Water Drops In Hell, Quest di avvicinamento.

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view post Posted on 4/4/2020, 16:17
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La Lettera

L’alba di un nuovo giorno si affacciava all’orizzonte, dove le montagne scozzesi sormontano il cielo cristallino. La Primavera, ormai inoltrata, accarezzava le creste degli alberi, ornava il manto verde dei prati con fiori colorati e dava al Lago Nero un aspetto diverso, più cristallino. Il canto diafano degli uccelli in volo abbelliva il perfetto quadro che come ogni anno si mostrava instancabile agli occhi del mondo. Così, si faceva spazio una nuova mattina e le risate dei giovani studenti già svegli, fuori dalle mura del castello, giungevano fino alle alte torri millenarie, proprio lassù suonavano come soffocate da una spessa gommapiuma.
Nella Torre Ovest, nel silenzio del dormitorio Corvonero, Megan poteva sentire le varie tonalità delle voci che si confondevano fra i pensieri nulli, riflessi in uno sguardo spento. Gli occhi blu, specchiati sul vetro della grande finestra, si perdevano in direzione dell’infinito; nessuna espressione a segnare il volto, solo la stanchezza si rivelava sotto le palpebre colorando la pelle d’indaco scuro.
«Che fai? Scendi con noi?» la voce di Grace interruppe la quiete. Un battito di ciglia e Megan strinse le braccia incrociate con più forza emanando un lungo sospiro. «Andate pure, Grace. Vi raggiungo più tardi» disse senza degnare di uno sguardo la compagna.
Quando la porta si chiuse Megan contrasse le palpebre e una smorfia le indurì l’espressione; difficile a dirsi, avrebbero pensato in molti, ma ogni azione volta a tagliare qualsiasi tipo di rapporto creava una ferita in più nella sua anima.
Intere settimane erano passate dal giorno in cui tutto era cambiato e ogni passo fatto da allora la guidava in una strada che non conosceva luce alcuna. Il Fato non era stato buono con lei e la perdita di qualsiasi persona avuta al proprio fianco aveva allargato le radici isolandola quasi completamente dal mondo esterno. Non rimaneva che lo scheletro di una ragazza che camminava lungo i corridoi sotto occhi indiscreti, in balia di sussurri, risate e sguardi di compassione. Quante cose erano successe: sconfitte, abbandoni e perfino nuovi incontri. Tutto mutava e Megan non faceva altro che guardare immobile vinta dalla rabbia, dal desiderio frustrante di una vendetta nei confronti dell’ignoto. Di lei non v’era più nulla ma la maschera indossata lasciava che si nascondesse, celava la maggior parte delle emozioni provate e pochi riuscivano a scavare davvero affondo.
Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, allentando totalmente la presa delle dita strette sulla pelle arrossata. Si mosse in direzione del mobile e si sedette davanti alla propria specchiera afferrando la spazzola, pettinando le lunghe ciocche corvine. Ogni volta che guardava il proprio volto davanti a un pezzo di vetro provava l’istinto di farne mille pezzi; scoprire di giorno in giorno il mutare della più piccola parte del corpo nella perfetta copia di sua madre lasciava esplodere dentro di lei il rancore. Sul piccolo spazio in legno due cornici abbellivano il ripiano: in una mancava la foto che ritraeva l’ultimo natale con suoi genitori, l'aveva lasciata a casa di Axel e quando ne aveva preso coscienza si era sentita alleggerita da un peso, come se non vederli ridere e abbracciarla teneva più lontano il dolore; l’altra ritraeva lei Paul nel giardino di casa. Sistemò la cornice vuota all’interno di un cassetto e prima di richiuderlo Megan si fermò a osservare gli intarsi di uno specchio posto sul fondo. Era da tempo che non lo vedeva e un battito accelerato del cuore la fece sussultare appena. Le dita affusolate, sbloccarono l’oggetto impolverato, incastrato tra le pareti lignee: lo Specchio Comunicante era ancora lì dopo mesi dalla sparizione di Wolfgang.
Un respiro profondo si liberò fra le labbra e nello stesso istante socchiuse gli occhi per frenare l’emozione che lentamente arrancava lungo la gola. Ingoiò un rivolo di saliva e si limitò ad appoggiare l’oggetto davanti a lei. Non era sicura di ciò che ne avrebbe fatto, l’istinto la spingeva a chiamare Wolfgang, a farlo ancora e ancora, fino a che lui non si fosse fatto vivo. Non lo fece, si alzò semplicemente afferrando la tracolla poggiata sul baule e prima di andare via prese lo specchio con sé.

Il caos si faceva sempre più strada ad ogni piano che percorreva; visi conosciuti le rivolsero un saluto cordiale al quale lei non poté sottrarsi in alcun modo. Nell’avanzare fu vittima del cambio delle scale che la costrinsero ad allungare il percorso in discesa fino all’arrivo nell’aula d’incantesimi. Qualche attimo più tardi, la lezione ebbe inizio occupando la prima ora produttiva della giornata.
Megan se ne stava fra gli ultimi banchi mentre la McLinder spiegava; sulla pergamena tracciava linee indefinite, scarabocchiando di nero il foglio, vittima della poca attenzione che stava rivolgendo alla lezione. Non aveva dormito molto, non poteva aspettarsi diversamente da se stessa ma almeno era riuscita ad arrivare in orario e ultimamente non era cosa scontata. Tuttavia, il tempo era trascorso senza intoppi e quando le ultime parole della professoressa stabilirono la fine della spiegazione, Megan aveva preso le sue cose ed era corsa via.
Un’ora d’aria prima di riprendere il normale flusso di un martedì qualunque, che decise di spendere nel cortile della Torre dell’Orologio. Varcato l’ultimo arco si lasciò travolgere dall’aria frizzantina che le arrossì il naso e gli zigomi; le pupille, alla vista della luce, si strinsero e il blu cobalto mutò in un chiaro grigio opale. Trovò spazio su una delle pietre e vi poggiò la borsa cercando il volume di Storia della Magia per un ripasso prima dell’interrogazione, ma in quel momento vide lo specchio e non vinse contro la voglia di stringerlo fra le mani. Gli occhi si posarono sul pezzo di vetro, nello stesso istante il desiderio di pronunciare il nome di Wolf si fece spazio nella mente e le labbra si schiusero appena. Chiuse gli occhi, il controllo la portò a non compiere alcun passo falso ma nello stesso istante, quella semplice azione la fece tornare indietro nel tempo. Sentì la pioggia scendere lentamente e bagnarle la pelle sebbene il sole splendesse nel cielo come mai aveva fatto prima. Eppure la sentiva, il ricordo lontano si fece spazio e finalmente vide.


Ferma, in quello stato di pace, lasciava che la pioggia continuasse a bagnarle l’intero corpo. I battiti lenti del cuore risuonavano silenziosi, riservando alla calma un posto sicuro. 

Tuttavia, ci fu un istante in cui tutto sembrò fermarsi. Un breve attimo in cui riuscì a sentire ogni muscolo del proprio corpo sciogliersi sotto un calore crescente, dove la pace trovata lasciava entrare un fiume di emozioni sovrapposte che non riusciva a contrastare.

Nel momento in cui le dita di Wolfgang sfiorarono il suo viso, delicate, impercettibili, Megan non riuscì a desiderare che quello stato ininterrottamente.
«Dovrei avere paura di te?» ~ All We Know.


Strinse i denti e le labbra si tesero. Mai come in quel momento capì il significato di quella domanda e se un tempo gli aveva sorriso, affermando che avrebbe dovuto averne, scherzando, oggi aveva una consapevolezza diversa. Wolfgang doveva avere paura veramente, doveva proteggersi da lei che non aveva fatto altro che ferirlo.
Gli occhi si aprirono e mentre il cuore s’agitava in petto Megan scaraventò lo specchio a terra. Un suono deciso rimbombò sul terreno e schegge di vetro si dispersero come piccole lame affilate: ora non le rimaneva più niente che l’avrebbe legata a lui.
«Tutto bene?» la voce di un giovane Tassorosso sbloccò lo sguardo fisso su ciò che rimaneva dell’oggetto a terra, una cornice carteggiata.
«» aveva risposto incerta con un sorriso sghembo, «è tutto ok, ci penso io tranquillo. Vai!» un ordine uscì aspro dalle sue labbra. Avrebbe voluto urlare per la frustrazione che provava in quel momento; sapeva di aver fatto la cosa giusta per se stessa, eppure… Era così?
A interrompere quegli istanti un giovane Gufo reale atterrò dinanzi a lei, fra le fauci stringeva una missiva e chiaro fu per Megan riconoscerne la provenienza. Il sigillo di ceralacca aveva inciso una “M”, chiaro simbolo del Ministero della Magia, Waldegrave chiedeva un incontro.

Cara signorina Milford-Haven,
come accennato durante il nostro spiacevole incontro, vorrei avere l'occasione di parlare con lei.
I suoi genitori sono stati una terribile perdita anche per il Ministero e mi è francamente dispiaciuto non poter essere presente alle estreme onoranze.
Ad ogni modo, l'aspetto il prossimo venerdì nel mio Ufficio, al Ministero.
Ho già avvertito, chi di dovere, circa l'eventualità che lei possa arrivare e le indicheranno, all'entrata, dove dirigersi.
Nella speranza di poterla incontrare, le auguro un ottimo fine settimana.

Eleazar Waldegrave

Direttore dell’Ufficio Misteri
Scotland Pl, Westminster
London SW1A 2BD, UK ~ Posta via Gufo


***



Il Ministero


Londra centro era meno caotica del solito quel giorno ma Megan non parve nemmeno rendersene conto. Il presente aveva cessato di esistere dal momento in cui aveva stretto fra le dita quella lettera, letto il contenuto, e passato notti insonni a immaginare cosa sarebbe mai successo nel venerdì della settimana successiva. La speranza di trovare le risposte, che in quei mesi l’avevano torturata, si aggrappava con forza e stabiliva in lei una strana sensazione di sollievo. Forse s’illudeva ma sapeva che in un modo o nell’altro – dettato dal proprio “modus operandi” – avrebbe ottenuto qualcosa fra le mani.
Attraversò la strada in direzione della cabina che l’avrebbe condotta verso la propria meta. Ricordava di averla presa una volta con suo padre e l’entusiasmo che l’aveva colta nel vederne la funzione. Dopo allora c’erano state un altro paio di volte, o poco più, e doverci mettere piede da sola le dava un senso di apprensione. Mai come in quel momento si sentì una piccola donna in un mondo troppo grande. Non importava quanto i vestiti la facessero sembrare più grande del dovuto, se l’altezza stabilisse un'età diversa da quella che aveva: Era solo un adolescente. Indossava un grazioso cappotto beige che copriva i pantaloni blu a vita alta, accompagnati da un tacco basso, e un maglioncino rosa leggero; sulla testa un basco color panna a coprire la lunga e folta chioma corvina.
Quando fu davanti all’ingresso per i visitatori, entrò componendo le cinque cifre sulla tastiera del telefono e all’azione del magico meccanismo, sentì un brivido partirle dai piedi fino ad arrivare ai capelli, poi il vuoto la inghiottì.
Il punto di accesso del Ministero si mostrò in tutta la sua invidiabile bellezza: la fontana dei Magici Fratelli invadeva il centro dell’ottavo piano, mentre il caos le passava affianco in tutta fretta con in mano centinaia di valigette colme di scartoffie. Megan mosse i primi passi e nell’agitazione urtò un signore distinto.
«Stia più attenta signorina!» le aveva urlato lui ma non aveva dato peso a quell’affermazione e aveva continuato dritta fino a raggiungere un membro della sicurezza.
«Buongiorno, sono Megan Milfor-Haven. Ho un appuntamento con il Direttore dell’Ufficio Misteri, Eleazar Waldergrave. Mi ha scritto che avreste saputo del mio arrivo oggi» disse, poi consegnò la propria bacchetta.


 
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view post Posted on 14/4/2020, 16:28
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Osservava nervosamente l'orologio. Non era ancora giunto il momento ma le lancette si muovevano fin troppo lentamente per i suoi gusti e il tempo, in qualche angusto modo, era denaro; anche in quel caso.
Il Ministero pullulava di zelanti lavoratori ed Eleazar, che v'era giunto prima del previsto, li osservava giungere uno dopo l'altro dal tavolo al quale s'era seduto. Amava fermarsi lì, nel bel mezzo del via vai di Maghi troppo presi dai loro compiti per dargli nota. Si confondeva bene tra la gente, doveva ammetterlo. La sua calma, la sua serenità, nonché l'incapacità di percepire empaticamente ciò che lo circondava, lo rendeva, in qualche modo, estraneo a tutto e tutti. Si beava spesso di quella sua innaturale capacità di farsi da parte, lo aiutava ad alienarsi anche dai suoi compiti.
La perdita dei coniugi Milford-Haven gli aveva causato non pochi grattacapi negli ultimi mesi e, nonostante il ricco report prostrato da uno dei suoi più affidabili collaboratori, c'era qualcosa che ancora gli risultava sconosciuta, incapace di scorgerla. Poteva essere l'età a fargli brutti scherzi ma, in cuor suo, aveva sempre temuto l'eventualità che qualcuno dei suoi sottoposti potesse accingere a quelle conoscenze incompiute che erano nascoste nel suo dipartimento.
Ogni giorno si recava al livello 9, superava la camera d'entrata e visitava le ampie o ristrette camere, registrando in ordine tutto ciò che vi prendeva luogo, veniva conservato o spostato. Le sua manie di controllo facevano sì che nulla, assolutamente nulla, sfuggisse al suo sguardo attento e se qualcosa non tornava, se un oggetto era sistemato in un luogo piuttosto che un altro, bisognava che avessero una buona ragione a spiegarlo. Per questo motivo, se Eleazar Waldegrave sospettava che qualcosa si fosse mosso senza la sua benedizione, allora v'erano ottime possibilità che fosse realmente così. Il suo dipartimento, dopotutto, restava indipendente: nulla potevano quelli dell'Applicazione della Legge sulla Magia, nulla poteva il Ministro in persona che, seppur tale, esercitava ben poca autorità sul loro operato. Era fiero, incredibilmente fiero dei loro risultati e della loro libertà di azione ma ciò non voleva dire che non dovessero agire con un certo raziocinio e ottemperanza.
La sua paranoia, le sue ansie, erano state riversate dunque su Megan Milford-Haven: se lei sapeva qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse tornare utile per risolvere il grande quesito celato dietro la morte dei genitori, lui doveva saperlo.
« Signore, forse è il caso che si diriga nel suo Ufficio »
« Scusa Thomas, hai detto qualcosa? », si ridestò dal suo bicchiere mattutino.
« La signorina la raggiungerà tra poco meno di un'ora e v'è una pila di pergamene che necessita della sua attenzione »
Agitando una mano nell'aere, Eleazar si costrinse ad alzarsi per rispondere all'ordine per nulla celato del suo sottoposto. Prese l'ascensore e si diresse al nono livello. Percorse il breve corridoio centrale ed entrò nella prima porta a sinistra, ben lontana da tutte le stanze sconosciute e non a chi lavorava al Ministero della Magia.

YCbwPsZ


Nel prendere la bacchetta della Corvonero, Eric Munch le regalò un'occhiata tra il curioso e l'indagatore. Che ci faceva, lì, una giovane di bell'aspetto, reduce dai più floridi anni ad Hogwarts? Perché era richiesta dal vecchio del Dipartimento Misteri?
Quando era stato informato della sua presenza, non aveva posto domande, ma tra il via vai di gente irrequieta e anonima, quella particolare visita aveva attirato la sua attenzione.
Attestata la sua identità, registrata la bacchetta, piegò il capo sul foglio che aveva davanti.
« Prenda l'ascensore dall'altra parte dell'atrio e si diriga al nono livello. Qualcuno la starà aspettando lì», le riconsegnò la bacchetta e distolse lo sguardo come a volerle comunicare che lì, almeno per il momento, avevano concluso.
« Ah! Non faccia altre fermate, mi raccomando! », s'era apprestato ad aggiungere una volta che la ragazza gli aveva dato le spalle.

L'atrio del Ministero era identico all'ultima volta. I volti che si affrettavano ad andare da questa o quella parte sembravano tutti assorti dai loro doveri e pensieri, incapaci di guardare al di là del proprio naso. Come giù per una strada trafficata, attraversare quell'ampia stanza sarebbe stato più facile a dirsi che a farsi. Una volta giunta all'ascensore più vicino, situato al di là di una cancellata dorata, le sarebbe bastato entrare e chiedere il piano a cui necessitava dirigersi affinché il guardiano vi si dirigesse.


Bene, Megan.
Ti prego di postare le tue stats e gli oggetti che hai con te: anche se siamo al Ministero della Magia, non si può mai dire che non possano servire.
Per qualsiasi cosa, sono disponibile, come sempre, via mp.
Buona fortuna.



 
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view post Posted on 1/5/2020, 11:26
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Dopo aver pronunciato quelle parole, Megan era rimasta in silenzio osservando l’uomo posare gli occhi su di lei. La curiosità lo spinse a scrutare con attenzione la Corvonero, che provò un leggero imbarazzo. Non era affatto facile nascondere la tensione ma lei aveva sorriso di grazia, provando a mascherarla.
Quando la bacchetta tornò nelle proprie mani, si premurò di inserirla di nuovo lungo il fianco. «Grazie, buona giornata!» aveva risposto a seguito delle informazioni recepite e si era inserita nuovamente fra la gente senza alcuna difficoltà.
Se fino a quel momento l’ansia era stata celata dietro l’adrenalina, spinta dal desiderio di scoprire qualcosa di più in merito a ciò che era stato già scritto per i suoi genitori, adesso la sentiva arrancare lungo le viscere. Il cuore batteva forte a ogni passo compiuto ed era consapevole che sarebbe andata peggio; la fatica a gestire le emozioni non era certo migliorata nel tempo, anzi. Nel via vai della gente la giovane posò gli occhi su una donna, che a qualche metro da lei aveva poggiato a terra la propria valigetta. Inevitabile fu fermare il solleticare di breve ricordo nella mente.


«Stai attenta! La scusi signora, è un po’ distratta.»
«Ma si figuri. Ti sei fatta male piccola?»
La dita affusolate sfiorarono il viso di Megan, accarezzandolo delicatamente. Aveva inciampato sulla valigia di una giovane Ministeriale, troppo assorta nel guardare la struttura in cui per la prima volta metteva piede. «No, mi scusi» aveva risposto, un lieve imbarazzo arrossì le gote che la donna pizzicò amorevolmente: prima la sinistra, poi la destra. «Bene, goditi il giro panoramico magari un giorno farai parte di tutto questo, tesoro. Buona giornata!»
La donna si disperse diventando un punto indefinito circondata da tanti altri punti e lei non ebbe modo più di poterla seguire con lo sguardo.
«Vedi? Cerca di tenere il nasino giù!» Carl la strinse a sé toccandole con l’indice l’estremità del naso.


Megan, in quel momento, si grattò la punta lentigginosa e oltrepassò la sagoma dal tailleur rosa confetto. Ogni volta che i flashback tornavano senza alcun preavviso, sentiva una pugnalata lacerarle la carne da parte a parte. Il desiderio costante di poter tornare indietro e riposizionare gli aghi sull’orologio, l’anno sul calendario e poter fermare tutto ciò che aveva inevitabilmente cambiato la sua vita, era così presente da renderle impossibile, a volte, capire che non v’era alcuna formula magica che sarebbe stata in grado di portarla indietro. O forse c’era la possibilità ma era meglio che lei non la scoprisse, non avrebbe certo badato alle eventuali controindicazioni.
Superato l’Atrio si premurò di seguire attentamente le indicazioni che le erano state date dal dipendente poco prima. Non si soffermò più a lungo di un semplice obbligo di file fronte all’accumulo di gente che prendeva strade diverse, tagliandole il cammino o semplicemente bloccandosi per una banale controllata alle lancette. Una volta giunta, non con poca difficoltà di fronte a uno degli ascensori, aveva dovuto aspettare una manciata di minuti affinché il traffico di persone si smaltisse del tutto per poi riformarsi alle proprie spalle.
«Nono livello, grazie
Guardò la guardia appena, il tempo di rivolgerle quelle tre parole. Poi impettita tornò a guardare le sbarre chiudersi davanti a lei.
Il respiro iniziava a mancarle.


▼ Attivo & Conoscenze

Bacchetta - Legno di Ciliegio, Lacrima di Veela,10 pollici, semi rigida
Tracolla in pelle chiara
Amuleto Oscuro
Anello Difensivo(Medio sx)
Effetti: : protegge da danni fisici e incantesimi. Anche da Avada Kedavra, ma poi si spezza. [Usabile 1 volta per Quest.]
Anello + Zaffiro “Trillon” (Anulare dx)

––


Occlumante Apprendista
Essendo apprendista, il pg riuscirà a chiudere la mente solo a legilimens apprendisti. Nulla però potrà, nel caso si trovi di fronte a legilimens esperti. Non sempre riesce a combattere le proprie emozioni, che sono per lui il problema principale.

I, II, III Classe completa.
Eccetto: Orcolevitas e Fattoriam.

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view post Posted on 13/5/2020, 17:59
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Prima ancora che le porte dell'ascensore si spalancassero, l'avvinse la sorprendente differenza che caratterizzava quel piano rispetto ai suoi superiori. Le pareti piastrellate di nero erano nude, senza finestre e, una volta poggiato il primo passo nel lungo e claustrofobico corridoio, Megan sarebbe stata inghiottita dall'oscurità.
Viva, percepibile.
Era quel posto ad incutere terrore o era lei il problema?
Ai lati delle mura alta e spesse non v'erano porte; tuttavia, se solo si fosse spinta oltre, avrebbe potuto scorgere i lineamenti di un uscio nero che si perdeva nelle ombre: l'unico accesso al Dipartimento vero e proprio.
Una luce improvvisa le tramortì la vista con il suo bagliore bianco, freddo e nel medesimo istante in cui l'ascensore abbandonava la riva - e con essa la Corvina al proprio destino - si poté chiaramente udire il suono di un cigolio pulito. Il portone di legno massiccio veniva spalancato senza emettere alcun lapillo di chiarore.
« Signorina Milford-Haven. La stavamo aspettando. »
Un uomo, dal volto coperto dall'ombra del cappello scozzese, irruppe nel corridoio e l'eco del suo avanzare raggiunse Megan, ancora troppo lontana.
Si fece da parte, pronto a lasciare il Nono livello per tornare ai piani alti, ma non prima che ella potesse raggiungerlo e accomodarsi nella luce della sua voce bassa, calda.
La processione che l'avrebbe condotta al cospetto di lui sarebbe parsa lenta, interminabile ma anche a distanza sempre più ravvicinata, sarebbe stato impossibile scorgere il volto dell'uomo che, immobile, sembrava chetamente unirsi al Buio che penetrava e dominava quell'etereo luogo.
Non in molti potevano dire di esservi stati ma era così che Waldegrave desiderava, era così che doveva andare. Nella sua contorta mente, la sua visita l'avrebbe condotta a ripercorrere la scia dei suoi genitori e, di conseguenza, poteva forse sperare di trarne informazioni - qualora lei ne avesse avute.
« Su, su entri! », la voce di Eleazar irruppe nel silenzio nell'esatto momento in cui la ragazza si trovò al cospetto di Thomas; forse fu la distrazione ma, ancora una volta, non riuscì a distinguere i lineamenti del suo viso. Non in tempo, comunque: anticipando l'irruzione del Capo, l'uomo ne approfittò per dirigersi verso l'ascensore, ripercorrendo i passi della giovane più velocemente di quanto avesse fatto lei. E mentre la sua schiena si perdeva nelle carezze delle luci asettiche, la sua voce sembrò permeare le pareti con ancora più insistenza.

Se Megan avesse accettato nuovamente l'invito che Waldegrave le porgeva, si sarebbe trovata a fronteggiare una stanza altrettanto vuota e sterile.
La Camera d'ingresso, la stessa che lei avrebbe solcato, era progettata per disorientare qualsiasi personale che non era autorizzato ad accedervi; il che, ovviamente, non valeva per lei. Deliziata da un pavimento di marmo scuro che dava l'impressione di solcare dell'acqua stagnante, le candele, da una tenue luce blu, vi si riflettevano, giocando brutti scherzi alla vista. Al centro un tavolo, una scrivania lucida e di uno stonato color ciliegia, sembrava esser piombata lì per caso.
Dietro di essa, Eleazar - ora in piedi - e, oltre la sua figura, dodici porte senza maniglie e nessuna sedia che potesse farla accomodare.
Dov'era capitata?






 
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I l tempo che scandì quella breve azione fu costernato dall’inquietudine che, piano, s’impossessò del suo corpo. La sicurezza dietro una postura ben salda, combatteva contro il senso di nausea che le permeava nello stomaco e i battiti frenetici che sentiva pulsare fino alle tempie. Megan guardava di fronte a sé ma non osservava veramente. Non sapeva cosa aspettarsi da quell’incontro ma si era ripromessa di dover essere ancora più forte. Lasciare che nulla la colpisse così profondamente da lasciarla cadere a terra. Le dita trascinarono le ciocche a scoprire il profilo e un respiro profondo provò a fare spazio alla calma.
L’ultimo secondo che precedette l’arrivo al nono piano, l’apertura delle porte dell'ascensore e l’ignoto a dare il benvenuto, diede modo a Megan di osservare le pareti che l’avrebbero presto accolta: mattonelle nere senza alcun segno che le distinguesse l’una dall’altra, ai lati. Un lungo corridoio avvolto dalle tenebre, davanti. Il respiro le mancò nella quiete di quell’ambiente, poi una luce le illuminò il volto costringendola a trovare riparo dietro il palmo della mano. L’ascensore aveva così ripreso il meccanismo mentre una voce la invitava a farsi avanti. Megan all’udire quelle parole, dettate da un tono profondo e vibrante, sentì l’angoscia esploderle nei polmoni. Tutta la sicurezza andava lentamente sgretolandosi sul pavimento e ogni passo verso l’uomo sembrava allontanarla sempre di più dalla meta. Una probabile illusione che sembrò far durare quella tratta un’eternità.
Quando fu a poco meno di un metro, la ragazza aveva guardato l’uomo con curiosità, poi abbassato gli occhi per non sembrare invadente. L’unica cosa che era riuscita a scorgere non aveva alcuna identità, un volto coperto dall’ombra sotto un cappello scozzese che nascondeva alla perfezione i lineamenti.
«Su, su entri!»
La voce familiare di Eleazar sancì la fine del silenzio. Megan, così, non ebbe modo di osservare ancora chi l’aveva invitata a farsi avanti. Avvertì la sua assenza qualche secondo più tardi, mentre le pupille si stringevano definitivamente sotto la luce fastidiosa.
«Signor Waldegrave» salutò accennando un sorriso cordiale.
Superò l’uscio entrando nella stanza. Ad accoglierla una stanza dagli interni spogli, illuminata da candele blu accecanti; un pavimento di marmo scuro e pareti probabilmente inesistenti. Al centro una scrivania lucida e dietro di essa, ora, il Ministeriale.
Megan osservò la fantasiosa teatralità di quel posto e ne rimase particolarmente colpita. V’erano delle porte, dodici ne aveva contate alle spalle dell’uomo, dove conducessero per lei era ignoto. Si avvicinò alla scrivania arrivando a poco meno di un metro dal legno. Non v’era niente per sedersi ma Megan non vi badò molto; non in quella circostanza.
«Voleva incontrarmi? L’ascolto» disse con apparente calma. Osservava Eleazar, le iridi blu cobalto avrebbero sondato con più profondità quelle di lui. C’era una cosa che non amava fare, far finta di guardare negli occhi qualcuno. Guardare altrove, lungo le folte sopracciglia, o fissare la punta del naso. Il contatto doveva essere sempre presente, capace di non lasciar sfuggire alcun dettaglio.
Era giunto il momento di arrivare al punto, di capire di più.


▼ Attivo & Conoscenze

Bacchetta - Legno di Ciliegio, Lacrima di Veela,10 pollici, semi rigida
Tracolla in pelle nera
Amuleto Oscuro
Effetti: : protegge da danni fisici e incantesimi. Anche da Avada Kedavra, ma poi si spezza. [Usabile 1 volta per Quest.]
Anello Difensivo(Medio sx)
▸ Anello + Zaffiro “Trillon” (Anulare dx)
1 Nanosticca
Effetto: permette di assumere dimensioni di 30 cm.
Filtro Sonno Leggero

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view post Posted on 7/7/2020, 09:03
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Non si aspettava una reazione poi tanto diversa.
Si era messo a disposizione della ragazza fin dal principio, le aveva offerto il suo aiuto e anche se non credeva avrebbe mai ricevuto una chiamata o una visita da parte della giovane Milford-Haven, Eleazar riteneva abbastanza irrispettoso il suo modo di porsi.
Poteva biasimarla?
Con le mani giunte al viso, il Direttore nascose una smorfia di disappunto oltre la folta, curata barba.
« Sì, volevo incontrarla », sentenziò severo. Si apprestò subito ad accalorarsi nell'espressione, palesando un piccolo sorriso accondiscendente, ma nulla più.
« Mi dica... Come sta? »
La domanda, apparentemente di cortesia, permeò con imbarazzo nel silenzio che quel luogo solo sapeva regalare. Le porte vibrarono come dominate da impercettibili, dannate scosse e anche se agli occhi umani sembrarono restare perfettamente immobili, avevano in realtà invertito il loro ordine; la prima era divenuta l'ultima e le dodici aperture su mondi e concetti sconosciuti si erano alternate tra loro.
Waldegrave cercò lo sguardo della Corvonero, alla ricerca di ogni sua reazione, seppur minima, pronto a scandagliarle la mente se necessario.
Sembrava non avere scrupoli ma poteva davvero dirsi così? Cosa aveva reso il Direttore dell'Ufficio Mistero un rettile a sangue freddo? Potevano le esperienze di vita giustificare un comportamento tanto vanesio, tanto egocentrico?
Lavorava per un bene superiore, osava spesso ripetersi, quando la coscienza lo tradiva - il che capitava meno spesso di quanto si possa immaginare.
« Mi dispiace non esser stato presente alle Onoranze. Questo lavoro mi ingloba. Ma immagino lei sappia, almeno per sommi capi, di cosa parlo, no? »
Brevi pause tra un'affermazione e l'altra, gli occhi ridotti a fessura. In attesa. Presto avrebbe compreso quanto ne potesse lei sapere del lavoro dei suoi genitori, di quante bugie o celate verità la giovane fosse a conoscenza.
Era come fermamente convinto che i coniugi avessero lasciato traccia del loro lavoro; in lei?
Ma Eleazar non aveva figli e non avrebbe mai compreso la naturale necessità di proteggere i propri cuccioli, salvaguardarli dal male del mondo, preservarli da ciò che di marcio può affliggere le nostre vite.
E Megan non avrebbe mai saputo - o forse non ancora - quanto grande era stato il sacrificio delle persone che più aveva amato nella sua tenera vita.

YCbwPsZ



Voltando lo sguardo verso l'edificio, Thomas aspirò il fumo della sigaretta; cerchi concentrici nell'aria umida.
Il dubbio prese a logorarlo.
Se Eleazar avesse avuto ragione - e Dio solo sapeva quanto spesso ci andasse vicino - sarebbe stato opportuno giocare le proprie carte.
Lui avrebbe voluto così.
Lei doveva appartenergli.





 
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La calma mostrata in quelle poche parole, apparente, controllata da fili sottili facili da spezzare, venne meno quando Eleazar rispose. Le emozioni, eterno contrasto, non permettevano a Megan di razionalizzare il momento, anzi, amplificavano lo stato di confusione nel quale si trovava da tempo. Era su una barca di legno in mezzo a un oceano di domande che lentamente la risucchiavano verso il fondo. L’uomo le aveva chiesto come stesse e lei, nello stesso momento in cui si manifestò il vibrare impercettibilie delle porte dirimpetto alla sua posizione, aveva semplicemente risposto con un mezzo sorriso: «Bene, la ringrazio per averlo chiesto.»
Sarebbe stato inutile analizzare quella risposta, come era stata inutile quella domanda. Le circostanze per entrambi, li avevano portati a dirigere un’azione scontata, preparata inconsciamente senza alcuna fatica. Le due parti avevano qualcosa da dire: entrambi cercavano risposte ad ogni costo.
Le parole successive accesero in Megan la rabbia, una fiammella nello stomaco, un crampo improvviso, difficile da non percepire. Lei se ne stava immobile fissando Eleazar, non distogliendo in alcun modo lo sguardo e alla fine di quel breve discorso, la tensione, pronta a sferrare una mossa azzardata, venne frenata da un'improvvisa stretta di entrambi i pugni; le unghie a penetrare la carne lasciarono segni evidenti sui palmi. Megan non credeva affatto che a quell’uomo dispiacesse quanto era accaduto ai suoi genitori; per quanto non potesse avere la piena certezza di quel pensiero, ricordava perfettamente lo sguardo freddo e privo di emozione nella primavera di qualche tempo prima. Se allora il Ministeriale non era stato capace di avere tatto - di essere davvero chi ora tanto millantava di essere - nel presente ogni azione fatta con una plausibile buona intenzione era vana. Tuttavia, Megan provò a non cedere alle emozioni provate, almeno inizialmente riuscì a placare lo stato emotivo che avanzava inesorabile dentro di lei. Quando schiuse le labbra per dare all’uomo una degna risposta, liberò i pugni e il sangue – che aveva smesso di fluire lungo le dita – riprese a colorare la pelle rosea.
«Dispiace anche a me non aver potuto dare un degno addio ai miei genitori. Sa, non ho mai potuto vedere i loro corpi, per quel che mi riguarda le bare potevano essere vuote e io posso aver pianto con una buona dose di probabilità due casse di legno.»
Avanzò un passo soltanto, il tempo di una pausa breve ma essenziale per dare inizio alle successive parole. «Certamente, so di cosa parla. La pericolosità di questo lavoro l’ho provata direttamente, mi conceda il termine, sulla mia pelle e credo che sia giusto avere delle risposte. Lei sa cosa è successo ai miei genitori? Chi è stato? Cosa è stato? Dopotutto, mi auguro che lei sappia, data l’importante carica che ricopre» la serietà con la quale lasciava uscire quelle parole colse la stessa Megan impreparata. Non voleva dare l’aria di una vendetta a cui mirava senza alcun indugio, dunque a quelle parole ne aggiunse altre: una conclusione imparziale. «Non vorrei mancarle di rispetto, Signore, ma credo sia lecito che io trovi pace in qualche modo. Sapere, sicuramente mi darà modo di chiudere un capitolo della mia vita definitivamente, vorrei andare avanti» abbozzò un sorriso di circostanza; solo in quel momento lasciò che la quiete tornasse ad essere protagonista. Eleazar poteva di certo vedere in Megan un cambiamento radicale rispetto a come, in tempi remoti, l’aveva lasciata ma la giovane era brava a nascondersi e a mostrare ciò che voleva.



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Scivolò silenziosamente sulla risposta di circostanza, percependone la superficialità intrinseca.
Megan era stata dotata di buone maniere, era giusto ammetterlo e altrettanto giusto sarebbe stato focalizzare la dovuta attenzione sulle parole che seguirono.
Arricciando le labbra, carezzando con la punta della lingua il bordo interno ancora intriso del suo calmante ambrato, Eleazar continuò a fissarla. Come se fosse materiale da studio, come una cavia magica pronta per essere dissezionata contro il suo inconsapevole volere. Non che se ne rendesse conto; Waldegrave era sempre animato dalle buone intenzioni ma il suo genio non era avvezzo al riconoscimento dei propri e altrui limiti.
«Credevo di averle dato le dovute risposte al tempo» e le iridi si fecero più grandi, animate da un'improvvisa quanto falsa sorpresa, la stessa che utilizzava quando doveva pararsi il didietro dinanzi ai propri sottoposti.
«Lecito, sì...», parve rimuginarci, come alla ricerca - nemmeno tanto disperata - di dettagli che ancora non le aveva dato
«I suoi genitori lavoravano per il mio Ufficio e, mi perdoni il gioco di parole, questo non è un mistero. Resta il fatto che non posso dirle su cosa esattamente stessero lavorando ma deve sapere che ciò che svolgiamo qui, ciò per cui dedichiamo la nostra vita, è talmente importante da non poter essere elargito così facilmente al primo che incontriamo», sciolse le mani dapprima portate al volto e poggiò i polsi sulla scrivania con un lieve tonfo, tanto leggero quanto bastava per smuovere sottili briciole di polvere danzante.
«Non è stato nessuno, signorina. Loro stavano svolgendo il proprio dovere e qualcosa è andato storto. Succede sempre quando si ha a che fare con...uhm... Impieghi che comportano una certa dose di rischio. Nessuno si impressiona, dopotutto, quando un pozionista viene trovato in fin di vita per colpa di un intruglio andato male»
E sperò che ciò bastasse per calmare le acque, per risolvere quella sorta di sentimento d'agitazione che Megan riusciva, dopotutto, a tenere sotto controllo.
«Ciò che non sappiamo, tuttavia, è se stessero lavorando ad... altro» e nel sottolineare l'ultima espressione, Eleazar si alzò. Distolse lo sguardo dalla Corvina, dandole le spalle; le mani congiunte oltre la schiena, lo sguardo torvo.
Era forse un bene fossero venuti a mancare? Dopotutto nessuno aveva fiutato il tradimento prima della loro scomparsa.
Si rimproverò per questo marcio pensiero e le porte si mossero nuovamente, in maniera ancor più impercettibile di prima. Nell'aere colmo d'attesa, l'uomo decifrò le entrate. Le porte erano identiche l'una all'altra ma l'energia che emanavano era diversa per ognuna di essa.
«E se lei sapesse qualcosa in merito, sarebbe lecito e giusto che io sappia.»




 
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Dovute risposte. Opportune domande. La situazione che si faceva strada fra le luci di quella stanza continuava a portare entrambi fronte a un solo interrogativo che, in parallelo, rimbalzava da un punto all’altro senza trovare una stabilità certa, una interruzione definitiva. Megan voleva sapere cosa fosse successo ai suoi genitori, Eleazar voleva conoscere cosa la ragazza effettivamente sapesse in merito alla loro scomparsa. E così nulla si muoveva, tutto rimaneva invariabile come una pietra in un fiume in eterna corsa, sommersa dalla corrente.
La ragazza sospirò nel silenzio, un monito di pazienza controllato dalla circostanza in cui si trovava. Le parole del Ministeriale prendevano forma, cercavano una linea precisa ma non ne trovavano la giusta convergenza, non per Megan e forse nemmeno per lui.
Lasciò che la guardasse, le tenebre nei suoi occhi provavano ad accendersi ogni qualvolta la voce dell’uomo s’imponeva, avvicinandosi alla richiesta d’aiuto che la studentessa le aveva rivolto, ma non trovavano il giusto spiraglio di luce, la certezza che in qualche modo sperava di ricevere. D’altronde cosa doveva aspettarsi? Era solo una giovane donna in un mondo troppo grande che dettava regole alle quali non poteva sottrarsi. Poteva? Si chiese se la gentilezza fosse davvero la giusta arma da utilizzare, se avrebbe davvero ottenuto qualcosa da quell’uomo nelle modalità che s’era imposta nel momento in cui aveva varcato la soglia dell’ufficio. C’era rabbia dietro quelle parole soppesate, la voglia di farla uscire senza frenare l’impulso che veniva soffocato da una razionalità che faceva fatica a riconoscere. Da quando era diventata così paziente? Era cresciuta e con lei la capacità di sapersi celare dietro una maschera definita, l’intelligenza come unico espediente sfruttata nelle più disparate situazioni. Chi fosse realmente nemmeno lei lo sapeva, né aveva la certezza di essere qualcuno.
«Se avessi avuto delle risposte probabilmente non avrei avanzato delle domande ben precise, Signore.»
Fece qualche passo avvicinandosi ancora di più all’uomo, la curiosità la spinse a sondare con attenzione le porte oltre la figura per poi tornare a porre la giusta attenzione verso Waldegrave.
«Capisco la segretezza ma non può biasimarmi, né può dare per scontato cosa ricordi di quella sera. Sembra che tutti vogliate proteggermi da ciò che si cela dietro tutto questo. Dapprima i miei genitori, poi mia nonna Elizabeth e ora... lei.»
La tensione che attraversava il suo corpo si concentrò all’altezza dello stomaco, costringendola ad una smorfia improvvisa, difficile da controllare. La ferita, per quanto avesse provato a non farla sanguinare, pulsava ancora per trovare il giusto spazio e sfogare in un fiume di sangue e lacrime. Si definiva di cemento ma era solo apparenza, era calce fresca e chiunque avesse tentato di toccarla avrebbe lasciato la propria impronta.
«Adesso mi guardi... Mi dica cosa realmente mi resta. Nulla.»
Rise nervosamente. Il tremore della voce non poté nascondere l’emozione che provava in quegli istanti.
Rancore. Delusione. Arrendevolezza. Credeva davvero di poter trovare ciò che cercava da tempo quel giorno? L’illusione di una convocazione che avrebbe rimesso insieme i pezzi mancanti, componenti un puzzle da sempre incompleto che aveva fatto da sfondo in ogni giorno della sua esistenza. Frasi nascoste dietro conversazioni celate da una porta in noce, bisbigli e finti sorrisi celando preoccupazioni che lei non aveva mai compreso e che ora, ripercorrendo il suo passato, riusciva a vedere. Chi erano Eloise e Carl? Cosa conosceva realmente di loro, se non la finzione del perfetto amore che posava sui loro volti e nei loro gesti? Megan capiva solamente una cosa da tutto quello che stava vivendo e che aveva vissuto: lei non era tanto diversa.
In tal modo si rese conto che tutto fosse un'inutile perdita di tempo. La tentazione di girare i tacchi e andarsene la pervase, fu solamente un’ultima domanda a farla desistere da quella decisione che ben presto avrebbe preso forma definita.
«Le posso assicurare che non so niente. A quanto pare è questo che le interessa e adesso ha avuto la sua risposta» allargò le braccia, il tono aveva assunto note più aspre.
«Mi dica solo una cosa: si fidava di loro?» Chiese infine.
Così, piombò di nuovo il silenzio per dar spazio ai pensieri nel prendere la giusta forma. Non le era dato sapere per quanto la quiete avrebbe saggiato quel momento ma lei non rinunciò a fissare l’uomo in attesa di un qualsiasi segnale. Voleva comprendere se nella risposta futura ci sarebbe stato il minimo dubbio di una mancata verità.
Non avrebbe rinunciato.
Lei doveva sapere.



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«Mi dica solo una cosa: si fidava di loro?»
Una domanda che pretendeva delle risposte, le quali, però, si palesavano ad Eleazar come un'arma a doppio taglio.
Era certo che la ragazzina non fosse ancora giunta a quella complessa maturità critica da poterlo porre in una situazione tanto scomoda, in quella dimensione - per intenderci - in cui i tranelli prendevano la forma di innocenti quesiti.
Doveva comunque agire nel migliore dei modi, doveva tutelarsi così come avrebbe dovuto fare con quel lavoro che portava avanti da anni e contava più fallimenti che riuscite.
«Sono certo che svolgessero il loro lavoro al meglio delle loro capacità», si sentì rispondere.
«Se è quello che mi sta chiedendo», aggiunse in fretta.
Era ovvio che non fosse quello che Megan aveva in mente e il Direttore era abbastanza sicuro che, con la sua tempra, non se la sarebbe cavata così.
«Vede, io non so nulla della loro vita fuori di qui. E, al contempo, so tutto ciò che c'era da sapere». Le mani al volto strinsero più forte prima di lasciare l'intreccio, per poi cadere mollemente sulla scrivania lucida.
Le porte, alle sue spalle, fremettero ancora.
«Sapevo chi erano, il loro nome e persino quello dei loro antenati fino alla quarta generazione. Sapevo che avevano una figlia e degli amici.»
Cercò il suo sguardo, la fissò intensamente, al pari di un maestro che, crudele, ha intenzione di impartire una lezione ad un irrispettoso studente.
«Non so se erano felici. Non so se tu lo eri. Non so se si amavano o se stavano insieme perché lacerati dall'abitudine. Non so nemmeno se erano contenti del loro lavoro; oppure lo portavano avanti per lealtà? Per guadagno?», alzò le mani in aria come le spalle, chiarendo con il linguaggio del corpo che nemmeno lui poteva conoscere la risoluzione di certi dubbi.
«Non ho le risposte alle sue domande, né tantomeno sarebbe compito mio fornirgliele. Io non le sto nascondendo nulla, le sto dicendo solo come sono andate le cose: un giorno erano qui, a svolgere il loro dovere come sempre, il giorno dopo il dovere se li è portati via»
Si intravide quasi l'ombra del dispiacere nei suoi occhi, mentre le iridi eccentriche si mescolavano col blu di quelle di lei e, per un solo attimo, Eleazar venne colto da ricordi troppo lontani.
«Le sto umilmente chiedendo se lei è a conoscenza di altro perché erano troppo in gamba per venire a mancare in questo modo».
E poi decise di darle quello che voleva. Non era la verità, neppure lontanamente e, un giorno forse, quando sarebbe stata più grande, Megan avrebbe capito che la risposta a quella domanda tanto importante era già stata data.
«Mi dica solo una cosa: si fidava di loro?»
«Mi fidavo di loro. Ed è per questo che non comprendo come sia potuto accadere ciò che è successo»
Parve sincero. Ma lo era davvero?
Cosa nascondeva Eleazar che Megan ancora non sapeva e, forse, mai avrebbe potuto?
Una cosa però era chiara: nessuno dei due aveva le risposte che l'altro cercava; anzi, se le avessero avute, probabilmente sarebbero stati accorti a non farle trapelare.
«Se non ha altro da dirmi, direi che possiamo salutarci qui. Mi dispiace averle arrecato altro dolore ma bisognava che io sapessi. Potrà comprendermi, d'altronde».
Si alzò, i palmi posti sulla scrivania, piegato in avanti, in attesa di indicarle l'uscita.

Le porte si mescolarono nuovamente.
Tutte uguali.
Tutte diverse.
E nella loro confusione, inaccessibili.




 
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view post Posted on 3/11/2020, 19:24
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«In quale modo?» disse, bisbigliando appena, mentre rielaborava quanto detto da Eleazar. La tensione nel suo corpo era in continua crescita, vibrante sotto la pelle coperta dalle vesti. Gli occhi Megan, così, non avevano smesso di fissare quelli dell’uomo, sfidavano le iridi cristalline scontrandosi con la loro severità. Anche quando lui si alzò lei non mosse un solo singolo passo; in una posizione statica rimaneva in attesa di altro. No, non le bastava quel discorso e non si fidava di quelle parole; sapeva che c’era dell’altro e non averne le prove la costringeva con le spalle al muro. Eleazar aveva di certo più esperienza di lei nel cogliere che dietro uno sguardo innocente e gentile, poteva nascondersi esattamente l’opposto. Probabilmente aveva già vissuto una scena simile e lui ripeteva soltanto lo stesso copione, cambiando le parti generali. Non funzionavano le domande a trabocchetto, non cadeva in mimiche facciali chiare di un'evidente menzogna. Eleazar aveva saputo dosare ogni gesto, ogni suono flebile e deciso, dando a Megan tutto e niente. La sua coscienza si faceva carico di un altro peso e la ragazza, dall’altra parte, non aveva saputo far altro che rimanere a guardare.
«Non so niente» aveva risposto Megan, un fremito la costrinse a stringere di nuovo i pugni e il suono di quelle parole fu scostante, carico di tensione. Lo sguardo non si mosse minimamente, solo le sopracciglia si incurvarono rendendo l’espressione aspra; e fu l’inizio di una nuova fase.
«Ho solamente bisogno di capire…» aggiunse, «Come avrebbe reagito lei? Se suoi genitori, sua moglie o sua figlia fossero rimaste coinvolte in un’incidente? Avrebbe voluto la verità o avrebbe lasciato stare?» Non sapeva nulla dell’uomo — conosceva solo il nome e la carica che ricopriva — tuttavia, azzardò in quella direzione.
Si stava arrendendo o aveva solamente mescolato le carte in tavola? Dove voleva arrivare? Megan non lo sapeva, si lasciava guidare dall’istinto e dal desiderio di poter dare un senso alla morte di Eloise e Carl. La sua vita dalla loro scomparsa era inevitabilmente cambiata; lei aveva dovuto farci i conti ogni singolo giorno, tormentata dalla rabbia e dall’angoscia che nelle notti si manifestavano con più intensità attraverso gli incubi. Voleva trovare pace. Solo la pace.
«Vorrei solo sapere come sono morti, come avete trovato i loro corpi se si poteva evitare tutto questo…» sentì mancare l’aria al solo pensiero e si costrinse a mandare giù un nodo risalitole lungo la gola. «Dare una fine a tutto» terminò, poi. Eppure, nonostante le parole finali, Megan sapeva di mentire perché non si sarebbe data pace: c’era un colpevole e non poteva non conoscere il suo nome.
Solo in quel momento distolse lo sguardo, le iridi sondarono le profondità della stanza lasciandosi avvolgere dalla luce blu intenso. Vide le porte e si soffermò in attesa di un altro veloce, quasi impercettibile vibrare. Dietro quei varchi c’era un mondo e per un breve istante il desiderio di attraversare una sola stanza la pervase. Nel silenzio che sarebbe avanzato, Megan avrebbe trovato una leggera calma. Sperava di aver smosso almeno un po’ le acque, di accarezzarle come l’Aria, magari avrebbe trovato qualcosa appena sotto la superficie; l’essenziale, oppure il vuoto.


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Ovviamente si aspettava un'ultimo tentativo da parte della giovane. Non sarebbe stata la degna figlia dei suoi genitori, altrimenti.
Proprio per questo, mentre avanzava verso l'uscita e, al contempo, si voltava a guardarla un'ultima volta, l'ombra di un leggere sorriso - misto ad ironia e fastidioso - comparve sulle sue labbra.
« Non ha bisogno di giustificazioni, Megan. »
Pronunciò il suo nome per la prima volta, cercando una distante vicinanza con lei, ora che stava per lasciarla andare. Avrebbe investito le sue ricerche altrove, certo; non avrebbe rinunciato a quella faccenda. Come la giovane, ancora inesperta e acerba, anche Eleazar era convinto che qualcosa, in tutta quella storia, non tornasse. Era, tuttavia, giunto il momento di archiviare la presenza della povera orfana e andare avanti. Forse Tom avrebbe potuto dargli una mano, era l'unico di cui si fidasse realmente, dopotutto.
Se solo avesse saputo...
« Avessi potuto evitarlo, lo avrei fatto. Non sono io, però, a decidere della vita e della morte dei miei dipendenti. Non sono io a poter gestire le conseguenze delle loro scelte. Qualunque esse siano. »
Fu sincero ma, nel suo parlare, c'erano delle pause stonate. Lo sguardo assente lasciò intendere che stava pensando ad altro, forse perso in un ricordo nemmeno tanto vecchio.
« Nessuna ferita. Niente sangue. Erano come addormentati. »
Doveva osare?
Era giusto?
*Se suoi genitori, sua moglie o sua figlia fossero rimaste coinvolte in un’incidente?*
Decise di darle le stesse parole che lui avrebbe preferito udire, invece di ritrovarsi a guardare lo scempio di carne ed ossa a cui era stato ridotto suo figlio.
« Non c'era paura sui loro volti. Erano sereni. »
La mano, ora appena tremante, indicò la porta. L'incertezza cercò di sporgersi oltre, venare il suo sguardo, farsi avanti nella voce ma Eleazar glielo impedì.
« Arrivederci. Megan. »
Forse ora, almeno lei, avrebbe trovato pace.


Fece roteare l'orologio da taschino e lo sguardo cinereo, dapprima posato sull'edificio alle sue spalle, scivolò sulle lancette. In perfetto orario, Waldegrave aveva appena terminato il suo incontro. Conosceva il suo Capo da così tanto tempo da sapere che, in quel momento, stava per salutare la giovane - avesse o meno trovato qualcosa.
Si morse il labbro inferiore e un leggero, suadente sorriso accennò ad una perfetta fila di bianchissimi denti.
Era il suo momento.




 
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view post Posted on 19/2/2021, 16:06
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Le acque rimasero placide. Il vento che vi aveva soffiato contro non intaccò la superficie, nemmeno spingendosi con più forza contro l’obiettivo. Le parole scandite da Megan, dure e a tratti irriverenti, non avevano avuto alcun effetto. Ci aveva provato. L’illusione di poter portare a casa delle risposte rimase tale; vani erano stati i tentativi di estorcere delle informazioni in più a Eleazar. Nessuna mossa esatta. Un totale fallimento che vedeva Megan stringere fra le dita il vuoto. Il bianco avanzava e il nero lo bloccava, in un perpetuo e inutile ciclo. Non c’era più niente da sapere, non lì almeno. Ma cosa realmente aveva saputo? A cosa doveva credere? La Corvonero aveva guardato l’uomo con espressione neutra per tutto il tempo, fino all’uscita del suo ufficio. Anche quando aveva parlato dei corpi di Eloise e Carl, di come serenamente se ne erano andati, non aveva battuto ciglio. La morte li aveva colti forse per delle scelte sbagliate o per sfortuna; questa era la sintesi di quell’incontro. Eppure, qualcosa le suggeriva che c’era altro ma non aveva la certezza che il Ministeriale fosse o meno coinvolto nella faccenda. Probabile era la sua totale estraneità ai fatti. Come lei, anche lui era in cerca di risposte?
Megan così non disse nulla, si limitò a seguire il gesto dell’uomo. «Arrivederci. Megan.» Lei si limitò a sorridergli con sforzo. Avrebbe voluto dirgli che era vero, non era lui a poter gestire le conseguenze delle scelte dei suoi genitori, qualunque fossero state. Tuttavia, avrebbe dovuto garantirgli una protezione ad ogni costo. Lui avrebbe dovuto farlo.
Aveva fallito?

Quando varcò la soglia d'uscita, sentì la tensione sciogliersi di colpo, spazzata via dall’aria gelida di quel lungo corridoio buio e claustrofobico. Non si accorse nemmeno del suono del legno chiudersi alle proprie spalle. Le iridi si riempirono di lacrime che, colando lungo le guance, Megan asciugò velocemente. Prese a camminare in direzione dell’ascensore. Ora, si sentiva persa senza più alcun punto a cui appigliarsi. Doveva ricominciare da zero e la consapevolezza di tale pensiero la lasciava smarrita. Da dove? Come? Avanzava con passi incerti, quel percorso le sembrò più lungo del previsto sebbene la distanza dalla cabina elettrica non fosse molta. Il fatto era che le gambe le tremavano e nell’andare avanti cedettero un paio di volte, rischiando di farla cadere a terra. Tuttavia non appena fosse giunta di fronte al lift, che l’avrebbe condotta all’uscita, non avrebbe esitato ad entrare al suo interno. Per lei in quel momento, lì, non c’era più nulla da fare.



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PT99U6Q

Aveva sempre pensato che fissare qualcuno fosse estremamente di cattivo gusto. Checché a lui piacesse osservare, studiare, gli altri, si serbava quanto meno il contegno di non risultare tanto macabramente evidente.
Aveva appena acceso una sigaretta, fregandosene beatamente di quanto potessero o meno sopportare i i Maghi che gli passavano accanto. A volte, quando osava fermarsi al centro di quella piccola città sotterranea, nascosto all'ombra della fontana nodale, gli sembrava che tutti andassero estremamente di corsa. Che avessero o meno urgenza di fare qualcosa, si accavallavano gli uni sugli altri, anche se l'unica cosa in programma era tornare a casa e agitare la bacchetta per prepararsi una zuppa scialacquata di contorno a una giornata passata a "servire il Mondo" - come gli ricordava Wildegrave.
Il capo non gli era mai andato particolarmente a genio ma lo tollerava - più di molti, avrebbe ammesso.
Eleazar si vantava spesso di detenere le redini dell'ultimo baluardo di decenza di quel Ministero, del poco potere che il Ministro avesse sul suo dipartimento, di quanto fondamentale fosse il suo lavoro. Ed era proprio in quei momenti che avrebbe voluto tirargli un sonoro destro sui denti. Più volte era stato tentato di sbattergli in faccia quanto ingenuamente deficiente fosse, a farsela fare sotto il naso dal suo stesso segretario principale; ma aveva retto la copertura, era il suo di lavoro ad essere essenziale.
Aspirando al cielo il fumo cinereo della sigaretta ormai terminata, tornò lentamente a squadrare la folla. L'ascensore contro cui era poggiato era l'unico modo per andarsene via di là, almeno per Megan, quindi era il posto migliore dove attenderla.
Gli occhi chiari individuarono una testa corvina che, con andatura incerta, si muoveva tra gli adulti. La fronte venne corrugata e Thomas seppe esattamente a cosa lui si riferisse: era il momento migliore per agire e che, gli piacesse o meno, aveva un conto in sospeso da pagare.
Il suo creditore, pur insulso che fosse, gli aveva promesso che dopo questa, sarebbero stati pari. Ma quale favore era stato costretto a chiedere per ritrovarsi in quella situazione? Odiava esser debitore ma mentre la figura di Megan si avvicinava, ripeteva al suo orgoglio che era l'unico modo. Bastava pagare la prestazione ricevuta e poi avrebbe finalmente potuto mettere una pietra sopra a quell'intera faccenda.
« Mi scusi! »
Nel suo avanzare distratto, sarebbe stato semplice per Megan pensare di aver urtato improvvisamente qualcuno. Dove stava guardando? A cosa stava pensando?
Chinando di poco il capo, Thomas avrebbe portato la sinistra a stirare la giacca dalla cenere di una sigaretta ormai morta, sul pavimento. Aveva approfittato del secondo in cui le iridi oltremare della Corvonero erano distratte dalla folla per slanciarsi in avanti... E prenderla in pieno.
La fronte di lei si sarebbe scontrata contro al petto dell'uomo, inclinando leggermente la cravatta cerulea; lui si sarebbe spaventato di bruciarla con la cicca ardente e poi ne avrebbe cercato lo sguardo.
« Colpa mia. Si è fatta male? »
Avrebbe osato, inclinando di poco il capo come a volersi abbassare alla minuzia del suo corpo di giovane donna.
« Oh », si sarebbe dunque ritratto, quasi amareggiato, ricomponendo la propria formale eleganza, « Signorina Milford. Tutto bene? »





 
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view post Posted on 12/7/2022, 15:10
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Adepto di Lord Voldemort

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Discepolo del Fato
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A ridosso del proprio petto, Thomas sentì montare la frustrazione ma la tenne a bada poiché, silente e cheta, questa non osò bagnargli lo sguardo.
L'avvicinamento parve fallire poiché Megan si limitò a risposte di circostanza e il suo corpo, inequivocabilmente scosso dagli eventi, s'aggrappava alla volontà fallace di tirare avanti.
Per dove? Verso cosa? Per quanto ancora?
Agì d'istinto e imitò il passo di lei, verso sinistra, a sbarrarle nuovamente il cammino.
Avrebbe deciso lui le fila di quell'incontro.
« Mi preoccupo solo di cosa abbia potuto dire »
Si ritrovò a mormorare, lo sguardo ancora fisso su quello della giovane, il cuore che accelerava di un battito, doveva spingersi oltre, sì, ma per quanto ancora?
Gli era stato insegnato che manipolare le altrui azioni era come un gioco; ad ogni tiro della sorte, ci si ritrovava ad avanzare di una o due caselle sul percorso o, che il Signore lo voglia, ad indietreggiare.
Thomas, tuttavia, non stava giocando e la sorte aveva ben poco a che fare con le sue decisioni; era lui a decidere il percorso, lui a decretare il risultato di ogni mossa.
Non era un gioco. Era una partita a scacchi e se anche i bianchi partivano con un certo vantaggio, erano i neri a vincere.
Non le diede modo di rispondere ma restò in attesa, quel tanto che sarebbe bastato per far sì che lei comprendesse, che un riverbero agitasse i suoi pensieri e la costringesse ad accettare la presenza dell'uomo. Si spostò di lato, ad aprirle la strada verso l'ingresso visitatori, lì dover Eric Munch s'apprestava ad effettuare l'ennesima pesa.
Megan sarebbe uscita così com'era entrata ma, questa volta, poteva decidere di non farlo da sola.
« Mi permette di accompagnarla all'uscita? »
Tentò.





 
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