Tasso alcolico: Oltre ogni previsione, Contest aprile 2020

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view post Posted on 29/4/2020, 17:56
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Mya Lockhart



[Prosegue da qui]

Quelle strane vicende avevano avuto inizio in un pigro primo pomeriggio.
Il pranzo nella sala grande del castello era terminato da alcuni minuti ed una Mya silenziosa risaliva le scale della torre ovest.

Non era mai stata una fervente seguace delle festività che si rincorrevano con frenesia lungo il calendario. Le sembravano mettere delle date di scadenza ad un tempo che già di suo amava incedere ad un ritmo esageratamente veloce. Primo fra tutti il suo stesso compleanno, evento che fortunatamente fra le mura del castello passava alquanto in sordina, eccezione fatta per il pacchetto che lo sparviero le lasciava in guferia ogni anno, il 7 di aprile.
I suoi genitori ci tenevano a ricordarle in qualche modo quanto fosse nei loro pensieri, anche nella lunga distanza che li separava. E per quanto i regali di sua madre la imbarazzassero il più delle volte (come l'indimenticabile paio di pantofole a forma di pecorella o il cappellino di lana con le orecchie di coniglio), ogni anno puntuale saliva in guferia per ritirare il suo pacchetto con una certa curiosità.
Quell'anno a stupirla fu però la presenza di un doppio pacco, nella cassetta della sua posta. Uno più grezzo e decorato con fiori di campo lilla e bianchi, ed uno più elegante e raffinato. Pensando ad un errore di consegna aveva velocemente aperto il biglietto del secondo pacco, ritrovando in poche parole la conferma che fosse davvero lei la destinataria.
Non sapeva che la mente umana potesse provare due sentimenti tanto opposti nello stesso identico momento, eppure accadde.

Sala comune | Dormitorio 3
Era tornata da almeno un'ora nella sua camera, trovandola meravigliosamente sgombra e solitaria. Quel silenzio le aveva permesso di ridimensionare la portata di quel desiderio di vendetta che l'aveva colta nel ritrovarsi fra le mani il regalo di Niahndra. Anche se continuava a negare a sé stessa un deciso senso di felicità al pensiero che la concasata avesse speso del tempo nel preparare quel dono, il fatto che avesse scelto una sua confidenza come fosse un'arma di ricatto futura la indispettiva. Al punto di dover ribattere quanto prima all'offesa, ponendo un nuovo peso sui piatti della bilancia e ristabilire l'equilibrio delle parti. Così parte del contenuto della scatola di Madame Piediburro era finita sulle lenzuola della Alistine. Un discreto numero di cioccolatini, tutti incartati singolarmente, era stato disposto con cura dalla tassorosso a formare una costellazione particolare. I dolcetti più piccoli sostituivano la posizione delle stelle, in una disposizione a croce sbilenca, mentre le piumette di pasta da zucchero creavano le giunzioni fra di esse. Il risultato era un cigno che elegante si stagliava fra le pieghe di un cielo di cotone, in attesa che la proprietaria tornasse in dormitorio. Non aveva in realtà idea delle competenze astronomiche della concasata, ma a quell’eventualità avrebbe pensato poi. Se il gioco si stava spostando sul piano dei segreti più innominabili, Mya aveva per certo fra le dita il più imbarazzante. Un segreto di cui forse Niahndra non era nemmeno consapevole, avendolo espresso nel sonno, in una notte di alcuni anni prima.
Nell’attesa se ne era tornata sul suo letto, sfogliando le pagine del libro che sua madre le aveva regalato. Narciso e Boccadoro, di Hesse. Una sinossi che le parve quasi un rimprovero.


7 Aprile • Dormitorio n°3


Edited by ~mya - 29/4/2020, 19:08
 
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Niahndra Alistine
Il raschiare delle piume sulla pergamena la stava pian piano facendo impazzire.
Non sentiva altro nel silenzio della biblioteca fatta eccezione per il rumore delle pagine sfogliate e per gli sbuffi che si alternavano a lamentele a denti stretti.
Su tutti, la bibliotecaria troneggiava col suo sguardo da rapace.
Niahndra si accasciò contro lo schienale. La trattazione sintetica sulla Bevanda della Pace che il professor White aveva richiesto se ne stava a squadrarla dal tavolo, ancora incompleta, come accusandola di non aver trovato la risposta alla terza domanda guida.
“Quale altra pozione fra quelle studiate presenta, fra i suoi ingredienti, la polvere di Pietra Lunare?”
Vuoto. Da creatura razionale quale era si era rifiutata di cedere all’irritazione —almeno in un primo momento— e aveva deciso invece di affidarsi a logica e scienza, almeno per quanto possibile; doveva aggrapparsi alla convinzione che applicando un metodo rigoroso e mostrando pazienza sarebbe infine giunta al risultato sperato.
Per questo motivo aveva sfogliato il manuale da cima a fondo, prima seguendo l’indice per tipologia di decotto, poi secondo un criterio di tempistiche ed infine secondo un livello di difficoltà crescente. Mancava uno stupidissimo indice per ingredienti.
Aveva anche ripercorso gli appunti dell’ultimo anno, ma inutilmente: era ormai rassegnata a dover recuperare quelli degli anni ancora precedenti —ma li aveva serbati, poi? Se sì, non ricordava dove.
Il quesito le lambiccava il cervello, erodendo materia grigia di secondo in secondo.
Aveva ispezionato la biblioteca in cerca di un segno di Grindelblack o della Moran, senza trovare nessuno dei due. Eppure sapeva di sapere. Semplicemente non riusciva a richiamare alla memoria quel frammento di conoscenza. Odiava quella sensazione. Quando capitava doveva trovare un escamotage per fregare la propria mente, ingannarla fingendo disinteresse e spostando l’attenzione su qualcos’altro di modo da darle respiro. A quel punto, la soluzione sarebbe arrivata.
C’era un unico problema: come poteva ingannare sé stessa?
Con uno scatto frustrato Niahndra si rizzò in piedi, raccolse le sue cose e si precipitò fuori attirando gli improperi e gli “sssshhh” della bibliotecaria. Non era proprio giornata.
Non solo pozioni si era rivelata un vicolo cieco, addirittura le stava salendo il nervoso. Urgevano contromisure tempestive e fortunatamente aveva già dei piani in moto per raddrizzare il resto della giornata: doveva solo trovare la sua personalissima pallina anti-stress.

Sfortunatamente non aveva trovato Mya Lockhart in Sala Comune; e neppure in Sala Grande, a dirla tutta.
Da quando le aveva lasciato quel pensiero in guferia aveva continuato a ridersela sotto i baffi nei momenti meno opportuni e avrebbe rinunciato a metà del suo patrimonio alla Gringott per vedere l’espressione sul suo viso una volta letto il biglietto.
Così imparava, quella invasora di comodini che non era altro.
Al contempo, una parte delle sue facoltà intellettive già si stava attivando per immaginare le possibili ritorsioni della compagna; che ci sarebbero state era scontato (sarebbe rimasta molto delusa altrimenti); la sua speranza era imparare a prevederle e giocare d’anticipo, cosa affatto scontata data l’imprevedibilità dell’altra.
Era entrata nel dormitorio senza dire una parola; e sempre senza dire una parola aveva osservato prima la curiosa composizione di cioccolatini e dolciumi sul proprio letto e poi la figura della compagna placidamente immersa nella lettura. Alternò lo sguardo tra i due soggetti un paio di volte —incerta— prima di arrendersi.
Infine, si decise a rompere il silenzio. «Restituire un regalo è segno di maleducazione, non lo sapevi?» Una domanda posta con l’innocenza dovuta.
«Se sei allergica allo zucchero potevi dirmelo.»
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Eloise Lynch

Spalancare la porta della stanza era il suo personalissimo modo di avvisare l‘accogliente Dormitorio n° 3 che era a casa. Quella sera lo raggiungeva con un’allegria particolare, parzialmente dovuta all’esito del suo ultimo compito di Trasfigurazione, ma anche attribuibile all’imminente pausa scolastica di primavera. Proseguì con passo baldanzoso verso il letto e si accorse solo in un secondo momento di non essere sola.
Niah e Mya erano lì, immobili in uno stallo alla messicana, a fissarsi per qualche motivo incomprensibile. Sollevò meccanicamente la mano per salutarle, ma nessun ciao le uscì dalle labbra: sembrava un momento così sospeso che si limitò a studiare la situazione con lo sguardo. La sua ricerca sortì subito il primo risultato: una composizione squisitamente studiata aveva invaso il letto della Alistine. Eloise e iniziò a sogghignare prima di potersene rendere conto.
Con la testa leggermente inclinata sbirciò l’espressione della mora, ma il suo sguardo era puntato altrove. Si piegò oltre per individuare su cosa fosse concentrata, per incontrare la figura indifferente di Mya, che sembrava immersa nella lettura. Conoscendo un minimo quelle due, immaginò che doveva esserci sotto qualcosa di ironico e crudele. «Ragazze...» Aveva esordito piano, «Non vi facevo così romantiche...» Il ghigno spudorato distorse l’espressione della Lynch e, anche se non aveva la minima idea del perché di quella scena, si ritenne abbastanza soddisfatta.
Tornò a dirigersi verso lo zaino che aveva lasciato sul letto, e iniziò a far scorrere lentamente la zip. Cercava un oggetto che aveva con sé da quella mattina, che le era stato recapitato a colazione da un elegante barbagianni, e che aveva il preciso scopo di esistere per quel momento. La carta da pacchi sagomava una forma che lasciava ben poco all’immaginazione, ma l’effetto sorpresa stava nel gesto, più che nell’oggetto. Lo prese per il collo e lo sfilò rapidamente, attenta a nasconderlo alla vista delle due con il suo stesso corpo.
L’idea era nata da un discorso di qualche settimana prima, durante una chiacchierata serale a bordo cuscino. Eloise si era profusa in spiegazioni approfondite del processo che nonna Cindy adottava per la realizzazione del suo Poteen, dei sapori e delle reazioni che questo generava dalla punta del palato al termine dell’esofago. La parentesi sugli effetti collaterali causati dagli eccessi aveva presto spostato il discorso altrove, ma la volontà di condividere pezzi di Galway con le sua compagne di stanza era rimasta, e l’occasione le era sembrata perfetta.
Si avvicinò al letto di Mya con la mano dietro la schiena, apparentemente pronta a sfidarla in duello, o accoltellarla a tradimento. Invece, sfoderò il regalo, ancora avvolto nella carta marrone, e lo porse all’ex-Capitano con aria sorniona. «Oggi invecchi ancora un po’, non è così?» Gli atti gentili non potevano viaggiare da soli: dovevano essere necessariamente accompagnati da un atteggiamento adeguato a smorzarne la dolcezza. «Buon compleanno, Lockhart.»
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Mya Lockhart
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L’espressione confusa sul volto di Niahndra, rientrata da poco in camerata, non ripagò nemmeno in parte tutto l’impegno che aveva messo nel preparare quella composizione. Ma non guardava mai il cielo? Un libro di astronomia? L’oroscopo almeno? Mya lanciò un occhio al letto vicino, cercando di capire se avesse sbagliato qualcosa. Non interrogandosi invece sul contorto modo che aveva per comunicare le cose. Ma il solo pensiero di recuperare una foto di Patrick e ricoprirlo di cuoricini in china rossa le faceva tornare su il pranzo.
«Oh...ma non sto restituendo nulla, la chiamerei più che altro “condivisione”. Ho assaggiato un confetto, e al momento sembri infatti un gigantesco stecco di zucchero filato, ti ringrazio per la nausea cromatica » le disse staccando appena gli occhi dal prologo del libro, meravigliosamente bagnato di estatico rosa.
Nel frattempo anche Eloise era rientrata nella stanza notando la solita tensione che si respirava quando Alistine e Lockhart erano a pochi passi l’una dall’altra. Ma cogliendo sempre con la sua leggerezza il lato più comico della faccenda. Mya ne approfittò per agganciarsi a quella battuta, per aiutare Niahndra a raggiungere il senso del suo capolavoro.
«Ecco, ecco. Vedi? Eloise apprezza il mio impegno, ho persino scelto la costellazione più bella, quella del cigno. » sperò che la forza utilizzata per rimarcare la parolina magica, bastasse a ricordarle di quando anni prima balbettava quel nome nel sonno. Che fosse per repulsione o amore non l’aveva mai capito, ma quel nome aveva riempito per diverse notti il silenzio della camerata numero tre.
Ma Eloise pareva discretamente indaffarata da non badare alla sua richiesta di supporto, lasciando che fosse solo Mya a gustarsi il mutare d’espressioni che colorarono successivamente il volto della Alistine. Fortunatamente per lei il momento catartico fu interrotto proprio dalla concasata che piombando nel mezzo, spiazzò totalmente la tassorosso distraendola dai precedenti pensieri. Un regalo? Un altro? Come era possibile che le voci sul suo compleanno avevano preso a viaggiare con tale frequenza? Di colpo il terrore che l’intera casata potesse piombare in camerata per festeggiarla le fece accapponare la pelle.
«Così pare? » si ritrovò a rispondere, balbettando leggermente e non riuscendo a replicare in maniera arguta e pungente come suo solito.
Era confusa e stranita da quelle attenzioni, quasi in cuor suo temesse potessero nascondere un subdolo scherzo. Ma dalla carta brunita del pacco spuntò solamente il collo di una bottiglia, dall’aspetto tanto rustico quanto invitante. Ancora non lo sapeva, ma sarebbe presto diventato l’elisir della follia più assoluta. Afferrò delicatamente il pacco dalle mani della compagna, scartando anche il restante incarto. Il vetro della bottiglia era molto scuro e non lasciava intravedere il colore del liquido, ma la lentezza con cui si agitava all’interno le faceva presagire fosse qualcosa di artigianale e pericolosamente audace. L’odore poi, una volta tolto il tappo, le prese a ceffoni le sinapsi, prima di strapparle i ricettori olfattivi e incastraglieli più o meno fra la decima e undicesima costola. « Se devo proprio finire in infermeria, almeno fatemi compagnia. » disse alle compagne sollevando la bottiglia a mezz’aria, come il più fiero dei bucanieri, per poi assaggiare con calma il primo sorso.
Forse perchè la Lynch l’aveva tenuto nascosto al caldo del baule ( o forse più plausibile per l’elevato tasso alcolico), ma più la bevanda andava giù, più sentiva vivida la sensazione che della lava bollente le uscisse dalle orecchie. « Bacco Barocco! È il nettare degli inferi. » esclamò staccandosi dal bordo della bottiglia e guardando ammirata quella boccia di splendido intruglio. « Ottenuto direttamente dal mosto di anime dannate » dedusse schioccando leggermente le labbra, come per saggiare quel deciso retrogusto che ancora le bagnava il palato. « Sotto a chi tocca »


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Niahndra Alistine
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I bulli si guardano dritto negli occhi. Una lezione che le era stata impartita fin da piccola, quando ancora era all’orfanotrofio di Aberdeen e Lex si divertiva a dettare il bello e il brutto tempo solo perché era il più grosso e il più meschino dei bambini lì dentro.
Grazie a Lex Niahndra aveva imparato parecchie cose. Primo, che i bambini gracili come lei compensavano lo svantaggio fisico con una cattiveria persino maggiore e, secondo, che gli spacconi vanno affrontati a muso duro: spalle dritte, mento in su, nello sguardo la promessa che non sarebbe caduta senza portare qualcun altro con sé.
A Mya riservava il medesimo trattamento, certa che se avesse ceduto anche solo un centimetro di terreno l’altra l’avrebbe messa sotto scacco.
Non si mosse neanche quando udì Eloise entrare.
La delicatezza delle dinamiche interne al dormitorio numero tre non smetteva mai di sorprenderla: era impossibile prevedere se si sarebbero prese a fatture, se avrebbero passato il pomeriggio a sparlare dei compagni o se una battuta troppo sagace si sarebbe trasformata in un duello all’ultimo croccantino per gatti. In quel clima di incertezza le alleanze facevano presto a nascere e ancor prima ad essere tradite in favore di un doppio, triplo o quadruplo gioco.
Anche senza vederlo, per esempio, Niahndra fu in grado di percepire il ghigno sulla bocca di Eloise; le solleticò la schiena insieme al suo tentativo di disinnescare l’ordigno esplosivo in procinto di esplodere. Non si lasciò incantare: ricordava alla perfezione come la rossa si fosse coalizzata con Lockhart per imbottirle il cuscino di fagioli duri e acerbi. Non era riuscita a chiudere occhio fino all’alba, ovvero quando infine se n’era accorta.
Tirò un respiro brusco, ad un passo dal ringhiare. Mya non stava davvero usando la sua imbarazzante cotta per Swan contro di lei. Solo l’idea era ridicola. Non avrebbe osato.
Eloise si avvicinò prima che potesse regolare i conti con la ragazza e ben presto il fiasco che nascondeva divenne la priorità.
Gesù. Da dove arrivava?
Rilassò le spalle giungendo alla risposta. «Nonna Cindy?»
Aveva capito che quando erano tutte presente diventava lei la voce della ragione —o “la smorza divertimenti”— lì dentro più spesso che non, ma in quel momento aveva un particolare interesse a spostare la conversazione su argomenti meno… compromettenti.
«Bacco Barocco! È il nettare degli inferi.» L’ex capitano non aveva fatto complimenti, d’altronde con quel che le aveva raccontato circa la gara di bevute non si stupiva. Di riflesso anche Niah allentò momentaneamente la tensione, decisa a mettere in pausa la stupida diatriba. «Inferi? Ti sentirai a casa, allora— Beh, quasi in pausa —Dai, fai spazio.» Con uno svolazzo della mano le fece cenno di sistemarsi meglio sul letto così da permettere anche a lei di sedersi visto che il suo era occupato da un’installazione moderna dal gusto discutibile.
Con espressione dubbiosa accettò la bottiglia di liquore, immaginando già il saporaccio che le avrebbe inondato il palato. Beveva alcolici abbastanza di rado da sapere che alla lunga, quella, non si sarebbe mostrata una mossa vincente, ma quel monito venne mandato giù a forza con un sorso.
«Merlino cane», si lasciò sfuggire mentre passava il vetro alla Lynch. Avrebbe tossito se le fiamme che le divoravano l’esofago glielo avessero permesso.
«Di’ un po’, El— fece quando si fu ripresa abbastanza —cosa c’è in te che induce vecchiette gentili a regalarti scorte di alcol?» Non si riferiva solo alla nonna della rossa ma anche a Gladys Evans, l’esuberante signora che aveva accolto il manipolo di Tassorosso a Cadair Idris qualche mese addietro e che aveva rifornito il prefetto di una refurtiva niente male.
Schioccò la lingua sul palato.
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Eloise Lynch
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Le dita di Mya si muovevano abili nello scartare il pacchetto, ed Eloise la osservava a braccia conserte e capo chinato, con la stessa concentrazione di un anziano davanti a un cantiere. Non avrebbe saputo dire se avesse colto il collegamento con il discorso di qualche sera prima, ma la sua volontà di dare l’inizio ai brindisi significava che aveva apprezzato il regalo. E se desiderava condividerlo ne aveva azzeccato perfettamente lo spirito.
Conosceva il Poteen abbastanza bene da sapere che la botta le avrebbe colpite come uno Schiantesimo ben piazzato, e forse era proprio quello che l’aveva guidata nella scelta. Sua nonna le aveva risposto solerte, affettuosa, complice: ciò che condividevano andava ben oltre i geni, e se c’era qualcuno capace di coprirle le spalle per quel genere di marachelle, quella era nonna Cindy.
Osservò le compagne rispondere a quella chiamata alle armi, compiaciuta delle loro reazioni. C’era una punta di orgoglio nel suo sguardo, quando prese la bottiglia da Niah e ne osservò l’etichetta scritta da quella grafia familiare. Poteen, 2020, Galway. Presto, molto presto, sarebbe arrivato il tempo di farsi stringere da quelle braccia. Fino ad allora, era il momento di brindare… «Alla tua, allora!» Rivolse la bottiglia a Mya subito prima di sollevarla per prenderne una bella sorsata.
Il liquido caldo e fortemente alcolico scese in gola portandosi dietro il familiare sapore secco e speziato, e il ricordo delle serate estive trascorse nella veranda di sua nonna. Le parole della Alistine la colsero così di sorpresa che quasi si ritrovò a sputazzare qua e là. Ci pensò seriamente per un istante. «È l’aura di responsabilità che mi accompagna!» Rispose allegra, porgendo la bottiglia a Mya con l’intento di ricominciare il giro. «Ancora qualche sorso e la vedrai anche tu!» Strizzò l’occhio verso la mora prima di dirigersi verso il baule, e mettersi a rovistare nelle sue profondità alla ricerca della bottiglietta.
«Ne avevo bevuto solo un goccetto in Infermeria, ma poi sono sicura di averla ritirata qui e non averla più toccata...» Converse di Hermes, Spettroccoli e la scatola vuota di un Frisbee Zannuto volarono in giro mentre la Lynch, piacevolmente accompagnata dal ricordo della vecchia Gladys, si immergeva in fondo al baule per trovare l’oggetto dei suoi desideri.
Il ricordo delle attenzioni della donna era rimasto un mistero irrisolto anche per lei. Era indubbio che le erano state rivolte attenzioni speciali, durante la loro bizzarra visita alla fattoria degli Evans, e fino ad allora si era risposta sbrigativamente che doveva essere solo una questione di pelle. Ma ora che Niah metteva in relazione le due donne, Eloise si dava una risposta chiara: entrambe dovevano essere state delle teste calde tanto quanto lei, in gioventù. Di nonna Cindy ne aveva la certezza, considerati i racconti, i fatti, le leggende e le somiglianze che ancora le accomunavano; di Gladys ne aveva una percezione, sostenuta dall’energia vivace e scoppiettante che la caratterizzava anche alla sua età.
«Eccola!» Le sue dita si strinsero sul collo di una bottiglia più minuta della sua compagna, quasi completamente piena di un liquido scuro. Nell’altra mano, tre tazzine di ceramica, serbate con attenzione nel baule. Risalivano a una lontana festa di fine anno, a una bevuta clandestina in compagnia di Daddy e Niko, ed erano pronte all’uso. Raggiunse le compagne e si sedette a terra a gambe incrociate. «Tazzine fornite dagli zar, liquore alle more direttamente dal Galles..» Dispose le tre tazzine con attenzione e rimosse il tappo di sughero con un leggero pop. «Anche detto Elisir della Sbornia Gourmet. Questa non è la robaccia che servono alle feste di fine anno...» Versò con attenzione il liquido nelle tazzine, attenta a non sprecarne neanche una goccia, e le porse alle due. Anche se avessero tentato di protestare, non avrebbero potuto opporsi. «Brindiamo alle abili mani delle donne che hanno creato questo nettare degli dei… Cin cin!»
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Mya Lockhart
Level of intoxication: 12% [Euphoria]
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Non seppe dire se fosse stato per lo schiaffo alcolico che quel liquore le aveva appena assestato in rovescio, o per il movimento inaspettato, ma quando la concasata aveva preso posto sul suo letto Mya si sentì pendere pericolosamente verso di lei. Come un uovo lanciato all’interno di un cumulo di farina, che lentamente affonda in esso. Le lenzuola, o il materasso, sembrarono avere il medesimo effetto, mentre lei crollava verso quella testa di tuorlo di Alistine. Allungò una mano per poggiarsi alla sua spalla ed evitarsi di fare la fine della pastafrolla sulla compagna. Un gesto equivoco ad occhi sobri, ma come camuffarlo con nonchalance? Un doppio colpetto di approvazione sul cardigan della tassorosso, che ebbero però quasi l’effetto di farla strozzare con la bevanda. Lenzuola imbevute di alcol, un odore che probabilmente l’avrebbe accompagnata per settimane.
Attese il ritorno di Eloise, che nel frattempo era tornata a nuotare negli abissi del suo baule infinito. Diaminaccia, doveva essersi un trilocale con cantina in quella scatola di legno e ferro, [a breve il master avrebbe potuto ambientarci una miniquest].
Strappò prese dalle mani di Niahndra la bottiglia per un nuovo giro di boa, attendendo di scoprire come potesse quella serata distruggerle la reputazione, sempre che ne avesse avuta una che meritasse un tale impegno. E a pensarci bene quel ruolo spettava senz’altro ad Eloise, e a guardarla soddisfatta si capiva quanto poco sforzo le costasse traghettare entrambe le compagne verso limbi alcolici mai esplorati. Quella camerata iniziava a sembrare una taverna di Tortuga, se non fosse stato per quel velo rosa che ricopriva ogni cosa distruggendo la credibilità del sogno ad occhi ubriachi. « OH Ferme! » disse loro all’improvviso, ponendo le braccia in direzione dell’una e dell’altra, per arrestare qualsiasi cosa stessero facendo. « Va corretto. Qualsiasi cosa ci sia lì dentro » il dito disegnava piccoli cerchi nell’aria, mentre indicava l’esile bottiglia che la Lynch abbracciava come un tesoro. Detto ciò scivolò dietro le spalle di Nianhdra, lanciandosi come uno scoiattolo volante verso il letto della concasata. Col corpo sospeso fra le due sponde arraffò i piccoli confetti e stringendoli nel pugno sinistro tornò sul suo letto. « Ecco qui » disse lasciando cadere un confetto in ogni tazzina, salvo poi ricordarsi che col guscio duro difficilmente si sarebbero sciolti come la droga che in fondo erano. Poco male, un incanto o dei denti particolarmente tenaci avrebbero compensato quella “svista”.
Era tempo di passare al livello 2, visione del multiverso degli alpaca di zucchero. Attese che le compagne la imitassero in quel secondo test, dopodiché avrebbe afferrato la spalla della Alistine accompagnandola verso la spalliera inferiore del suo letto e con voce bassa e profonda le avrebbe mostrato il nuovo mondo. « Guarda Niahndra, tutto ciò che è illuminato di rosa è il nostro regno… » le disse, citando le sagge parole di un film che aveva amato particolarmente durante l’infanzia. Le tende avevano preso quella particolare sfumatura rosa nero, facendole domandare perchè il nero non diventasse marrone, e questo era un bel mistero. Le coperte, i libri, gli abiti, le pareti e persino i soffitti a botte, tutto era stato ridipinto dal potere immenso di un singolo minuscolo confetto. « il periodo di reggenza di un tassino sorge e tramonta con il sole, un giorno Niahndra, il sole tramonterà su di me e sorgerà con...con Eloise ovviamente, guardala » Beh, forse non era proprio il messaggio re-successore che ci si aspettava, ma ormai il lungo papiro delle regole e delle clausole era andato a farsi imbevere (?).



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view post Posted on 30/4/2020, 15:49
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Iniziava a perdere il conto. Ad onor del vero, il saporaccio del liquore di nonna Cindy non faceva per lei, ma il modo in cui Mya continuava ad allungare gli artigli sulla bottiglia —rivelandosi come l’ubriacona che era— la indispettì talmente tanto che si ritrovò a buttar giù alcol solo per il gusto di toglierlo a lei.
Lockhart avrebbe imparato a rispettare i confini con le buone o con le cattive, sissignore.
«Bleargh.» Sentiva la lingua impastata e desensibilizzata al tempo stesso mentre gli occhi le si erano ormai incrociati a furia di seguire qualunque cosa Eloise stesse facendo mezzo sprofondata nel baule. Decise di chiuderli per un secondo, giusto per sicurezza, e li riaprì solo quando si ritrovò tra le mani una tazzina colma d’un liquido denso e scuro dalla fragranza selvatica. Le parve d’essere tornata alla fattoria degli Evans; era da allora che segretamente pregustava di bere un goccio del famoso “succo di frutta” di Gladys.
«Cin--che caz--» Con una mano resse la tazzina, con l’altra agguantò la maglia di Mya quando la vide slanciarsi come ponte levatoio fino al letto al di là del comodino. La strattonò malamente all’indietro prima di ispezionare con durezza il confetto bianco che sprofondava nel liquore alle more.
Si bagnò le labbra dapprima con titubanza, poi acquisendo coraggio ad ogni goccia. «Buono», commentò quasi incredula.
Una vocina nella sua testa le suggerì di rallentare e lei si sforzò di prestarle ascolto, ma una volta assaggiato quel nettare dolciastro diventava difficile resistere. Il cerchio alla testa le si strinse ancora un po’ stordendola piacevolmente.
Stava ancora masticando il confetto quando sentì le mani di Mya chiudersi sulle sue spalle, e lei —vinta dall’alcol— si lasciò guidare docile in quell’imitazione improvvisata del Re Leone.
Il tono della compagna le giungeva basso e ipnotico e Niah strizzò gli occhi mentre il mondo assumeva tonalità sempre più rosate. «Ooooh»
Avrebbe voluto risponderle che stava dando i numeri e che il mix di bevande le aveva infine dato alla testa, ma la verità era che aveva bevuto la stessa quantità dell’amica e quindi —suo malgrado— si trovò ad annuire. A ben pensarci le sembrava un discorso sensato, sì sì.
Posò lo sguardo su Eloise, stupendosi di come la sua chioma avesse perso l’ardore del tramonto in favore delle tinte più tenue di un’alba primaverile. «Oh, sì, adesso la vedo— un indice andò a disegnare nell’aria la sagoma del giovane prefetto —l’aura di responsabilità. È rosa.» Il che le parve un po’ strano perché per lei Eloise era sempre stata gialla.
Poi, un pensiero la fulminò dal niente. «La corona! La corona», ripeté un paio di volte, convinta che in qualche modo ciò potesse rendere il concetto più chiaro. «Serve una corona.» Ormai si era impuntata. Divincolatasi dalla presa di Mya, poggiò a terra la tazzina e trafficò con le proprie tasche finché non riuscì ad agguantare la propria bacchetta.
Eseguì un Indumentum non verbale e, seguendo i suoi comandi, dal baule volò fuori la Frangia di Merlino che aveva comprato al Zarathustra. Tutta contenta la ragazza si sistemò faccia a faccia con Lockhart facendole cenno di chinare il capo; dopo, con aria solenne, le adagiò con delicatezza il cappello.
«Mya Joacchina Lockhart— cominciò storpiando il secondo nome —“Nata dai Nembi”, prima del suo nome, regina delle spine, principessa del dormitorio numero 3, “Somma Cercatrice”, “Mastino di Tassorosso”, Tosca ti incoroni con la corona della gloria e della giustizia»
Ridacchiava tra una parola e l’altra, ma riuscì infine a terminare l’incoronazione.
«Fai una foto, El!»
Pizzicò le guance della neo sovrana e scese dal letto mentre lo stomaco iniziava a brontolare per il languorino. Senza pudore agguantò un profiterole della composizione stellare che si trovava sul letto e diede un morso.
A quella foto mancava una cornice di cuoricini.
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Eloise Lynch
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12%
Una bevuta come quella, condivisa nell’intimità del dormitorio con persone di fiducia, era uno dei sogni proibiti di Eloise. Tante volte aveva immaginato una situazione simile, e volato con la fantasia sugli effetti di un festino improvvisato, ma in nessuno di quegli universi paralleli si ritrovava vita facile nell’operazione di convincimento: c’era sempre qualche altro impegno o qualche remora morale che frenava lo sviluppo disinibito degli eventi. Se qualcuno le avesse anticipato cosa sarebbe successo quella sera non ci avrebbe creduto; e se anche se fosse preparata un piano studiato minuziosamente per circuire le compagne, non avrebbe mai avuto un tale successo. Non aveva fatto alcuno sforzo, ma i risultati erano lampanti: Mya e Niah non erano vittime del processo, ma le davano corda; erano motori e complici, tanto quanto lei. Si sentiva a suo agio, Eloise, si crogiolava in quell’ecosistema naturale, e alimentava il fuoco di quella bravata con tizzoni sempre nuovi.
Allungò la tazzina con enfasi, pronta a sperimentare il cocktail che le veniva offerto. Il tentativo immediato fu quello di dare una mescolata da sommelier, ma quando i suoi denti l’avvisarono che il confetto era troppo grande e troppo intero per essere lasciato passare come un liquido, la rossa cedette all’effetto pastiglia, pur dedicando qualche istante alla masticazione. Il sapore dolcissimo marchiato Piediburro si unì a quello amaro e fortemente alcolico: non si abbinavano né per consistenza né per sapore, un vero insulto agli esperti di mixology, ma svolgevano con perfezione la missione per cui erano stati ricercati.
Si voltò a destra e a manca incuriosita, cercando con lo sguardo la decantata aura rosa, ma non c’erano segni concreti della sua responsabilità. Piuttosto, continuava a dare ascolto al ritmo incalzante di bicchieri versati e mandati giù, mentre il mondo circostante prendeva a tingersi di sfumature di rosso. Strano: non si sentiva così alterata.
Poco pratica com’era in termini di cultura pop babbana, non avrebbe saputo spiegare come si fosse arrivati a un’incoronazione, ma non le sembrava ci fosse nulla di incoerente o fuori dal normale. «Shhh, un attimo! Ho sentito...» Si era portata l’indice alle labbra, intimando alle amiche di placarsi per un momento, e si avvicinò alla testa castana di una Mya appena incoronata. «Come hai detto?» Tese l’orecchio verso il copricapo, come se stesse ascoltando una voce sottile. «SerPoteen?! Ottimo, complimenti!» Scoppiò in un fragoroso applauso per lo smistamento, proiettandosi subito sull’idea di Niahndra, per assecondarla.
Recuperò la macchina fotografica e si rivolse a una Mya decisamente restia a posare per il nuovo articolo per il Profeta. Sprecò un paio di scatti nel tentativo di inseguirla con i suoi riflessi decisamente ritardati, ma fu sufficientemente soddisfatta dell’esito del terzo, tanto che decise di immortalare tanto Niahndra, che poco distanza consumava le poche provviste che le avrebbero salvate da quella botta alla testa, quanto se stessa, con un’inquadratura che l’avrebbe fatta sembrare un pesce in una boccia. E lei non era il pesce, ma la boccia.
Presto anche quell’attività perse il suo interesse: un’altra idea le era guizzata in mente, e non voleva farsela sfuggire. Dopo un attimo di confusione, la Lockhart si sarebbe vista porgere la Firebolt della Lynch, accuratamente conservata vicino al letto fino a quel momento. «Bene, ora che hai il tuo regno vorrei...» Un guizzò furbesco le balenò nello sguardo, e subito si inginocchiò davanti alla regnante. «… Essere nominata cavaliere!»
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Mya Lockhart
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Nel giro di un minuto si ritrovò con una corona sulla testa ( una corona eccessivamente ingombrante e con la visiera), un regno più vasto di quel che pensava e con un fiotto di responsabilità da visionare. I villici senza cibo, i cavoli che venivano amari, i muli illeggittimi e gli intrighi cervini di corte a cui fare da opinionista. Era troppo per due soli sorsi di alcol, se volevano appiopparle tutto il cucuzzaro doveva almeno arrivare alla quinta alzata di gomito.
Tutto sommato le parole di Niahndra avevano un discreto senso, se sorvolava sul declassamento da regina a principessa nel giro di una strofa. « È Jimian, Jiran….Jirina... » continuava a infilare un errore dietro l’altro, incapace di staccare la lingua dal fondo della sua bocca. Era talmente anestetizzata dall’alcol bomba di Eloise da non riuscire a schioccare quel maledetto muscolo amorfo e sillabare una semplice e squillante “L”.
Schivò le foto proiettile della concasata con l’agilità di un capibara obeso, apparendo qui e là come una scia nebbiosa e con il viso deformato, ma più si agitava per sfuggire agli scatti più l’alcol giocava a ping pong tra stomaco e cervello. Alla fine andò giù come una pera, ritrovandosi di schiena sul pavimento che divideva i due letti. Ed ecco arrivare la Lynch, con la scopetta alla mano, pronta a raccogliere quel pattume riverso a terra. E invece no, voleva solo diventare cavaliere. Strano sogno avevano i giovani contemporanei. « Ok ok, però non riesco ad alzarmi, quindi allungami la scopa...anzi no poggiamela sulle mani…lentamente » ma al primo tentativo di presa, la firebolt le piombò sul naso di peso. Doveva far depennare dall’arzigogolato elenco dei nomi “somma cercatrice”. Al secondo tentativo, più facile visto che la scopa le era praticamente poggiata fra il mento e la spalla, riuscì ad impugnarla allungandola verso la compagna. « Io ti nomino Sir Pilade, cavaliere dei sette fiaschi e protettore della camerata. »
Dopodiché lasciò cadere la firebolt, che rotolò fin sotto al letto, mentre la stanza iniziava a vorticare e il sole smetteva di essere l’ombelico del sistema solare, perchè ora lo era lei. *Togli somma cercatrice, e aggiungi ombelico dell’universo*
« Sguattero - » urlò alla Alistine, ma non aveva quasi più voce quindi venne fuori un rantolo morente « porgimi del cibo » le disse spalancando la bocca e aspettando che qualcosa di fortemente calorico ci facesse ben presto canestro. Non di schiacciata sperava, ma conoscendo lo sguattero poteva accadere. « è la regina dei lembi e delle spire che te lo comanda »
Sperava che quello non fosse il capolinea, ma un semplice checkpoint di recupero. Odiava ammetterlo ma stava provando sentimenti nuovi e misteriosi, qualcosa che faceva rima con facilità, ma non le veniva il termine corretto.

Dopo una mezz’ora sembrava tornata eretta, anche se abbastanza in alto mare, considerando i suoi movimenti ad alga ondeggiante. Ognuna delle ragazze era sul proprio letto, le tende dei baldacchini erano state smontate ed ora sventolavano a fine struttura, ognuna con un simbolo pirata diverso disegnato sopra. Immagini che ad occhio sobrio difficilmente sarebbero stati comprensibilmente teschi ed ossa, perlopiù sembravano funghi, boomerang e macchie di caffè. Ormai tutte e tre le tassorosso navigavano sopra mari rosa, con spume di cuori ad ogni sciabordio. Il mondo stesso faceva rollare quelle tre caravelle, che sembravano poter entrare in rotta di collisione da un momento all’altro. Ma era solamente colpa della forma della camera stondata, e dei litri di liquore e grappette che ormai navigavano allegramente nel loro sangue. « Tutta a babordo, il tesoro è vicino » sancì mentre arrotolava la pergamena-mappa e ne faceva il suo più fidato canocchiale, puntato su ogni angolo della stanza alla ricerca di quella misteriosa meta. E sarebbe stata anche discretamente credibile se non avesse avuto quelle due piccole escrescenze piumate che le spuntavano sulla schiena. Ali di cupido le chiamavano, ali di pollo erano.
Ah c’era da far causa, denunzia per falso.

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Niahndra Alistine
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Quando Niahndra aveva commissionato l’ordine dei dolcetti di Piediburro l’aveva fatto col solo scopo di assestare l’ennesimo colpo basso in quella stupida gara di dispetti con Mya. Era pronta a renderle la vita un inferno con la storia della festa di San Valentino alla sala da tè e invece la bomba le era completamente esplosa tra le mani, del tutto fuori controllo.
Nel migliore dei casi aveva sperato con quegli ingredienti di ottenere uno scambio di battute velenose, giusto per mantenere vivo quel senso di sfida che l’animava appena si trovava a pochi passi da Lockhart, e invece —nel forno— si era trovata suo malgrado una torta a tre strati: festino illegale, incoronazione a cavaliere e set fotografico con una modella fin troppo sfuggente.
Era rovinata a terra intenta a rimpinzarsi di dolci ammorbiditi dall’alcol quando un sorriso soddisfatto le affiorò sulle labbra. Accidentalmente si era imbattuta nella più grande arma di ricatto contro la festeggiata: non c’era alcun modo per cui la ragazza avrebbe potuto superare gli eventi imbarazzanti di quella serata.

«Ammainate le vele!» Un ordine, quello, berciato alla sua ciurma immaginaria mentre lei teneva a filo di sciabola i vascelli pirata che la stavano affiancando da ciascuno lato.
Ad un certo punto della serata aveva semplicemente smesso di opporre resistenza e si era limitata a seguire la corrente; la stessa corrente che le aveva trasportate nel vasto mar caraibico nel pieno di una tempesta perfetta. «Non saranno due gocce d’acqua a fermare dei lupi di mare come n---» Per l’impeto quasi si ribaltò dal letto e la camera ondeggiò pericolosamente sotto i suoi occhi annebbiati. «Lupi di mare, lupi di mare, lupi di mare» Stava per avere una rivelazione. O un ictus, ancora non era sicura. L’emicrania le spaccò la testa in due per lo sforzo di mettere insieme i pezzi; aveva un’unica certezza: era vicina a qualcosa di grosso.
Un clic del cervello la salvò dalla perdita di sanità mentale. «L’antilupo!» L’antilupo, certo, come aveva fatto a non pensarci prima? Era la risposta che aveva continuato a cercare per tutte quelle ore. Risposta a cosa però non era dato saperlo.
«Time out, anzi no… come si dice», biascicò cercando di attirare l’attenzione delle altre due. Erano corsare senza scrupoli, ma persino loro avevano un codice d’onore da pirata, no? «Parley, ecco, sì».
Approfittò dell’effetto sorpresa per scapicollare verso il tavolo sul quale tenevano penna e calamaio e senza pensarci due volte si marchiò “antilupo” sull’avambraccio. Ci avrebbe pensato la sé del futuro a dare un senso a quella scoperta inaspettata… sempre che fosse riuscita a decifrare quello scarabocchio colante.
Soddisfatta, riprese posto al timone della sua intrepida nave, lasciando il comando solo per rifornire Eloise di un paio di Ali di Cupido. Aveva chiuso un occhio per prendere la mira, dimenticata che l’altro fosse già coperto da una benda improvvisata, e dunque lanciò completamente al buio. «Al volo!»
L’idea della caccia al tesoro le infiammava le vene. Al grido delle compagne aveva ruggito anche lei, salvo poi rendersi conto che il tesoro altro non era che un cuscino smeraldino vagamente familiare.
«Oh, no» Inammissibile! Inaccettabile! Persino in quella nebbia alcolica ricordava che quel cuscino doveva rimanere sepolto e dimenticato nel fondo del suo baule, al sicuro da occhi e insinuazioni. Doveva recuperarlo immediatamente.
Si gettò nel vuoto (o in quello che sembrava il vuoto, ma che in realtà era una levitazione a 10 centimetri dal pavimento) con fare disperato, incurante della falsa partenza. Arrancò come un cagnolino gettato in acqua, mossa solo da disperazione.
Non avrebbe guardato in faccia a nessuno.
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Eloise Lynch
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Mantenere la posizione da investitura era un compito decisamente troppo arduo per un momento come quello. Inginocchiata, cercava di emulare l’atmosfera solenne ed epica delle fiabe, ma in verità si sentiva oscillare e dovette sorreggersi alla mano sinistra per evitare di rotolare a terra. Accolse la nomina con fierezza, rialzandosi di scatto appena concluso il rito. «Non ti deluderò, mia regina!» Dichiarò barcollando e osservando l’orizzonte di un regno immaginario, grande quanto il Dormitorio n° 3. Aveva sempre sperato di poter vantare un titolo nobiliare, e ora il suo sogno era diventato realtà.

«Vai, Perla GialloNera, i Sette Mari ci attendono!» Neanche il tempo di una cavalcata, o di una giostra medievale, che già aveva lasciato le vesti di cavaliere in favore di quelle da pirata. Aveva varato la nave (il suo letto) lanciandoci contro la bottiglia ormai vuota di Poiteen, senza tuttavia riuscire a romperla, e ora se ne stava in piedi sul letto. Le tende del badacchino erano le sue vele, il telescopio il cannocchiale. Aveva fatto della Suppellettile Labirintica, stretta tra le mani, il suo timone di fortuna, e la cravatta della divisa era finita legata in fronte, una fascia da pirata. La sua immaginazione era delle più fervide, e non avrebbe avuto difficoltà a socchiudere gli occhi e immaginarsi il mare davanti agli occhi, ma in quel momento il rollio tipico delle tempeste era fin troppo realistico. Non sapeva se complimentarsi con se stessa per la fantasia, o se preoccuparsi per il mal di testa che l’avrebbe raggiunta nel giro di poche ore. Nel dubbio, dopo aver oscillato a braccia aperte, capitombolò giù con la faccia sul materasso, e una risata soffocata in gola.
Mya, in un momento imprecisato nel tempo, aveva annunciato l’inizio della ricerca di un tesoro: rotolò giù dal letto, finendo in quello che sarebbe dovuto essere il loro mare, e attirò l’attenzione di Niahndra per ricevere uno dei dolciumi rimasti in quell’ammasso di coperte che era il suo letto. «Una qui!» Spalancò la bocca per riceverlo al volo, ma la traiettoria prevista era clamorosamente diversa. Poco male: raccolse il dolce caduto e se lo ficcò in bocca, proprio come avrebbe fatto anche in piena sobrietà. «Lo vedo, marinai!» Indicò il fantomatico tesoro in fondo alla stanza - rappresentato da un cuscino verde di Niahndra - l’occhio conficcato nel telescopio incapace di distinguere altro.
Mentre si dirigeva verso la porta della stanza, punto di partenza di quella folle gara, sentì che i suoi piedi perdevano il contatto con il terreno. Si lasciò trascinare da quella sensazione familiare, trovandosi a fluttuare a mezz’aria con quella che, senza tutto l’alcol ingerito, sarebbe stata una disinvoltura estrema. Arrancò instabile per qualche momento, finché uno sparo annunciò il via: Eloise prese a fluttuare in avanti come se stesse pattinando sul ghiaccio, pronta a raggiungere il tesoro a ogni costo. Spintonava a destra e a manca e, se vedeva un piede o un braccio troppo vicini, li strattonava indietro per conquistare un vantaggio. Il tesoro era vicino, lo vedeva, mancava un metro appena.
Si slanciò in un salto inconsapevole, crollando sul suo obiettivo con tutto il suo dolce peso. A salvarla da un incontro ravvicinato con il comodino furono gli effetti delle Ali di Cupido, che rallentarono l’impatto. Tuttavia, le tre ruzzolarono a terra in un intreccio di corpi dominato dal caos: tende, tazzine, scope, macchine fotografiche e cuscini erano parte di una massa informe e indefinita.
Un momento di silenzio, poi scoppiò a ridere, senza sapere che quello sarebbe stato uno degli ultimi avvenimenti della nottata che sarebbe riuscita a ricordare il giorno dopo.
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Mya Lockhart
[K.O.]
Il tesoro era infine stato individuato, il cuscino più ambito dell’intera casata svettava con orgoglio sulla sua isoletta di legno e disordine, pronto ad essere conquistato dal bucaniere più audace. O il più veloce in quel caso, con una sfida che Eloise portò ad un livello superiore. Considerato che tutte e tre erano ormai diventate un ibrido umano-pollo, e non potendosela battere in corsa sui loro piedi, sarebbe stata la loro abilità in volo a decretare il vero vincitore.
Il petto di Mya si gonfiò, mentre fra le labbra le sfuggiva un ghigno di sbruffona soddisfazione, convinta di avere quanto mai la vittoria in pugno. Dopotutto lei era per il cinquanta percento un rapace, e per il restante ormai alcol e vergogna, ma comunque il cielo e le ali erano qualcosa che le appartenevano fin dalla nascita. Certo, di solito le ali le facevano da struttura alle braccia, e mai aveva ipotizzato di portarle sulla schiena come uno zainetto per la merenda. Ma dovevano funzionare allo stesso modo, su/giù, apri/chiudi, spingi l’aria ed eccoti a muoverti in avanti, ogni colpo d’ala quattro passi avanti.
Tutte e tre le tassine alcoliche erano ormai sulla linea di partenza, aspettando il fischio d’inizio, la bandiera o il colpo di cannone. Ma senza un arbitro o un cannoniere chi avrebbe assolto a quel compito? Non poteva permettersi di rivestire entrambi i ruoli o nell’agitare bacchetta o bandiera avrebbe perso tempo prezioso, quindi la sua scelta si spostò verso un semplice BANG detto a gran voce.
E i tre polli erano partiti, o meglio lo erano due di questi. Perché la tassorosso non era riuscita a spostarsi di un solo millimetro dalla porta d’entrata. Sentiva le alette frullare l’aria come un colibrì in procinto di un infarto, eppure non assolvevano al lavoro per il quale erano state create. Mya vedeva le schiene delle compagne allontanarsi, ipotizzando che le fossero toccate ali farlocche, non c’era altra spiegazione. Inaccettabile, incomprensibile, inammissibile. Quello era il suo terreno di gioco, non poteva perdere corona e timone tutto in un solo colpo. Si piegò leggermente in avanti, raccogliendo le ginocchia più vicine al busto, in una posizione che suggeriva quanto una sola puzzetta in quel momento fosse la sola cosa capace di spostarla. Ma fortunatamente per i lettori, e per quella poca dignità rimasta, la tassina aveva semplicemente poggiato le piante dei piedi sul legno della porta, e con tutta la forza che credeva di avere si spinse in avanti come un nuotatore a bordo piscina. Il corpo in quel modo fluttuò in avanti, recuperando con due sole bracciate le avversarie, e il tesoro ormai ad un passo. Quello che non aveva però calcolato era che le minuscole alette di pollo non erano predisposte per sostenere un baricentro tanto sbilanciato, con il risultato che una volta superata la spalla della Lynch le sue gambe si erano poggiate eccessivamente di peso sulla compagna al punto da caracollare assieme verso il terreno. Stessa sorte era toccata alle braccia che si erano allungate verso il corpo della Alistine e si erano avvinghiate attorno alla sua vita, per impedirle di raggiungere il cuscino. L’agglomerato braccia gambe tentacoli e capelli rovinò sul pavimento della camerata, incapace di capire dove finisse l’una e iniziasse l’altra. Girava tutto, e niente aveva più un senso, l’alcol annullava quell’ultimo barlume di lucidità che l’aveva sempre tenuta ancorata alla ragione. La Ragione, quella ostinata carceriera che le costruiva sempre spesse pareti di pietra e calcestruzzo tutt’intorno, quasi beffandosi del fatto che essendo tanto bassa non poteva vedere oltre. Ma forse aveva solo smesso di alzare gli occhi, perchè ora a guardarsi intorno non scorgeva nessun ostacolo. La strada era libera, l’aria puzzava di alcol ma tutto sommato era rinfrancante, quasi inebriante, le veniva da ridere. E rise, talmente dal profondo che lo fece con tutto il corpo, rimbalzando sopra le compagne senza troppa grazia. Si girò con la testa per cercare entrambi i loro visi, forse contrariati, forse delusi, forse felici come lei. Era...felice? Era quella la parola che cercava pochi minuti prima? E se lo era, era forse colpa di tutto quello che avevano bevuto e trangugiato? Puntò lo sguardo prima su Niahndra, incapace di muovere un solo muscolo ed esclamò « tuuu...mi piaci » biascicato, trascinato, poco sobrio, con la lingua addormentata che cercava malamente di sillabare suoni. Girandosi poi dall’altro lato guardò Eloise « Anche tu mi piaci » -
Poi la luce iniziò a farsi meno invadente, e le palpebre sempre più pesanti. Ai bassi grugniti ben presto si sostituì un russare sommesso. Un sorriso ebete le si dipingeva fra le guance, libera finalmente da ogni espressione tirata alla quale era avvezza. Si sentiva leggera, tranquilla come nel focolare della propria casa, al sicuro. Le paure del passato sembravano solo il ricordo di qualcuno di conosciuto. Si sentiva parte di qualcosa, libera da ogni maschera, e soprattutto non le costava il minimo sforzo. Che maleficio era mai quello? Si era trovata invischiata in qualcosa che aveva rifiutato tanto a lungo, e senza nemmeno rendersene conto ci era finita dentro con calzini e cuoricino (piccolino perchè sennò mi cita in giudizio). Senza paura, ma forse senza nemmeno aspettative di sorta. Con semplicità e sincerità, quelle due figure si erano fuse alla sua esistenza in un modo che non credeva possibile. O sottile inganno, o malefico incantesimo, quelle anime le appartenevano e lei apparteneva loro. Poi d’improvviso fra i balugini di un sogno che iniziava a farsi più concreto eccola la sciocca consapevolezza che prendeva forma. * Amiche*
Una realizzazione improvvisa che non aveva avuto forse mai il coraggio di accettare. E sperava, ora come non mai, che quel pensiero raggiungesse il mattino, non morente tra i rimasugli di una sbronza.

Il mattino successivo la sala grande sembrava essersi trasformata in una fabbrica di acciaio in piena produzione, carrelli cigolanti su binari malmessi, seghe circolari che tagliavano ferro, enormi macchinari con braccia meccaniche che spostavano grossi carichi da un lato all’altro del grande capannone. Ma in realtà erano solo primini e studenti su di giri per le vacanze imminenti, per un voto più sorprendente o un pasto più gradito. Il chiasso prodotto dai cucchiaini sulle ciotole di ceramica era assordante, così come i risucchi delle brodaglie tra le labbra e le forchette che stridevano sui piatti d’acciaio cercando di afferrare una viscida fetta di bacon. Ogni suono le giungeva alle orecchie centuplicato, e sollevando gli occhi verso le compagne di stanza sedute poco distanti, capì che quel caos infernale lo avvertivano anche loro. Il dopo sbronza era uno schifo, se dovevi condividerlo con una marmaglia di esseri petulanti e chiacchieroni, e soprattutto se era mercoledì e avevi una lezione di difesa contro le arti oscure alle nove. Mya continuava a rigirare col cucchiaio la sua brodaglia di cereali, indecisa fra il buttarla nel vaso di piante grasse a centro tavola o vomitarci dentro quel rimanente senso di nausea. Ma quando un giornale arrotolato della gazzetta le cadde a peso sulla testa ci finì dentro con tutto il naso, maledicendo quei debosciati di rapaci incapaci. Lanciò la copia del giornale poco sotto la panca del tavolo grifondoro e riprese a mescolare la brodaglia, con una mano premuta sull’orecchio sinistro, quasi a cercare di tamponare il marasma.
Aveva un tale casino fra i pensieri (non più casino di quello che tutte e tre avevano trovato nella loro camera al risveglio), ma quando Eloise le piazzò davanti la pagina aperta del giornale ogni vago e sbiadito ricordo assunse il profilo di un incubo.
Un incubo da espulsione.

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Niahndra Alistine
[K.O.]
Ad un soffio dal velluto del cuscino, Niahndra sentì qualcuno rifilarle una gomitata nel fianco e trascinarla inevitabilmente giù. Nel panico più totale lei si sbracciò, afferrando l’afferrabile e intrecciando l’intrecciabile.
Sbatté il naso contro qualcosa di morbido prima di trovarsi una ciocca di capelli schiaffata in faccia, un braccio avvinghiato alla vita e una gamba non sua incastrata tra le ginocchia.
Si trattava di una delle posizioni più scomode che avesse mai assunto e non l’avrebbe cambiata per niente al mondo.
Il cuore fece una capriola alla risata cristallina di Eloise, per poi sprofondarle ancora più in basso alla confessione biascicata di Mya. «SsShh», ribatté piano mentre batteva gentilmente le dita sulle labbra della ragazza. «Sei ubriaca»
Quando tuttavia cadde nel sonno, il sorriso ancora non l’aveva abbandonata.

• • •

«Voglio morire.»
Aveva la fronte appoggiata sulla spalla di Eloise, incapace di trovare il coraggio di affrontare la colazione a testa alta. La sensazione di trovarsi sul bagnasciuga, trascinata dalle onde, non l’aveva ancora abbandonata; se possibile, si era solo condensata come una pallina molesta all’altezza dello stomaco e da lì gorgogliava minacciosa e malevola. Quello era solo l’inizio dei suoi problemi: la luce era troppo intensa e sembrava trafiggerle le retine con schegge di fotoni, l’usuale chiacchiericcio del primo mattino somigliava più ad un trombone che a confidenze scambiate tra commensali e l’odore del cibo semplicemente le faceva passare la voglia di esistere.
A malincuore si staccò da Eloise. «Lockhart, ti proibisco di compiere gli anni ancora.» Come se quella fosse stata la soluzione ai loro problemi. Registrò l’impulso di lanciarle qualcosa solo per ripicca, ma qualcosa la frenò. In parte fu la consapevolezza di non avere le forze di imbarcarsi in un assalto tanto pericoloso in condizioni così precarie; in parte la colpa era da implicarsi a quelle tre stupide parole che Mya si era lasciata sfuggire come ammissione di colpevolezza e che tutt’ora Alistine non si capacitava di aver udito. La possibilità che se le fosse immaginate era alta, ma non se la sentiva di scommetterci.
Ciò non le impedì di sghignazzare sommessamente quando l’altra finì col muso in quella sbobba che si ostinava a chiamare colazione. Allungò un braccio oltre il tavolo per infierire con un buffetto sulla fronte, ma si fermò a metà quando notò lo scarabocchio nero che le impiastricciava la pelle del polso.
*Che cazzo?* La possibilità che si trattasse di un tatuaggio fatto durante la sbornia era molto bassa, così come l’eventualità che durante le mirabolanti avventure della sera precedente El e Mya avessero deciso di minacciarla con una macchia nera piuttosto letterale. Sbottonò il polsino della camicia e sollevò la manica.
*Annnn...aiuto… antilope… antilupo? Oh.* Alcuni degli ingranaggi del suo cervello —che avevano continuato a lavorare in background dalla sessione di studio del giorno prima— smisero infine di stridere meccanicamente tra loro. Ora che lo vedeva scritto nero su pelle le pareva soltanto ovvio che l’altra pozione a far uso di Polvere Lunare fosse proprio l’antilupo.
Un peso massiccio le si liberò dallo stomaco senza tuttavia esimerla dalla nausea. Si massaggiò gli occhi gonfi di sonno mentre l’ironia della situazione iniziava a farsi chiara: qualunque cosa avessero fatto quella sera (e ad un certo punto non avrebbe saputo distinguere sogni e ricordi) doveva averle permesso di arrivare alla soluzione del compito del professor White.
Intrappolata nei suoi teatrini interiori, come spesso le capitava, si era totalmente persa gli ultimi sviluppi al tavolo di Tassorosso. Da un lato il colorito verde di Lockhart e dall’altra l’espressione sgomenta di Eloise la misero in allarme. Non aveva le forze per affrontare qualunque fosse la situazione.
Fece saettare gli occhi dal titolo dell’articolo alle altre due (e il movimento le causò un altro attacco di emicrania) un paio di volte prima di fare cenno di no con la testa.
«Impossibile.» C’erano una miriade di fattori a cui avrebbe potuto fare riferimento per spiegare quanto scarse fossero le probabilità non solo di imbarcarsi in un’impresa del genere ma addirittura di dimenticarsene, ma non ne ebbe il cuore.
Fino a dodici ore prima, in fondo, aveva ritenuto impossibile anche sentire Lockhart ammettere di provare affetto per un altro essere umano o finire un compito di pozioni da sbronza.
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Eloise Lynch
[K.O.]
Ecco quale doveva essere il sapore della morte.
Confusa e tramortita, Eloise si svegliò in un groviglio impreciso di coperte e lenzuola, in cui rimase immobile per almeno una ventina di minuti. Promise a se stessa di non ripetere mai più una follia del genere, constatò la nausea e il mal di testa e meditò di darsi malata. Eppure, quando iniziò a riportare alla mente gli eventi che l’avevano condotta a quel punto, riuscì a trascinarsi fino al bagno. Si rifiutò di soffermarsi sul suo riflesso, ma riuscì a intravedere i resti di un dolcetto appiccicoso intrappolato tra i suoi capelli. Senza indugiare oltre, si fiondò in doccia, facendo schifo anche a se stessa.

Nel lento processo di purificazione e resurrezione, Eloise ebbe modo di ripercorrere gli avvenimenti della serata precedente con una punta di orgoglio. Era entrata nel Dormitorio n° 3 con l’obiettivo di dare a Mya il suo regalo di compleanno, magari festeggiare tranquillamente, e si era ritrovata coinvolta in un roboante festino notturno, vittima di un flusso selvaggio e inarrestabile. Aveva scoperto con stupore che un minimo sforzo poteva far collidere tre mondi ben differenti: era sempre stato così semplice fare quel passo avanti, ritrovarsi vicine, e vivere esperienze capaci di intrecciare solidamente i cammini? Era proprio vero che Mya le aveva definite amiche? Per lei non c’erano dubbi: lo erano eccome.
Eppure, aveva sempre pensato che il suo ruolo sociale nel mondo fosse quello di trascinare la gente fuori dalla zona di comfort, e si era sempre sforzata moltissimo per essere il motore dell’azione. Passare a essere trascinata da un’energia di gruppo in mari sconosciuti era una sensazione nuova, e le piaceva un mondo. Così come aveva visto un nuovo lato delle compagne, nel delirio notturno aveva sentito emergere aspetti di sé che erano sempre stati presenti, ma che scopriva solo adesso: il legame con Gladys e nonna Cindy, l’imperativo di rendere sorprendente la banale quotidianità, il piacere di lasciar spazio anche agli altri, e farsi trasportare dai loro desideri. Era solo grazie alla condivisione che quelle consapevolezze erano venute a galla, solo la collisione con altri esseri umani, con quegli esseri umani, le permetteva di conoscere le sfaccettature, le contraddizioni e le moltitudini che la riempivano.

The past and present wilt—I have fill’d them, emptied them.
And proceed to fill my next fold of the future.
Listener up there! what have you to confide to me?
Look in my face while I snuff the sidle of evening,
(Talk honestly, no one else hears you, and I stay only a minute longer.)
Do I contradict myself?
Very well then I contradict myself,
(I am large, I contain multitudes.)

Walt Whitman - Song of Myself

Aveva raggiunto la Sala Grande con un paio di occhiali da sole a coprire gli effetti dei bagordi notturni e si era lasciata cadere sulla panca accanto a Mya e Niah. Aveva preso a reintegrare i liquidi del suo corpo fin da subito, sperando che il mal di testa si placasse, e aveva scoperto che superata la nausea provava anche un discreto appetito. Al netto delle promesse del doposbornia, era estremamente soddisfatta, e fiera, degli sviluppi della sera precedente. «Ho scoperto di aver rovesciato un po’ di Poiteen sulla cravatta...» Fece, indicando la macchia evidente vicino allo stemma. «Ma tu eri pronta a un tatuaggio, a quanto vedo.» Indicò il braccio di Niahndra e scoccò uno sguardo complice a Mya, certa che se avessero avuto un tatuatore nei paraggi si sarebbero ritrovate con delle sirene sexy incise in fronte, nella migliore delle ipotesi.
Quell’atmosfera allegra e quel fare gongolante non erano destinati a durare. Vennero i pennuti postali, venne la pioggia di Gazzette del Profeta e vennero le esplosioni di tazze e tazzine, ma fin lì tutto era nella norma. Eloise prese la sua copia, sciolse il nodo della corda che lo teneva arrotolato e lo distese piatto sul tavolo, ma anche lì non c’era nulla di allarmante. Fu quando si soffermò sul titolo che gli occhiali da sole le scivolarono fino alla punta del naso, e l’espressione di sgomento le distorse i lineamenti. «Ragazze… Non siamo state noi, vero?» Allungò il giornale verso le compagne, indicando un titolo da prima pagina inequivocabile: Smistamenti Alcolici e dove trovarli.
7 Aprile • Dormitorio n°3
 
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