« Un sabato pomeriggio »
Aveva atteso quell'appuntamento con profonda, intensa partecipazione emotiva: aveva creduto fin dall'inizio che potesse essere un'idea preziosa, non soltanto per i lettori del Profeta e per l'impatto che quell'articolo avrebbe avuto nel mondo magico. Era più perché credeva fortemente nella testimonianza di una persona come Jolene White. Forse era ripetitivo, e non se ne dispiaceva più del dovuto, ma l'empatia era il valore più importante, il meno gettonato e il più di prestigio. Il ruolo di Infermiera di Hogwarts era la punta di spicco di quello che a tutti gli effetti già si presentava come un diamante; perché era lì, proprio ad un battito di ciglia, che si esprimeva la differenza sostanziale di un cuore buono, originale, vivo, dal resto di una monotonia quasi asfissiante. Da parte propria, Oliver poteva giurare di aver percepito in Jolene White qualcosa di ben più vibrante, qualcosa di singolare, che non aveva avuto modo di riscontrare in tanti altri. C'era una parte tutta al personale, non avrebbe potuto affatto nasconderlo, che ritrovava in quell'incontro il suo interesse primario, la sua stima, il suo affetto più sincero; ma c'era anche una parte più oggettiva, altrettanto inestimabile, che poneva quella stessa donna in risalto: era vero, prima di lei le mura del Castello di Hogwarts avevano accolto altri Infermieri, tutti encomiabili. Mr O'Sullivan, dal cognome impronunciabile, aveva saputo recuperare le redini di un luogo lasciato vacante, e per anni il suo operato aveva inseguito il vessillo della guarigione, nel migliore dei modi. Oliver aveva avuto modo di conoscere l'uomo, di essere curato dallo stesso in un paio di occasioni: se da un lato aveva riconosciuto efficienza nella maestria del mago, dall'altro lato ne aveva carpito una compostezza granitica, a tratti gelida, rigorosa,
chirurgica. Il confine sottile tra il giusto operato, corretto per davvero nei riguardi del corpo, della mente, e di tutte le macchinazioni che l'Infermiere avrebbe dovuto ripristinare: si esprimeva tuttavia in parallelo la diffidenza verso la sfera più intima, più emotiva. C'era stata Madama Bastet, subito dopo, e fin dal suo primo passo tra le porte imponenti della fortezza scolastica, aveva trascinato con sé - come un velo - il fascino di una notte d'Oriente. Già il suo nome attingeva alle origini di terre mistiche, alessandrine, così lontane, e l'Egitto scivolava tra aneddoti continui che la giovane Strega snocciolava ai suoi pazienti - un po' per mettere a proprio agio, un po' per semplice, piacevole conversazione. Anche lui, Oliver, ne era stato assolutamente affascinato, e in quell'incastro arabesco aveva appena ricamato le sue preoccupazioni: Madama Bastet aveva saputo ascoltare anche il fremito del suo animo, e il suo consiglio si era reso necessario, e dolce, più di tanti altri prima di lei. Il tempo, purtroppo, non era stato misericordioso e poco dopo, sulla scena madre della propria rivelazione, Oliver si era visto abbandonato dalla donna: un nuovo percorso, un nuovo sentiero. Aveva rinnegato l'Infermeria per lungo andare, a quel punto. Filtri sognoleggero, pozioni alla rinfusa, boccette miracolose fai-da-te, perfino paste e decotti di erbe triturate, tutto quello aveva rappresentato la sua scelta principale, quando necessario, pur di evitare un salto in Infermeria. Quando era arrivata Jolene White, aveva tardato a lungo per farle visita. Una mano lesa, le nocche arrossate, vestite di sangue, e le ferite di schegge di vetro, neanche quello gli aveva permesso di affrettarsi verso le adeguate guarigioni; soltanto quando il dolore si era fatto insistente, e impossibile, si era spinto oltre. Mai avrebbe potuto credere di trovare in un'altra persona, in un'altra Infermiera, quello che aveva effettivamente vissuto con Jolene White. Compostezza, diligenza, accuratezza, le tre chiavi di svolta c'erano tutte, e sfumavano magistralmente nella parte più importante, ai suoi occhi: empatia, eleganza, gentilezza. Era lei, per davvero. Era lei quello che tutti avrebbero desiderato, lì al Castello. Il prosieguo si era tinto di rivelazione, e il Ballo delle Rose e delle Spine aveva saputo attecchire le radici più rigogliose. La riflessione, così lunga, tornava anche in quel momento per Oliver. L'intervista, lo sapeva, celava molto di più, sarebbe stata molto di più. Era evidente: Jolene White era molto di più.
«Questo incontro è per me un privilegio.» Commentò così, ripristinando ogni controllo, ogni equilibrio, ogni
presente. All'ultimo battito di ciglia, le palpebre pizzicarono di una visione profonda, vivace, repentina. Era lì, il futuro di trame non scritte, e avrebbe potuto attingervi da un momento all'altro. Sentiva la brezza dell'aria, il cuore farsi leggero, l'estasi di una giornata estiva, e si chiedeva intimamente se dipendesse dall'altra o da lui, dal proprio tempo o da quello di Jolene. Sorrise, dolcemente.
«Ora mi spiego il suo incubo con i bottoni. Ha detto di aver sognato di essere trasformato in un bottone, e poi in uno scarafaggio. Il problema, ma questo non glielo dirò mai, è che effettivamente qualcosa del genere sia accaduto. Al suo topo, non a lui, non lo permetterei.» Lasciò correre, il tono divertito. Avrebbe desiderato effettivamente saperne di più sulla storia dei bottoni, forse c'era per davvero un collegamento più insistente tra gli ultimi sogni del concasato e le sue paure. Di per sé, c'era stata di mezzo la trasfigurazione-scherzo da parte di Penny, altro Grifondoro, ma Timothy non aveva visto nulla.
Probabilmente.
Quando un'altra voce familiare raggiunse anche lui, si volse di lato. Avrebbe potuto riconoscerla davvero ovunque, perfino ad occhi chiusi, perché l'affetto che provava per la ragazza appena arrivata superava di gran lunga ogni possibile, umano confine. Erano stati separati per tanto,
troppo tempo, e ritrovarsi era stato bellissimo. La combinazione tra la concasata e Madama Piediburro, tra l'altro, sembrava essere l'ultima tra le infinite sorprese che Oliver più apprezzava.
«Mary, è meraviglioso ritrovarti qui.» Parlò con sincerità, inseguendo gentilmente il volto dell'amica. Quando batté le palpebre, le iridi smeraldo del Caposcuola si tinsero di una vivacità ancor più improvvisa, una scintilla passeggera. Gli parve di percepire il sapore dell'Idromele a fior di labbra e quando vi passò la lingua, ne assaporò imprevedibilmente quello più ricercato, più inusuale, più fuorviante del sangue. Una sensazione fulminea, che lasciò una serie di riflessioni in disparte, tra i propri pensieri. C'era qualcosa che avrebbe voluto studiare, qualcosa che avrebbe potuto svelare, e vivere pienamente. Invece, sorrise.
«Ti ringrazio, e ricambio con sincerità. La cornice di Piediburro, poi, ti rende grazia.» Un occhiolino, e via verso l'ordinazione. Avrebbe voluto trattenersi ancora, ma ci sarebbe stata un'altra occasione.
«Per me un Milkshake del Ghiro, per iniziare. Probabilmente ti chiamerò ancora, vorrei assaggiare tutto del menu.» Tornò su Jolene.
«Abbiamo parlato sulla Gazzetta del Profeta proprio della revisione di Piediburro, e della collezione di tazze incantate. Davvero un successo, mi piace.»Non aggiunse di voler portare in dormitorio tutte le tazze di quel locale, ma si ripromise di chiederne di più, in seguito. Concluse così, con un altro sorriso verso Mary.
«Credo ordineremo altro, io di sicuro vorrò provare il Cremotto. Se non è un disturbo, potrei passare al bancone alla fine e pagare tutto. Mi farebbe piacere ritrovare te, Mary, se resti ancora di turno.»Ad accordi presi, Oliver ringraziò ancora una volta. Si affrettò a voltarsi verso Jolene non appena da soli.
«Offro io, e non si discute. Per favore.»C'era gentilezza nella sua voce, ed anche una punta di serietà. Ci teneva molto, era il minimo per la gratitudine di quell'incontro. In attesa che le ordinazioni arrivassero, ne approfittò per sistemarsi di nuovo in modo composto; recuperò alcune cose dalla borsa a tracolla, ai piedi della sedia: un blocchetto di pergamene chiuso da anelli in ferro, una boccetta d'inchiostro e una piuma lunga, brillante nelle tempere del blu oltremarino e nella sottile striatura bianca al centro esatto. Quando la bacchetta scivolò tra le dita, Oliver colpì con la stessa la piuma sul tavolino e di scatto si animò, sospendendosi a mezz'aria e girandosi su di sé verso Jolene; la punta d'Abete ticchettò infine sul primo foglio immacolato, dopo che Oliver riuscì a staccarlo dal blocchetto. Una serie di parole e frasi, di termini di accordo, si stagliarono nere su bianco, in bella vista: in superficie, a chiare lettere, il nome di Jolene White, e la dicitura
Modulo di consenso, seguita da tutta una serie di diritti. Non era troppo lungo, e alla fine attendeva di essere firmato in uno spazio libero. Oliver riprese velocemente.
«Avrei bisogno di una tua firma per il consenso all'intervista, a fine pagina. Nulla di che, esprimi in questo modo il tuo benestare nel rilasciare informazioni personali, opinioni, pensieri, e così via. Hai la mia parola che non pubblicheremo nulla che vada contro i tuoi interessi e desideri. Se per te non è un problema, vorrei usare inoltre una piuma prendi-appunti. Sarà indiscreta, lo assicuro. Permetterà di procedere nell'intervista come una piacevole conversazione, senza il peso di pause forzate, e sarà mia cura ricamare gli appunti al momento della stesura.»Quella era sempre la parte che più odiava, durante l'intervista. Il consenso appariva più traumatico di quanto in realtà non fosse, e spesso poteva fuorviare un'armonia appena creatasi. Sorrise, così per stemperare qualsiasi cenno di tensione, e concluse con un tono altrettanto pacato.
«Dopodiché possiamo iniziare, e già non vedo l'ora.»