Il tesoro era infine stato individuato, il cuscino più ambito dell’intera casata svettava con orgoglio sulla sua isoletta di legno e disordine, pronto ad essere conquistato dal bucaniere più audace. O il più veloce in quel caso, con una sfida che Eloise portò ad un livello superiore. Considerato che tutte e tre erano ormai diventate un ibrido umano-pollo, e non potendosela battere in corsa sui loro piedi, sarebbe stata la loro abilità in volo a decretare il vero vincitore.
Il petto di Mya si gonfiò, mentre fra le labbra le sfuggiva un ghigno di sbruffona soddisfazione, convinta di avere quanto mai la vittoria in pugno. Dopotutto lei era per il cinquanta percento un rapace, e per il restante ormai alcol e vergogna, ma comunque il cielo e le ali erano qualcosa che le appartenevano fin dalla nascita. Certo, di solito le ali le facevano da struttura alle braccia, e mai aveva ipotizzato di portarle sulla schiena come uno zainetto per la merenda. Ma dovevano funzionare allo stesso modo, su/giù, apri/chiudi, spingi l’aria ed eccoti a muoverti in avanti, ogni colpo d’ala quattro passi avanti.
Tutte e tre le tassine alcoliche erano ormai sulla linea di partenza, aspettando il fischio d’inizio, la bandiera o il colpo di cannone. Ma senza un arbitro o un cannoniere chi avrebbe assolto a quel compito? Non poteva permettersi di rivestire entrambi i ruoli o nell’agitare bacchetta o bandiera avrebbe perso tempo prezioso, quindi la sua scelta si spostò verso un semplice BANG detto a gran voce.
E i tre polli erano partiti, o meglio lo erano due di questi. Perché la tassorosso non era riuscita a spostarsi di un solo millimetro dalla porta d’entrata. Sentiva le alette frullare l’aria come un colibrì in procinto di un infarto, eppure non assolvevano al lavoro per il quale erano state create. Mya vedeva le schiene delle compagne allontanarsi, ipotizzando che le fossero toccate ali farlocche, non c’era altra spiegazione. Inaccettabile, incomprensibile, inammissibile. Quello era il suo terreno di gioco, non poteva perdere corona e timone tutto in un solo colpo. Si piegò leggermente in avanti, raccogliendo le ginocchia più vicine al busto, in una posizione che suggeriva quanto una sola puzzetta in quel momento fosse la sola cosa capace di spostarla. Ma fortunatamente per i lettori, e per quella poca dignità rimasta, la tassina aveva semplicemente poggiato le piante dei piedi sul legno della porta, e con tutta la forza che credeva di avere si spinse in avanti come un nuotatore a bordo piscina. Il corpo in quel modo fluttuò in avanti, recuperando con due sole bracciate le avversarie, e il tesoro ormai ad un passo. Quello che non aveva però calcolato era che le minuscole alette di pollo non erano predisposte per sostenere un baricentro tanto sbilanciato, con il risultato che una volta superata la spalla della Lynch le sue gambe si erano poggiate eccessivamente di peso sulla compagna al punto da caracollare assieme verso il terreno. Stessa sorte era toccata alle braccia che si erano allungate verso il corpo della Alistine e si erano avvinghiate attorno alla sua vita, per impedirle di raggiungere il cuscino. L’agglomerato braccia gambe tentacoli e capelli rovinò sul pavimento della camerata, incapace di capire dove finisse l’una e iniziasse l’altra. Girava tutto, e niente aveva più un senso, l’alcol annullava quell’ultimo barlume di lucidità che l’aveva sempre tenuta ancorata alla ragione. La Ragione, quella ostinata carceriera che le costruiva sempre spesse pareti di pietra e calcestruzzo tutt’intorno, quasi beffandosi del fatto che essendo tanto bassa non poteva vedere oltre. Ma forse aveva solo smesso di alzare gli occhi, perchè ora a guardarsi intorno non scorgeva nessun ostacolo. La strada era libera, l’aria puzzava di alcol ma tutto sommato era rinfrancante, quasi inebriante, le veniva da ridere. E rise, talmente dal profondo che lo fece con tutto il corpo, rimbalzando sopra le compagne senza troppa grazia. Si girò con la testa per cercare entrambi i loro visi, forse contrariati, forse delusi, forse felici come lei. Era...felice? Era quella la parola che cercava pochi minuti prima? E se lo era, era forse colpa di tutto quello che avevano bevuto e trangugiato? Puntò lo sguardo prima su Niahndra, incapace di muovere un solo muscolo ed esclamò «
tuuu...mi piaci » biascicato, trascinato, poco sobrio, con la lingua addormentata che cercava malamente di sillabare suoni. Girandosi poi dall’altro lato guardò Eloise «
Anche tu mi piaci » -
Poi la luce iniziò a farsi meno invadente, e le palpebre sempre più pesanti. Ai bassi grugniti ben presto si sostituì un russare sommesso. Un sorriso ebete le si dipingeva fra le guance, libera finalmente da ogni espressione tirata alla quale era avvezza. Si sentiva leggera, tranquilla come nel focolare della propria casa, al sicuro. Le paure del passato sembravano solo il ricordo di qualcuno di conosciuto. Si sentiva parte di qualcosa, libera da ogni maschera, e soprattutto non le costava il minimo sforzo. Che maleficio era mai quello? Si era trovata invischiata in qualcosa che aveva rifiutato tanto a lungo, e senza nemmeno rendersene conto ci era finita dentro con calzini e cuoricino (piccolino perchè sennò mi cita in giudizio). Senza paura, ma forse senza nemmeno aspettative di sorta. Con semplicità e sincerità, quelle due figure si erano fuse alla sua esistenza in un modo che non credeva possibile. O sottile inganno, o malefico incantesimo, quelle anime le appartenevano e lei apparteneva loro. Poi d’improvviso fra i balugini di un sogno che iniziava a farsi più concreto eccola la sciocca consapevolezza che prendeva forma. *
Amiche*
Una realizzazione improvvisa che non aveva avuto forse mai il coraggio di accettare. E sperava, ora come non mai, che quel pensiero raggiungesse il mattino, non morente tra i rimasugli di una sbronza.
Il mattino successivo la sala grande sembrava essersi trasformata in una fabbrica di acciaio in piena produzione, carrelli cigolanti su binari malmessi, seghe circolari che tagliavano ferro, enormi macchinari con braccia meccaniche che spostavano grossi carichi da un lato all’altro del grande capannone. Ma in realtà erano solo primini e studenti su di giri per le vacanze imminenti, per un voto più sorprendente o un pasto più gradito. Il chiasso prodotto dai cucchiaini sulle ciotole di ceramica era assordante, così come i risucchi delle brodaglie tra le labbra e le forchette che stridevano sui piatti d’acciaio cercando di afferrare una viscida fetta di bacon. Ogni suono le giungeva alle orecchie centuplicato, e sollevando gli occhi verso le compagne di stanza sedute poco distanti, capì che quel caos infernale lo avvertivano anche loro. Il dopo sbronza era uno schifo, se dovevi condividerlo con una marmaglia di esseri petulanti e chiacchieroni, e soprattutto se era mercoledì e avevi una lezione di difesa contro le arti oscure alle nove. Mya continuava a rigirare col cucchiaio la sua brodaglia di cereali, indecisa fra il buttarla nel vaso di piante grasse a centro tavola o vomitarci dentro quel rimanente senso di nausea. Ma quando un giornale arrotolato della gazzetta le cadde a peso sulla testa ci finì dentro con tutto il naso, maledicendo quei debosciati di rapaci incapaci. Lanciò la copia del giornale poco sotto la panca del tavolo grifondoro e riprese a mescolare la brodaglia, con una mano premuta sull’orecchio sinistro, quasi a cercare di tamponare il marasma.
Aveva un tale casino fra i pensieri (non più casino di quello che tutte e tre avevano trovato nella loro camera al risveglio), ma quando Eloise le piazzò davanti la pagina aperta del giornale ogni vago e sbiadito ricordo assunse il profilo di un incubo.
Un incubo da espulsione.