Pieces of truth, Official business

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view post Posted on 9/6/2020, 20:53
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Prosegue da qui


La prima pagina del voluminoso tomo era ruvida sotto al tocco nervoso dei polpastrelli; una carezza fugace, accompagnata da un fruscio insufficiente a smuovere l'equilibrio di suoni timidi in cui era immersa la libreria, e Jolene si affrettò a riporre sullo scaffale l'ennesimo libro. Era entrata da Bibliomagic macinando piccoli passi scattanti, preda di un'agitazione che si ripeteva essere del tutto irrazionale. Come ogni novità imprevista che le chiedesse di mettersi personalmente in gioco, la prospettiva dell'intervista la gettava in uno stato in cui non sapeva darsi pace.
Superato lo stupore iniziale di fronte alla lettera di Oliver, Jolene, al pari di una studentessa diligente, aveva tentato di prepararsi. Aveva recuperato alcuni vecchi numeri del Profeta, che per un paio di giorni avevano soffocato qualsiasi altra cosa si trovasse sulla sua scrivania. Ne sfogliava le pagine alla ricerca di interviste che potessero offrirle un modello. Non aveva disdegnato niente, ritrovandosi così di fronte ad articoli improbabili come La verità di Mrs Purr: ciò che Gazza non vi racconta. Spazzatura, aveva pensato, preda dello sconforto, nel leggere due colonne di un sedicente monologo della gatta più detestata dagli studenti di Hogwarts. Alla fine, grazie a scritti con un po' più di dignità, ne era uscita con un'idea generale su come si componesse un'intervista, e credeva di sapere, più o meno, che cosa ci si aspettasse da lei. Non che volesse rinchiudersi all'interno di mura rigide e definite; al contrario, capiva che ciò che realmente dava una svolta alle interviste era un tocco personale, tanto del soggetto in questione quanto dell'autore. Avere un termine di confronto, ad ogni modo, le sembrava utile; come in ogni situazione a lei sconosciuta, voleva sapere in che cosa si stesse immischiando.
Tutto ciò avveniva nel corso della settimana, mentre quel giorno, sabato, segnava la linea d'arrivo di tale disordinato percorso. Agitazione e impazienza si intrecciavano in un fitto reticolo fremente appena sotto pelle, tanto da rendere l'immobilità insopportabile: le dita tamburellavano, si torcevano, mentre le gambe non le permettevano di rimanere ferma in un posto per più di qualche minuto. Rimuginava espressioni che le sarebbe piaciuto usare, e altre che invece erano da evitare, passando da una domanda immaginaria all'altra. Era una fortuna che il suo interlocutore sarebbe stato Oliver, perché la prospettiva di rispondere ai quesiti incalzanti di uno sconosciuto sarebbe stata un'autentica sofferenza. Pensare che avrebbe avuto di fronte il Grifondoro – con i suoi occhi stanchi ma attenti, la voce a lei nota, l'intera figura definita da ciò che sapeva di lui –, invece, le restituiva un minimo di calma. Si trattava di uno degli aspetti che realmente l'avevano convinta ad accettare e, allo stesso tempo, di ciò che la spingeva a guardare all'incontro con maggiore positività.
Abbandonò la libreria appena un quarto d'ora dopo esservi entrata: era tutto il tempo che poteva permettersi di perdere prima di avviarsi verso Piediburro, minuti che aveva risparmiato ricorrendo alla Smaterializzazione piuttosto che ad una passeggiata fin dai cancelli di Hogwarts. La brezza leggera che spirava all'esterno portava con sé la mitezza della bella stagione, ormai imminente in quelle giornate che vedevano un cielo sempre più azzurro, a contrapporsi al ricordo del grigiore che aveva regnato per tutto l'inverno. Jolene si era avvolta in tessuti leggeri, le cui pieghe si modellavano ad ogni passo intorno alla sua figura minuta: un paio di pantaloni scuri, una semplice camicia bianca, il tocco vivace di una cintura rossa. Liberi dagli intrecci stretti in cui erano costretti durante i turni in infermeria, i capelli le scendevano sulle spalle e le solleticavano le guance. Si sentiva sempre più matura dei suoi ventun anni quando indossava le vesti rigide del personale medico, ogni volta che tornava a prendere pienamente possesso del proprio aspetto le sembrava di sgravarsi di qualche peso che, pure, non le risultava mai sgradevole.
Avrebbe riconosciuto la sala da tè di Madama Piediburro da miglia di distanza: tra le costruzioni più o meno anonime di Hogsmeade, spiccava al pari di un confetto color pastello. Parlava di zucchero e infusi profumati, di una delicatezza che Jolene avrebbe sempre ricercato. Sapeva che la maggior parte delle persone lo considerava un posto stucchevole, adatto solo alle coppiette insopportabilmente smielate, ma secondo lei si trattava di una visione che sminuiva tremendamente il locale. Negli anni di Hogwarts erano state poche le occasioni in cui era riuscita a trascinarvi qualcuno – che fosse la cotta del momento o qualche amicizia, la gente tendeva ad opporre una resistenza irragionevole. Così, per la maggior parte aveva frequentato i graziosi tavolini di Madama in solitudine, intenta a leggere o a scrivere su qualche quadernetto, pur di non rinunciare a uno dei suoi locali preferiti. Dopo aver letto sul Profeta di come si fosse rinnovato, attendeva con grande curiosità di constatare di persona.
Una volta entrata, Jolene avrebbe salutato cordialmente eventuali camerieri che potessero accoglierla. In seguito, fece scorrere lo sguardo sulla sala, alla ricerca di Oliver. Se non fosse già arrivato, si sarebbe accomodata ad uno dei tavolini rotondi e lo avrebbe aspettato: i minuti di inattività sarebbero stati impiegati a cercare un proprio equilibrio prima dell'intervista.

 
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view post Posted on 14/6/2020, 17:55
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qvoRQgr
« Un sabato pomeriggio »
Quando Timothy era rientrato in Sala Comune il giorno dopo le cure in Infermeria, tutte le domande dei concasati - tra una battutina e altri commenti fuori luogo - erano state rivolte alla salute del ragazzino; sul capo non gravava più il peso di un paio di rametti in fiore, non c'erano più foglie né i candidi petali del biancospino: al loro posto, la zazzera di capelli castani copriva per bene qualsiasi segno della Trasfigurazione accidentale. Jolene White, ancora una volta, aveva saputo prendere provvedimenti nel migliore dei modi, e il suo intervento rinnovava la conferma di Hogwarts intera: era la persona giusta per il ruolo di Infermiera alla Scuola, e per Grifondoro - il Caposcuola lo sapeva da un pezzo - era anche una garanzia a pieno titolo. Oliver aveva perso il conto di quante volte lui e i suoi concasati avessero avuto bisogno dell'aiuto di Miss White: tra una gita fuori porta con le conseguenze del caso, un allenamento di Quidditch finito male oppure un'esercitazione tra studenti con più sortilegi malandati del previsto, il dado era tratto e il numero di incidenti cresceva a dismisura. Non una sola volta uno di loro era stato condizionato in modo irreversibile, e al di là di un pizzico di fortuna per i danni subiti nel tempo, la maestria dell'Infermiera era la chiave di riuscita, sempre. Il contributo della giovane donna alla salute degli abitanti di Hogwarts era una di quelle certezze piacevoli, costanti giorno dopo giorno: non guastava il fatto che Jolene White, come persona, vantasse un'armonia a tutto tondo; il suo aspetto incantevole, l'empatia dei suoi intrecci con i pazienti e non soltanto, tutto quello aveva attirato in Oliver una curiosità che superava il mero ufficio, e di conseguenza l'amicizia che sentiva così forte per l'altra. Quando le aveva proposto un'intervista da pubblicare sulle pagine della Gazzetta del Profeta, il senso di arrivo era stato già chiaro: Oliver voleva rendere omaggio alla figura così preziosa di Jolene White, nelle vesti iniziali di Infermiera, ma in quelle soprattutto di punto di riferimento. Perché lo era, lo era davvero, e forse fin dal primo momento del suo ingresso al Castello. Anche per lui, vinto dalla folle fobia per la medicina e tutti i suoi esponenti, l'Infermeria aveva perso nel tempo i tratti peggiori, più infidi, più timorosi. Non poteva dire di essere già pronto a trascorrervi i suoi giorni migliori, ma anche la peggiore degenza della sua vita - di pochi mesi addietro, l'Estate precedente - era stata meno orribile del previsto: le cure della Strega e soprattutto la sua gentilezza, tutto quello aveva compiuto la differenza più intensa. Era lì, proprio lì il motivo principale della sua proposta: la gentilezza, il valore per eccellenza, così sottovalutato e così singolare, tanto solitario quanto inafferrabile. Nella sua infinita, evidente bellezza, Jolene White sapeva essere gentile, carismatica, presente. Per il Veggente, non esisteva interesse maggiore. In più, l'istinto da Giornalista e ancor più quello da neo Vice Redattore gli suggerivano che l'intervista fosse di per sé già un successo in partenza: il mondo magico apprezzava quel genere di articoli, a maggior ragione quando il contenuto sapeva legarsi alla veridicità di un'identità così vibrante. La lettera di Jolene che Timothy gli aveva consegnato aveva confermato l'appuntamento: sabato pomeriggio alle quattro. Il fatto che fosse da Madama Piediburro, il suo locale preferito in assoluto, collimava con una vivace allegria, come non gli capitava da molto. Con la borsa a tracolla liberata dai volumi scolastici e riempita di tutto l'occorrente per l'intervista - una boccetta d'inchiostro e un'altra per ogni evenienza; un paio di piume nuove di zecca, una per giunta incantata; un plico di pergamene e una macchina fotografica magica, e via dicendo -, Oliver si ritenne pronto. Svestita la divisa scolastica a favore di un paio di pantaloni scuri, una giacca primaverile in jeans e una felpa molto leggera sulle tonalità del blu oltremarino, sentiva di essere già più libero, e di gran lunga più a suo agio. L'aspetto, in quelle circostanze, poteva favorire una conversazione più scorrevole: via alle giacche, via alle cravatte, per una volta poteva essere un Giornalista e un Mago così giovane, di pari modo. In più, al di là del compito che si apprestava a svolgere, Oliver era felice dell'incontro anche solo per rivedere una persona che considerava davvero come amica. Sarebbe stato anche più difficile mettere nero su bianco quello che si sarebbero detti, ma una punta di affetto avrebbe reso la scrittura più coinvolgente. Si avviò così in apparente ritardo, con soli dieci minuti di anticipo sull'appuntamento, e ai confini di Hogwarts si fermò per guardarsi indietro. Alle sue spalle si delineava l'imponente sagoma del Castello: le sue memorie più belle erano custodite tra quelle mura, e lentamente scivolavano lungo tutto il corpo, fino al cuore. Quando la mano destra salì a sfiorare il ferro dei cancelli di fronte, Oliver non poté fare a meno di pensare al primo, vero incontro tra lui e Jolene White. Per un attimo, le nocche brillarono al ricordo sfuggente del sangue, mentre il vetro infieriva sulla pelle. Altri momenti, altri tempi - la sensazione che aveva provato quel giorno, passando dal dolore alla speranza, tornava di tanto in tanto come un monito prezioso, e la voce dell'Infermiera si poneva come guida assoluta.
«Ma anche se ci sembra che non potremo mai plasmare la realtà con le nostre mani, non è un buon motivo per distruggerle.» Sorrise, prima di riprendere il cammino: un passo avanti, portandosi oltre le protezioni della Scuola, e sparì su se stesso. Apparve di lì a breve a pochi metri dal ritrovo più romantico di tutto il Villaggio di Hogsmeade: color confetto, dal rosa più tenue al più scintillante, con venature di panna e di tempre pastello, Madama Piediburro annunciava eleganza già al primo sguardo. Era contento di aver ricevuto conferma da parte dell'altra: era sempre una buona occasione fare un salto in quella saletta da tè, Oliver era affezionato tanto alla proprietaria quanto al luogo vero e proprio. Si guardò intorno, una volta arrivato alla soglia d'ingresso: più o meno era ora, così non si trattenne ancora all'esterno e entrò con un sorriso sul volto. Il profumo del miele lo accolse come un vecchio amico, Oliver avrebbe potuto distinguerlo tra tutti gli altri. Il tempo di una carezza così dolce, e lasciò scivolare l'attenzione da un tavolino all'altro. Un saluto ad una coppietta di studenti che conosceva, un occhiolino divertito ad un'altra ragazza che frequentava il suo stesso corso di Rune Antiche e infine, per fortuna, si accorse al volo della figura che cercava. Si congedò in fretta, tra un sorrisetto e un cenno del capo, e quando fu ormai vicino alla postazione di Jolene, sorrise con sincerità. «Eccomi qui, è bello ritrovarci.»
Attese che la Strega lo notasse, e rincarò la dose di quel semplice saluto con un espressione gentile. A quel punto, si ritenne pronto per sedersi a sua volta: in un movimento leggero, posò la borsa a tracolla ai piedi della sedia, svestendo la giacca per appenderla allo schienale, infine si accomodò. La postura perfetta della schiena, lo sguardo vivace, quasi sembrava che le occhiaie così familiari fossero state cancellate: stava bene, era evidente, e tutto in lui mostrava l'energia migliore, il desiderio palese di voler essere lì, in quel momento.
«Ti ringrazio di nuovo per aver accettato, ma soprattutto per esserti occupata di Timothy. Quando è rientrato in Sala Comune, ha tentato di trasfigurare un letto in un albero di biancospino.» Sistemò un lembo del pizzo sul tavolino, lasciando che la piega scivolasse di nuovo verso il basso come il resto. «Diceva per nostalgia.»
Un altro sorriso. «Spero il resto della settimana sia andato bene, Jolene. Se permetti, potremmo ordinare fin da subito, così saremo più tranquilli.»
 
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view post Posted on 21/6/2020, 19:53
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Mary
Grenger
«Shit, I'm in love»

► Mood: innamorata ► Età: 17 ► Ruolo: studentessa ► Outfit: click

Quando aveva accettato il lavoro da Madama Piediburro si era accertata non dovesse lavorare nel weekend. Lavorare sì, però aveva bisogno dei suoi spazi, a 17 anni era per lei importantissimo riuscire a divertirsi. E per farlo aveva bisogno di dormire il sabato e la domenica mattina così da darsi da fare la sera. Già far entrare una bottiglia di liquore nella sala comune era difficilissimo, non voleva ulteriori problemi. Quando la proprietaria del bellissimo locale le aveva chiesto un “favore”, ovvero quello di lavorare il giorno dopo, cioè il sabato, Mary non se l’era sentita di rifiutare. Madama si era sempre comportata in modo impeccabile con lei, le offriva bicchieri d’acqua e tè ad ogni occasione e delle volte li accompagnava con dei dolcetti. Poi si fermava a guardare la reazione e puntualmente Mary doveva fare “mmmh” per convincere la proprietaria che i suoi dolci erano, infatti, buonissimi. Come se avere la sala sempre piena non fosse abbastanza una conferma.
Quel sabato era stato più difficile di quanto potesse immaginare. Erano le quattro circa e la sua coda di cavallo non poteva più definirsi tale, la stanchezza sul suo viso era ormai visibile e il suo tono, fino a quel momento sempre attento e preciso, ora presentava una piccola inflessione verso il basso. Ovviamente questo non le impediva di fare un lavoro eccellente.
Era seduta sullo sgabello dietro al bancone quando una sua collega le segnalò l’arrivo di qualcuno. Una donna. Mary alzò il collo di scatto per guardare meglio la ragazza ma riuscì ad intravederla solo per un attimo: una camicia bianca, dei pantaloni scuri, i capelli color rame che scendevano con morbidezza. Gli occhi della grifondoro si soffermarono un secondo in più sulla ragazza, poi avvertì gli occhi per paura che qualcuno la notasse, le sue guance già leggermente tinte di rosso.
*Che ti prende, sembri una pervertita!*
Da quando aveva iniziato a lavorare al locale, da circa un mese, Mary si era innamorata esattamente di 16 persone. 17 quel giorno. Dava la colpa alla sua giovane età, era sicuramente quello che la portava ad infatuarsi di praticamente qualsiasi essere umano entrasse nel locale. Maschio, femmina, senza distinzione né di sesso e purtroppo neanche di età. Decise di aspettare qualche minuto in più prima di dirigersi verso la donna, sicuramente era con qualcuno, non poteva essere lì da sola.
*Eccalà, figurati se era da sola. Ok però riprenditi che sei ridicola. Ok, respira e vai e cerca di non fare figure di merda per cortesia.*
Il dialogo interiore di Mary la distrasse dal notare chi fosse l’interlocutore e, dopo aver atteso qualche altro minuto guardando ovunque eccetto quel tavolo, si diresse finalmente lì. Acchiappò due menu al volo.
*Dai, dai che questi sono gli ultimi clienti.*
Buon pomeriggio. Io sono Mary e sarò la vostra cameriera per qu- Oliver?
Il tono di voce della ragazza era composto, sul suo volto un sorriso cordiale ma non esagerato. Aveva rivolto il suo sguardo alla ragazza, ne aveva già memorizzato i tratti. A metà presentazione cambiò, rivolgendo il suo sguardo all’altro ragazzo e fu lì che notò Oliver. Lo aveva riconosciuto subito, e doveva ammettere che senza divisa era altrettanto affascinante, il blu gli donava.
*Mio dio, non ci credo che sta succedendo davvero.*
Mary aveva una cottarella di quelle piccole piccole per Oliver. Ma onestamente, chi non l’aveva ad Hogwarts? Insomma, non si era mai sentita così bisessuale quanto quel giorno.
Che piacere vederti. Ti trovo in forma!
Sul volto di Mary si era aperto un ampio sorriso ed ora i suoi occhi balzavano dalla ragazza al concasato. Evitò di saltare a conclusioni, non era da lei. Ed era per giunta arrivato il momento di tornare ad essere professionale.
Allora, vi lascio i menu. E così dicendo porse ai due ragazzi il menu del locale. Probabilmente Oliver lo conosceva a memoria, Madama ogni tanto accennava a lui.
Mi potete chiamare tra qualche minuto o, nel caso avete già le idee chiare, ditemi pure.
Mary portò le mani dietro la schiena, le guance ancora leggermente rosse (e se qualcuno l’avesse chiesto, era stanchezza) e mantenne il suo sorriso, questa volta un sorriso leggermente asimmetrico, il lato destro più in alto rispetto al sinistro. E attese.




Perdonatemi l'attesa, davvero. Avete la possibilità di ordinare subito o mandarmi via e poi decidere, fate come preferite. Sarò a vostra disposizione :fru:
E ancora, davvero scusatemi.
 
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view post Posted on 26/6/2020, 17:11
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In un'attesa scandita dal tormentarsi delle mani sotto al tavolo, Jolene cercò di immergersi più a fondo nell'ambiente che la circondava, così che il suo influsso rilassante contribuisse a distenderla. Riconosciuti alcuni studenti di Hogwarts seduti ai tavolini vicini, scambiò con loro un sorriso cordiale. Era sicura che per loro lei fosse l'infermiera White anche fuori dalle mura scolastiche, così si interrogava sull'effetto che avesse su di loro quell'incrocio inaspettato di due sfere distinte della propria vita. Jolene metteva tutta la propria umanità nel suo lavoro, ma un conto era il rapporto cordiale che si crea tra una figura scolastica e gli studenti, addirittura quella sorta di affetto per ognuno di loro in quanto parte unica e distinta della stessa comunità; un altro. invece, un autentico legame a livello personale. Quest'ultimo era un'occorrenza più rara, che portava gli studenti interessati ad essere ancora più cari a Jolene.
Oliver per primo era parte di tale cerchia, e quando lo vide avvicinarsi alla sua postazione Jolene non stava guardando solamente il Caposcuola Grifondoro, ma un'intera persona, con i suoi tratti che non avrebbero potuto appartenere a nessun altro. Il suo sorriso di risposta fu per Oliver, dunque, non per lo studente o il giornalista, e raggiunse gli angoli degli occhi quando Jolene colse la vivacità che sprigionava dalla sua intera figura. Il ruolo di infermiera aveva giocato una parte importante nel crearle una certa immagine del ragazzo, dominata dalle occasioni in cui aveva necessitato di cure poiché debilitato, scosso, stravolto. Aveva così imparato a considerarlo in certa misura malinconico, trattenuto da fili invisibili la cui matassa ingarbugliata andava al di là di ciò che lei avrebbe potuto comprendere. In quell'occasione, però, ne ebbe immediatamente un'impressione di serenità ed energia tale da rallegrarla per semplice riflesso.
«Ciao, Oliver! Come stai?»
Fino a quel momento Jolene si era mantenuta un po' china sul tavolo, quasi ripiegata su se stessa. Ora che il suo centro d'attenzione era il ragazzo e non più la propria agitazione, invece, raddrizzò le spalle e il collo per poterlo guardare in viso. Poggiò le mani sul tavolo, smettendo finalmente di punzecchiarsi con le unghie.
«Timothy è adorabile», commentò dopo una risata piena di simpatia di fronte alle nuove gesta del ragazzino. «Sono contenta di sapere che alla fine l'ha presa con filosofia, all'inizio mi sembrava davvero provato. Ti ha detto niente di certi bottoni a forma di chiocciola?» Un sorriso obliquo avrebbe probabilmente fornito ad Oliver tutti gli indizi per capire di che cosa stesse parlando.
Passò poi ad un tono più serio nel pronunciare le poche parole che seguirono: «È un piacere per me accettare, credimi.» Tutta qui, per il momento, l'espressione dello stupore e di tutte le altre emozioni che erano seguite alla proposta dell'intervista. D'altronde Oliver ne aveva già avuto qualche indizio nella lettera di risposta, Jolene non avrebbe saputo descrivere a voce alta tutta quella serie di reazioni, né lo riteneva indispensabile. Al ragazzo sarebbe bastato guardarla in viso per accorgersi della sua sincerità, ora che la maggior parte dell'agitazione si era acquietata.
Il Grifondoro aveva appena proposto di ordinare, quando vennero raggiunti da una cameriera. A giudicare dal viso giovane doveva essere anche lei una studentessa, come parve confermare il fatto che conoscesse l'altro. Pur non conoscendola, Jolene le rivolse un sorriso gentile, prima di aprire uno dei menù che aveva portato loro. «Vi siete davvero rinnovati alla grande» commentò con una punta di stupore nello scorgere le prime pietanze. Inutile dirlo, la sua attenzione cadde innanzitutto sulla scelta di tè, più ricca e interessante che mai. «Vorrei ordinare tutto» confessò con una risata, rivolta ad entrambi i ragazzi. Un bel locale specializzato in tè pregiati era, per Jolene, l'equivalente di un negozio di caramelle per un marmocchio, ovvero l'incarnazione di ogni possibile felicità terrena. Normalmente, dunque, avrebbe impiegato un tempo indecoroso a scegliere. Visti gli effetti speciali di ogni infuso, però, contò che uno solo potesse fare al caso suo, nella particolare situazione in cui si trovava. Per non parlare dei dolci: una torta che le istigasse odio verso tutto e tutti non era propriamente indicata per un'intervista che sarebbe stata resa pubblica a livello nazionale, probabilmente. Una che la facesse infatuare di chiunque intorno a lei, poi, avrebbe aperto la strada a scenari così imbarazzanti che non poteva nemmeno pensarci senza sentirsi male. In tutto non le ci volle poi molto, se nel frattempo si fosse instaurata una conversazione tra i due ragazzi avrebbe atteso pazientemente di poter ordinare.
«Un tè di Re Artù per me, per piacere. Per accompagnare dei biscotti petali di cuore.» Anche se ormai era a suo agio, un po' di coraggio supplementare non avrebbe fatto del male a nessuno. Il grande punto interrogativo dell'intervista si approssimava in un'atmosfera di piacevole familiarità.


Prontissima per ordinare :fru:
Puoi andarci giù pesante con i biscotti, l'infatuazione numero diciassette non disdegna i dolci :ihih:
 
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view post Posted on 14/7/2020, 11:52
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qvoRQgr
« Un sabato pomeriggio »
Aveva atteso quell'appuntamento con profonda, intensa partecipazione emotiva: aveva creduto fin dall'inizio che potesse essere un'idea preziosa, non soltanto per i lettori del Profeta e per l'impatto che quell'articolo avrebbe avuto nel mondo magico. Era più perché credeva fortemente nella testimonianza di una persona come Jolene White. Forse era ripetitivo, e non se ne dispiaceva più del dovuto, ma l'empatia era il valore più importante, il meno gettonato e il più di prestigio. Il ruolo di Infermiera di Hogwarts era la punta di spicco di quello che a tutti gli effetti già si presentava come un diamante; perché era lì, proprio ad un battito di ciglia, che si esprimeva la differenza sostanziale di un cuore buono, originale, vivo, dal resto di una monotonia quasi asfissiante. Da parte propria, Oliver poteva giurare di aver percepito in Jolene White qualcosa di ben più vibrante, qualcosa di singolare, che non aveva avuto modo di riscontrare in tanti altri. C'era una parte tutta al personale, non avrebbe potuto affatto nasconderlo, che ritrovava in quell'incontro il suo interesse primario, la sua stima, il suo affetto più sincero; ma c'era anche una parte più oggettiva, altrettanto inestimabile, che poneva quella stessa donna in risalto: era vero, prima di lei le mura del Castello di Hogwarts avevano accolto altri Infermieri, tutti encomiabili. Mr O'Sullivan, dal cognome impronunciabile, aveva saputo recuperare le redini di un luogo lasciato vacante, e per anni il suo operato aveva inseguito il vessillo della guarigione, nel migliore dei modi. Oliver aveva avuto modo di conoscere l'uomo, di essere curato dallo stesso in un paio di occasioni: se da un lato aveva riconosciuto efficienza nella maestria del mago, dall'altro lato ne aveva carpito una compostezza granitica, a tratti gelida, rigorosa, chirurgica. Il confine sottile tra il giusto operato, corretto per davvero nei riguardi del corpo, della mente, e di tutte le macchinazioni che l'Infermiere avrebbe dovuto ripristinare: si esprimeva tuttavia in parallelo la diffidenza verso la sfera più intima, più emotiva. C'era stata Madama Bastet, subito dopo, e fin dal suo primo passo tra le porte imponenti della fortezza scolastica, aveva trascinato con sé - come un velo - il fascino di una notte d'Oriente. Già il suo nome attingeva alle origini di terre mistiche, alessandrine, così lontane, e l'Egitto scivolava tra aneddoti continui che la giovane Strega snocciolava ai suoi pazienti - un po' per mettere a proprio agio, un po' per semplice, piacevole conversazione. Anche lui, Oliver, ne era stato assolutamente affascinato, e in quell'incastro arabesco aveva appena ricamato le sue preoccupazioni: Madama Bastet aveva saputo ascoltare anche il fremito del suo animo, e il suo consiglio si era reso necessario, e dolce, più di tanti altri prima di lei. Il tempo, purtroppo, non era stato misericordioso e poco dopo, sulla scena madre della propria rivelazione, Oliver si era visto abbandonato dalla donna: un nuovo percorso, un nuovo sentiero. Aveva rinnegato l'Infermeria per lungo andare, a quel punto. Filtri sognoleggero, pozioni alla rinfusa, boccette miracolose fai-da-te, perfino paste e decotti di erbe triturate, tutto quello aveva rappresentato la sua scelta principale, quando necessario, pur di evitare un salto in Infermeria. Quando era arrivata Jolene White, aveva tardato a lungo per farle visita. Una mano lesa, le nocche arrossate, vestite di sangue, e le ferite di schegge di vetro, neanche quello gli aveva permesso di affrettarsi verso le adeguate guarigioni; soltanto quando il dolore si era fatto insistente, e impossibile, si era spinto oltre. Mai avrebbe potuto credere di trovare in un'altra persona, in un'altra Infermiera, quello che aveva effettivamente vissuto con Jolene White. Compostezza, diligenza, accuratezza, le tre chiavi di svolta c'erano tutte, e sfumavano magistralmente nella parte più importante, ai suoi occhi: empatia, eleganza, gentilezza. Era lei, per davvero. Era lei quello che tutti avrebbero desiderato, lì al Castello. Il prosieguo si era tinto di rivelazione, e il Ballo delle Rose e delle Spine aveva saputo attecchire le radici più rigogliose. La riflessione, così lunga, tornava anche in quel momento per Oliver. L'intervista, lo sapeva, celava molto di più, sarebbe stata molto di più. Era evidente: Jolene White era molto di più.
«Questo incontro è per me un privilegio.» Commentò così, ripristinando ogni controllo, ogni equilibrio, ogni presente. All'ultimo battito di ciglia, le palpebre pizzicarono di una visione profonda, vivace, repentina. Era lì, il futuro di trame non scritte, e avrebbe potuto attingervi da un momento all'altro. Sentiva la brezza dell'aria, il cuore farsi leggero, l'estasi di una giornata estiva, e si chiedeva intimamente se dipendesse dall'altra o da lui, dal proprio tempo o da quello di Jolene. Sorrise, dolcemente. «Ora mi spiego il suo incubo con i bottoni. Ha detto di aver sognato di essere trasformato in un bottone, e poi in uno scarafaggio. Il problema, ma questo non glielo dirò mai, è che effettivamente qualcosa del genere sia accaduto. Al suo topo, non a lui, non lo permetterei.» Lasciò correre, il tono divertito. Avrebbe desiderato effettivamente saperne di più sulla storia dei bottoni, forse c'era per davvero un collegamento più insistente tra gli ultimi sogni del concasato e le sue paure. Di per sé, c'era stata di mezzo la trasfigurazione-scherzo da parte di Penny, altro Grifondoro, ma Timothy non aveva visto nulla. Probabilmente.
Quando un'altra voce familiare raggiunse anche lui, si volse di lato. Avrebbe potuto riconoscerla davvero ovunque, perfino ad occhi chiusi, perché l'affetto che provava per la ragazza appena arrivata superava di gran lunga ogni possibile, umano confine. Erano stati separati per tanto, troppo tempo, e ritrovarsi era stato bellissimo. La combinazione tra la concasata e Madama Piediburro, tra l'altro, sembrava essere l'ultima tra le infinite sorprese che Oliver più apprezzava. «Mary, è meraviglioso ritrovarti qui.» Parlò con sincerità, inseguendo gentilmente il volto dell'amica. Quando batté le palpebre, le iridi smeraldo del Caposcuola si tinsero di una vivacità ancor più improvvisa, una scintilla passeggera. Gli parve di percepire il sapore dell'Idromele a fior di labbra e quando vi passò la lingua, ne assaporò imprevedibilmente quello più ricercato, più inusuale, più fuorviante del sangue. Una sensazione fulminea, che lasciò una serie di riflessioni in disparte, tra i propri pensieri. C'era qualcosa che avrebbe voluto studiare, qualcosa che avrebbe potuto svelare, e vivere pienamente. Invece, sorrise. «Ti ringrazio, e ricambio con sincerità. La cornice di Piediburro, poi, ti rende grazia.» Un occhiolino, e via verso l'ordinazione. Avrebbe voluto trattenersi ancora, ma ci sarebbe stata un'altra occasione.
«Per me un Milkshake del Ghiro, per iniziare. Probabilmente ti chiamerò ancora, vorrei assaggiare tutto del menu.» Tornò su Jolene. «Abbiamo parlato sulla Gazzetta del Profeta proprio della revisione di Piediburro, e della collezione di tazze incantate. Davvero un successo, mi piace.»
Non aggiunse di voler portare in dormitorio tutte le tazze di quel locale, ma si ripromise di chiederne di più, in seguito. Concluse così, con un altro sorriso verso Mary. «Credo ordineremo altro, io di sicuro vorrò provare il Cremotto. Se non è un disturbo, potrei passare al bancone alla fine e pagare tutto. Mi farebbe piacere ritrovare te, Mary, se resti ancora di turno.»
Ad accordi presi, Oliver ringraziò ancora una volta. Si affrettò a voltarsi verso Jolene non appena da soli. «Offro io, e non si discute. Per favore.»
C'era gentilezza nella sua voce, ed anche una punta di serietà. Ci teneva molto, era il minimo per la gratitudine di quell'incontro. In attesa che le ordinazioni arrivassero, ne approfittò per sistemarsi di nuovo in modo composto; recuperò alcune cose dalla borsa a tracolla, ai piedi della sedia: un blocchetto di pergamene chiuso da anelli in ferro, una boccetta d'inchiostro e una piuma lunga, brillante nelle tempere del blu oltremarino e nella sottile striatura bianca al centro esatto. Quando la bacchetta scivolò tra le dita, Oliver colpì con la stessa la piuma sul tavolino e di scatto si animò, sospendendosi a mezz'aria e girandosi su di sé verso Jolene; la punta d'Abete ticchettò infine sul primo foglio immacolato, dopo che Oliver riuscì a staccarlo dal blocchetto. Una serie di parole e frasi, di termini di accordo, si stagliarono nere su bianco, in bella vista: in superficie, a chiare lettere, il nome di Jolene White, e la dicitura Modulo di consenso, seguita da tutta una serie di diritti. Non era troppo lungo, e alla fine attendeva di essere firmato in uno spazio libero. Oliver riprese velocemente. «Avrei bisogno di una tua firma per il consenso all'intervista, a fine pagina. Nulla di che, esprimi in questo modo il tuo benestare nel rilasciare informazioni personali, opinioni, pensieri, e così via. Hai la mia parola che non pubblicheremo nulla che vada contro i tuoi interessi e desideri. Se per te non è un problema, vorrei usare inoltre una piuma prendi-appunti. Sarà indiscreta, lo assicuro. Permetterà di procedere nell'intervista come una piacevole conversazione, senza il peso di pause forzate, e sarà mia cura ricamare gli appunti al momento della stesura.»
Quella era sempre la parte che più odiava, durante l'intervista. Il consenso appariva più traumatico di quanto in realtà non fosse, e spesso poteva fuorviare un'armonia appena creatasi. Sorrise, così per stemperare qualsiasi cenno di tensione, e concluse con un tono altrettanto pacato.
«Dopodiché possiamo iniziare, e già non vedo l'ora.»


La riflessione iniziale è un flusso di coscienza che non so perché mi abbia condizionato, scusate :ihih: Mary, passo alla fine con tante belle cose ♡
 
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Mary
Grenger
«Shit, I'm in love»

► Mood: innamoratax2 ► Età: 17 ► Ruolo: studentessa ► Outfit: click

Con il senno di poi la decisione di prendere un turno extra di sabato non fu totalmente sbagliata. Oltre all’ovvio guadagno economico che ne traeva, Mary poté essere felice di aver rivisto innanzitutto Oliver, poi aver aggiunto un’altra infatuazione alla sua già lunga lista.
*Forse dovrei segnarmeli.*
Avrebbe successivamente pensato.
Mary non riuscì ad evitare di muovere nervosamente le mani dietro la sua schiena. Quel gesto nascosto le permetteva, fortunatamente, di presentare una facciata neutra. Quando la donna le indirizzò un sorriso Mary temette di svenire proprio lì, in mezzo al locale. La sua fortuna fu vederla aprire uno dei menu che la grifondoro aveva lasciato pochi secondi prima e di conseguenza spostare lo sguardo.
La seconda frase le strappò una piccola risata.
Sapere che la gente apprezzava ancora di più il locale era per lei motivo di orgoglio. Ogni volta che qualcuno lasciava un feedback positivo Mary lo andava a dire di corsa alla proprietaria. Vedere quella donna felice era una gioia anche per lei.
Sì, devo dire che ci siamo dati da fare molto, soprattutto la proprietaria che ha passato diverse notti ad escogitare nuovi nomi. Ne andiamo molto fieri.
Se avesse potuto, avrebbe continuato a parlare per ore. Era in trepidazione e per fortuna parlare di qualcosa di così caro la distrasse dall’ansia.
Abbiamo aggiunto anche delle pietanze salate, se vi va.
Lasciò che il suo commento cadesse nell’aria e cercò di essere il meno invasiva possibile. Lei, in prima persona, non amava molto ricevere consigli su cosa ordinare o meno. Adorava analizzare i menu, vedere le associazioni tra i nomi e gli ingredienti effettivi, le combinazioni. Lasciò scivolare lo sguardo dalla donna ad Oliver e si sentì d’un tratto più rilassata. Si ritrovò a copiare il sorriso del suo caposcuola in un attimo. Solo la presenza del concasato sembrava riuscire, stranamente, a calmarla. Smise di muovere le mani.
«Ti ringrazio, e ricambio con sincerità. La cornice di Piediburro, poi, ti rende grazia.»
La frase e l’occhiolino successivo fecero arrossire leggermente Mary. Un rossore che, va detto, da quando si era avvicinata a quel tavolo non l’aveva mai abbandonata. Abbassò leggermente lo sguardo e pronunciò un quasi inaudibile grazie.
Fu felice quando l’argomento si spostò nuovamente sul locale ed il nuovo menu.
Sì, devo dire che quell’articolo ha attirato molta gente e le tazze, ah Oliver, sono bellissime!
Non riuscì infine a trattenere l’eccitazione, ormai accumulatasi sin dal primo complimento al locale. L’esaltazione fu così tanta che Mary si alzò per un secondo in punta di piedi.
Accennò di sì con la testa quando ricevette l’ordinazione del ragazzo. Quando infine Oliver le disse che sarebbe passato successivamente da lei, una serie di scenari le si presentarono in testa. Proprio in quell’istante Dakota, la sua collega, le passò dietro sussurrandole di doversi occupare del tavolo numero 2 e, contemporaneamente, le diede una piccola pacca sul fondoschiena. Il respiro della collega sul collo la destò dal suo momentaneo silenzio.
Assolutamente sì Olly, magari ci andiamo a mangiare un boccone qui vicino, no?
*Olly? OLLY? Riprenditi.*
Lasciò fuoriuscire un leggero sospiro. Era stanca di avere a che fare con sé stessa.
Con permesso, torno subito da voi.
Recuperò uno dei due menu lasciando l’altro sul tavolo per eventuali future ordinazioni, e si allontanò. Si apprestò a servire il tavolo numero 2 come le era stato richiesto. Raccolte tutte le ordinazioni andò a preparare il tutto. Il suo cervello continuava a muovere scenari improponibili nella sua testa che riuscì a scacciare via solo quando si trovò alle prese con la preparazione del tè. Posizionò con attenzione i vari biscotti nel piatto, si accertò che il milk-shake di Oliver fosse assolutamente perfetto, posizionò tutto su un vassoio e si diresse al tavolo con estrema cautela. L’ultima cosa che voleva fare era far cadere tutto quel ben di dio, oltre che la inevitabile figura di… Beh sì, insomma.
Eccomi.
Annunciò la sua presenza e poi appoggiò con delicatezza il vassoio sul tavolo. Con entrambe le mani portò il tè davanti la ragazza.
Re Artù per te.
Alzò un secondo lo sguardo e se ne pentì subito.
Oliver, ecco il tuo milkshake e ah-
Lasciò il bicchiere freddo davanti al ragazzo e poi ne lasciò un altro contenente il dolce che il grifondoro le aveva chiesto.
Abbiamo avuto dei problemi con la scorta di pistacchio e questo è l’ultimo cremotto che siamo riusciti a produrre oggi. Te l’ho portato prima che lo chiedesse qualcun altro.
Concluse infine abbassando lo sguardo verso il piatto di biscotti che mise in mezzo al tavolo. Il piatto conteneva non solo i petali di cuore ordinati dalla donna ma anche alcune ali di cupido che Mary aveva deciso di offrire ai due. Ritirò il vassoio portandolo sotto al braccio destro.
Ho aggiunto delle ali di cupido offerte dalla casa. Ed ecco tutto, grazie mille per le vostre ordinazioni. Se avete bisogno di altro sono a vostra completa disposizione.
Alternò lo sguardo sui due ragazzi per essere sicura che fosse tutto in ordine. Appena ricevuto un cenno si sarebbe allontanata e forse sarebbe anche tornata a respirare.




Vi lascio alle vostre faccende, per qualsiasi cosa sono a vostra disposizione cari.
Aggiornerò alla fine i conti, intanto come promemoria per me stessa, Oliver paga:
1xTè di Re Artù = 10 falci
1xMilkshake del Ghiro = 10 falci
12xPetali di Cuore = 12 falci
1xCremotto Lancillotto = 6 falci
Totale = 2 galeone e 4 falci.

Mary paga: Ali di Cupidox6 = 6 falci.


Edited by »Mary« - 14/7/2020, 19:34
 
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view post Posted on 20/7/2020, 17:22
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Il sorriso divertito di Jolene si addolciva delle note della malinconia, mentre ascoltava delle prodezze Trasfigurative di Oliver e dei suoi compagni. La sua era una natura che guardava spesso al passato, e trascorrere le giornate nello stesso ambiente che l'aveva vista crescere apriva innumerevoli finestre da cui contemplare i suoi anni da studentessa. In quel momento si rese conto che, tra gli innumerevoli aspetti che le mancavano di quel periodo – attardarsi in Sala Comune la notte, le gite a Hogsmeade attese con un'impazienza che ne raddoppiava il valore, tanto per dirne un paio –, doveva contare anche le esercitazioni di gruppo. Qualcosa andava sempre storto, in quelle occasioni, ma per lo più ne nascevano grosse risate.
«Non avete avuto tempo di annoiarvi, durante le esercitazioni» commentò quindi, chiaramente divertita. Dopo una breve pausa, però, il tono mutò sensibilmente, rivelando una punta di apprensione: «Il topo poi l'avete fatto tornare normale, no?» Lei, inutile dirlo, non aveva mancato di far riprendere le proprie sembianze alle povere chiocciole. Era stata sua premura assicurarsi che potessero tornare nel giardino della scuola, a pascolare felicemente.
L'arrivo della cameriera – oltre ai menù che quella si portava appresso – riuscì nel compito irragionevolmente arduo di distrarre i pensieri di Jolene da topi, bottoni e lumachine di sorta. Era bello vedere che condividevano tutti e tre lo stesso entusiasmo di fronte ad una piccola novità come poteva essere il rinnovamento del locale. Quanto alle tazze, naturalmente, Jolene aveva già deciso che completare la collezione fosse una questione di principio.
Poi la ragazza li lasciò per andare a preparare le loro ordinazioni. Jolene aveva appena fatto scivolare da una parte il menù rimasto, così che non intralciasse quando i dolci fossero arrivati, che Oliver insistette per offrire lui. Jolene, che ancora non aveva imparato con precisione come si dovesse rispondere in simili circostanze, accettò con un «Che gentile, grazie», prima che la sua attenzione venisse interamente rivolta ai preparativi per l'intervista. Guardò Oliver estrarre dalla propria borsa penna e foglio, e con un piccolo ritorno di agitazione si rese conto che le prime domande sarebbero arrivate tra poco. Rimase sorpresa nell'apprendere del Modulo di consenso: a ben pensarci era ovvio che dovesse esserci qualcosa del genere, ma non lo aveva minimamente preso in considerazione. La verità era che, malgrado il posto appena guadagnato come giornalista freelance, Jolene non aveva poi così tanto idea di come funzionasse quel mondo. Vi si era buttata ingenuamente, rispondendo al semplice desiderio di parlare di una sua passione a quante più persone possibile: tutta la sua preparazione erano le letture di una vita e la conoscenza dello stile giornalistico che le veniva dall'aver sempre avuto quotidiani che giravano per casa. Tra sé e sé si intimò di porre attenzione a tutto, caso mai in futuro si fosse trovata nei panni dell'intervistatrice.
Si avvicinò dunque il modulo, osservandolo con curiosità mentre Oliver le spiegava meglio di che cosa si trattasse. Di tanto in tanto annuiva. Interessante, quindi è così che funziona. Fece correre lo sguardo sulle diverse voci del modulo. Il suo volto aveva assunto l'espressione intenta di quando cercava di imparare qualcosa di nuovo, solo in seguito si rese conto che Oliver avrebbe potuto interpretarla come diffidenza. Si affrettò dunque a sorridere, staccando gli occhi dal foglio per tornare sul ragazzo. «Modulo e penna incantata. Certo, va benissimo.»
Allungò la mano verso la piuma, così da poter firmare, ma proprio allora ritornò Mary con le loro ordinazioni. Jolene si tenne il foglio sulle ginocchia mentre la ragazza posava ogni cosa sul tavolino. «Grazie.» Era piacevolmente colpita dalla premura e dalla gentilezza della giovane, e si chiedeva quanta parte fosse dovuta alla semplice professionalità e quanta, invece, al buon rapporto che aveva intuito esserci tra lei e il Grifondoro. A quel punto Jolene non si stupiva della capacità di Oliver di circondarsi di persone affezionate, perché ne aveva già avuto una buona dimostrazione durante la sua festa di compleanno. Cercò di ricordarsi se tra i numerosi invitati fosse presente anche Mary, ma le sembrava di no.
Ad ogni modo, quando la ragazza li ebbe lasciati un'altra volta, Jolene riuscì a ricavare un piccolo spazio libero, tra tazze e piattini, dove firmare il modulo. Esitò un unico istante ancora, il tempo necessario per convincersi a parlare: «Ti dirò, prima ero un po' nervosa all'idea dell'intervista. Insomma, non ho mai fatto nulla del genere, e scrivere per il Profeta in qualche modo non mi dà la stessa idea di... Di essere esposta con la mia identità personale, diciamo». Era il cibo che l'aveva resa così loquace tutto d'un tratto? Un po', ma per la maggior parte ci teneva a sgravarsi di quei pensieri prima di entrare davvero nel vivo della faccenda. «Ma sono felice che sia tu ad occupartene.» Concluse così, con un sorriso fugace prima di chinarsi per apporre la firma. Riempì quindi l'apposito spazio con le lettere svolazzanti del suo nome, appena un po' incerte a causa della necessità di non colpire con il gomito il tè alla sua destra. Quando ebbe fatto passò modulo e piuma ad Oliver: «Ecco».
Già che aveva le zampe allungate sopra al tavolo, ne approfittò per acchiappare un biscotto al ritorno. Aveva un sapore delizioso di burro, zucchero e fiori, e fece spandere intorno al tavolo un piacevole profumo di glicine, tanto da dare a Jolene l'impressione di trovarsi non in un locale al chiuso, ma in un giardino fiorito. Insomma, era definitivamente a suo agio.
 
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« Un sabato pomeriggio »
Delicata, l'essenza del miele bagnò la bocca e portò con sé il dono di trame mai scritte. Una nota distinta, dapprima così acre e l'attimo successivo infinitamente dolce. Non fu chiaro, non subito, se si trattasse di un profumo sospeso nella saletta da tè, lì da Madama Piediburro, oppure se anticipasse qualcosa di più profondo. Nella semplicità di un assaggio tanto di gusto, il Chiromante ne percepiva l'intensità di una rivelazione in corso. Il miele tornava a far visita a tutti i suoi sensi, al completo, e risvegliava la Vista in un invito speziato; non era la prima volta per Oliver, le ultime visioni si erano rese più tangibili, più vivide, più vicine: sentiva il miele scendere dalle labbra rosee alla lingua, si stagliava come una storia da raccontare, una storia che non aveva avuto inizio né fine. Una storia che poteva appartenere a chiunque, in quel locale: da Mary a Jolene, da lui al futuro del più ignoto tra i clienti. Sorrise, genuinamente. Il miele non poteva avere un prosieguo incauto, non poteva essere un messaggio infausto - non per lui, Oliver ne era convinto. Si lasciò cullare dalle parole di Mary, dal suo commento sulla rivisitazione tanto del menù quanto della saletta. Conosceva perfettamente le tazze cui entrambi avevano accennato, aveva insistito proprio di persona per un articolo al riguardo da mandare in stampa tra le prime pagine. Così era stato, e il successo portato dalla piuma di Ariel Vinstav, e del Profeta in generale, aveva rappresentato una garanzia per l'intera saletta e la sua migliore pubblicità. Aveva colto l'occasione per farvi visita e scoprire che Mary Grenger vi lavorasse non poteva che rendere tutto ancor più bello. Non ricordava quando fosse stata l'ultima volta in cui avevano avuto modo di stare insieme: al di là degli incontri sporadici in Sala Comune, tra i corridoi del Castello o agli allenamenti sul Campo da Quidditch, non c'era stato molto altro. Se da un lato il Caposcuola era stato felicissimo di ritrovare Mary così da vicino, dall'altro la consapevolezza di non essere stato presente come da suo desiderio era un prezzo con il quale non aveva fatto ancora i conti. All'invito per un boccone fuori, colse la palla al balzo e annuì con l'espressione sicura di chi non avrebbe lasciato correre. Non era una frase di circostanza, non per lui, e si ripromise di scriverle un invito il prima possibile. «Sarebbe davvero un piacere.» Commentò così, mentre il gusto del miele scivolava mellifluo sul labbro inferiore, di nuovo. Anche quando la Grifondoro andò via per le ordinazioni, in cuor suo Oliver indugiò sul significato di quelle velate percezioni. Nulla di consistente, nulla che avrebbe potuto distrarlo dall'intervista che avrebbe condotto, ma in quelle sensazioni si celava un mistero che attingeva al suo istinto più forte. Riprese il discorso con Jolene.
«Il topolino è tornato normale, alla fine.» Un occhiolino, l'espressione buffa di chi nascondeva qualcosa. «Prima ha provato l'ebbrezza di essere un procione, e intendo procione vero e proprio.» Le battute d'esordio servivano soprattutto a stemperare la tensione di un incontro simile, ma in tutta sincerità Oliver si sentiva a suo agio. Apprezzava la compagnia di Jolene White, era evidente, e mentre la Strega firmava l'autorizzazione sulla pergamena, Oliver si ritrovò sospeso nel tempo - un ricordo, passeggero, fece capolino con la dolcezza con cui si era reso fertile fino alla fine. Un altro tavolino, un altro locale, un altro volto che vedeva di fronte: affascinante come poche altre al mondo, Celestina Warbeck traboccava di gioia. Una domanda dopo l'altra, l'intervista si trasformava in piacevole, comune conversazione. Il paragone rese il Giornalista più contento di quanto già non fosse e all'arrivo delle ordinazione, le parole di Mary rappresentarono per lui il colpo di grazia. Il cuore si sciolse lentamente, man mano che scopriva la gentilezza della concasata: oltre le Ali di Cupido in omaggio - per le quali Oliver andava matto -, la concasata aveva avuto l'accortezza di portare l'ultimo Cremotto per lui. L'ultima scorta di pistacchio, prima che finisse, scintillava smeraldina sulla crema pasticcera che aveva scelto. Lo sguardo che rivolse alla Grifondoro coglieva quella luce di benessere, di rispetto e di affetto che troppo spesso si era spenta sul viso del Caposcuola. Un cenno del capo, un sorriso, e un ringraziamento sincero.
«Sei sempre meravigliosa, Mary.» La osservò andare via, con quel tremito di nostalgia e dolcezza al petto. Avrebbe recuperato il tempo perso con lei, l'avrebbe fatto. Quel pomeriggio, però, era tutto per Jolene White. Con tè, tazze, milkshake e pasticcini vari sul tavolino, potevano ufficialmente iniziare. La scelta della postazione nel locale favoriva l'adeguata atmosfera e nessuno avrebbe potuto sentire così distintamente le loro parole. La piuma prendiappunti scivolò via fino a stabilirsi al fianco di Oliver, il blocchetto di pergamene immacolate si sollevò di pochissimi centimetri - l'inclinazione perfetta per non essere letto dall'osservatrice, le parole che avrebbe trascritto la piuma non avrebbero dovuto condizionare in alcun modo l'interessata. Era tutto un gioco di affabilità. Oliver iniziò con semplicità, il tono dalle sfumature calde.
«Sono felice anch'io di occuparmene.» Sincero, batté le palpebre più lentamente, sistemandosi meglio sullo schienale della sedia. «Jolene White, la Strega che ha conquistato il Castello di Hogwarts. Affascinante, incantevole, empatica, è il punto di riferimento di tanti studenti, di tutti noi. Al giorno d'oggi il ruolo che rivesti non è semplice, gli adolescenti sono cambiati, i loro atteggiamenti sono cambiati. Ecco, Jolene.» Insolita, la domanda successiva poté districarsi da ogni pronostico, da ogni aspettativa. «Se avessi la possibilità di viaggiare nel tempo, quale epoca visiteresti? Il tempo e lo spazio a tua disposizione, dove e quando andresti?»
Qual era il punto? Uno scherzo di poco conto, una curiosità tutta al personale oppure c'era altro sottinteso? Oliver non sembrava affatto fuori strada, il suo sguardo brillava di un interesse pieno, completo, tutto per la strega che gli sedeva di fronte. La piuma, vibrante, si bagnava di una goccia di inchiostro.
Era pronta, erano tutti pronti.
 
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view post Posted on 27/9/2020, 17:28
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Una volta chiarito che il topolino da compagnia di Timothy era sano e salvo nella sua pelle di sempre, non sussistevano più ansie o preoccupazioni che potessero sabotare la completa concentrazione di Jolene sull'intervista. Gli ultimi, piccoli gesti prima delle domande vennero consumati nell'inebriante profumo del glicine: la piuma sollevata contro il foglio ben saldo tra le mani dalla parte di Oliver, un leggero protendersi in avanti da parte della rossa, che sanciva così la chiusura di quel piccolo spazio ad uno scopo ben preciso. Qualsiasi stimolo esterno venne relegato a sottofondo: il brusio indistinto degli altri avventori, le voci più squillanti delle cameriere, gli allegri tintinnii della porcellana si fusero in un'unica massa priva di interesse per le orecchie di Jolene. Per essere una persona che amava spaziare con i pensieri, la ragazza era anche in grado, per contro, di dedicare la propria attenzione ad un unico intento fin quasi alla totalità. L'occasione era così nuova, e la sua importanza tanto sentita, che Jolene si dimenticò perfino di sorseggiare il suo tè, che rimase intatto mentre Oliver cominciava a parlare. Sentirsi descrivere in simili termini portò un velo di colore sulle guance dell'infermiera: era abituata ad un'intesa tacita tra lei e gli altri abitanti del castello, tale per cui il ruolo di ciascuno veniva valutato e apprezzato senza sperperi di complimenti. Abituata com'era a mettersi in discussione con frequenza, non avrebbe dipinto la propria immagine in tinte così lusinghiere. A quel punto le dita corsero alla tazza di tè, ma ancora non la sollevarono alle labbra: al contrario, Jolene prese a giocare intorno al bordo della ceramica, assaporandone il calore sui polpastrelli, trovando in quel piccolo gesto la distrazione necessaria al suo corpo per lasciare la mente libera di concentrarsi.
La prima domanda arrivò criptica, apparentemente priva di appigli a quello che era il focus dell'intervista. Costò a Jolene qualche momento di silenzio, in cui tentò di darle un senso. La sua prima ipotesi fu che si trattasse di un collegamento con la Scuola di Atene, il famigerato club di storia di Peverell. Jolene non ne sapeva molto, a dire la verità, ma come abitante di Hogwarts, e come personale medico in particolare, aveva avuto modo di carpire alcune informazioni a riguardo. Durante gli incontri gli studenti rivivevano in qualche modo avvenimenti storici che – questa la parte essenziale per lei – li riducevano a carcasse piene di lividi, ustioni e un'altra fantasiosa varietà di traumi più o meno gravi. Le opinioni di Jolene al riguardo erano contrastanti, in quanto non riusciva ancora ad accettare pienamente il pericolo corso dagli studenti senza che – a suo avviso – ve ne fosse una vera ragione. Trovava curioso il modo che Oliver aveva scelto per arrivare alla questione, e gli istanti successivi vennero dedicati a ponderare la risposta vera e propria.
«Vediamo» azzardò, nel momento in cui si rese conto che il suo silenzio si stava protraendo un po' troppo. «È una domanda classica, non è vero? Eppure la mia risposta cambia ogni volta.» Il suo sguardo ebbe un momento d'incertezza, in cui saettò velocemente verso la piuma: stava già registrando le sue parole, ancora tanto sconclusionate? Aveva il presentimento che Oliver avrebbe avuto un bel da fare ad estrapolare solo le parti più essenziali dei suoi discorsi.
«La storia mi ha sempre affascinata. Non tanto per gli avvenimenti in sé, ma per ciò che rivelano della mentalità dominante nei diversi periodi.» Era sua convinzione che grandissima parte di ciò che ognuno considera la propria identità – quindi strettamente personale, una proprietà indiscussa – era in realtà il prodotto di determinate condizioni culturali e sociali. Più realtà si conoscevano, anche andando a scavare nei tempi passati, maggiore era il ventaglio di possibilità a propria disposizione: era lo stesso motivo per cui amava tanto lo studio quanto le storie di fantasia, che a modo proprio aggiungevano libertà all'espressione di sé. «Un momento della storia che trovo particolarmente d'ispirazione sono senza dubbio gli anni sessanta del secolo scorso.» Avrebbe potuto approfittare dell'ipotetica libertà per esplorare i tempi più lontani, eppure non c'era, per Jolene, secolo di maggiore interesse del '900. I maghi vivevano la storia diversamente dai Babbani, su di loro la modernità non aveva mai davvero avuto un forte impatto; tuttavia Jolene, in quanto figlia di un Babbano e di una Strega appassionata anche a quell'altra faccia dell'umanità, aveva ricevuto un'istruzione anche su avvenimenti più recenti, arrivando ad apprezzare soprattutto quei momenti cruciali per la formazione della coscienza odierna.
«Con tutte le problematiche che sicuramente c'erano, trovo stimolante la vitalità di quel periodo. C'era la necessità di cambiamenti, lo si sentiva, e si agiva di conseguenza. Penso che la devozione a degli ideali sia ammirevole, così come allontanarsi da un mondo invecchiato, inadeguato ad un nuovo modo di sentire. Per parlare degli studenti, loro per primi erano carichi di quell'energia che li portava a muoversi, ad agire, anche disordinatamente, perché in fondo era l'unico modo possibile per cercare di prendere in mano una situazione ormai insopportabile. Quindi, ecco, se potessi spostarmi nel tempo e nello spazio, vorrei vivere quegli anni in uno qualunque dei centri europei o statunitensi che erano più coinvolti.»
A termine di tale riflessione, Jolene prese un sorso di tè per lenire la gola che cominciava a sentire secca. La miscela aveva un gusto forte e pungente che le regalò istantaneamente una scarica di energia che si andò ad aggiungere al fervore nato dalla sua prima risposta. Iniziate con la sua consueta flemma, le parole avevano infine preso a rincorrersi con maggiore urgenza, mantenendo acceso il rosa sulle guance lentigginose. Le succedeva così, quando cominciava ad inerpicarsi in discorsi sentiti che, tuttavia, era difficile esprimere al meglio a voce alta.

 
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view post Posted on 29/9/2020, 18:47
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« Un sabato pomeriggio »
Così l'intervista prendeva inizio, la prima domanda spezzava il ghiaccio, la prima occasione di ponderare ogni risposta apriva i battenti; forse, tra tutte, quella continuava ad essere la parte che Oliver più preferiva: così strettamente legato al tempo, ne individuava nel principio - in ogni principio, perfino quello di un incontro giornalistico - il punto di contatto, e quello di infinite possibilità a seguire. Un po' come assistere ad un incrocio, un vero e proprio dedalo di occasioni, di parole, di guide - lì si poneva il tassello d'esordio, e mai tradiva un ordine tanto rigido da rendere scontato ogni prosieguo. D'altra parte, quella non era la prima intervista che conduceva di persona, e l'esperienza da giornalista - seppur così giovane d'età - ne fomentava tutta una serie di aspettative, di riflessioni e di idee circa come poter procedere. Vedeva oltre, e vedeva in lungo e in largo. A differenza di tanti altri articoli, quello di una buona intervista necessitava in sé l'intreccio perfetto, e in quel lavoro Oliver trovava estremamente stimolante il momento del raccolto vero e proprio. Impossibile ignorare, tra l'altro, un interesse ancor più soggettivo nei riguardi della persona che gli sedeva di fronte: Jolene White era per lui quello che in molti non erano mai stati, e che altri mai sarebbero stati per davvero. Un privilegio che custodiva per sé, e per sé soltanto, per quello che la Strega aveva fatto per lui, e per quello - lo sentiva, lo percepiva fin sottopelle - che avrebbe fatto ancora, in futuro. Le parole che avrebbe scritto per lei, in suo onore, rappresentavano un omaggio che da lungo andare Oliver aveva deciso di compiere, e avrebbe fatto di tutto per renderlo il più poetico, vibrante possibile. A partire da quel giorno, a partire da quel tavolino - così le sorrise, attendendo senza fretta alcuna. Gli occhi gentili, l'espressione pure, Oliver si portò appena dietro, a sistemarsi di grazia sullo schienale della sedia occupata. Al commento di Jolene, non distolse l'attenzione dalla stessa. La piuma, di pari modo, si sospendeva attentamente, e tuttavia immobile. Non una sola goccia di inchiostro scivolò via dalla punta, e il blocchetto di pergamene sembrò altrettanto dormiente.
Più l'Infermiera di Hogwarts arricchiva la sua replica, più il Grifondoro si scopriva incuriosito; una parte di sé, fantasiosa, immaginò proprio Jolene White alle prese con il Libro della Storia del Preside Peverell; un viaggio indietro nel tempo, appena un secolo, e tutto quello che di sorprendente avrebbe rivelato. Sua nonna, ancor prima di sua madre, gli aveva raccontato di come gli anni sessanta avessero lasciato un segno così prezioso: la vivacità dei figli dei fiori, l'esplosione dei balli più ritmati, le malinconiche, frizzanti espressioni del vintage, e tanto altro. La corsa verso lo spazio, fino alla Luna, e tante pagine che, come ricordi mai vissuti, erano arrivate almeno in parte anche a lui. Il sorriso si impreziosì di una profonda condivisione. Si riallacciò all'ultima frase di Jolene.
«Di certo sarebbe meraviglioso visitare quell'epoca, proprio come dici.»
Le mani tornarono a ticchettare il milkshake, lì sul tavolo; non ne aveva assaggiato neanche un sorso, non ancora. «Se fossi nata lì, invece, come ti descriveresti? Ecco, se Jolene White abitasse gli anni sessanta, avrebbe seguito la carriera medica o avrebbe fatto altro? Una cantante, forse?»
Un occhiolino, divertito. «O un hippie, perché no.» Lasciò che il commento scherzoso facesse da apripista alla domanda successiva, quasi come semplice intercalare. «Hai parlato di studenti, di come manifestassero un'energia unica. Il cambiamento può mettere radici ovunque, anche ad Hogwarts. Al di là della tua risposta, secondo te il lavoro di un'Infermiera al Castello come sarebbe in quel secolo rispetto ad oggi? Cosa cambierebbe, in effetti.»

 
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view post Posted on 15/10/2020, 21:01
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Anche dopo il primo sorso della propria bevanda, Jolene continuò a tenere la tazza sollevata davanti a sé. Cercava sempre di avere qualcosa per le mani durante le lunghe conversazioni, e per di più le piaceva il profumo pungente del tè, che in questo modo poteva inalare ad ogni respiro. Non avrebbe saputo se fosse a causa delle particolarità dell'infuso o per il fatto di aver definitivamente rotto il ghiaccio, ma venne invasa da una scarica di rinnovata energia. Oliver si mostrava accomodante, anche di fronte al suo tergiversare non aveva mostrato impazienza alcuna – la sua espressione di amichevole gentilezza avrebbe potuto sciogliere la lingua a qualunque intervistato, pensò.
«Di certo sarebbe meraviglioso visitare quell'epoca, proprio come dici.»
L'intuito le diceva che dietro all'affermazione del ragazzo ci fosse più di una mera formula di cortesia, e a fronte di tale sensazione Jolene si scoprì curiosa di sapere quale sarebbe stata la sua, di risposta. Non erano nel mezzo di una normale conversazione, sapeva che da lei non ci si aspettava che ribaltasse le domande, tanto che alla fine scelse di non farlo. Si concentrò invece sulle nuove questioni che le venivano proposte: un nuovo sorso di tè la portò a parlare senza esitazioni e, anche se non si trattava esattamente dell'audacia promessa dal menù, si mostrò comunque più decisa del suo solito.
«Temo proprio che non avrei potuto essere la Celestina Warbeck di nessuna epoca storica, purtroppo.» Il sorriso obliquo sancì una breve pausa. Quando proseguì, aveva già abbandonato il tono scherzoso: «Penso che ci sarebbero state molte probabilità che intraprendessi la stessa carriera di adesso, però non ne ho la certezza assoluta. Per quanto ammiri quelle persone che sanno fin da giovanissime quale sarà la loro strada, non è stato il mio caso. Sono sempre stata facile all'entusiasmo per le cose nuove. Negli anni ho voluto essere scrittrice, avventuriera e regina delle fate». Si strinse nelle spalle, come a dire: ero quel tipo di bambina, prendevo queste cose piuttosto sul serio. Poteva ridere di quello che in fondo era un aneddoto di quelli che i parenti amano raccontare alle riunioni di famiglia tra l'ilarità generale, ma in qualche modo per lei rappresentava qualcosa di più. Le sembrava che gettasse una luce piuttosto chiara su tutta la sua infanzia, sulla mentalità slegata dal reale che l'aveva accompagnata per molto tempo. «Anche a scuola le mie materie preferite cambiavano ad ogni nuovo argomento interessante, e ho dovuto maturare parecchio prima di scegliere di diventare ciò che sono oggi. Non fraintendermi, amo ciò che faccio e penso che sia giusto per me. Però credo che in circostanze diverse avrei potuto scegliere qualcos'altro, e a maggior ragione in un altro periodo storico. In un contesto in cui le idee nuove avevano così tanto peso, ad esempio, ci sarebbe stato materiale a non finire per scrivere, ed ispirazioni per sperimentare anche in quello.» Per la verità non aveva mai del tutto rinunciato alla prospettiva di dedicarsi alla scrittura, un giorno; nell'esprimere una simile possibilità sentì il conforto di una strada ancora aperta, una tentazione viva nel presente come lo sarebbe stata, probabilmente, anche un secolo addietro.
Il secondo punto affrontato da Oliver le dette un po' di più da pensare; sarebbe stato difficile arrivare ad una conclusione certa, era convinta che gran parte delle sue considerazioni dipendesse soprattutto dalla sua sensibilità, che la portava a vivere il presente in un modo, a ricostruire il passato in un altro. Tuttavia Oliver le stava proponendo un bel ragionamento, in cui Jolene, da amante della speculazione, non attendeva che di lanciarsi a capofitto.
Hogwarts era un ambiente relativamente isolato: il suo coinvolgimento diretto, anche durante un secolo pieno di avvenimenti devastanti come il '900, era stato piuttosto limitato. In qualche modo doveva pur essersi guadagnata il titolo – discutibile, ma pur sempre fondato – di luogo più sicuro al mondo. A fronte di tale pensiero, quando Jolene riprese, disse: «Penso che sarebbe diversa soprattutto l'atmosfera, data dalla mentalità, dalle preoccupazioni, dalle idee di studenti e personale scolastico. Naturalmente, essendo Hogwarts prima di tutto una dimora per tutti quelli che ci abitano, questo cambierebbe moltissimo le carte in tavola, anche se a livello organizzativo non ci sarebbero poi grandi stravolgimenti rispetto ad oggi. Per quel che riguarda il mio lavoro, oltre alla competenza medica trovo che sia fondamentale saper creare un certo contatto con gli studenti. A nessuno piace dover rimanere ricoverato». Lo sapeva bene Oliver, cui un'occhiata di Jolene disse che la donna ricordava ancora il loro primo incontro, e la reticenza dello studente nel presentarsi in un ambiente ospedaliero. Non era l'unico ad avere quel timore. «A maggior ragione se non ci sono un ambiente accogliente e delle persone che sappiano ascoltarti. In un contesto come il '900 sarebbe ancora più importante, penso. Tra tante turbolenze, e scontenti, e tragedie, per rendere Hogwarts realmente sicura sarebbe necessaria una vera comunicazione con gli studenti, così da dare loro la giusta preparazione per il momento di uscire infine da lì. È un lavoro che spetta in gran parte agli insegnanti, ma, come ho detto prima, a Hogwarts si vive, non si studia soltanto. Ogni figura fa la propria parte. Anche l'infermiera, mi piace pensare.»

 
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view post Posted on 23/10/2020, 11:07
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« Un sabato pomeriggio »
C'era un'atmosfera piacevole tutto intorno: il sussurro di vecchi e nuovi incontri, le tenerezze di mani che si sfioravano appena, il delicato contatto di sguardi che si cercavano, che si ritrovavano, e che infine riuscivano a vedersi per davvero. Le coppiette di studenti realizzavano uno scorcio caratteristico: un tavolino di stile, bordini in pizzo, e le dolcissime note di miele, di latte, di cacao e di frutta candita; era come un profumo zuccherino, di quelli che invitavano a lasciarsi andare, a socchiudere gli occhi: una carezza leggera, fin sulla pelle e fin sulla bocca, mentre un benessere di rispetto ricamava l'ambiente. Madama Piediburro era il locale dei suoi sogni, lo era da sempre: la grazia che custodiva gelosamente, la raffinatezza dei dettagli, perfino la sua clientela abituale, tutto era un turbinio etereo, e dava il senso di sospendersi in un volo a mezz'aria - quando una delle cameriere si accingeva a portare un'ordinazione ai tavolini, perfino il suo passo sembrava chiamare a sé un soffio zefireo, di un vento tenue, di un vento gentile. Da parte propria, Oliver attingeva ad una tranquillità che non credeva di aver sperimentato neanche una volta negli ultimi mesi: ogni memoria riposava, al pari di ogni malinconia, di ogni sussulto. La voce di Jolene, così limpida, aveva la squisita capacità di attirare attenzione e desiderio, insieme, e in quel modo il suo volto era tutto per lei. Più le sue risposte sfumavano, l'una dopo l'altra, più per Oliver appariva nitida la certezza di aver colto nel segno: l'intervista si impreziosiva infatti di commenti, di particolarità, di cuciture che l'avrebbero resa di successo, e che avrebbero permesso a lui di compiere un lavoro certosino. Si scoprì tradito da un incanto intimo, fin troppo, e una parte di sé desiderò che l'altra continuasse a dialogare in eterno, senza più fermarsi. Ne era coinvolto, e sapeva di poter correre il rischio di esserne meno oggettivo: tuttavia, non una sola volta pensò di sottrarsene, e lasciò invece che altre trame zampillassero tra uno e più pensieri. Le parole di Jolene erano fertili, e tutto quello che avrebbe dovuto fare era rivelarsi germoglio nascente, a sua volta. Attese di nuovo la conclusione per intero, giunse alle pause talvolta con un cenno del capo, altre con un semplice sorriso: di lato, il blocchetto di pergamene scivolò appena ad incontrare la prima goccia d'inchiostro della piuma incantata; una frase d'esordio, e qualche altro appunto: il suono leggero della punta contro la carta sfumò via, velocissimo, e parve catturare esattamente quello che Oliver - lì di fianco - aveva voluto immortalare. La scrittura era una cerimonia silenziosa, e straordinariamente intima.
«Il tempo è ispiratore, così scrive Malécrit.» La mano destra si sollevò in un gesto casuale. «Un vecchio drammaturgo francese di cui sono appassionato. Comunque.» Comprendeva pienamente il discorso di Jolene, come ogni epoca fosse singolare rispetto all'altra - chi meglio di lui avrebbe potuto, si ritrovò a sottolineare. Il divenire favoriva il cambiamento, dai più piccoli ai più grandi dettagli, e difatti si trasformava come una rivoluzione che avrebbe potuto condizionare chiunque. La Scuola di Atene, esperienza di storia e di vita in prima linea, ne era stata in tal senso una conferma per lui; in più, si scoprì legato alla Strega lì di fronte in modo molto personale: l'entusiasmo per tutto quello che potesse essere nuovo riguardava profondamente anche lui, bastava contare il numero delle associazioni, club e istituzioni cui si era iscritto e per i quali continuava ad impegnarsi. Sorrise, riprendendo subito.
«Saresti stata una meravigliosa Regina delle Fate, e chissà... nulla dice che in futuro tu non possa ripristinare almeno in parte questo sogno.» Non c'era scherno, in lui. Una nota d'ironia, di quella genuina, si aggiungeva tuttavia ad una vera e propria condivisione. Erano desideri, quelli, che riusciva a vedere, che riusciva a sentire. Impercettibilmente, entrambe le palpebre superiori furono colte da un fremito passeggero: incastrata sulle iridi, l'immagine di una Creatura Fatata dipinta magistralmente sulla copertina di un libro si liberò come un ricordo, un ricordo che Oliver non credeva di avere. Il profumo del miele, di nuovo, bagnò le sue labbra, e riprese prima che potesse distrarsi.
«Hai nominato il desiderio di voler essere scrittrice. Ormai è un dato di fatto che i tuoi articoli alla Gazzetta del Profeta siano di successo, la rubrica letteraria non è mai stata così seguita. In che modo quel desiderio mai dimenticato ha trovato concretezza nel ruolo di giornalista freelance? Cosa ti ha lasciato o ti sta lasciando questa esperienza?»
Quello che aveva detto era tutto vero: da quando si era addentrato nelle dinamiche della Redazione del Profeta, aveva sperimentato e imparato a conoscere a sua volta i vantaggi, gli svantaggi, i successi e gli insuccessi di filoni giornalistici. Se il Quidditch attirava un certo primato, com'era ovvio che fosse in un paese come il loro, la letteratura magica riusciva a ribaltare la situazione: Oliver era convinto che non dipendesse soltanto dai contenuti - certo, chiunque apprezzava la possibilità di immedesimarsi nei racconti più coinvolgenti, anche solo per staccare dalla realtà circostante -, ma c'era di più. Jolene White, era lei la chiave di svolta: il suo stile poetico e quella vena romantica erano in grado di attirare grandi e piccini. La piuma si era cristallizzata, di nuovo, e Oliver ne approfittò per un primo sorso di milkshake. Velocissimo, il tempo di una pausa: il sapore fruttato si tinse di quello ancor più dolce delle bacche di vaniglia e del cioccolato bianco, e prima che venisse travolto dai ricordi della sua degenza - in riferimento alla domanda che si apprestava a compiere -, le lacrime di ghiro contenute nella bevanda sostennero il suo cuore turbato. Placato, non riuscì ad interpretare le sue sensazioni, e allontanò da sé il bicchiere per riprendere.
«Ad Hogwarts si vive.» Ripeté quanto detto da Jolene. La piuma tracciò una riga, di scatto: parve il becco di un rapace. « Sarò sincero, ho sempre avuto un timore inspiegabile per luoghi come ospedali e infermerie, penso che affondi nella consapevolezza di essere vulnerabili, una volta che si è lì. Curiosamente, è un timore condiviso da molti, coetanei o meno che siano. Ma l'empatia, Jolene.» Annuì, a risaltare l'ultima frase. « L'empatia è la dote che dovrebbero avere tutti coloro che lavorano in quel campo: come dici, saper ascoltare, saper avvicinarsi, avere pazienza, tutto è virtù. E noi ad Hogwarts siamo fortunati ad averti, in tutta sincerità non credo di aver mai conosciuto un'Infermiera migliore.»
Abbassò lo sguardo, le gote punte dalle fossette del suo sorriso più sincero. Stava parlando di sé, stava rivelandosi, e molti giornalisti avrebbero ritenuto quel commento non del tutto necessario ai fini dell'intervista. Ma lì, lì di fronte c'era più che una semplice intervistata, e Oliver l'aveva sempre saputo. Sollevò di nuovo gli occhi, e concluse. «Sarei curioso di scoprire i tuoi incontri più stravaganti con i primi pazienti che ti vengono in mente, o magari quelli che ti abbiano lasciato il segno maggiore. Al pari di Timothy e la sua trasfigurazione andata a male, raccontami qualche aneddoto simile.» Il milkshake tornò alla bocca, e via di un altro sorso. La piuma, maliziosa, si volse in una giravolta esattamente verso Jolene.
 
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view post Posted on 3/11/2020, 19:05
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Ora che, tacendo, aveva modo di ascoltare suoni diversi dalla propria voce, Jolene si rese conto della straordinaria discrezione con cui la penna di Oliver grattava ogni tanto sulla carta. Non sorprendeva, così, che fino a quel momento se ne fosse del tutto dimenticata; era strano, però, perché per un momento era stata convinta che vedere trascritte le proprie parole l'avrebbe distratta oltremodo, rendendola acutamente consapevole di ogni sillaba che lasciava la sua bocca. Rifletteva su questo aspetto mentre prendeva un altro biscotto dal piattino – rosa, questa volta, il profumo che più di tutti amava. Li avvolse nella sua essenza preferita, una carezza dolce e discreta tanto quanto la pozza di luce di cui si beava ora metà del loro tavolino mentre, all'esterno, una nube scivolava via a scoprire il sole.
«Ti piace il teatro?» chiese in tono casuale, rispondendo senza pensarci all'informazione lasciata cadere da Oliver. L'intervista sembrava abbastanza elastica, in fondo, ammorbidita da un coinvolgimento che trascendeva i semplici ruoli di giornalista e infermiera. Quei momenti erano anche un'occasione per chiacchierare a tu per tu col Grifondoro – non ve ne erano state molte, nel tempo.
La risata di Jolene si sovrappose per qualche secondo al chiacchiericcio del locale: un suono aereo che, per quanto non esattamente corrispondente a quello che ci si sarebbe aspettati da una regina delle fate, era comunque un buon inizio. «Ti terrò aggiornato sui miei progressi.»
Rilassò il viso, così che il sorriso giocoso di poco innanzi lasciò spazio ad un'espressione di calma attesa. Riprendendo frammenti delle sue precedenti risposte e spingendo per approfondire, Oliver toccò il tema della rubrica letteraria del Profeta, un progetto cui ultimamente Jolene aveva dedicato parte delle proprie energie e tutta la sua passione. «Mi sta dando molto, è un'opportunità per cui sono davvero grata.» Vibrava un'emozione sincera, in quelle poche parole d'esordio. Benché anche Oliver fosse coinvolto nella redazione del giornale – ben più profondamente di lei, perfino –, Jolene non aveva mai avuto l'occasione di discutere approfonditamente l'argomento insieme a lui. Così, quando riprese il discorso, non stava pensando ai lettori che si sarebbero trovati di fronte le pagine stampate con la sua intervista; la sua attenzione era tutta per la persona che in quel momento sedeva di fronte a lei, come nella più naturale delle conversazioni. «È la prima volta che ho la possibilità di parlare a così tante persone interessate alla letteratura. Normalmente dovevo tenere per me le mie riflessioni, gli appunti o i passaggi che mi segnavo ogni volta che leggevo un libro che mi accendeva le idee più degli altri. Negli articoli cerco di trasportare ciò che di più prezioso mi lascia una lettura. So che ti occupi della rubrica musicale, ho letto alcuni tuoi scritti, quindi sicuramente capisci che cosa intendo.» Seguì una pausa, durante la quale Jolene cercò conferma sul volto del Grifondoro. Musica o letteratura che fosse, non aveva importanza il campo di interesse quando quest'ultimo era così vivido, e l'entusiasmo che si accendeva negli appassionati era universale. Oliver le aveva fatto un regalo, menzionando il successo della rubrica letteraria: era la conferma di cui Jolene aveva bisogno, le diceva che c'erano orecchie disposte ad ascoltare ciò di cui lei amava parlare. «Naturalmente, non mi illudo. Scrivere di libri non è nemmeno lontanamente paragonabile allo scrivere un libro. Però... la ricerca delle parole, il piacere di trovare l'espressione migliore per trasmettere un'idea o un'emozione, ritrovo tutto questo quando scrivo gli articoli. Quando so di star leggendo qualcosa per poterlo raccontare ad altri, poi, mi ritrovo inevitabilmente a fare due volte attenzione, a fare davvero mia quell'esperienza. Sono incredibilmente affezionata a tutto quello di cui mi è capitato di scrivere.» Concluse con quella che suonava come una piccola confessione, cui mise un punto un nuovo sorso del suo tè tanto aromatizzato.
Venne il suo turno di ascoltare: accompagnò le affermazioni di Oliver dapprima annuendo – aveva centrato appieno il punto menzionando la paura viscerale di essere vulnerabili –, poi con un sorriso che nacque spontaneamente in un silenzio che confermava, piuttosto che smentire, quanto profondamente le facessero piacere le sue parole. Aveva avuto più volte modo di constatare la disarmante semplicità con cui Oliver faceva sentire apprezzato il proprio interlocutore, ma ancora riusciva a sorprenderla. Non conosceva nessuno che si sbilanciasse tanto apertamente, e lei stessa tendeva a mitigare le proprie espressioni, preferendo che alcuni messaggi passassero non detti. Era facile, allora, immaginare che il modo di essere del Grifondoro – la sua gentilezza fuori dal comune, unita alla capacità di farla percepire come sincera e spontanea – gli facesse guadagnare immediatamente la simpatia, e in seguito l'affetto, delle persone che incontrava.
Tornata a concentrarsi sulle domande che le venivano poste, Jolene si prese qualche momento per raccogliere i ricordi delle sue cure più stravaganti. Timothy e le sue corna di biancospino erano già entrati a pieno titolo nella lista, naturalmente, ed era in buona compagnia. «Una volta è venuta da me una studentessa che insisteva perché ritrasformassi un puntaspilli nel suo famiglio porcospino. Sembrava che un compagno lo avesse trasfigurato per dispetto. Mi ci sono volute due ore per convincerla che quello non era, e non era mai stato, altro che un puntaspilli. Ce lo siamo portate dietro per tutto il tempo quando abbiamo cominciato a setacciare il castello per ritrovare il vero animaletto. Alla fine abbiamo scoperto che quello era sempre rimasto tranquillo per i fatti suoi, si stava facendo una passeggiata in cortile.» Tralasciò volutamente il racconto delle coccole lacrimose che la studentessa aveva riservato al puntaspilli per tutto il tempo delle ricerche, tra mormorii di il mio piccolo Ricky e ti vorrò bene anche così.
«Un'altra volta, invece, uno studente aveva ingerito per sbaglio della puzzalinfa.» Ebbe un fremito involontario di leggero disgusto al pensiero di sentire non solo l'odore, ma addirittura il sapore di quella sostanza orribile. «L'ho dovuto tenere in isolamento per una settimana intera. È stato terribile, poverino, nessuno non ha nemmeno voluto entrare nella stanza che gli avevo preparato. Gli amici gli passavano i bigliettini da sotto la porta chiusa.»
Indugiò qualche secondo, incerta se dare voce al pensiero che le aveva attraversato la mente. Alla fine, si decise a dire: «Questi sono i casi più tranquilli, ad ogni modo. Anche per il ragazzo della puzzalinfa, alla fine era più un inconveniente che un vero e proprio problema di salute». C'erano stati, sottintendeva la sua affermazione, casi ben più gravi di cui non avrebbe potuto parlare con altrettanta leggerezza.
 
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view post Posted on 15/12/2021, 18:23
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« Un sabato pomeriggio »
Il gusto del miele e del latte si tinse di una goccia di malinconia, catturando in un sorso del milkshake la concretezza delle lacrime di ghiro. Più l'intervista incedeva in domande, risposte e commenti altrettanto preziosi, più Oliver ne restava affascinato: in verità, e non impiegò troppo per afferrarlo, tutto dipendeva dalla persona che sedeva al tavolino con lui. Il modo in cui conducevano la conversazione – insieme, gradualmente – trasmetteva una sintonia che non aveva confronto; seguivano delicatamente un passaggio all'altro, un collegamento sfumato al successivo: nell'approccio informale, e nondimeno forte d'intreccio educato, viveva fin nel profondo un coinvolgimento soggettivo – no, non indicava una strategia da giornalista, non quella volta.
Per lui, per Oliver, si trattava di genuina empatia. Era contento di essere in quel luogo, in quel momento. Complice le note zuccherine nell'aria, caratteristica d'eccellenza di Madama Piediburro, si scoprì spensierato come non gli capitava da molto. Avrebbe potuto tergiversare in lungo e in largo sulle tematiche cui avevano soltanto accennato: dalle ultime novità del mondo magico agli episodi più divertenti che riguardavano i pazienti dell'Infermeria del Castello; dalla passione che aveva per le tragedia di Malecrit fino alle avventure di Timothy, bottoni e porcospini in compagnia. Non avevano fretta, era quello l'aspetto migliore; la solitudine cui s'era involontariamente costretto nei mesi addietro svelava frutti maturi – di quello che aveva perduto, di quello che aveva negato al suo cuore. Forse, con Jolene, era come se stesse vivendo un tuffo al passato, ad un tempo più tranquillo. La piuma prendi-appunti districò ogni pensiero, un suono leggerissimo – di graffio sulla carta – a sfumare all'orecchio come pretesa d'attenzione. Non poté fare a meno di rimbeccarla con una semi occhiataccia, mentre il taccuino girava una prima pagina. Erano già a buon punto?
«Apprezzo soprattutto Malecrit, proprio così.» Lo lasciò come trampolino di lancio, una svolta che rispondeva e anticipava un commento. Aveva ascoltato attentamente il giudizio dell'altra nei riguardi dell'esperienza presso la Redazione del Profeta, e non poté che cogliere la palla al balzo. Liberandosi del milkshake sul tavolino, s'accomodò dolcemente allo schienale e riprese subito.
«Il successo della rubrica dipende dal talento della tua voce narrativa, non c'è dubbio. C'è bellezza nel modo in cui tratteggi i personaggi, le trame e le caratteristiche di ogni opera, d'altronde non capita tutti i giorni di ricevere gli apprezzamenti scritti da Aimee Jensen.» Ammiccò, un cenno così bizzarro sul proprio volto giovanile. Il riferimento ad uno dei primi e più recenti articoli di Jolene White sulle pagine della Gazzetta del Profeta era evidente.
«Girava voce che spedisse Strillettere di continuo, per la storia del plagio di Allock. La tua recensione invece ha ristabilito un po' i rapporti, ma tornando a noi.» Doveva. O di quel passo avrebbero cenato allo stesso tavolino.
«Credi vi sia qualche sorta di legame tra il tuo lavoro e la letteratura? Molto tempo fa c'era un inserto a tema medimagia sulla Gazzetta, era gestito da un certo Dottor Shawn. Se si presentasse l'occasione di scrivere articoli per una rubrica del genere, cosa risponderesti? Quale vantaggio potrebbe portare al mondo magico?»
Non ne era così esperto, avrebbe dovuto ammetterlo. Non aveva mai letto nulla di Dr. Shawn, era troppo giovane per averne memoria; tuttavia aveva trascorso così tanti giorni tra gli archivi del Profeta da averne tratto una panoramica tutto sommato sufficiente per l'intervista. Non era arrivato impreparato all'incontro, poco ma sicuro. Apprezzava moltissimo la tela di parole che stavano tessendo insieme – non s'interrompevano a vicenda e, soprattutto, non perdevano parti del discorso. Così ne approfittò per concludere rapidamente, lasciando in quel modo totale libertà di risposta riguardo entrambi gli aspetti in esame.
«Ed io che pensavo che le avventure di Timothy fossero il peggio. O in effetti il meglio del divertimento.» Il racconto della fasulla trasfigurazione del porcospino gli aveva strappato un suono cristallino, coinvolto in una scena tanto bizzarra quanto infinitamente realistica: non faticava a sostituire fantasiosamente la ragazzina dei ricordi dell'Infermiera con Timothy o altri suoi concasati. Così come l'episodio della Puzzalinfa gli portava alle mente probabilissime analogie con tanti altri studenti. Curiosamente si domandò se Jolene avesse stilato una classifica degli incontri più stravaganti di pazienti e loro conseguenze; sapeva che vi fosse tanto altro in sospeso, argomenti che avrebbe dovuto trattare per un articolo di gran lunga più completo, ma in cuor proprio desiderò posticiparne l'intromissione di poco. Era ancora divertito quando aprì bocca.
«Hai accennato alle varie idee prima di questa carriera. Cosa ti ha spinto davvero a diventare Infermiera, e perché non Medimago? Ci sono stati esempi in famiglia oppure hai avuto un mentore, un riferimento? Quando e come hai capito di voler seguire questa strada?»
Ne era affascinato. Nonostante l'esperienza che aveva avuto nei riguardi di cure prolungate, si scoprì famelico di nuove informazioni.


Prometto tanti milkshake per essere perdonato.
Concludiamo rapidamente.
 
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view post Posted on 8/3/2022, 14:05
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Le guance di Jolene si tinsero di una patina di rossore: Aimee Jensen aveva apprezzato il suo articolo. Non solo, ma era arrivata a scrivere alla redazione, proprio per commentare le sue parole, sue di Jolene, che mai aveva pensato di poter influire anche in minima parte su una scrittrice della sua fama e bravura. Non disse nulla, ma la sua espressione era eloquente: la rivelazione di Oliver le faceva immensamente piacere, addirittura la spiazzava un po', perciò dovette imporsi di stare attenta per non perdere il resto del discorso.
Una piccola parte di lei si stava ancora crogiolando nella soddisfazione quando Oliver riprese il flusso di domande. Si arrivava infine ad un'ipotetica congiunzione dei temi trattati fino a quel momento, la medimagia e la scrittura per il Profeta. A Jolene servì qualche secondo in più per riordinare i pensieri. «Medimagia e letteratura sono entrambe due mondi vastissimi, e certamente si possono trovare dei punti di contatto: la produzione di medimaghi ed infermieri che sono stati anche scrittori, banalmente. Sarebbe anche interessante studiare il racconto che si fa della sanità all'interno delle opere letterarie.» Lasciò correre una breve pausa, un momento di respiro per la povera piuma prendi-appunti che doveva stare dietro ai suoi pensieri. «Se dovessi occuparmi di una rubrica simile, però – e lo farei con grande piacere, non è la prima volta che lo prendo in considerazione... Dicevo, credo che mi concentrerei soprattutto sull'attualità. Nel campo ci sono moltissime persone che lavorano ogni giorno per noi: nella ricerca, oppure a contatto con le realtà più difficili, dove l'assistenza medica è più che mai fondamentale. Molto spesso il largo pubblico conosce poco queste realtà, e trovo che sia importante fare informazione.» Tacque, lasciando che il silenzio sancisse il passaggio ad un altro argomento.
L'intervista la stava assorbendo al punto da cancellare dalla sua attenzione l'ambiente circostante. Da Madama Piediburro i clienti venivano e andavano, i tavolini si liberavano solo perché vi prendessero posto altri avventori, in un'atmosfera che si manteneva serena. Qualche coppietta qua e là sembrava prendere un po' troppo sul serio la fama romantica del posto, e si potevano notare degli occhi lucidi per tenere dichiarazioni, e mazzi di fiori piazzati a centrotavola. Tutto ciò era sparito dalla visuale di Jolene, i cui pensieri viaggiavano veloci al ritmo incalzante delle domande di Oliver. Aveva perso la cognizione del tempo, che si palesò alla sua attenzione solo quando allungò la mano per prendere l'ennesimo biscotto e trovò il vassoio vuoto. Sul fondo della tazza era rimasta ancora qualche goccia di tè, e Jolene prese a rigirarsi la porcellana tra le mani.
«Nessun esempio in famiglia» riprese poco dopo, in riferimento ad eventuali Medimaghi o Infermieri a cui si fosse ispirata. «Mia madre è una libraia, mio padre un insegnante, e, che io sappia, nemmeno altri parenti meno stretti lavorano in questo campo, se non forse una vecchia pro zia di Glasgow.» Scosse la testa, rischiava di divagare. «Ho conosciuto tardi i miei mentori, quando ormai avevo terminato la scuola. Allo stesso tempo, però, sarebbe errato dire che prima non avessi nessun modello a cui ispirarmi in questo campo. Solo che era una foto.» Si lasciò sfuggire un sorriso. Non raccontava mai quella storia, ma le era rimasta dentro con l'intensità di certi ricordi d'infanzia. «L'avevo trovata in un vecchio libro di storia che avevamo in casa, all'epoca ancora non andavo a Hogwarts. Era una vecchia foto in bianco e nero, inserita in un trafiletto di approfondimento. Vi si vedeva un grosso veicolo della Croce Rossa Babbana, una sorta di vecchissima ambulanza, quei mezzi che usano per trasportare i feriti. Intorno c'erano dei soldati – si era in tempo di guerra – e alcune infermiere, interamente vestite di bianco, con la croce sul braccio a indicare il loro ruolo di soccorritrici. Una, in particolare, attirava sempre la mia attenzione: era in piedi, si appoggiava all'ambulanza e sembrava sul punto di saltare su, c'era un certo senso di partenza imminente nella sua postura. La foto era di scarsa qualità, ma si intuiva che stava sorridendo. A me sembrava tanto fiera, una persona così piccola pronta a correre a fare qualcosa di così grande. Non sapevo niente di lei, ma la ammiravo per il suo coraggio e la sua dedizione, che riconoscevo istintivamente e che mi emozionavano. È una immagine che mi aveva colpita molto, a quel tempo.» Poteva ricordarla in ogni dettaglio, inserita nel suo riquadro blu in fondo alla pagina. Ci ripensava con lo stesso affetto riservato ai suoi libri di fiabe preferiti, l'effetto che aveva avuto su di lei era stato altrettanto duraturo. Immagini di quel tipo sembravano abbondare nell'infanzia, meno negli anni successivi, man mano che era cresciuta e diventata meno impressionabile. Era così che dettagli insignificanti come quella foto acquistavano un senso importante.
Ma Jolene si era ispirata anche a persone realmente incontrate, e si accinse a raccontare un altro episodio, quello decisivo che l'aveva spinta nella direzione che oggi la definiva professionalmente. «Come ti accennavo prima, mi ci è voluto del tempo prima di decidere la mia strada, la suggestione di quella foto era solo uno dei tanti stimoli che avrei potuto seguire. Infatti anche subito dopo i MAGO ero ancora in alto mare, non sapevo bene che cosa fare con quell'eccesso di scelta che avevo a disposizione.» Si morse l'interno della guancia, sovrappensiero. Poteva ancora sentire il retrogusto di quei tempi d'indecisione, il sentimento di inadeguatezza ogni volta che si confrontava con quei compagni di scuola che avevano le idee ben chiare. Si domandò che tipo di studente fosse Oliver, se assomigliasse più a loro o a lei, come si stesse destreggiando nei suoi ultimi anni ad Hogwarts. Per qualche ragione le era difficile immaginarselo in preda al dubbio immobilizzante che lei aveva sperimentato alla sua età. «Insomma, per farla breve, l'estate dopo i miei MAGO mi ammalai: stavo molto male, la febbre alta mi faceva scoppiare la testa e perdere il contatto con la realtà.» Si era trattato di un'intossicazione da pozione avariata, ma non credeva fosse fondamentale condividere ogni dettaglio. D'altronde non c'era stato niente di straordinario nel suo caso, se aveva avuto un impatto così grande su di lei era stato a causa della sua emotività già piuttosto provata. «Rimasi in ospedale alcuni giorni, non me la passai molto bene. Alla fine, però, quello che mi colpì e che mi rimase impresso fu il trattamento di un'infermiera in particolare. Si chiamava Magda – non le chiesi mai il suo cognome, non so perché –, e se non fosse stato per lei quei momenti sarebbero stati insopportabili. So che suona banale, ma era sempre... gentile, e buona, genuinamente buona. Aveva una capacità straordinaria di leggere i suoi pazienti, o quantomeno riuscì a comprendere subito me: sapeva sempre qual era il tono giusto da usare, le parole che mi avrebbero confortata, quando avevo sete o la stanza era troppo calda. Anticipava ogni più piccolo disagio senza che io dessi nessun segnale. Quando non era di turno, o quando si occupava di altri pazienti, l'ospedale mi faceva paura. Mi dissi che anche io volevo essere quel tipo di persona. Così, quando potei tornare a casa e ricevetti un gufo da una mia cugina che mi diceva che avrebbe cominciato un tirocinio come infermiera, lo presi come un segno. Andai da lei in Italia e lavorammo insieme.» Sembrava una vita addietro. Jolene aveva l'impressione di raccontare di un personaggio conosciuto in un libro, non della sua storia personale: per quanto si sforzasse di trovare le parole più appropriate, non sapeva rendere giustizia all'importanza di quelle esperienze, e all'impatto che avevano avuto su di lei. Le accadeva spesso, quando doveva parlare di se stessa con una certa serietà. «Perché infermiera e non medimaga? Perché sentivo che fosse la cosa giusta, era la strada più legata ai gesti di cura per me tanto importanti, quelli che instaurano una routine e plasmano l'esperienza di un paziente. Ovviamente essere seguiti da un bravo medimago è fondamentale, ma credo lo sia altrettanto avere un'equipe di bravi infermieri.» Dopo aver tanto parlato, bevve ciò che rimaneva del suo tè e attese.
 
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