando al volo la borsa a tracolla con i libri delle lezioni del giorno, e lasciando la torta a metà - un peccato, quello, che già rimpiangeva.
«Permesso, scusate, permesso.» Una cantilena destinata a ripetersi, ancora e ancora una volta, quando finalmente raggiunse il Preside e gli altri Studenti; ne riconobbe molti, volti più o meno familiari, e il pensiero non poté che andare alla Scuola di Atene. Sentiva il peso di una scoperta farsi strada fin nel petto, e sul corpo, come un dono pasquale in anticipo; quando il presentimento trovò conferma nelle parole ufficiali del Professore, il battito del cuore di Oliver si fece ben più insistente. Un sorriso, un cenno del capo, un tacito ringraziamento, si congedò così per correre ai piani superiori, fino alla Sala Comune Grifondoro. Non impiegò troppo, conosceva un paio di passaggi più veloci, e quando arrivò al ritratto della Signora Grassa, ritrovò già altri concasati.
«Andiamo di fretta, Madama Grassa.» Commentò al volo, avvicinandosi a passi sempre più scattanti; riuscì a farsi strada nel gruppetto, ponendosi fino ad altezza del ritratto principale. Il cipiglio minaccioso della Donna in cornice parve una garanzia di una protezione autentica, inviolabile, del ritrovo rosso-oro.
«Parola d'ordine, caro.»«Mambo argentino.»«Proprio così.»Scattò sull'attenti, ancora una volta.
Trenta minuti, un tempo discreto per poter raccogliere un paio di manufatti; la mente macinava pensieri rapidamente, il cuore non era da mano, e in quell'insistenza si rivelava una certezza: un viaggio nel tempo era in programma, la Scuola di Atene era tornata. Sentiva un intenso, costante formicolio lungo braccia e gambe e quando fu all'interno della Sala Comune, il tepore del camino scoppiettante parve ancora più intenso; ritrovò un volto familiare tra tutti e chiamò il suo nome a gran voce.
«Rose» Avrebbe cercato la sua attenzione, correndo verso di lei.
«Sei stata convocata da Peverell, è straordinario. Prendi poche cose, quelle necessarie, e rivediamoci qui, possiamo andare insieme e ho qualcosa per te.» Un sorriso, un contatto leggero, gentile, pacato - la mano destra sul braccio dell'altra, infine via verso la scala a chiocciola dei dormitori maschili. Quando entrò in camerata, si accorse di avere la pelle d'oca. Ne era condizionato, ne era coinvolto, ne era di gran lunga emozionato più di quanto potesse anche solo lontanamente esprimere; si prese un attimo di tempo, un respiro appena, e ristabilì così un migliore autocontrollo. Non avrebbe portato troppe cose, non sarebbero state necessarie, l'esperienza parlava da sé: Oliver non era a digiuno di quegli eventi, e ne comprendeva il valore più logico, mentale e decisivo; una questione di cervello, lo era sempre, e la magia che aveva appreso negli anni - anche solo dall'ultimo incontro - avrebbe potuto fare la differenza. Si cambiò, prima di tutto il resto: un paio di pantaloni più comodi, una camicia con una felpa leggera, infine quei morbidi stivaletti in pelle che aveva acquistato proprio pochi giorni prima; camminò su se stesso, una giravolta e un passo di danza, e fu soddisfatto dei movimenti più leggeri, fino alla pianta dei piedi. Riempì le tasche di poche, utili cose: una fiala di Pozione, il sacchetto di rune sacre che sempre aveva con sé nell'ultimo periodo, due boccette piene di polvere del sonno, un fazzoletto con diversi semi recuperati quella mattina stessa, e via così. Nulla che avrebbe potuto appesantire, tutto che avrebbe potuto avere valore. Con la bacchetta magica stretta nella mano destra, attirò a sé il mantello di Penny e una scatola con alcuni oggetti che aveva preparato rapidamente. La voce del concasto lo raggiunse come una stilettata.
«Oliver Brior, maledetto, quando la smetterai di rubare i miei vestiti?»«Ti voglio bene anche io, Penny»Scalini insieme, un paio alla volta, e Oliver tornò nuovamente al pianoterra; era estasiato, come una sorpresa di compleanno giunta in anticipo - e in effetti, nel suo caso, Maggio era vicino. Avrebbe cercato nuovamente la figura familiare di Rose e al momento opportuno, si sarebbe accostato ancora una volta.
«Abbiamo poco tempo, molti si sono già avviati. Hai qualche domanda?» L'indice verso l'uscita della Sala Comune, il ritratto dischiuso in uno scatto veloce. Di lì ai piani inferiori, non sarebbe stato difficile raggiungere l'Ufficio del Preside; un percorso semplice, conosciuto ai più, che avrebbe favorito uno scambio di opinioni, una risoluzione forse di dubbi passeggeri, qualsiasi cosa. Oliver nutriva un affetto per Rose fin da quando l'aveva vista Smistata in Grifondoro; come un Caposcuola, come un fratello maggiore, coltivava per i suoi concasati - soprattutto quelli più piccoli - un moto di fiducia e di protezione, di sicurezza e di amicizia, un valore di per sé inestimabile. La presenza di più Grifondoro, in quell'occasione, era per lui soddisfazione e gloria, insieme, e ne era assolutamente felice. Le consegnò una scatolina, nulla che avrebbe impiegato troppo spazio.
«Detonatori Abbindolanti, ottimi diversivi e sistema di assalto; Molliccio Oppugnabile, lo lanci via con l'Incanto Oppugno e realizza la paura più grande di chi lo osserva. Hai già affrontato un Molliccio, Rose? Semplice curiosità.» Sorrise, muovendo la mano in un gesto casuale.
«Palude Portatile, attenzione, è veramente viscida. La lanci e sì, il nome parla da sé. Potrebbero servirti. In ogni caso...» Inclinò il capo, leggermente.
«Sarai eccezionale.» Un sorriso, un occhiolino, infine i Gargoyle dell'Ufficio del Preside. Di lì a breve, tutto sarebbe cambiato e l'avventura avrebbe preso ufficialmente inizio; con il cuore nuovamente in visibilio, Oliver sostenne il peso del cambiamento e ancor più quello dell'ignoto. Non gli capitava da tempo e per un attimo, appena un attimo, non fu affatto tentato di scrutare il Futuro. Le sorprese come quelle andavano vissute nel presente, attivamente, in prima linea. Entrò in stanza, stringendosi nel mantello scuro, a coprire i piedi.
«Buonasera, Professore.»Colse prima la figura del Preside, e nel suo sguardo brillò una nota di gratitudine: era lì, Oliver, ed era un
privilegio. Con le informazioni ascoltate attentamente e il battito crescente, il Caposcuola Grifondoro si accostò al gruppo degli altri concasati; individuò
Caleb e
Juliet, tra tutti quelli già arrivati, e sorrise con un occhiolino.
«Ne vedremo delle belle.»Cina, Oriente. Annuì in direzione di
Vath Remar, sorpreso di scorgerlo a sua volta in quell'avventura, e ritrovò volti di per sé nuovi, e poco familiari, insieme ad altri ben più conosciuti - riservò un saluto all'uno e l'altro, e lentamente si insinuò una minuziosa scintilla incauta: nessuno, tra i presenti, aveva avuto il sentore di scrivergli o fargli visita in Infermeria, durante la lunga degenza dell'Estate scorsa. Con ogni probabilità, si disse, la fine di Oliver Brior non era avvincente quanto l'inizio di un viaggio nel tempo. Sorrise, e il rimpianto si sciolse all'incanto della sera. Non avrebbe rinvangato i pensieri, non quella volta.