| La Lettera L’alba di un nuovo giorno si affacciava all’orizzonte, dove le montagne scozzesi sormontano il cielo cristallino. La Primavera, ormai inoltrata, accarezzava le creste degli alberi, ornava il manto verde dei prati con fiori colorati e dava al Lago Nero un aspetto diverso, più cristallino. Il canto diafano degli uccelli in volo abbelliva il perfetto quadro che come ogni anno si mostrava instancabile agli occhi del mondo. Così, si faceva spazio una nuova mattina e le risate dei giovani studenti già svegli, fuori dalle mura del castello, giungevano fino alle alte torri millenarie, proprio lassù suonavano come soffocate da una spessa gommapiuma. Nella Torre Ovest, nel silenzio del dormitorio Corvonero, Megan poteva sentire le varie tonalità delle voci che si confondevano fra i pensieri nulli, riflessi in uno sguardo spento. Gli occhi blu, specchiati sul vetro della grande finestra, si perdevano in direzione dell’infinito; nessuna espressione a segnare il volto, solo la stanchezza si rivelava sotto le palpebre colorando la pelle d’indaco scuro. «Che fai? Scendi con noi?» la voce di Grace interruppe la quiete. Un battito di ciglia e Megan strinse le braccia incrociate con più forza emanando un lungo sospiro. «Andate pure, Grace. Vi raggiungo più tardi» disse senza degnare di uno sguardo la compagna. Quando la porta si chiuse Megan contrasse le palpebre e una smorfia le indurì l’espressione; difficile a dirsi, avrebbero pensato in molti, ma ogni azione volta a tagliare qualsiasi tipo di rapporto creava una ferita in più nella sua anima. Intere settimane erano passate dal giorno in cui tutto era cambiato e ogni passo fatto da allora la guidava in una strada che non conosceva luce alcuna. Il Fato non era stato buono con lei e la perdita di qualsiasi persona avuta al proprio fianco aveva allargato le radici isolandola quasi completamente dal mondo esterno. Non rimaneva che lo scheletro di una ragazza che camminava lungo i corridoi sotto occhi indiscreti, in balia di sussurri, risate e sguardi di compassione. Quante cose erano successe: sconfitte, abbandoni e perfino nuovi incontri. Tutto mutava e Megan non faceva altro che guardare immobile vinta dalla rabbia, dal desiderio frustrante di una vendetta nei confronti dell’ignoto. Di lei non v’era più nulla ma la maschera indossata lasciava che si nascondesse, celava la maggior parte delle emozioni provate e pochi riuscivano a scavare davvero affondo. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, allentando totalmente la presa delle dita strette sulla pelle arrossata. Si mosse in direzione del mobile e si sedette davanti alla propria specchiera afferrando la spazzola, pettinando le lunghe ciocche corvine. Ogni volta che guardava il proprio volto davanti a un pezzo di vetro provava l’istinto di farne mille pezzi; scoprire di giorno in giorno il mutare della più piccola parte del corpo nella perfetta copia di sua madre lasciava esplodere dentro di lei il rancore. Sul piccolo spazio in legno due cornici abbellivano il ripiano: in una mancava la foto che ritraeva l’ultimo natale con suoi genitori, l'aveva lasciata a casa di Axel e quando ne aveva preso coscienza si era sentita alleggerita da un peso, come se non vederli ridere e abbracciarla teneva più lontano il dolore; l’altra ritraeva lei Paul nel giardino di casa. Sistemò la cornice vuota all’interno di un cassetto e prima di richiuderlo Megan si fermò a osservare gli intarsi di uno specchio posto sul fondo. Era da tempo che non lo vedeva e un battito accelerato del cuore la fece sussultare appena. Le dita affusolate, sbloccarono l’oggetto impolverato, incastrato tra le pareti lignee: lo Specchio Comunicante era ancora lì dopo mesi dalla sparizione di Wolfgang. Un respiro profondo si liberò fra le labbra e nello stesso istante socchiuse gli occhi per frenare l’emozione che lentamente arrancava lungo la gola. Ingoiò un rivolo di saliva e si limitò ad appoggiare l’oggetto davanti a lei. Non era sicura di ciò che ne avrebbe fatto, l’istinto la spingeva a chiamare Wolfgang, a farlo ancora e ancora, fino a che lui non si fosse fatto vivo. Non lo fece, si alzò semplicemente afferrando la tracolla poggiata sul baule e prima di andare via prese lo specchio con sé.
Il caos si faceva sempre più strada ad ogni piano che percorreva; visi conosciuti le rivolsero un saluto cordiale al quale lei non poté sottrarsi in alcun modo. Nell’avanzare fu vittima del cambio delle scale che la costrinsero ad allungare il percorso in discesa fino all’arrivo nell’aula d’incantesimi. Qualche attimo più tardi, la lezione ebbe inizio occupando la prima ora produttiva della giornata. Megan se ne stava fra gli ultimi banchi mentre la McLinder spiegava; sulla pergamena tracciava linee indefinite, scarabocchiando di nero il foglio, vittima della poca attenzione che stava rivolgendo alla lezione. Non aveva dormito molto, non poteva aspettarsi diversamente da se stessa ma almeno era riuscita ad arrivare in orario e ultimamente non era cosa scontata. Tuttavia, il tempo era trascorso senza intoppi e quando le ultime parole della professoressa stabilirono la fine della spiegazione, Megan aveva preso le sue cose ed era corsa via. Un’ora d’aria prima di riprendere il normale flusso di un martedì qualunque, che decise di spendere nel cortile della Torre dell’Orologio. Varcato l’ultimo arco si lasciò travolgere dall’aria frizzantina che le arrossì il naso e gli zigomi; le pupille, alla vista della luce, si strinsero e il blu cobalto mutò in un chiaro grigio opale. Trovò spazio su una delle pietre e vi poggiò la borsa cercando il volume di Storia della Magia per un ripasso prima dell’interrogazione, ma in quel momento vide lo specchio e non vinse contro la voglia di stringerlo fra le mani. Gli occhi si posarono sul pezzo di vetro, nello stesso istante il desiderio di pronunciare il nome di Wolf si fece spazio nella mente e le labbra si schiusero appena. Chiuse gli occhi, il controllo la portò a non compiere alcun passo falso ma nello stesso istante, quella semplice azione la fece tornare indietro nel tempo. Sentì la pioggia scendere lentamente e bagnarle la pelle sebbene il sole splendesse nel cielo come mai aveva fatto prima. Eppure la sentiva, il ricordo lontano si fece spazio e finalmente vide.
Ferma, in quello stato di pace, lasciava che la pioggia continuasse a bagnarle l’intero corpo. I battiti lenti del cuore risuonavano silenziosi, riservando alla calma un posto sicuro.
Tuttavia, ci fu un istante in cui tutto sembrò fermarsi. Un breve attimo in cui riuscì a sentire ogni muscolo del proprio corpo sciogliersi sotto un calore crescente, dove la pace trovata lasciava entrare un fiume di emozioni sovrapposte che non riusciva a contrastare.
Nel momento in cui le dita di Wolfgang sfiorarono il suo viso, delicate, impercettibili, Megan non riuscì a desiderare che quello stato ininterrottamente. «Dovrei avere paura di te?» ~ All We Know.
Strinse i denti e le labbra si tesero. Mai come in quel momento capì il significato di quella domanda e se un tempo gli aveva sorriso, affermando che avrebbe dovuto averne, scherzando, oggi aveva una consapevolezza diversa. Wolfgang doveva avere paura veramente, doveva proteggersi da lei che non aveva fatto altro che ferirlo. Gli occhi si aprirono e mentre il cuore s’agitava in petto Megan scaraventò lo specchio a terra. Un suono deciso rimbombò sul terreno e schegge di vetro si dispersero come piccole lame affilate: ora non le rimaneva più niente che l’avrebbe legata a lui. «Tutto bene?» la voce di un giovane Tassorosso sbloccò lo sguardo fisso su ciò che rimaneva dell’oggetto a terra, una cornice carteggiata. «Sì» aveva risposto incerta con un sorriso sghembo, «è tutto ok, ci penso io tranquillo. Vai!» un ordine uscì aspro dalle sue labbra. Avrebbe voluto urlare per la frustrazione che provava in quel momento; sapeva di aver fatto la cosa giusta per se stessa, eppure… Era così? A interrompere quegli istanti un giovane Gufo reale atterrò dinanzi a lei, fra le fauci stringeva una missiva e chiaro fu per Megan riconoscerne la provenienza. Il sigillo di ceralacca aveva inciso una “M”, chiaro simbolo del Ministero della Magia, Waldegrave chiedeva un incontro.
Cara signorina Milford-Haven, come accennato durante il nostro spiacevole incontro, vorrei avere l'occasione di parlare con lei. I suoi genitori sono stati una terribile perdita anche per il Ministero e mi è francamente dispiaciuto non poter essere presente alle estreme onoranze. Ad ogni modo, l'aspetto il prossimo venerdì nel mio Ufficio, al Ministero. Ho già avvertito, chi di dovere, circa l'eventualità che lei possa arrivare e le indicheranno, all'entrata, dove dirigersi. Nella speranza di poterla incontrare, le auguro un ottimo fine settimana.
Eleazar Waldegrave
Direttore dell’Ufficio Misteri Scotland Pl, Westminster London SW1A 2BD, UK ~ Posta via Gufo
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Il Ministero Londra centro era meno caotica del solito quel giorno ma Megan non parve nemmeno rendersene conto. Il presente aveva cessato di esistere dal momento in cui aveva stretto fra le dita quella lettera, letto il contenuto, e passato notti insonni a immaginare cosa sarebbe mai successo nel venerdì della settimana successiva. La speranza di trovare le risposte, che in quei mesi l’avevano torturata, si aggrappava con forza e stabiliva in lei una strana sensazione di sollievo. Forse s’illudeva ma sapeva che in un modo o nell’altro – dettato dal proprio “modus operandi” – avrebbe ottenuto qualcosa fra le mani. Attraversò la strada in direzione della cabina che l’avrebbe condotta verso la propria meta. Ricordava di averla presa una volta con suo padre e l’entusiasmo che l’aveva colta nel vederne la funzione. Dopo allora c’erano state un altro paio di volte, o poco più, e doverci mettere piede da sola le dava un senso di apprensione. Mai come in quel momento si sentì una piccola donna in un mondo troppo grande. Non importava quanto i vestiti la facessero sembrare più grande del dovuto, se l’altezza stabilisse un'età diversa da quella che aveva: Era solo un adolescente. Indossava un grazioso cappotto beige che copriva i pantaloni blu a vita alta, accompagnati da un tacco basso, e un maglioncino rosa leggero; sulla testa un basco color panna a coprire la lunga e folta chioma corvina. Quando fu davanti all’ingresso per i visitatori, entrò componendo le cinque cifre sulla tastiera del telefono e all’azione del magico meccanismo, sentì un brivido partirle dai piedi fino ad arrivare ai capelli, poi il vuoto la inghiottì. Il punto di accesso del Ministero si mostrò in tutta la sua invidiabile bellezza: la fontana dei Magici Fratelli invadeva il centro dell’ottavo piano, mentre il caos le passava affianco in tutta fretta con in mano centinaia di valigette colme di scartoffie. Megan mosse i primi passi e nell’agitazione urtò un signore distinto. «Stia più attenta signorina!» le aveva urlato lui ma non aveva dato peso a quell’affermazione e aveva continuato dritta fino a raggiungere un membro della sicurezza. «Buongiorno, sono Megan Milfor-Haven. Ho un appuntamento con il Direttore dell’Ufficio Misteri, Eleazar Waldergrave. Mi ha scritto che avreste saputo del mio arrivo oggi» disse, poi consegnò la propria bacchetta.
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