Shattered, Evento straordinario | Emily.

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view post Posted on 20/4/2020, 14:08
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Il Fato

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In silenzio, nella quiete imposta, il macchinario scandiva i secondi ed i battiti, un tutt'uno in perfetta e macabra armonia. Un ritmo a cui quel mondo si era ormai assuefatto. Un mondo fatto di bendaggi, fasciature, preghiere e dolore.
Lontano, nel suo dormitorio, Emily Rose si risvegliava, pronta a vivere l'alba di un nuovo giorno, forse non più monotono come i precedenti. Poteva una fresca mattina di primavera, vantare la capacità di cambiare le carte in tavola? I tumulti di un'adolescente in dirittura d'arrivo dell'età adulta, e di una conferma di merito, non erano sfuggiti allo sguardo del Fato che - beffardo - aveva infanto ogni barriera seducendo la mente di una strega al punto da rendersi visione e marchio; segno e legame.
Come un ladro aveva rubato i momenti di intimità maggiore perché lui, sopra tutto, reclamava attenzione.
Che i pensieri l'avessero tormentata o meno nei giorni a venire, poco importava al Destino, già pronto a strappare dall'esile corpo ogni sintomo di umana quiete.

Timide margherite sbocciavano lungo il perimetro del prato di Hogwarts, accarezzate dall'ombra di una civetta in lenta discesa. Le ali candide spiccavano, sfiorate dai raggi di un sole ancora nascosto tra fumose volute di cirri.
Occhi gialli scandagliavano le torri e gli ingressi dei postini nei sotterranei. Non era la prima consegna di Xila al Castello, sapeva cosa fare grazie ad istinto e memoria.
Tra le zampe possenti, una busta dall'aspetto ufficiale, con tanto di sigillo in ceralacca e timbro di provenienza.
Ogni consegna era importante, ma quella aveva un valore aggiunto che poco interessava il postino, quanto più era rivolto alla destinataria.
I rami degli alti sempreverdi che limitavano la Foresta Proibita si piegarono in saluto, o così sarebbe parso, alla schiera di gufi in avvicinamento per la consueta consegna della posta in Sala Grande.
Xila, però, avrebbe deviato come sapeva lei.
Piegandosi leggermente a sinistra richiuse le ali solo al momento opportuno, per rendere la picchiata più efficace e sicura.
A consegna effettuata se ne sarebbe andata senza lasciar traccia di sé.

Di ritorno dalla colazione, in quel sabato privo di lezioni, Emily Rose - detta salva dalla consegna in pompa magna - avrebbe trovato una busta di un pallido verde palude, abbandonata sul cuscino. Ispezionarla le avrebbe consentito di notare il sigillo ufficiale del San Mungo, l'ospedale magico di riferimento per il Regno Unito.
Spezzare la ceralacca alla chiusura, avrebbe poi consentito al piccolo biglietto formale di fuoriuscire.
Semplice, senza imbellettamenti di sorta, era scritto con calligrafia incredibilmente leggibile e femminile.
Le parole, però, attendevano frementi di sortire qualche effetto.
All'attenzione della Signorina Emily Claire Rose

In quanto più prossima parente raggiungibile, siamo a comunicarle la degenza presso l'Ospedale San Mungo per ferite e malattie magiche, di Lilian Anne Gordon. Se lo desidera, potrà venire a trovarla in orario di visite, avendo cura di chiedere preventivamente al primario del reparto degenza, quarto piano, banco informativo.

Cordiali Saluti,
La Direzione dell'Ospedale San Mungo per ferite e malattie magiche
Il tempo le avrebbe fatto la cortesia di fermarsi per lasciarla metabolizzare?
Dare un senso a tutto poteva essere rischioso, sebbene dovuto, se guidato dalle peggiori intenzioni.
Cosa significava quel nome? Che valenza aveva per la giovane strega?
Non c'era dubbio che fosse destinata proprio a lei quella missiva ed il richiamo che evocava era intenso.
Era il profumo di un gelsomino in piena estate che, quando anche passandovi accanto senza dargli bado, si aggrappa ai sensi con urgenza e ti perseguita.
Un pensiero fisso, un tarlo nella mente. Una cicatrice che brucia sotto pelle.

Ben trovata Emily,
Inizia qui il tuo percorso che segue gli eventi dei G.U.F.O. di Patrick Swan.
Quest'avventura, per com'è nata, si annovera nella categoria cumulabile degli "Eventi"

Nell'ottica del considerarla tale, ti prego in ogni caso di non ramificare eccessivamente il tuo BG prima della sua fine, in quanto ne sarà profondamente impattato.

Per necessità e delucidazioni, sai dove trovarmi.
Ti auguro buon gioco.

 
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view post Posted on 26/4/2020, 19:59
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In the memory of living
is placed the life of the Dead.

La superficie del Lago era stata abbagliata dai riflessi dorati di una nuova alba. Tacite, le acque danzavano alla lieve brezza di quella primavera ormai sbocciata e nel loro placido cantare, gli uccelli intonavano il proprio risveglio.
I dardi di luce non riuscivano a penetrare gli abissi e per quanto ci provasse, il Sole, furente, nulla poteva se non incidere sulle sue sfumature, percettibili soltanto a chi, privilegiato dal poterne godere la vista, si era ormai abituato al mutare dei suoi colori.
Emily non trovava più alcuna sorpresa nell'osservare la profondità del Lago Nero al suo ridestarsi e con gli occhi cinerei ad indagarne, distratti, i contorni oltre le ampie finestre umide, aveva ormai imparato a tradurne l’aspetto: l’ennesima giornata di sole l’avrebbe accompagnata nella monotonia delle sue interminabili ore, nel ritmo ormai costante e mai mutevole di ciò che quel giorno aveva in serbo per lei.
Si vestì, gli occhi spenti e assonnati che a tentoni cercavano la divisa e la scartavano in cerca di un maglioncino senape; raccolse i capelli in una coda anonima e si diresse verso le fiamme al centro della sala comune per riscaldarsi le mani, tinte dal freddo e dall'umidità che, prepotente, regnava da sempre nella sua sala comune.
Arrivò a tardi a colazione, passando tra il fiume di studenti e le loro voci concitate, ignorandoli, persa tra pensieri assenti, assorta nel turbinio dell’apatia che l’aveva incontrata al risveglio.
Il tavolo l’accolse insieme agli ultimi ritardatari e lei rispose con un sorriso tirato ai primi saluti, scavalcando la panca e mostrandosi per nulla incline a consumare il primo pasto di quella giornata, per nulla diversa dalle altre ma che, in qualche modo, la vedeva più disattenta, sbadata. Distante.
Non ebbe neppure modo o ragione di organizzarsi il fine settimana. La meticolosità con cui, da sempre, si era dedicata allo studio l’aveva abbandonata da un pezzo. Si trovava, spesso e volentieri, a fare il minimo indispensabile svuotando così, se possibile, ancor di più quei giorni che tentava in tutti i modi di riempire tra distrazioni e libri letti fin troppe volte.
Raggiunse nuovamente la sala comune, puntando al baldacchino rifatto, come speranzosa di poter discoprire lì, tra il freddo delle lenzuola tirate e il baule in confusione, la capacità di rendersi produttiva e trovarsi da fare da lì alle prossime dieci ore.
Si sedette sul letto, con un tonfo leggero, e avvertì un lento movimento alla sua sinistra. Prima ancora che gli occhi potessero metterne a fuoco i contorni, una busta da lettere le sfiorò il dorso della mano, scivolando dal cuscino dove era stata poggiata con cura.
La prese, voltandola da un lato, per identificarne il mittente. Che fosse la risposta di Cassia al suo regalo? Si disse di non esser pronta, in quel caso, a registrarne il contenuto trascritto come imprecazioni e future, futili minacce. Tuttavia non vi trovò nulla e tornò a fissarne il davanti, i polpastrelli a sfiorare il marchio di ceralacca minuziosamente ricamato dal calore.
Il sigillo ufficiale del San Mungo la colse di sorpresa e rimase interdetta nel fissarlo per qualche secondo, incapace di immaginarne il contenuto.
Era passato fin troppo tempo da quando aveva chiuso dietro di sé la porta della stanza dell’Ospedale, stringendosi nel dolore della sua perdita. Hisa le mancava ancora, ancora troppo per far sì che lo scorrere dei mesi potesse in qualche modo alleviarne la ferita. Sentì pizzicare il naso e, invano, tentò di allontanare il ricordo di lei, acciambellata sul letto che stirava le zampe al suo ritorno.
Le dita affusolate spezzarono la cera con un solo movimento, impazienti di catturarne l’implicito, divenuto ora venefica distrazione. Gli occhi scivolarono veloci sulle poche righe e vi tornarono, ancora e ancora, come incapaci di metterne in ordine le parole, le frasi, il significato.
Gettò la busta da un lato, agguantando il sottile strato di pergamena con entrambe le mani, rileggendo oltre mentre una vastità di quesiti prendevano forma nella sua mente annullandosi a vicenda nel loro caotico, superbo avanzare.
Lilian Anne Gordon. Si bagnò le labbra di quel nome ma non riuscì ad associarvi un volto e dovette chiudere gli occhi per cercare di legarvi, quanto meno, un ricordo.
Il calore si aggrappò al suo volto, colorandone gli zigomi alti. Il profumo del carbone ardente del dormitorio perse enfasi e, quasi impercettibile, giunse un odore diverso a carezzarle i sensi.
Le dita strinsero, aggrappandosi a quel biglietto, a quel nome.
Aggrappandosi a Lei. Ai narcisi in fiore.
E scattò in piedi.

Non credeva di avere la forza di tornare tra quei corridoi, tra quelle stanze eppure i passi veloci la trassero in inganno e l’urgenza del richiamo l’aveva condotta a rispondere all’appello senza incertezza alcuna. I pensieri affollavano la sua mente, vorticando e premendo di essere ascoltati. Il cuore, schiavo della tensione, le intimava di fare attenzione, di fermarsi a comprendere la conseguenza di quel suo furente avanzare. Lei non l’ascoltava. La paura, liberatasi dai limiti entro cui andava confinata, era motore e movente di quella sua corsa.
E se fosse stato un inganno? Se non vi fosse stato nessuno ad aspettarla lì?
E se quella lettera fosse arrivata troppo tardi?
Non poteva aspettare.
Lilian Anne Gordon. Deve essere lei. Deve essere qui. Continuava a ripetersi ad ogni passo, ad ogni respiro reso possibile dalla necessita di trovarla.
Si fermò, rendendosi solo allora conto di essere giunta a Londra, di aver oltrepassato la barriera di mattoni rossi che l’aveva condotta nell’atrio principale e di trovarsi all’interno del San Mungo.
Il piano terra l’accolse nel peggiore dei modi. Il comitato di benvenuto, conosciuto proprio per la sua capacità di essere tutt’altro che accogliente, l’aveva quasi bloccata sul posto appena entrata, per chiederle il motivo della sua visita. La sua attenzione, mentre tentava di mettere insieme due parole che avessero senso, venne subito catturata dall’ampia sala che si prestava al primo soccorso. Maghi, Streghe e, presumibilmente, Babbani erano sparsi ovunque, contro pareti, su sedie rachitiche, assistiti da Guaritori calmi e affaccendati. Dall’ultima volta, sembrava che il San Mungo avesse finalmente visto tempi migliori ma lei era troppo occupata a scrollarsi di dosso la sicurezza del posto per farci caso.
Era lì per un motivo particolare e ben preciso e, a differenza delle volte in cui si era recata in infermeria inventando bugie a spiegarne la ragione, le servì semplicemente dire la verità per passare oltre e dirigersi al quarto piano.
Tutto era stato calcolato. Si era lasciata alle spalle Hogwarts, era arrivata a Londra, si era recata all’ospedale e stava per raggiungere la sua meta.
Ma cosa fare una volta lì? Chi avrebbe trovato? In quali condizioni? Cosa avrebbe potuto dirle?
« Emily Claire Rose. Dovrei vedere il primario del reparto degenza. »
Parlò, avvicinandosi al banco informativo, mentre le parole da lei stessa pronunciate prendevano forma e la sua coscienza riusciva finalmente ad afferrarle; come se, per la prima volta, comprendesse davvero cosa aveva letto su quel foglio abbandonato nella tasca dei suoi jeans.
Reparto degenza.
Era dunque costretta a letto, a delle cure. Diveniva ormai impellente il chiedersi perché.
Era lì, in quanto parente più prossima raggiungibile. E più vi ripensava, più il suo cuore s’agitava. Voleva forse dire che v’era qualcun altro in vita. Oppure che lei e la sconosciuta, ora così vicina a lei, erano le uniche rimaste di quella stirpe in rovina.
Le domande tornarono e tornò a crescere l’inquietudine. Da quando aveva risposto a quel richiamo, era la prima volta che si fermava, che l’istinto e l’impulso ricevevano il freno dell’attesa, costretti a sottostare alla pazienza di cui la Serpina sentiva peccare.
Attese, senza rendersi effettivamente conto di chi aveva raccolto la sua richiesta, uomo o donna. Strinse i mani al di sotto al bancone per poi portare la sinistra al viso, scostare una ciocca fastidiosa, strofinarsi il naso col il dorso del pollice.
La monotonia di quella giornata era stata spezzata via ma qualcosa di antico era stato ripristinato: l’urgenza di avere una famiglia, anche solo il bisogno di sapere che era esistita, da qualche parte, e che avevano saputo di lei, anche se non c’era più nessuno ad aver cura del suo ricordo.
La speranza si rendeva ora tangibile, la speranza che vi fosse ancora qualcun altro, oltre a lei, lì fuori. Qualcun altro come Lei, come sua madre, che l’aveva conosciuta, che aveva visto il suo volto, che l’aveva vista crescere, e ridere, e soffrire. Una stilla di cruore a cui aggrapparsi per sentirsi non più l’erede di una famiglia ormai ridotta in polvere o l’ultimo bocciolo di un albero che ha visto da tempo le radici rinsecchire.
L’ultimo barlume per percepire davvero la propria esistenza.

▲ Stats e abilità
▸Banshee
ps 306
pm 287
pc 284
▸pe 56,5
▸ Materializzazione
▸ IV Classe
▸ Incanti oscuri:
Sectumsempra, Vielente; Essenza Converto; Segreto Ombrae; Protego Totalus


▲ Attivo/Passivo
▸ Bacchetta, custodia, gamba sinistra.
▸ Stiletto della Banshee, custodia, chiodo - tasca interna
▸ Ciondolo raffigurante un Narciso, bracciale, polso sx
▸ Anello vittoriano con rosa acquamarina, anulare sx
▸ Anello del coraggio, medio dx
 
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view post Posted on 6/5/2020, 16:09
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Il Fato

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Ogni reparto viveva animato da un proprio ecosistema. Il San Mungo non era infallibile.
Le emergenze andavano gestite in fretta, con precisione e competenza, mentre una pace innaturale regnava nei corridoi delle degenze a lungo termine.
Per tanto sangue e dolore esposti alla luce del giorno, c'era altrettanto silenzio ai piani più alti della struttura. "Più sali, più è grave" raccontavano i sussurri.
Un occhio inesperto avrebbe creduto di intuire lo schema prender vita, ma non v'era nulla di meno veritiero.
I passi mossi da Emily, l'avevano portata in una sorta di via di mezzo tra la calma infinta e la frenesia organizzata; il quarto piano.
Un corridoio stretto si apriva nell'alcova di una sala d'attesa deserta. Poltroncine in pelle chiara si alternavano tra una pila di giornali ed una di libri.
Sulle pareti un timido verde pastello divideva il proprio spazi con fasce di vernice bianca, orizzontali. Appesi, alcuni quadri raffiguravano semplici paesaggi sfiorati da refoli di vento costante. Solo uno, dietro il bancone della piccola segreteria, presentava una strega sonnecchiante in abiti da infermiera.

Sull'attenti, invece, la segretaria. Indossava una tenuta semplice, più evoluta di quella rappresentata nel ritratto alle sue spalle, ma sempre chiaramente identificabile.
I capelli raccolti in uno chignon non ammettevano sbavature tanto quanto il leggero trucco che voleva rimuoverle la stanchezza dal volto.
Parlò a bassa voce, quasi non volesse disturbare i presenti, benché sarebbe stato evidente che non c'era nessuno lì oltre loro due. Più o meno.
«Ma certamente cara, ora lo avviso... avrei però bisogno di registrarla.» Tenera, seppur di un aspetto non canonicamente rassicurante, la signorina Jerryson - quello il nome sulla targhetta appuntata al petto - alzò lo sguardo dalla pergamena per osservare attentamente Emily.
Una mano allungata verso la giovane strega, in attesa. «Dovrebbe fornirmi la sua bacchetta, cortesemente... o anche il patentino di smaterializzazione, se lo possiede. E' la prassi. Tratterrò con me l'identificativo fino alla fine della sua visita...» E la donna vantava una certa capacità nel far rispettare tutti i ligi regolamenti che distinguevano una visita controllata e civile, da una calca improponibile.
Era tutto molto diverso dal pian terreno che aveva accolto l'arrivo di Emily.

Poco dopo aver udito la richiesta della segretaria, la ragazza avrebbe dovuto fare i conti con una voce ben più familiare. Un'intrusione in piena regola.

«La signorina Rose, in persona.» Voce profonda, tono sinistro. Un solo colpo di bastone a terra, sul laminato sterile dell'ospedale. Il profumo intenso della colonia del Signor Cavendish avrebbe sovrastato il dolce aroma dei fiori d'arancio sulla scrivania dell'infermeria in segreteria.
La naturalezza di un predatore era innata. Il portamento, quello di uomo tutto d'un pezzo.
Lo sguardo greve di chi è scavato dall'interno ma da quel tormento trae una forza disumana. John Senior Cavendish sostava quindi a pochi passi da Emily, gli occhi scuri ispezionavano quel briciolo di familiarità che lo consumava in silenzio, oltre la maschera di timore che gli piaceva incutere.
«Questa volta è una triste circostanza a riunirci» nessun ghigno.
Solo l'attesa di un commiato più degno o una conversazione meno scialba.

Avvolto nel suo completo nero, il mago rivolse un cenno alla segretaria, pretendo in cambio di ricevere il documento lasciato al bancone. Niente gentilezza e nessun sorriso di circostanza rivolti alla Jerryson.L'attenzione era tutta per lei; per Emily Rose.

 
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view post Posted on 9/5/2020, 16:58
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Il profumo dei fiori d’arancio le inebriò i sensi.
Socchiuse gli occhi alle prime parole dell’infermiera, quasi meravigliandosi del fatto che fosse riuscita ad arrivare fin lì senza perdere il senno.
Il cuore prese a battere lentamente, scandendo il ritmo dell’agitazione, tentando di calmarsi mentre i pensieri inveivano contro il caos da cui erano avvinti.
Solo allora, quando i respiri si fecero meno corti e pervenne la stasi, le iridi cineree andarono oltre la figura della donna per contemplare la carta da parati pastello e i vari, incomprensibili, quadri che sembravano voler condurre il malcapitato, vittima o familiare che fosse, nelle braccia di una leggera, amara, apatia.
Era al quarto piano e il vociare dell’atrio di ingresso l’aveva abbandonata da un bel po’. Il malessere si era insinuato silenziosamente nelle membra, scivolando con estrema cautezza sotto l’epidermide, appannando lentamente i sensi senza che lei se ne rendesse conto. V’era dolore a permeare le pareti dei corridoi, sofferenza e perdite. Come un ammasso di denso liquido oscuro, sembravano scivolare dal soffitto, dai piani più alti, per poi perdersi man mano che raggiungevano la terra avvolta da un’informe babele. Si diramava sui loro capi, sui loro cari, sfiorando questa o quella testa, avviluppandoli nell’oblio. Alzò il capo verso il cielo, ora buio, tremante in quel concepito - percepito - movimento. La sua mente parve ottenere un’involuta distrazione, permettendo all’eredità, alla stilla di cruore che l’asserviva, di tornare a farsi beffe di lei, palesandosi nella sua Natura.
Non era un ottimo luogo per una Banshee; stupida a non averci pensato. Non che avesse potuto farci effettivamente qualcosa ma non metterlo proprio in conto era una mossa da principianti.
Una mano venne allungata verso di lei, ma non la notò. Non subito. Abbassando il volto contornato da ciocche vermiglie confuse, posò l’attenzione prima sul palmo semiaperto e poi su di lei, delineandone i contorni stanchi ma graziosi.
« Tratterrò con me l'identificativo fino alla fine della sua visita... »
*Uh?*, si sentì rabbrividire dinanzi ad un’improvvisa, accentuata, inquietudine ma ripercorse senza difficoltà le parole che aveva malamente udito. La sinistra stava per raggiungere le tasche, in attesa di chiudersi intorno ai lembi affilati della patente – non avrebbe consegnato la bacchetta nemmeno sotto Crucio – quando un sonoro e secco rimbombare la scosse, dandole risposta ad una domanda che non aveva avuto tempo di porsi.
«La signorina Rose, in persona.»
Riconobbe la voce prima ancora di voltarsi in sua direzione, con il corpo immobile e ancora rivolto verso Jerryson. Il cuore perse un battito, l’inquietudine aumentò di intensità e diede il benvenuto ad un sottile velo di ira che andò a coprirle lo sguardo, ora meno spento.
Erano passati anni dall’ultima volta e a rimembrarlo giunse una figura intaccata da un tempo con lui benevolo. Incontrò le iridi scure, sentendosi violata dalla loro insulsa carezza.
« Questa volta è una triste circostanza a riunirci », non che lei ne ricordasse di più felici…. Ma, quale circostanza?
Tentò di non paventare la confusione generata dalle sue parole, cercando invece di mettere insieme i pezzi. Il puzzle occorse di poco tempo per completarsi e nei secondi di silenzio che scandirono un incontro tutt’altro che fortuito, Emily si ritrovò a porsi la domanda più ovvia di tutte: « Che ci fai qui? »
Chiese come lo si fa ad un conoscente che non ci si aspetta né si ha la voglia di rivedere. Sarebbe bastato a mascherare la confusione?
Nessun appellativo, nessun abbraccio, nessun sorriso. I Rose e i Cavendish non si vedevano da un pezzo, in balìa di chissà quale futile guerriglia di stile medievale. Non aveva mia sofferto della loro mancanza.
Trovarlo lì, invece, dopo aver avuto la possibilità di passare abbastanza tempo in compagnia di Aryadne, le regalò lo straordinario desiderio di prenderlo a pugni. Una parte di sé, piccola, ormai inutile e confinata in un angolo remoto della sua personalità, la frustrò con la coda, minacciandola di aver commesso il peccato più grande di tutti: il mancato e convenzionale rispetto.
Se ne beò, in vero, e in un’altra circostanza ne avrebbe forse sorriso. Ma in quella, la presenza di John Cavendish, si rivelava un ostacolo non premeditato: lui non era più della sua famiglia, cosa poteva volere da lei?
Attese, in silenzio, mentre il palmo si chiudeva con paradossale ferocia intorno al patentino, nella tasca dei suoi jeans.
Mantenne lo sguardo e, con esso, l’irriverenza, pronta a non schiodarsi da lì finché non avesse ottenuto una risposta.
Quanto ancora quella stirpe avrebbe continuato a imbrattare tutto ciò su cui metteva le mani?
La sola idea che lui avesse contaminato quel luogo, increspò la calma alla quale s’era costretta.
Perché non riusciva - non del tutto - a liberarsi dalle loro invisibili spire?

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view post Posted on 13/5/2020, 20:59
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Il Fato

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Se la musica lenta e dolce rimandata dalle casse invisibili, avesse avuto scelta, avrebbe cambiato i toni, rimandando una funerea litania oscura.
Se il tempo avesse avuto potere su stesso, avrebbe scelto di fermarsi per assaporare il silenzio di un battito inconsistente.
Se il silenzio avesse avuto parole, avrebbe scelto di tacere.
Come per la signorina Jerryson che, armata di glaciale mutismo, aveva fatto scivolare il patentino del mago sul bancone alto.
Per tutta risposta, l'uomo aveva continuato ad ignorarla, preferendo spendere non più di un gesto nel recupero del documento. L'altra mano, stretta attorno al bastone.
Non per necessità, ma per vezzo di una nobiltà antica e perduta.
La sua visita si era conclusa, era evidente, ma un nuovo punto di interesse aveva rapito gli occhi scuri dello stregone.
Due pozzi maledetti che avevano assistito ad atrocità inspiegabili il cui solo accennarvi avrebbe dato il voltastomaco ai più coraggiosi.
Atrocità generate dalla stessa mano destra con cui Cavendish Senior era solito impugnare la bacchetta.
Certo Emily Rose non sapeva quanto potesse essere immenso l'iceberg che aveva malauguratamente appena sfiorato. Lo avrebbe mai saputo?
John le sarebbe andato in soccorso, armato di un gentilezza pungente e biforcuta.
Un solo sopracciglio si degnò d'alzarsi a sottolineare lo stupore di un "tu" inatteso.
Audace, in vero. Non apprezzato in tutte le sue sfaccettature.

«La solitudine è una bestia logorante, Signorina Rose.» Il tono usato era veleno zuccherato, indistinguibile con precisione da chi non vi era soggetto.
Se lei non si aspettava di trovarlo lì, lui non accennò una sorpresa in tal senso.
Aveva sottolineato il momento ad unirli, non aveva espresso però la speranza che l'incontro avvenisse.
E non lo avrebbe fatto, ogni cosa in lui era ben celata dietro il nobile che sapeva d'essere.
Nobile, non debole. In ogni caso, era ben lungi da lui ergersi ad enciclopedia per spontanea bontà d'animo.
Ogni risposta andava guadagnata. Fin tanto che non accadeva...
«Vi presti attenzione. Potrebbe giovarle tornare nel nostro circolo.»
Quanto si erano incrinati i rapporti tra i Rose ed i Cavendish?
Quante le mancanze accumulate?
Un'aggiunta non superflua, morbida come un nastro di seta pronto a farsi cappio.
Come s'agitavano le serpi in seno! Sibilanti e desiderose di attorcigliarsi lungo il corpo snello della prossima preda; mai sazie.

Non un passo indietro, in ogni caso.
Nonostante il recupero del documento, John sostava come scoglio di marmo tra lei e qualunque altra cosa.
Una fiamma ardeva oltre l'ombra degli occhi scuri e chiedeva a gran voce una sola cosa, che in fondo in pochi avevano osato negargli.

Il ritmo lento di un cuore che batteva raggiunse flebile le orecchie della studentessa.
La vibrissa di una Banshee; non allarmante, non v'era odore di morte imminente.
Una tenda era stata tirata e poi di nuovo richiusa. Passi morbidi in avvicinamento.

John Cavendish era una presenza consapevolmente ingombrante.

 
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view post Posted on 30/6/2020, 15:42
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Il disagio. Qual bestia logorante.
Tentò di tenerlo a bada, ergendosi orgogliosa oltre le proprie difese. Un muro invisibile venne innalzato a preservare quella stessa integrità di cui la famiglia amava tanto vantarsi ma di cui ignorava l'entità sul piano concettuale.
Il pensiero di una fragilità, adombrata dal narcisismo, in disparte, accecata dalla sfavillante luce dell'ineluttabile predominio, le permise di gestirsi. Trattenne un sorriso, epilogo della sua minuta vittoria e non volse lo sguardo, concedendogli l'attenzione bramata. Erano passati anni eppure, certe cose, avevano il vizio di non voler cambiare mai.
Il patentino di John Cavendish lo attendeva sul bancone, ma lui sembrava avere tutte le intenzione di starsene lì impalato.
Da padrone a cane da guardia? Perché?
Corrugò brevemente la fronte, il dubbio a trapassarle il vortice - ora cheto - di pensieri.
« Si potrebbe anche presumere che, in realtà, io non lo abbia mai lasciato », si sentì rispondere, il capo inclinato ad accompagnare toni più rilassati.
Si poteva forse addurre il rude quesito precedente alla mera sorpresa?
Il solo pensiero che John potesse saperne più di lei in merito, che potesse aver manomesso quella sua fortuita circostanza, servì a far rilucere le iridi di una malsana ira. Eppure... Le intenzioni erano quelle di mostrarsi pacifica, rinata dall'imprevisto, dall'improvviso incontro. Dentro di sé, tuttavia, ardeva con rabbia il fuoco dell'ingiusta e il palmo, ora arrossato, che con ancora tanta veemenza si aggrappava al patentino in tasca, venne accostato al bancone. Rilasciò la targhetta alla donna, con un sorriso di circostanza, forzato sì, ma naturale nella sua apparenza. E nel tornare al viso di suo zio venne trafitta dal suono lento di un battito. Le iridi chiare cercarono la fonte oltre l'uomo ma vi tornarono quasi immediatamente, come rapite dal dovere, da quella farsa che stava prendendo forma e che, ad ogni secondo, si ergeva a impellente priorità.
« Se potesse avvisare il Primario, le sarei grata. Non posso trattenermi a lungo, oggi. »
Sentenziò affabile. Il cuore prese a battere con prepotenza, un ritmo impetuoso che accompagnava la manifesta serenità, in una dicotomica, stancante danza di equilibrio.
Un filo sottile, tra Lume e Pazzia.


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▲ Attivo/Passivo
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Pareti che tremano nel riverbero di una sfida che non è mai realmente esistita.
Perché, come può un fuscello abbattere un albero?
Come può avvicinarsi abbastanza da richiamare l'eco di una rivalsa che agli occhi di John è solo un pigolare un po' più intenso, nulla che superi quanto le sue vittime sanno dargli appena lo chiede.
Grida, lamenti, preghiere, suppliche che sanno solo carezzare l'ego.
Sa che esistono gli intoccabili nella società che non li vede tutti mere bestie dagli istinti feroci, ma non è più così sicuro che Emily Rose conosca la posizione che occupa.
La conferma è veloce e si pianta tra le labbra come un sorriso acido.
Velenoso, infido, crudele.

"Puoi non averlo lasciato, il nostro mondo, bambina, ma non ci sei mai davvero entrata. "
Tenne quel pensiero per sé, seppur niente avrebbe saputo nasconderlo nella luce cupa del suo volto. Che la ragazzina sapesse o meno cosa volesse dire fare davvero parte di quel club di veri maghi con giusti ideali da perseguire, a lui importava relativamente. L'interesse sapeva puntarsi come uno sguardo severo che supera i confini, e solo per non perdere uno dei pulcini nati sotto una guida indegna.
Lui, d'altro canto, si è sempre ritenuto l'unico vero maestro e padrone del suo gruppo di seguaci, seppur conscio di essere a sua volta un servo tra i più fedeli.

Nel potere c'è la soluzione, ma questi non sa avvolgersi alle caviglie di chiunque.
Anche quando l'espressione si fa più dolce e gentile, si può capire quanto non lo sia.
C'è un filo che tende le labbra in uno sforzo che è palesemente eccessivo, così da rimarcare quanto non sappia e non voglia esserlo. Non con tutti.

Il tempo è un tiranno, si sa, offre occasioni, ruba frammenti e toglie il fiato.
E' una finestra su un segreto costudito negli abissi delle anime più impure, quella che ora lentamente si richiude e non senza lenti cigolii ne marchino il solenne attimo.
Lo sbuffo d'aria che è solo fumo negli occhi di un uomo troppo chiuso in sé.
Vagamente soddisfatto dal brillare funesto di una vera intenzione negli occhi della ragazzina, John batté il bastone a terra, facendo con questo tremare volutamente la segretaria in pura tensione. Lui sa, lui vede, lui sente ogni cosa e gioca con quei fremiti come potesse farli suoi e trascinarli in un abisso di sofferenza.
«Ci rivedremo molto presto» Il tono, quello di una minaccia che sa farsi largo tra le costole e stringere a sé i polmoni fino a farli scoppiare.
Un bivio, l'ennesimo che porta a chiedersi se sia saggio ignorarla, o se lo sia altrettanto accoglierla.
Cavendish non chiede, esige.
Un solo cenno poi basta a chiudere la vicenda in un ermetismo che promette risposte a cui nemmeno si è avvicinata, ad oggi, e promette un'attesa ch'egli sa verra ripagata per ogni sorso di bourbon che impiegherà nel vederla avverarsi.

Passi lenti portarono l'uomo lontano da lei, ma non sarebbe mai stato abbastanza.

L'arrivo del Primario fu quasi tempestivo, forse in attesa che l'aura oscura lasciasse la sala per poter permettere ad un tempo più cauto di infiltrarsi tra i respiri pesanti.
Occhi a mandorla, tratti vagamente asiatici, altezza considerevole e magrezza eccessiva.
Il volto dell'uomo è scavato dal lavoro, ma tutto sommato un sorriso lo impone alle labbra sottili.
«Signorina Rose, bentrovata» la voce lenta è gentile ed affabile anche se greve nel suo incedere cadenzato verso una condizione che non è delle migliori. «Prima di chiederle di seguirmi, devo assicurarmi che sappia delle condizioni in cui versa la signora Gordon.» Una prassi che non lo rende comunque più meccanico di quanto non sappia essere. Presa da parte Emily, lasciò ad un sospiro lo spazio di qualche secondo, poi... «Dovrà essere molto cauta, nessun movimento inconsueto, non la tocchi e soprattutto non sia troppo emotiva nei suoi paraggi.» Lo sguardo momentaneamente rivolto alla tendina chiara della stanza in cui preso farà entrare l'ospite. «In questo momento è molto fragile, non posso darle più di mezz'ora con lei, non penso saprebbe sopportare di più, ma lo capirà a sua volta. Resterò qui fuori per rispettare questo momento ma mi chiami se ha bisogno.»Poi, l'ultima aggiunta che preme come un'ossessa nella mente dell'uomo, la cui dedizione è encomiabile ed indiscussa. «Sia gentile, le parli con calma, perché la sua mente è compromessa. E' tutto chiaro?»

Una conferma è l'ultimo scoglio.
L'apertura alle domande è palese, quell'uomo è lì per lei.

 
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Uno stolto avrebbe potuto dire di averla fatta franca, di averla avuta vinta addirittura.
Al funesto rimarcare la propria posizione, accompagnato dal rumore sordo del bastone contro al pavimento che conosceva solo silenzio ed amarezza, Emily sapeva bene che non era così.
Le iridi si assottigliarono nel mettere a fuoco - forse per la prima volta - la sua figura. Intoccato dal tempo, suo zio era l'emblema della presenza sempiterna che echeggia e inneggia la propria esistenza ovunque il suo sguardo creda sia meritevole posarsi.
Il commiato giunse con più devastazione del suono improvviso che aveva agitato gli animi dei più ingenui. La minaccia risuonò nelle orecchie, stendendo un velo oscuro sui suoi pensieri e ricordi. Non in quel momento forse, ma in seguito sicuramente, la Serpina ne avrebbe avvertito con ansia il ritorno, gli occhi di lui puntati sul proprio volto macchiato da una discendenza indegna. E con ogni probabilità, si disse, era l'unica cosa su cui avrebbero mai potuto trovare un punto di accordo: Jacob Emil Rose non era mai stato il migliore dei padri.
« A presto... » si sentì salutare. Non un gesto gentile, non il pigolio di chi trema e torna velocemente nell'angolo di paglia, lì dove riconosce il proprio posto, bensì un invito sereno a cui aggrappare due brevi sillabe, «... Zio».
John poteva anche decorarsi di potere ed autorità. Poteva vantare fama, ricchezza e terrore. La mela, tuttavia, non cade mai tanto lontana dall'albero e proprio lui che ambiva e acclamava la più pura delle stirpi avrebbe finito, un giorno, per maledirla sul suo stesso capezzale.
A quel tetro e felice pensiero, la giovane parve quasi trovare pace e le parve di assaporare il gusto familiare di una vendetta silente, le cui cause non sono chiare e le ragioni inesistenti.
Gli occhi si chiusero alla riflessione dei suoi passi che sbiadivano, in attesa del vero motivo per cui era lì. Paradossalmente, suo zio era stata una facile distrazione e quando la sua presenza smise di appesantire l'aere, la realtà la colpì come una meteora a schiantarsi sull'esile busto, a spargere i frammenti di tutto ciò che era, che era mai stata, sul pavimento contaminato.
« Signorina Rose, bentrovata »
Si voltò e un sorriso lieve, di circostanza, apparve immediatamente sul volto già teso e stanco.
Annuì senza rispondere, accogliendo chetamente le brevi pause del Primario e il respiro, nell'udire il nome di sua madre, s'arrestò. Smise di respirare. Era passato così tanto tempo da quando aveva sentito qualcun altro pronunciarlo ad alta voce. Essere consapevoli di star parlando di una persona in vita, poi, era qualcosa di completamente sovrannaturale.
Venne scossa dall'invito a stare da parte e se solo non avesse avuto altre ansie a cui badare, avrebbe colto immediatamente l'intimità dannata che quell'incontro richiedeva.
Tutto chiaro. Cristallino. O almeno lo erano le sue parole perché, del resto, Emily non aveva la minima idea di cosa stesse parlando.
La fronte s'arricciò mentre l'animo, orgoglioso e severo, già si dava un contegno.
« Le sue indicazioni lo sono, chiare. Ma... » lo sguardo chiaro venne indirizzato alla tendina bianca, oltre la quale avrebbe potuto trovare risposte a domande che sapeva già di avere ma di cui non conosceva l'entità. Le braccia vennero portate al petto e la nebbia si mosse impetuosa nel suo sguardo mentre tornava all'uomo.
« Perché è qui? Perché sta male? »
Le mani strinsero forte a sbiancare le membra. Il desiderio di entrare arse violentemente il cuore ma la ragione invocò la quiete.
Se la situazione era tanto delicata, era il caso di comprenderne le basi prima di commettere qualsiasi errore.
Nonostante la fragilità che la giovane donna poteva lasciar vedere in quel momento, il viso era adombrato dalla decisione e maturità di chi sente, improvvisamente, il peso della responsabilità sulle spalle.
Dopo l'arresto e la dipartita di Aryadne aveva creduto di essere lei - e lei soltanto - l'ultimo baluardo della famiglia Gordon ancora in vita.
Non era così ma quell'infausto destino avrebbe potuto colpirla presto.
Attese, col respiro che tornava regolare, e i battiti del suo cuore che, celeri, sembravano voler incoraggiare altri, più lenti, spingerli oltre. Pregarli di resistere ancora un po'.


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view post Posted on 25/2/2021, 10:46
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Il Fato

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Lo sguardo del Primario volge ancora una volta, l'ultima, alla figura in lontananza.
Ha bisogno di sapere che sta andando via e, con lui, l'aura di pece.
Lacune che muovono passi lungo mura di muto dolore.
Ermeticamente nasconde il nervosismo che figure di tal calibro lasciano al loro solo passare, rampicanti velenosi che stringono i polmoni e ne compromettono ogni funzione.
Trae così un sospiro umano che riempie il petto e muove le spalle, prima che la voce scenda di un paio di toni.
La Signorina Rose non sa molto, anzi, probabilmente non sa nulla ed è questa la consapevolezza che corruga la fronte dell'uomo.
E' ovvio nei gesti e palese nelle parole, eppur credeva che John Cavendish...
Evidentemente no.
Così, riscuotendosi, torna a cercare la giovane e rievocare le sue domande.

Perché Lilian è lì?
Perché sta male?
Di cosa soffre esattamente?
Quanto durerà?
Quanto è grave?


Sono attimi di silenzi obbligati, di una gravità che imperla la fronte.
Ancora i battiti lenti di quel cuore riempiono le tempie.
La donna è debole. I respiri, vaghi, quasi inascoltabili.
Ancora, il Primario dipinge in volto l'espressione che conosce, quella che lo vede pronto a rivelare notizie che di buono hanno ben poco.
E' un dispiacere che, seppur nella sua sincerità, è distaccato per un ruolo che per primo non può confondere.
Per quanto dolore possa innestare negli occhi e nei cuori altrui, non ha l'ardire di empatizzare al punto da essere fuori luogo.
«La Signora Gordon...» parole caute e misurate che riprendono un tono basso. A questo è abituato, da quando è vocazione della sua intera esistenza. «.. soffre di un grave caso di demenza precoce.» Nebuloso, questo è il regno che governa la memoria. I ricordi, le linee del tempo che si attorcigliano e riemergono corrotte. «Ci stiamo ancora accertando delle cause di tale condizione, ma devo dirle che è... degenerativa.» Peggiora, giorno dopo giorno. «Lavoreremo per mantenerla stabile il più possibile.» Rassicura, nel solo modo che conosce, promettendo che faranno il massimo per occuparsi del suo caso. «Non si lasci turbare dalle sue parole, o dai suoi silenzi.» Un consiglio.

Di poco, la tenda si scosta. L'infermiera sfiora il polso di Lilian, stesa e pallida.
I capelli una volta di un vivido color ramato, sono segnati da linee bianche, slavate.
Il volto ha più rughe che si rincorrono come fili silenziosi, tracce di un dolore che non ha spiegazioni umane.
La finestrella della stanza, incantata per lasciare una situazione di luce il più naturale e soffice possibile, permette ad un piccolo raggio di sole, già filtrato, di giungere lì ad illuminare la debolezza di un corpo tanto magro da apparire scheletrico.

Sul tavolino accanto, in un bicchiere di acqua,
un narciso.

«Sarò qui fuori, vicino.» Ancora la parvenza di una rassicurazione.


 
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view post Posted on 27/2/2021, 12:53
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Le occasioni in cui aveva iniziato a rendersi conto dei limiti intrinsechi della magia erano diventate insopportabilmente frequenti. Possibile che ci fossero dei mali che non serbavano niente di sovrannaturale e contro le quali nulla poteva il loro potere?
Si ritrovò a torturarsi le labbra a quel pensiero, lo sguardo piegato al pavimento e la mente frenetica, in cerca di risposte. V'era una causa, dunque. E se la causa fosse stata di origine magica? Avrebbero potuto fare qualcosa?
Rialzò lo sguardo sul medimago; iridi argentee velate dalla nebbia della confusione. Perché stava già pensando a come salvarla? Era così importante che una Gordon restasse in vita? Era davvero quella la cosa più importante in quel momento?
Cercò di parlare ma si limitò ad annuire mentre accorciava le distanze e restava con una tenda insulsa a fare da mera protezione.
Strinse le mani, stranamente accaldate, trattenendo il respiro nemmeno avesse potuto venir meno alle regole appena impartite col semplice ansimare del petto.
Non toccare.
Serbare calma.
Non mostrare emozioni.
Restare quanto più immobile.
Cosa avrebbe dovuto fare, allora? Come poter convivere con quel marasma che ardeva il cuore e annebbiava il pensiero?
Si rese conto di annaspare alla ricerca d'aria e mentre il Primario si avvicinava alla difesa di tessuto per spostarla, Emily trasse un profondo respiro e chetò la mente, avvertendo il calore donato dall'ossigeno improvviso inondare i pensieri.
La vista della donna, però, sembrò svuotarla di ogni emozione o concetto.
La luce invadeva il corpo di lei senza incontrare ostacoli; alcuna forma ne interrompeva il fascio lineare; alcun movimento, per quanto sommesso, se ne bagnava. Era come se fosse lì - perché la vedeva - e al contempo quel letto le pareva altrettanto vuoto - perché non la percepiva, perché ogni singolo atomo di materia intorno alla donna sembrava non riconoscerne la presenza, nemmeno avesse potuto attraversarne le membra e continuare indisturbata la direzione del proprio Caos.
Lo sguardo scivolò sui capelli ramati, macchiati da una vecchiaia che non avrebbe dovuto tangerla - non ancora forse - e piuttosto che soffermarsi sullo scheletro vestito da nivea epidermide, Emily guardò quanto faceva da cornice a quell'anima accolta da incosciente pena.
Il narciso spezzò la visuale, in tutta la sua decadente, vitale esistenza: anche lui era prossimo alla fine eppure brillava ancora, di un giallo che mostrava un paradosso vivente tra se stesso e la creatura sulla quale vegliava.

Si avvicinò con lentezza, gli occhi ancora bagnati dall'oro del fiore, ponendovisi accanto, cercando di porsi sotto la luce, mostrandosi a lei.
Non osò dire nulla, restò impassibile, calma... Vuota.



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view post Posted on 28/4/2021, 13:00
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Il Fato

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Occhi velati non si discostano dal soffitto pallido.
Lilian Gordon era stata una donna, prima che un guscio di informazioni mal riposte,
sconnesse.
Aveva amato. Aveva vissuto nell'impossibilità di confermare i timori altrui, o i propri.
Aveva corso fino al limite di una radura per poi trovarla ad espandersi sotto i suoi piedi, inconsistente all'allungare di mani morbide in avanti.
C'è qualcuno che si agita appena, flebile, sotto il cotone chiaro di lenzuola profumate: un'anima, forse.

Tuttavia il silenzio regna sovrano per altri minuti, statico e denso come nebbia di pianura.
Scivola sulla pelle d'avorio, risucchiata da ossa che pretendono vi si incolli, senz'aria. Sono questi i respiri che scuotono un cuore fermo, non più in grado di battere come prima.
Sedata dal lento gocciolare di un liquido giallastro lungo i tubi che la legano.
In bilico tra l'essere ed il non essere, tra l'esistenza e la sua consapevolezza.
Il petto sia alza e si abbassa a ritmo continuo, né lento, né veloce, viscoso come il veleno di una pianta carnivora, mentre il ticchettio di un orologio immaginario segna quanto rimane di un dialogo mai esistito.

Solo allora, quando Emily si spinge oltre il fascio di luce e Lilian ha uno scatto, in una morsa le stringe il polso.
«L-...» biascica, a fatica. Spinge parole oltre una gola in fiamme.
Troppo tempo passato in silenzio, avvinta da un terrore che adesso sa far appena tremare i polsi.
La presa non sa rinsaldarsi, anche se preme fino a far pulsare le vene. «Lulu... sei tu?»
Una richiesta che non lascia spazio a risposte, quando il capo si volta, scomponendo il quadro di una donna statica.
Ed allora sono occhi che si posano sulla giovane, che ne inquadrano i lineamenti e che, nella confusione che altera pupille dilatate, offrono tutto e niente.

«Sei tornata per me» Afferma, con un sorriso che rende per un attimo un senso di pace.
Un "grazie" rivolto al nulla per cui chiude gli occhi un'altra volta.


Bene Emily,
Perdona il ritardo, riprenderemo più spediti da ora in poi.
Siamo al punto chiave di questo frammento.
Alcune informazioni sono rimaste in possesso di John Cavendish (ma ci torneremo, niente è perduto) altre invece sono alla vostra portata da adesso.

Muoviti verso Lilian come meglio ritieni opportuno considerate le circostanze e la storia del tuo PG e della sua famiglia.

Se dovessi aver bisogno, sai dove trovarmi.


 
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view post Posted on 29/7/2022, 12:55
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Cerca di non guardarla troppo a lungo. Non perché ci sia della compassione sul suo visto ma perché teme che, lasciando le iridi indugiare più del dovuto sul corpo esanime, potrebbe attingere a quella poca energia che Lilian serba affinché possa continuare a respirare.
Quando la morsa annichilisce ogni resistenza ad un'eventuale, codarda fuga, diviene però inevitabile non guardare. La mano vuole cingere la sua come si fa quando si va a far visita a qualcuno costretto al riposo e lo si vuole confortare con la propria presenza; perché un abbraccio richiederebbe troppo sforzo e si ha paura di fargli del male, allora si cingono i palmi in una comunione che sa di comprensione, di mancanze e... Amore.
Emily non la tocca però, gli ordini sono stati chiari ma non può lasciare il braccio teso nell'aere perché non vuole opporre resistenza a quella che sembra una richiesta. Si avvicina di poco, nessun gesto inconsueto bensì naturale; segue il volere di lei.
Le parole si fermano al petto, ansima appena ma finge perfettamente un sorriso, «Lulu...».
Era così che chiamava... Lei?
E' troppo da sopportare ma lo fa, resiste. Avrebbe portato il peso di quell'istante a vita perché significava poterle essere vicino, anche solo per un istante.
Trenta minuti, aveva detto il primario, sarebbero allora parsi centro, e cento ancora.
Non sa nulla di lei ma la verità è che non sapeva nulla e basta. Nessuno aveva parlato della sua famiglia, di sua madre e tutto ciò che Emily stringe a sé sono poche pagine scritte con la fretta di chi sa che non vivrà molto a lungo.
« ... sei tu? »
« Sono io. »
Si ritrova a rispondere con pacatezza, quasi mormorando.
Non è una decisione ponderata, è il cuore a dettare quelle parole e forse è giusto così: come avrebbe reagito la donna dinanzi alla consapevolezza che erano passati tanti anni e che di Louisa non restava altro che un pezzetto di sé, quello a cui aveva dato la vita?
Attutisce il colpo alle costole a quel pensiero e rimane impassibile; un'ampolla di cristallo a celare fiamme ardenti che non osano intaccare la durezza della loro gabbia.
Il sorriso che Lilian le rivolge è qualcosa per cui non si sarebbe mai detta pronta e in quell'istante, sente di provare Amore. Un'affezione antica che spinge le radici verso qualcosa di ancestrale, che brucia il sangue e innesca il desiderio di proteggere quell'anima in pena o, almeno, ciò che di essa rimane.
« Sono qui per te. »
Asserisce con dolcezza ma non è una farsa, è vero.
L'odore delicato del narciso pare inebriarle i sensi, chetare la trepidazione ma lo sta immaginando, si dice e volge per un solo attimo lo sguardo al bicchiere che sostiene quella poca vita che rimane.
« E' molto bello », afferma mentre gli occhi cercano il ciondolo, reliquia che la lega a sua madre e che raffigura il medesimo fiore.
Sorride appena e vorrebbe che lei la guardasse. Anche se è il suo stato di salute a parlare, quello scambio d'identità le dona conforto e vorrebbe che la chiamasse ancora con il nome di Lei perché così, si rende conto, sarebbe come ammettere che Louisa vive ancora.
Emily non aveva mai negato a se stessa di conservare ancora della Luce, una parte che fosse migliore delle proprie scelte.
Ed era consapevole che, quel frammento, era quanto di più vicino a sua Madre.

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view post Posted on 19/9/2022, 11:04
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Il Fato

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Stretto è il tempo delle parole. S'incolla addosso come un tessuto umido, come quei drappi di stoffa freschi poggiati di tanto in tanto sulla fronte di Lilian.

Accanto al carrello, accanto al ticchettio costante di una goccia che scende in un tubo di plastica. Goccia dopo goccia. Pensiero dopo pensiero. Sono anni che galoppano, immagini che si sormontano.

Madre e figlia.
Sorella
Zia e nipote.

Chi sa davvero quanto resta al barlume di una ragione che si accende, dolce, contro il fascio di luce? Forse il fato, forse anch'egli non ne è messo a parte. Tuttavia...

La conferma di Emily rassicura la donna, le rughe si distendono piano, si alleggeriscono, come se davvero avesse incontrato una figura perduta nel tempo, ma rimasta costante dietro le spalle. Come se non avesse smesso di tenerla nel cuore, là dove Lilian si è lasciata andare: il suo riparo. La matta del villaggio, la carta dell'appeso, i tarocchi dal bordo dorato. Brillanti alla luce, tenebrosi in sua assenza. A ben guardare, salta agli occhi un po' di cenere, lasciata ora esposta lungo il profilo del cuscino su cui capelli argentei si posano. Il passaggio di Cavendish, un segno. La premura di chi ha consumato energie precedendo una ragazzina curiosa. D'altro canto, cose'è l'eredità Gordon se non un baule di segreti di famiglia?

Ma quante famiglie coinvolte?
Quante albe perse nella nebbia di Lilian?

Gli occhi vitrei si animano appena, tira un sorriso pacato, dolcissimo, sbeccato dall'età che sembra inclemente. Quasi fosse una centenaria fuori tempo. Lungo il labile confine tra vita e morte, presenza ed oblio. Fragile, come un fiore.


«Mi..- mancata» interrompe un respiro, ignara di aver davanti solo la copia più fresca di Lulu. «Diglielo... che-» parole che si accavallano, pensieri in una matassa labirintica, tocca a qualcuno districarli si, ma chi? «-.. non è stata colpa mia..» insiste, con l'enfasi che può avere in questi sospiri che provocano un leggero colpo di tosse, un mischiarsi di umori nei polmoni guasti. «Lui.. lui diceva che-..» la presa sul polso si allenta e si stringe. «Oh, sei così bella Lulu» una lacrima solca le guance e si mescola con la cenere.



Rimangono 25 minuti prima del ritorno del Primario.

 
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view post Posted on 2/10/2022, 17:28
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Lo sguardo di lei si rasserena e la colpa s'insinua nello sterno; marcia lentamente facendosi spazio tra le costole che, fragili, tentano di proteggere un cuore ora debole. Nulla la salverà dal silenzioso avanzare di quella bugia ormai detta ed Emily l'avvertirà, una volta fuori da lì, come un macigno di cui riuscirà, forse. a liberarsi un giorno.
Il volto però rimane impassibile, ancorato alle espressioni che si sforza di avere e a ciò che vuole comunicare alla donna. Ha deciso di interpretare una parte e il vedere Lilian più serena basta per far sì che la farsa continui.
Si chiede quanti anni abbia; il tempo, gli uomini e il Mondo non sono stati clementi con lei. La sofferenza è tangibile, si stende sul corpo come un velo che, con il tempo, deve essere diventato un rifugio di calore.
E' questa l'immagine che ha Emily, mentre le iridi annebbiate scivolano lungo le macerie del corpo, così stanco ed esile che l'anima in pezzi sembra più forte della prigione che la contiene.
«Mi..- mancata»
Il cuore si stringe e lei avverte il desiderio di fare lo stesso, di portare le ginocchia al petto e restarle accanto. Respira a stento e batte con lentezza le palpebre per timore di riaprire gli occhi e non poter più cibarsi di quel sorriso. E' così gracile che un leggero soffio di vento potrebbe trascinarla con sé lasciando la stanza completamente intatta eppure... C'è così tanta fragile bellezza in lei.
Sta per rispondere, Emily, ma le labbra di Lilian si schiudono e lei resta in ascolto.
E' così ingiusto, hanno così poco tempo, proprio ora che l'ha ritrovata, ora che ha trovato qualcuno.
Le parole scivolano via a fatica portandosi con sé parte di chi le pronuncia. Vorrebbe dirle di non parlare eppure sente che Lilian merita molto di più di questo, di andarsene con la mente e il cuore addolorato.
Segue la lacrima che le riga il volto. Vorrebbe rinchiudere per sempre quella minuta sconfitta, trasformarla in un ricordo e liberarla da ogni peso. Sì, ma come fare?
«Glielo dirò.»
Sì ma a chi?
Vorrebbe bruciare il cuscino, ripulirlo per poi urlare che è ancora troppo presto, che lei non sarebbe diventata un resto da lavare via al pari della cenere che era stata lasciata lì, a ricordare che gli uomini amano macchiarsi di peccato tanto quanto odiano armarsi di dignità.
«Gli dirò che non è stata colpa tua. Cosa avresti potuto fare tu? »
Tenta perché non può chiedere altro; se lo facesse allora la maschera cadrebbe e il tempo che è stato loro concesso si consumerebbe.
Non vuole chiederle nulla di sua madre, sa che se ne pentirà nei momenti di rabbia che verranno eppure è consapevole che è la scelta giusta. Il viso si riscalda, il cruore innaturale s'anima; anche Lilian è come lei?
No, s'impone, sono qui per liberarla, si dice. Quello è l'unico motivo, quello l'unico scopo.
La presa si stringe, un'altra domanda preme sulle labbra ma non può farla, non può chiedere chi sia Lui né tanto meno cosa dicesse. Importa poi?
L'unica colpa di Lilian sembra essere quella di essersi trascinata un peso dietro per anni fin quando quello stesso peso non ha trascinato giù lei.
E' questo quello che conta.
Ed Emily deve ora liberarla da quel fardello.

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view post Posted on 28/10/2022, 09:41
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Quanto si cela ancora dietro palpebre che si chiudono con forza, quasi come se respirare fosse impossibile, difficoltoso. O respira, o parla, non è più in grado di fare entrambe le cose.

Palpabile oramai la nebbia, che invade piano gli spazi lasciati vuoti dalla cognizione. Tuttavia Emily si muove con il convincimento di chi pur non sapendo, azzarda, osa, cerca. E chi cerca a fondo, qualcosa finisce per trovarla. O così pare. Basta un gancio solo, un lucchetto trai tanti che inchiodano quella donna al lettino: laddove certo finirà per spegnersi.

Solo un giro di chiave. «W..- Wymond»
Un nome sussurrato a fiori di labbra, quando ad incespicar parole v'è quella ciocca di capelli che s'impasta lungo quelle labbra così secche. Ma un nome che potenza ha?

La donna si scuote, piano, stringe troppo la mano di Emily, come una morsa, come se avesse sciolto un nodo per farlo avesse anche impiegato metà delle sue energie. Che il suo sguardo, mentre moriva, lo ricorda ancora. La corsa disperata verso il fratello e niente che potesse fare per salvarlo.. Gli va detto, si, che non voleva finisse così. Lei non voleva condannare tutta la sua famiglia.. lei non voleva..

I macchinari hanno un picco, Il battito accelera troppo, 140..146...152.. una linea che si altera in rosso.
Poi, di colpo, 60..59..65.. un segno? Una goccia di sudore che macchia la fronte della degente, docile le circonda il viso, mastica via parte di quel colorito tanto pallido.

«Non... Lulu.. non farla nascere..» sembra una preghiera, che spinge intensa verso Emily, di nuovo, in quel brivido che somiglia tanto ad un ringhio a denti strettissimi. Un ordine che - in fondo - arriva con più di diciassette anni di ritardo. Il prima, il dopo, si mescolano. Non è una linea del tempo esatta quella che alberga docile nella sua testa, è un groviglio. Lulu è viva, eppure sa come è morta. Wymond è morto, eppure lascia un messaggio quasi fosse ancora possibile salvarlo. «Re..- resta con me.. ti-..prego» un pianto di rugiada.



Rimangono 18 minuti prima del ritorno del Primario.

Come avrai notato, il tempo di rientro del personale medico dipende molto dal ticchettio dei macchinari, più si allarmano, più il tempo stringe.

Stai disinnescando un ordigno complicato, Emily.
Sei a buon punto, ma presta attenzione alle direzioni che prendi.


 
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