Due cose ci sono rimaste del paradiso: i fiori e i figli., Contest a tema, Maggio 2020.

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view post Posted on 13/5/2020, 21:18
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Sembra la fine del mondo, ma mi calma.



I fiori sul davanzale della cucina erano appassiti. Erano appassiti da giorni ormai. Mary ne aveva visto l'involuzione con occhi stanchi, gonfi delle lacrime che non aveva versato quel giorno, il giorno prima, quello prima ancora.
Aveva visto sua zia Hannah passarci davanti una, due, tre volte ed ignorarli, lasciarli lì da soli. Quei fiori rappresentavano lo stato d'animo delle due donne in quella casa: senza voglia di vivere, senza forza per vivere e senza nessun aiuto.
Le persone entravano ed uscivano di casa in continuazione. A Mary erano indirizzati caldi abbracci, pacche sulle spalle, parole dolci e di conforto, tutte gesta e parole perse nel vuoto. Lei restava lì, immobile su quella sedia con i piedi penzolanti che non aveva più la forza di muovere com'era solita fare fino al mese precedente.
Un mese.
Era passato un mese da quando i genitori della piccola Mary, nove anni appena, erano stati uccisi.
Morti. Senza vita come i fiori sul davanzale della cucina in quel vaso marrone chiaro che lei odiava, odiava tanto, un odio viscerale: si era sempre detta, nella sua testa infantile, che quel vaso aveva qualcosa di malvagio.

Tutti i fiori appassiscono in quel vaso.
L'aveva detto il giorno prima che i suoi genitori venissero uccisi. Aveva ragione.

Sua zia piangeva di notte, ogni notte e Mary la sentiva sempre. Di giorno invece provava ad essere amichevole, solare, preparava la colazione, prendeva i giocattoli e li spargeva sul tavolo, faceva le voci buffe, le espressioni buffe.
Però non si avvicinava mai a quel vaso, non toccava mai quei fiori.

Mary era vuota, non sapeva cosa provare, non sapeva cosa provava e non sapeva spiegarlo. Non era mai stata una bambina incline al pianto, anche quando non riceveva un regalo sperato, anche quando cadeva e si faceva male. Si portava il labbro inferiore tra i denti e lo stringeva forte, poi esordiva con un "non fa niente" convinto e tornava ai suoi affari.


Il termine morte non le era nuovo: ogni sera i suoi genitori, entrambi dottori, tornavano da lavoro e le raccontavano le loro giornate, le vite che avevano salvato e quelle che avevano perso.
Anche il concetto di morte non le era nuovo: una sera curiosa aveva chiesto ai suoi genitori cosa succedesse dopo.

Le persone che muoiono restano sempre con i loro cari, non vanno da nessuna parte.
A questa risposta del padre non era susseguito più nulla. Mary non aveva insistito, troppo occupata ad ascoltare il cuore della mamma con quello strumento divertente che però da un sacco fastidio alle orecchie.
Aveva scoperta che ascoltare il battito del suo cuore la rilassava, seguire quel ritmo così preciso, costante.
Ogni sera da quando erano morti i suoi genitori Mary si metteva nel letto con il stetofonendoscopio della madre (che lei chiamava Stef come il cane dei vicini) e ascoltava il suo cuore battere.


Dopo un mese aveva iniziato a parlare di nuovo, a mangiare con regolarità almeno i tre pasti. Si sedeva sulla sedia che le permetteva di fissare il vaso sul davanzale con i fiori appassiti al suo interno. Aveva sviluppato una teoria a riguardo. Fino al giorno in cui i fiori non c'erano più.
Il vaso era vuoto.

Ziaaaaaa!
Mary aveva urlato dalla cucina, gli occhi sgranati e colmi di lacrime, i denti digrignati, il viso sconvolto.
Sua zia era corsa in cucina dal bagno con l'aria preoccupatissima, terrorizzata dalla voce grave della nipote.

Dove sono i fiori zia?
Quali fiori am-
I fiori in quel vaso! Quello lì! Quei fiori arancioni, zia dove sono? Dove so-
Mary era ormai in piedi, la sedia distesa per terra, il viso contorto dal dolore, la voce spezzata più volte dal pianto. Stava piangendo come piangevano i bambini: con gli occhi grandi pieni di lacrime, le braccia lungo i fianchi e i pugni serrati, con quella voglia di sbattere i piedi per terra.
Anche sua zia aveva gli occhi lucidi, si era inginocchiata di fronte alla bambina e l'aveva accolta tra le sue braccia.

Non ci sono più amore mio, non ci sono più.
Le stava accarezzando i capelli con cura, le aveva baciato più volte la fronte. Aveva mantenuto la voce forte, non voleva piangere anche lei.
Mary si era lasciata prendere, coccolare, aveva stretto le sue piccole braccia intorno al collo della zia, voleva provare a parlare ma stava singhiozzando con troppa frequenza per riuscire a formare una frase
.
Shh, shh, va tutto bene.
Continuava a ripeterle la zia, con la bocca persa nei capelli della nipote.
Sono loro zia, sono loro.
Era l'unica cosa che era riuscita a sussurrare la bambina nel collo della zia, troppo stanca per dire altro.
Rimasero in quella posizione per diverso tempo, Hannah continuava ad accarezzarle i capelli, a sussurrarle parole di conforto.
Mary finì per addormentarsi, stanca.




La sala comune era praticamente vuota.
Non c'era altro che il quadro del vecchio preside Dippett che si lamentava di Queste nuove generazioni che non ti salutano neanche prima di uscire! Che maleducazione, ah che tristezza. Se si salivano le scale a chiocciola che portavano verso i dormitori si poteva però sentire una voce, una vocina che si andava a fare via via più forte con l'avvicinarsi alla stanza numero 1 del dormitorio femminile.
All'interno c'era Mary Grenger, una ragazza del terzo anno amichevole e chiassosa, sempre sorridente che passava il suo tempo tra la gente. Era seduta a gambe incrociate sul letto, un piatto che teneva con la mano sinistra mentre con la destra ne afferrava il contenuto con l'aiuto di una forchetta. Aveva il viso rivolto verso la finestra, la bocca piena mentre raccontava una storia.

E quindi ieri sono arrivata tardi alla lezione di incantesimi MA...
Aveva alzato l'indice nell'aria per fermare chiunque fosse pronto ribattere.
Ma non l'ho fatto di proposito e il professore non mi ha detto nulla. Certo, non penso di andargli particolarmente a genio ma neanche tu andavi a genio al tuo capo mamma, eppure eri brillante.
E fece un occhiolino al fiore sul davanzale della finestra spalancata da cui entrava una forte luce che illuminava tutta la stanza rosso-oro.
Il fiore arancione nel vaso marrone era un ornitogallo. Era lì, diritto nel suo vaso orrendo, la parte finale pendeva leggermente verso l'interno della stanza.

No papà, non sto studiando troppo. Il giusto, mi conosci: non esagero mai!
Non era un monologo, Mary di tanto in tanto faceva una domanda, si fermava e scuoteva la testa quando non era d'accordo con la risposta che riceveva o faceva un cenno energico quando invece era in armonia con la pianta.
Erano loro, erano i suoi genitori. Mary lo aveva sempre saputo e li aveva portati con sè ad Hogwarts fin dal suo primo anno.
I fiorellini arancioni sbocciarono quando Mary divenne Prefetto e di nuovo quando vinse la sua prima partita a Quidditch, quando di ritorno dalla Stanza delle Necessità aveva raccontato del suo ingresso nell'esercito di Silente i fiori erano di un arancione vivissimo.


Non importa dove sei o dove vai, le persone che ti amano saranno sempre al tuo fianco. Sono i fiori sul davanzale, le piante nel giardino. Sono gli uccelli che senti la mattina, le stelle che guardi la sera. Sono nell'aria, nel tuo cuore.
Sono ovunque.

Perché le persone care non vanno mai via, restano sempre con te.

 
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