Chiaroscuro, Concorso a Tema - Giugno 2020

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view post Posted on 29/6/2020, 18:49
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You can take the darkness out of the man, but you can't force him to step into the light.

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CHIAROSCURO ∇ THALIA MORAN

Le nubi temporalesche del pomeriggio avevano rilasciato nell’aria quell’odore inconfondibile di elettricità, di fulmini e saette, di tempesta annunciata e finita nel silenzio. Respirava quell’aria a pieni polmoni, accarezzando le piume bianche sul petto della sua civetta, beandosi di quel candore che sapeva di purezza e quiete. In netto contrasto con l’oscurità della notte, Clio si sarebbe librata seguendo le correnti del vento, lasciandosi trasportare soltanto per poco, prima di individuare la sua preda, sopra le cime aguzze e scure degli abeti della Foresta. Le sue piume erano morbide, confortevoli al tatto e rassicuranti; le permettevano di ritrovare la pace, nonostante gli artigli taglienti abbarbicati al suo avambraccio magro le stessero facendo perdere la sensibilità alle dita. L’uniforme striminzita sotto la loro stretta gridava pietà, eppure Thalia non avrebbe mai voluto separarsi da lei quella sera: Clio era la sua piccola àncora, la sua confidente più fedele, specialmente da quando quel castello era diventato per lei un luogo in cui aggirarsi solitaria. Coi suoi privilegi aveva raggiunto spesso la voliera sulla Torre di Divinazione, restando in disparte finché la civetta non l’avesse riconosciuta al solo udire il suo speciale richiamo. Un fischio, uno soltanto, e allora Clio planava con grazia, le ali spalancate e le zampe tese alla ricerca dell’appiglio perfetto; dopo averlo trovato, il rapace che tante notizie aveva portato in sua vece, inclinava il capo e la squadrava cogli occhi rotondi e glaciali, aspettandosi quasi di sentire la ragione per cui la ragazza fosse arrivata fin lì. Era sempre più convinta che Clio sapesse di dover essere il suo contrappeso, la discriminante silenziosa in una presa di coscienza e di una decisione che per lungo tempo era stata rimandata.
«Deve essere stasera, Clio.» le aveva mormorato, conducendola all’esterno «Non so come, ma… ho aspettato già troppo.» Naturalmente, Clio non avrebbe mai capito un accidente di quanto stesse effettivamente dicendo e il solo fatto che si fosse ridotta a parlare con un rapace, invece di scrivere una lettera o chiedere consiglio, la diceva lunga sul suo stato mentale. «Non guardarmi così. Questa cosa non piace nemmeno a me.» uno sbuffo, tramutatosi in sospiro e poi il silenzio. Steso il braccio, Clio spalancò le ali al riflesso argenteo della Luna, saggiando l’aria e le sue correnti ascensionali senza staccarsi dalla sua padrona. Poi lo slancio e, infine, la separazione - dolorosa e liberatoria al tempo stesso.

Ci aveva riflettuto a lungo, aveva lasciato che fosse il tempo a decidere se e come Eloise Lynch avrebbe concluso la rivelazione annunciata soltanto in parte in quell’unica straordinaria occasione. Alla luce del sole non aveva osato far domande, il Prefetto era stato salvato dal suono della campanella… o, meglio, dal taglio della torta nuziale. Le aveva dato tempo e spazio, evitando di essere il segugio di cui lei non si sarebbe mai potuta fidare. Aveva le sue prede, Eloise e la verità, ma aspettava il momento giusto per cogliere entrambe. Eppure, quando si sarebbe verificato l’attimo perfetto? L’aveva cercato e pianificato, ma se l’era fatto sfuggire più volte. La Lynch, poi, era peggio di un’anguilla: scivolava via nel momento più opportuno, trovava sempre qualche giustificazione per non restare sola o nei paraggi della sua Caposcuola. Aveva annusato l’odore del pericolo, proprio come quei poveri topolini che Clio ogni notte portava nel becco e, forse, avrebbe catturato proprio quella sera. E lei? Avrebbe avuto modo di incrociare la compagna in cui aveva riposto la sua fiducia e la salvaguardia degli studenti della Scuola? Mentre procedeva a ritroso verso l’Ufficio dei Caposcuola per lasciare una pergamena compilata prima di cena, Thalia continuava a rimuginare sul problema, sperando che la notte ed il silenzio, che con quella arrivano a braccetto, potessero mostrarle la via.

Forse, dopotutto, aveva sbagliato prospettiva.
Ogni sera si attardava nella Sala Comune, sperando che la Lynch trovasse il coraggio di rivelarle ogni cosa. Quella storia della Pozione Invecchiante avrebbe potuto essere davvero un esercizio innocente, se solo non si fosse trattato di lei. Cominciava a credere che niente di quanto accaduto e di quanto avesse scoperto fosse una coincidenza: voleva davvero che lei sapesse? E se fosse stato davvero così, allora, che fare? Mostrarsi aperta all’ascolto? Cercare di non comportarsi come un’impicciona curiosa? Provare con ogni forza ad essere retta e giusta, ma senza sembrare una bacchettona? Sentiva il peso della spilla sul cuore, le spalle appesantite da quel vello che era la responsabilità che, per tante notti, aveva condiviso con Eloise durante le ronde. Non c’era soluzione apparente, non una che fosse davvero confacente alla situazione: in ogni caso la compagna aveva commesso un'infrazione al regolamento e lei non aveva uno straccio di prova. Per un attimo, il peso del senso di colpa l’appesantì - quasi quanto la mano sulla maniglia d’ottone dell’Ufficio - accompagnandosi a tutti gli altri dispiaceri che in quel periodo si accumulavano tra loro. Doveva riflettere e, forse, la quiete, il silenzio e la notte le avrebbero portato consiglio. Ciò che non sapeva, era quanto la verità fosse a un palmo dal suo naso… letteralmente.

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CHIAROSCURO ELOISE LYNCH

Era una notte buia e tempestosa, ed Eloise osservava crucciata le nubi sopra la Torre di Astronomia...

No, probabilmente no. Non era così che un racconto di quel giorno sarebbe iniziato: il tono per descrivere le sue avventure doveva essere meno formale e serioso. E non era nemmeno crucciata. Piuttosto, avrebbe potuto iniziare con

Uno sbuffo di fumo denso venne spinto fuori dalle labbra di una donna di mezza età con decisione, si disperse nel vento e scomparì alla vista. Appollaiata sulla Torre di Astronomia, la donna osservava il mondo sottostante con lo sguardo di chi sente di avere ogni cosa al suo servizio, fumando in silenzio. In verità, né era una donna di mezza età, né si sentiva così onnipotente: sotto quelle ingannevoli spoglie si celava un’adolescente baldanzosa che aveva deciso di apparire così per poter gestire indisturbata i suoi traffici più o meno legali.

Meglio. Così era molto meglio. Forse non si trattava di una classica storia della buonanotte per bambini, ma poteva funzionare per descrivere la giornata surreale che aveva appena vissuto.
Era fiera, soddisfatta e un po’ frastornata: fingersi un’adulta piena di certezze e sicura di sé non era stato semplice, e lo stupore per essere riuscita a darla a bere a qualcuno non l’aveva ancora lasciata. Era passata qualche ora dall’incontro alla Gazzetta del Profeta, ma le quote, i numeri e i nomi dei giocatori di Quidditch ancora le ronzavano in testa ostinati: la svolta era avvenuta, la Bisca Clandestina aveva fatto un salto in avanti, e dalle mura di Hogwarts aveva aperto i battenti al Campionato dell’intera Gran Bretagna. Sembrava incredibile, ma quella stretta di mano che aveva stipulato l’avvenuto accordo e la collaborazione con il Profeta era più reale che mai. Sogghignò compiaciuta, sbuffando fuori l’ultimo fumo della sigaretta, senza sapere che molto presto gli eventi avrebbero preso una piega ancora più assurda.
Il paesaggio dalla cima della Torre di Astronomia era affascinante come sempre, e la consapevolezza di avere un accesso semi-privato, almeno a notte fonda, lo rendeva ancora più magico. Rientrò nel covo dalla porticina del suo personale passaggio segreto, rimuovendo con il piede la scatola di Palude Portatile che aveva usato per tenerlo aperto, e salutò il cielo coperto con un ultimo sguardo.
Un’occhiata fugace allo specchio stretto appeso alla parete sulla destra le rivelò che gli effetti della Pozione Invecchiante stavano piano piano svanendo, e qualche ciuffo rosso intenso aveva preso a comparire tra le striature grigiastre della sua nuova chioma. Raccolse la divisa e decise di avviarsi verso la Sala Comune, perché a quell’ora tarda sarebbe stato impossibile incontrare altre anime - vive e non: mai constatazione fu più superficiale, perché era proprio tra le braccia di un’altra anima viva che Eloise si stava dirigendo.
Uscì da dietro il quadro del Terzo Piano, salutò la bucolica rappresentazione dei suoi nonni, e prese a scendere le scale con la stessa verve di chi, in pigiama e ciabatte, attacca il frigo per un bicchiere d’acqua nel cuore della notte. A uno sguardo esterno la scena sarebbe stata alquanto inusuale: non era così frequente vedere una strega di mezza età girovagare per il castello, soprattutto con quell’elegante veste lapislazzuli, il mantello in tinta, e il distintivo da Antimago appuntato alla cintola.
Era stato uno dei regali più preziosi che il Fato avesse messo sulla sua strada: reperito nella notte londinese, era stato intascato all’istante. E pur avendo speso una mezza serata con il suo proprietario, non aveva mai avuto occasione di fare alcun collegamento; neanche si era resa conto che era un mago, in effetti.
Aveva appena saltato l’ultimo gradino della scalinata che conduceva dal terzo al secondo piano quando una sgradevole sensazione prese a farsi strada nelle sue membra e la percorse dall’interno all’esterno, dalla bocca dello stomaco alla punta dei capelli. Barcollò un istante e cercò sostegno nella parete, scoprendo in quella pietra fredda l’unico vero appiglio per non finire bocconi. Ondate di freddo la percorrevano a fiotti, mentre le rughe leggere si appianavano, i muscoli tornavano a tonificarsi, le ossa si irrobustivano e le increspature della pelle si tendevano. Era fatta: stava tornando all’età che le apparteneva. La Pozione Invecchiante aveva avuto gli effetti sperati, senza causare effetti collaterali.
O quasi.

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Rimasta a fissare a lungo la pergamena con la sua inconfondibile calligrafia tondeggiante, si chiese se non fosse finalmente giunto il momento di dire addio alle formalità del suo ruolo e di indossare le vesti di un’adolescente assonnata ed infiacchita dai numerosi impegni; il solo pensiero di dover percorrere a ritroso il percorso che l’aveva condotta dapprima alla Torre di Divinazione e poi all’Ufficio dei Caposcuola era sempre lo stesso, sempre uguale e monotono, ma anche terribilmente lungo. Il che implicava, semplicemente, di dover compiere altrettanti passi trascinati per trovar finalmente ristoro tra le lenzuola leggere del suo letto a baldacchino nei sotterranei. Chiuse la porta dell’Ufficio alle proprie spalle, senza fare troppo rumore, assicurandosi di non aver turbato i sogni dei soggetti imprigionati sulla tela: non avrebbe sopportato rimproveri per una luce puntata sugli occhi dipinti ad olio, per lo scatto sordo della serratura o per il cigolio di un paio di cardini. Il silenzio del castello era stranamente piacevole, così come la certezza che i Prefetti avessero già compiuto le loro ronde serali e nessuno studente fosse stato trovato fuori dal letto per un’allegra e spericolata gita tra i corridoi bui. Tutto ciò non solo avrebbe infranto le rosee aspettative di un meritato riposo, ma avrebbe creato grandi seccature nella delicatissima dinamica alla base della conquista della Coppa delle Case. Scacciò il pensiero con uno sbuffo, scendendo le scale che da quel versante conducevano al Terzo piano e da lì via sempre dritto, a passo sostenuto ma leggero. Era come se tutto il suo corpo bramasse la quiete del dormitorio e si affaccendasse per arrivarci il prima possibile; in fondo, era sveglia soltanto dalle cinque del mattino per rivedere alcuni appunti ed assicurarsi di essere in pari con la propria rigorosa tabella di marcia per il ripasso finale. Non era forse lecito desiderare di coricarsi quanto prima in modo da poter ripetere il ciclo, per quanto sfiancante, tutto daccapo il giorno seguente?

E così per tenersi impegnata ricominciò ad esaminare mentalmente i passaggi della pozione ripassata proprio quel mattino: con le dita della sinistra teneva il conto delle fasi di preparazione, con la destra gesticolava e teneva traccia di ogni passaggio. Le labbra mimavano stupidamente le parole, senza tuttavia emettere un suono, e per quanto tentasse di non pensare al fatto che nessuno potesse davvero vederla in quella circostanza, non poté fare a meno di sentirsi una gran sciocca. La stava prendendo troppo sul serio, come tutto il resto ovviamente, eppure non si capacitava di quella sensazione crescente di inadeguatezza di fronte alla prova che stava per compiersi di lì a poche settimane. Era ancora concentrata a riepilogare mentalmente le proprietà della Mandragora, quando un’ombra alla fine del corridoio del secondo piano attirò la sua attenzione. Lo sguardo, dapprima fisso e perso nel vuoto delle proprie elucubrazioni, rimase imbambolato all’idea che qualcuno potesse trovarsi fuori dai dormitori a quell’ora. Meccanicamente abbassò le braccia, s’irrigidì e assunse l’aspetto di una madre che trovi il figlio a combinare una delle sue marachelle. Non si munì di bacchetta, naturalmente: chiunque avesse osato sfidarla se la sarebbe vista brutta comunque, con o senza magia. Soppresse persino l’istinto di richiamare l’attenzione dello sconosciuto, il cui profilo le appariva tale a causa del riverbero irregolare delle poche torce alle pareti rimaste accese durante la notte. Le scale per il primo piano erano a pochi passi da lei: chiunque fosse, si sarebbe dovuto avvicinare per forza se voleva far ritorno ai livelli inferiori. Non si limitò ad attendere, ma prese l’iniziativa cominciando a coprire i metri che li separavano con un passo più quieto, meno marziale insomma, e si sforzò di riconoscere i tratti di colui o colei che aveva osato contravvenire alle regole della Scuola. «Mi spiace per te, ma ti è andata…» stava per dire “male”, ma le parole erano letteralmente svanite nel nulla.

Eloise Lynch, la sua preda, era proprio lì davanti a lei.
«Che cosa fai qui? Credevo fossi uno studente del primo alla ricerca del brivido...» sorrise, provando a metterla a proprio agio come avrebbe fatto in qualsiasi altra circostanza. Non l’aveva guardata con attenzione, giacché l’espressione sul volto di Eloise le era bastata per riconoscere il Prefetto della sua Casa: lentiggini e sguardo furbo e soddisfatto erano tutto ciò che le serviva per stare definitivamente tranquilla. Tuttavia, ora che si era avvicinata e poteva scorgerla davvero per intero, la colpiva un dettaglio non indifferente. «Perché non indossi l’uniforme?» lo sguardo si spostò velocemente dall’uniforme sul braccio all’espressione della compagna. Sembrava vestita con abiti non suoi… *Un momento. Quello è un… distintivo?* E se quella realizzazione non fosse bastata, prima ancora che potesse parlare, il volto della Lynch tradiva un dettaglio pressoché incontrovertibile: una ruga pronunciata sul volto che andava via via scomparendo e una ciocca argentata tra quelle vermiglie che, per anni, le avevano rese quasi identiche. Furono secondi concitati nella mente della Moran, quasi che la stanchezza fosse stata scalzata via dalla necessità di collegare gli infiniti puntini a sua disposizione. Improvvisamente le tornarono alla mente il matrimonio, il Cespuglio Farfallino, il volto serafico di Eloise all’esterno delle Serre di Erbologia. Tutto questo unito ai capelli bianchi e alle rughe che mai le avevano solcato il viso aveva dato un risultato inequivocabile all’equazione Lynch.
«C’è qualcosa che vuoi dirmi, Eloise?»
Al diavolo l’educazione impartita con rigore dalla famiglia e dalla scuola. Al diavolo il cameratismo. Le braccia incrociate al petto, la rigidità del corpo e l’espressione dura in volto - quella di chi si sia sentito preso in giro e voglia non soltanto delle scuse, ma anche delle spiegazioni valide - si era unita a quella domanda simile ad un ringhio. Aveva usato la Pozione Invecchiante, con parti di quel Cespuglio Farfallino trafugato e coltivato chissà dove nel castello. Non le interessavano i suoi esperimenti di Pozioni o Erbologia. Qualsiasi cosa avesse fatto, però, coi risultati del proprio lavoro aveva la sua completa attenzione. Il silenzio calato improvvisamente tra loro - un altro segno della colpevolezza della Lynch - non fece altro che convincerla che quella notte non solo le avrebbe portato consiglio, ma anche una dose di sincerità e verità insperate.

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CHIAROSCURO ELOISE LYNCH

Una voce alle sue spalle le fece gelare il sangue nelle vene. Se fino a un momento prima era stata tranquilla e certa di avere un buon margine di manovra, ora comprendeva di essere stata superficiale e leggera, di aver corso a grandi balzi in braccio al pericolo. Con la bocca spalancata e lo sguardo di chi è stato beccato sul luogo del delitto, si voltò lentamente, resistendo alla tentazione di portare le mani in alto come un delinquente.
Il pericolo, in quel caso, aveva il nome e la faccia di Thalia Moran. E per il poco che poteva vedere nel chiaroscuro della notte, le stava davanti con un’aria sgomenta gemella alla sua, pronta come sempre a cogliere capo e coda della situazione, ben consapevole di quel che stava succedendo, molto più di quanto Eloise sperasse. «Oh, sei tu...» La sua mano corse veloce al cuore con un sollievo che non aveva nulla di sincero.
Erano giorni che la evitava sfacciatamente. Dallo scivolone al matrimonio del cugino Bernie sapeva che Thalia aveva fiutato che qualcosa non andava, e il Prefetto aveva accampato ogni scusa esistente sulla faccia della terra per scivolare via dalle sue grinfie ed evitare di parlarle a tu per tu. Aveva gettato impegni, primini, turni e compiti nella poca distanza che le separava, ed era pronta ad accorciare la vita a nonna Cindy, per la causa. Ma giorno dopo giorno l’aveva sentita assottigliarsi, quella distanza, e la lama luccicante della ghigliottina farsi sempre più vicina.

“Il problema non sei tu, sono io…” Disse con voce roca, lasciando ai cupi sussurri il compito di rivelare la verità. L’oscurità della notte, fatta di confessioni a mezzavoce, guidò la donna, ormai ringiovanita, a confessare i suoi veri sentimenti. O così avrebbe voluto fare, se fosse stata fornita di un rifornimento a vita di Pozione Corroborante.

Ricacciò la narrazione nei recessi della mente, consapevole che quella storia si stava trasformando pericolosamente in un romanzo rosa da pochi zellini. Non aveva certo bisogno di altre distrazioni in un'atmosfera così tesa.
Lei, che era la regina delle giustificazioni brillanti, che con furbizia e fantasia si tirava fuori dalle faccende scomode, non riusciva a trovare scuse adatte da accampare in quella situazione. Se anche Thalia non fosse stata fornita dell’intelligenza che dimostrava nelle sfaccettature più varie della loro vita scolastica, i calcoli per arrivare al risultato dell’equazione erano di livello elementare. «Tecnicamente non indosso ancora la divisa...» L’ombra di un ghigno balenò fugace sulle labbra, ormai troppo compromessa per durare. «E questo è finto.» La mano corse rapida al distintivo appuntato al petto, mentre il canto del cigno della sua spavalderia dava un ultimo lamento. «È quella faccenda di cui ti dicevo al matrimonio del cugino Bernie, ma è innocua...» Sollevò le mani e lasciò che la sua abituale parlantina si occupasse di risolvere il guaio come sapeva: tecnicamente non aveva fatto nulla di illegale - e la questione della divisa era una minuzia, rispetto alla verità che si celava sotto quella punta di iceberg. Tuttavia, a gola arida e fiato sospeso, si scoprì inerme con un neonato.
C’era qualcosa che voleva dirle?
Thalia non era una stupida, e le giustificazioni frettolose erano inutili e controproducenti, soprattutto se si teneva presente che la ragione per cui l’aveva evitata per un mese era proprio quella. Ma qualcosa era cambiato: sentiva di dover andare oltre, e voleva andare oltre. Solo, non sapeva come farlo.
Le spalle di Eloise Lynch si abbassarono lievemente, il peso delle sue fughe che scivolava via da lei. Cedette al volere degli eventi, frenò la sua corsa a perdifiato e, cullata da un’oscurità confortevole e accogliente, decise che era arrivato il momento di guardare in faccia la realtà e di esprimere a parole ciò che le ribolliva nel cuore. «Sediamoci.» Indicò il davanzale di un finestrone così ampio e spesso da poterle accogliere entrambe. Il cielo coperto dalla coltre di nubi impediva alla luna di fare capolino, e l’oscurità era fitta. Si sedette con un saltino e volse le spalle a quella tenue sorgente luminosa: per fare quello che stava per fare aveva bisogno di buio.

Di tutte le interpretazioni che l’umanità aveva appioppato alla notte, la sfaccettatura che più si addiceva allo stato d’animo della protagonista era quella di rifugio accogliente dal fulgore della luce, di spazio sicuro dagli occhi indagatori della società. Faceva spesso leva su quella tenebra per portare avanti i suoi traffici illegali, ma in quel caso, colta con le mani nel sacco, era pronta a ballare tra quei significati. Se la notte era il luogo dei segreti sussurrati a mezzavoce, delle confessioni col cuore in mano, ne avrebbe colto ogni vantaggio. Il favore delle tenebre le impediva di crucciarsi sulle reazioni spontanee che avrebbe letto sul volto della Caposcuola, di soffermarsi a pensare alle conseguenze delle sue parole, di fingere di stare confessando pensieri e sentimenti a uno specchio, più che a una persona esterna. Avrebbe superato quel limite mentale che di giorno le impediva di articolare ad alta voce qualsiasi forma di introspezione, avrebbe ridimensionato i patemi, e conquistato infine un approccio diretto e sincero alla faccenda.

Quando tornò a parlare la sua voce era leggermente arrochita dalla deglutizione che l’aveva accompagnata fin lì. Espirò lentamente, svuotò i polmoni dall’aria inquinata che glieli aveva avvelenati, e si decise a dare un suono sensato a quegli sbuffi. «So che non dovrei andarmene in giro per la scuola e portare avanti traffici in bilico tra legale e illegale. So che tante volte ho superato i limiti e che per me è sempre stato chiuso un occhio.» I Frisbee Zannuti erano stati beccati, qualche volta, e le malefatte ai primini che aveva perpetrato anche dopo aver accettato la spilla non erano esattamente tra le mansioni dei Prefetti. «Non è giusto. Sono un Prefetto, ma non sono mai stata un esempio da emulare, non ho mai avuto le idee chiare su come risolvere le situazioni e non sono mai riuscita a ricordarmi le procedure corrette dei permessi per Hogsmeade. » Una volta cominciato, era sorprendentemente semplice vuotare il sacco. Tanto valeva darci dentro finché la situazione era propizia. «Quando ho accettato di portare la spilla è stato per tre motivi. Il primo che mi è venuto in mente, il più superficiale e comodo, era il poter fare quello che mi andava, quando mi andava, in giro per il Castello. Le faccende a cui stare dietro erano un prezzo accettabile, per i vantaggi che avrei potuto trarne.» Suonava così egoista e incivile da sollevare la necessità di attenuare quell’idea con un secondo punto altrettanto reale. «La seconda ragione veniva dalla volontà di rendersi utile per la Casata, di rimboccarmi le maniche, di impegnarmi per gli altri Tassini come gli altri Prefetti avevano fatto per me. Insomma, l'idea che dovrebbe stare alla base delle motivazioni di tutti noi...» Sentiva di aver bilanciato gli equilibri, ma sapeva di avere un ultimo elemento da aggiungere al piatto. «Il terzo era riuscire a organizzare la ricerca a Cadair Idris, per trovare delle risposte sulla storia di Tosca.» Un brillio impossibile da vedere le illuminava lo sguardo: era pura, vivace curiosità, che l’aveva guidata a quel punto. Che le aveva garantito un posto legittimo in mezzo allo staff di Casata. «Anche in quel caso le mie capacità di occuparmi degli altri hanno tentennato, lo sai bene anche tu. Sono anni che cerco di convincermi che l’importante è fare qualcosa di buono e giusto per gli altri, che la mia indole non conta, che prima o poi mi sarei scoperta capace e abile. Ma la verità è che non sono fatta per essere un Prefetto.» Sorrise amaramente, i momenti del passato che le scorrevano davanti allo sguardo. Era come se il suo corpo non fosse cablato per portare a termine quel compito, e pur rimpiangendo di non poter essere migliore, non poteva costringersi a stare in un ruolo che non era compatibile con la sua natura. «Ne era cosciente Horus, e Amber l’ha certamente capito. L’unica che non ha voluto leggerne le implicazioni sono io.»
Si estraniò da se stessa per un attimo, realizzando che era arrivata al respiro profondo prima del balzo. Da lì in poi, la storia sarebbe cambiata, nulla sarebbe rimasto indifferente a quella scossa. Il terreno stabile avrebbe ceduto e alcune certezze sarebbero scivolate via: ma non era quella la strada che aveva scelto per la sua vita?
«Thalia, io voglio lasciare la carica di Prefetto.»

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CHIAROSCURO ∇ THALIA MORAN

La notte. Chissà perché gli intrighi, i segreti e le bugie affiorano sempre col favore delle tenebre. Non era avvezza a credere alle dicerie su un bel niente, un tratto che di certo le aveva favorito il maturare di una certa consapevolezza del contesto generale con una razionalità quasi surreale. Si era abituata a sfruttare quella sua dote - se così la si voleva chiamare - nello studio e in poche altre questioni: le relazioni con i compagni, ad esempio, e l’individuazione del punto di forza o debolezza era una di queste.

Eloise Lynch era molte cose: una parente lontana, una studentessa acuta e discretamente brava, un’amica fedele e una vera Tassorosso. Il “duro lavoro” non la spaventava e, da che la Moran ne avesse memoria, non si era mai tirata indietro sull’organizzazione di un evento o dalla partecipazione ad una competizione che non fosse la Coppa delle Case - che per inciso si stavano lasciando scivolare via dalle mani di nuovo; eppure, proprio quel lato solare ed intraprendente di Eloise celava sfaccettature che Thalia conosceva solo perché, nell’ultimo periodo, aveva voluto affinare lo sguardo. La Lynch non era quel tipo di persona con lo scopo di raccontar frottole solo per il gusto di farlo: il suo animo burlone era spesso e volentieri ciò che più la teneva legata ai compagni e agli amici fidati; e non era forse dietro un sorriso stampato in viso che si nascondeva la più cruda delle verità? Thalia non avrebbe sopportato l’idea di scoprirsi dinanzi ad una Lynch opposta e del tutto diversa da quella che aveva conosciuto nei suoi primi anni al Castello. Per quel motivo, dopo una sorta di silenzio-tregua, l’idea che l’episodio del matrimonio non fosse stato proprio casuale cominciò a spazzare via l’incertezza sulle motivazioni che l’aveva spinta, volente o nolente, a rivelare parte dei suoi piani.

L’espressione rigida tradiva una certa curiosità per la storia della compagna: la Lynch raccontava delle gran belle storie e in un certo qual modo le invidiava la schiettezza con cui si approcciava al prossimo, senza mai trasgredire davvero alle regole della decenza. L’assecondò, spostandosi insieme a lei appresso al davanzale, e il chiarore di un lampo in lontananza le rischiarò parte del volto, mostrando lo sguardo serio carico di quel desiderio di svelare di tutto, senza svelare davvero niente.
Sì, Eloise non era fatta per essere Prefetto: le regole le stavano già strette prima e, avendola vista coi suoi fratelli al matrimonio, poteva capire perché. Erano spiriti liberi i Lynch, una caratteristica che spesso aveva intravisto nei parenti di quel ramo famigliare. Non si poteva imprigionare un essere nato per vivere secondo leggi proprie e non si poteva certo pretendere che ne condividesse l’importanza e il rispetto se questo era ciò che di più lontano potesse esistere dalla loro natura semplice. Eloise viveva un po’ di estremi, con quel brivido del rischio che ben si accostava all’espressione furba e sagace di quegli occhi limpidi e sinceri. Le lentiggini la facevano sempre sembrare più giovane di quanto in realtà non fosse e, chissà perché, col favore delle tenebre quella maturità a lungo celata, finalmente, si svelava chiaramente. La ascoltava, mentre enumerava tutti i motivi per cui aveva scelto di diventare Prefetto in prima istanza e si ritrovava, nelle parole di lei, solamente in parte. Tutti loro avevano accettato la Spilla per i privilegi che comportava: aveva visto Prefetti meno devoti al ruolo di quanto non lo fosse stata Eloise stessa, eppure la compagna continuava a colpevolizzarsi - in un certo senso - per essere stata tanto disonesta, o così le parve, nell’accettare la Spilla quando non pareva averne sentito la vocazione. Per quel che la riguardava, lei stessa aveva accolto quell’onere con la convinzione che fosse un fregio di cui farsi vanto e, col senno di poi, non aveva potuto sbagliarsi più di così. Mano a mano che la compagna esprimeva i suoi pensieri, Thalia considerava quel ventaglio di possibilità per la prima volta e, in un gesto che le era nuovo più di quanto si potesse immaginare, si limitava ad ascoltare. Eloise le stava regalando un momento di onestà e chiarezza che nulla aveva a che vedere coi sotterfugi operati alla luce del giorno o coi segreti mezzo svelati ad un matrimonio un po’ troppo affollato. Protetta dalla tenebra, Eloise Lynch le aveva fatto un regalo anche migliore di quanto non osasse sperare: la vera Lynch, con le sue passioni - e quelle illecite non le avrebbe conosciute mai, forse - e le sue predisposizioni naturali. Essere un Prefetto non era mai stato nelle sue corde e, dopo anni di onorato servizio, aveva avuto il coraggio di dirlo a voce alta.

«Ti confesso che mi sono chiesta spesso come mai ti avessero nominata.» mormorò alla fine, accostandosi al davanzale, appoggiata ad esso soltanto in parte con le gambe accavallate e le braccia conserte al petto. Pensierosa, aveva assimilato ben bene quanto Eloise le aveva rivelato e, solo in quel momento, era stata pronta a dire la sua sull’argomento. «Poi credo di aver semplicemente capito: ti ci hanno fatta diventare nella speranza di metterti un po’ quieta. Sai. Per la legge del contrappasso, immagino.» ridacchiò tra sé, sperando che l’aria tesa si alleggerisse per entrambe. Poi, fingendosi più seria, proseguì.«Non so se quel distintivo sia vero oppure no, preferisco non sapere. Però una cosa la so, El.»
Quel diminutivo suonò più come una carezza, un vezzeggiativo atto a sancire la piena comprensione di quanto la compagna avrebbe voluto dire, ma ancora non osava esternare «Non esiste un manuale del Prefetto perfetto… checché ne dica qualche libro.» un cenno distratto del capo nel punto in cui pensava si trovasse Hogsmeade fu sufficiente a completare il riferimento a certi volumetti venduti in un negozio di libri laggiù. «Non credo sia stato tutto tempo sprecato… credo che essere Prefetto ti desse una marcia in più per acciuffare i vagabondi notturni… sai com’è, no? Se sei uno di loro, capisci prima dove si nascondono e dove vanno.» Messe lì, l’una accanto all’altra, sembravano in un mondo tutto loro, fatto di piccole verità sbocconcellate come pezzi di pane: per Thalia era la prima vera conversazione a cuore aperto che la Lynch avesse avuto con lei. Per certi versi, si sentiva lusingata di aver ottenuto ciò che per settimane più aveva cercato in pochi minuti e senza il minimo sforzo. «Credo che Horus ed Amber abbiano capito e non abbiano voluto forzarti la mano, perciò… non lo voglio fare nemmeno io.» mormorò sospirando, guardandola di sottecchi e attendendo una sua reazione. Al suo posto, non avrebbe desiderato alcun impedimento in tal senso: era giusto scegliere per la propria felicità e, se questo era il volere di Eloise, chi era lei per negarle una possibilità? «Sistemerò io ogni cosa, ma… prometti che resterai in questi panni stretti fino alla fine della scuola. Non posso affrontare un viaggio sul treno per Londra solo con l’aiuto di Gwen.» un sorriso amaro le increspò le labbra, ben sapendo che quella non fosse la reale ragione per cui avesse chiesto quel favore alla Lynch. La verità era che non sopportava, egoisticamente, di essere abbandonata quando ancora certe ferite erano aperte e la responsabilità pesava come un macigno.

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view post Posted on 30/6/2020, 19:58
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CHIAROSCURO ELOISE LYNCH

Molto prima di poter realizzare attivamente quello che stava succedendo, le parole erano scivolate via dalla gola di Eloise, suoni ricchi di senso che riempivano il silenzio di una scuola addormentata. I corridoi, di giorno, erano sovraccarichi del vociare degli studenti, e stracolmi delle esperienze di quelle anime: le loro sofferenze, le gioie e le fatiche riempivano ogni cosa. Ma ora, che tutti erano a riposo nelle loro Sale Comuni, quello spazio vuoto era riempito dalle confessioni a mezza voce, che echeggiavano nell’oscurità.
Evitare di pensare troppo a quel che stava facendo era la soluzione giusta per impedire ai muri mentali di innalzarsi automaticamente. Aveva preso la rincorsa, tappato il naso e si era tuffata dall’alta scogliera delle sue remore in un mare sconosciuto. L’aria le aveva sferzato i fianchi, perenne compagna di quel viaggio, e l’impatto con l’acqua era stato intenso, ma anche inebriante e sorprendente: quanto tempo aveva perso a chiedersi se avrebbe avuto freddo?! Riemergendo tra i flutti, tornava a guardare la scogliera dal basso, e rimpiangeva di non essersi buttata prima.

Era l’inizio del viaggio dell’eroe. La ragazzina, ex adulta ringiovanita, vestiva i suoi abiti da donna matura senza esser capace di riempire le pieghe della stoffa. Credeva di aver raggiunto un traguardo, di aver sbloccato un’abilità nuova, di aver superato i suoi limiti, ma non sapeva ancora che quello non era altro che il primo passo. Che avrebbe avuto bisogno di grandi sforzi per tornare ad aprirsi, di esercizi per non rimanere ancora immobile. Tronfia, si godeva il suo successo, senza neanche immaginare che dietro l’angolo l’avrebbe attesa un domani altrettanto ricco di sfide.

Terminato di parlare, volse la testa verso quell’ombra che era Thalia, constatando solo allora che il silenzio era stata una strategia fondamentale. Essere interrotta avrebbe significato rallentare la corsa, e chissà se avrebbe mai avuto il coraggio di gettarsi, in quel caso.
Prefetti che hanno conquistato il potere non era esattamente il genere di libro in cui si aspettava di finire, e l’accenno di Thalia l’aveva fatta sorridere. Quando l’aveva acquistato, su consiglio indiretto di un gruppetto di Serpeverde e su conferma di Mike, l’aveva fatto più per scherzo che per serie intenzioni di carriera. Ma sfogliando quelle pagine aveva visto che tutti i casi studio, dal primo all’ultimo, erano accompagnati dalla volontà di stare in quelle regole, e di sgomitare al loro interno a sufficienza da riuscire a far fruttare al meglio quel ruolo. A lei mancava la premessa, l’idea di partenza, quella stessa volontà non le apparteneva. Piuttosto, si aspettava di finire dritta dritta in Prefetti che sono finiti ad Azkaban, giusto il tempo che scoprissero gli affari illeciti della Bisca Clandestina.
Sogghignò e annuì all’idea che gli altri avessero cercato di metterla in riga, appioppandole la spilla a tradimento. Era quasi certo, e probabilmente erano anche riusciti nell’intento: se era riuscita a restare nei limiti, se aveva preservato la spilla, e se aveva scelto in prima persona di lasciare la carica, ci dovevano aver preso. Il pensiero la faceva sorridere, e l’immagine di Horus, Niah e Amber come i grandi re del passato, capaci di vegliare su di lei, le era entrata nel cuore. Thalia, dal canto suo, era una pedina tutta nuova in quel gioco, e la sua presenza era strategica per il successo di quell’impresa.
Eloise aveva la netta impressione che la facilità con cui le parole (dopo un mese di ruminazioni) le erano uscite dalla bocca, dovevano esserci delle ragioni precise: il buio era la prima tra queste, ma anche l’indole della compagna e il rapporto che avevano costruito erano stati fattori determinanti. Thalia era un tipo schietto e diretto, assolutamente razionale, capace di calcolare le situazioni con rapidità e, senza lasciarsi influenzare dalle convenzioni, di tirare fuori delle conclusioni e delle osservazioni puntuali, pertinenti e sincere. Rivolgendosi a lei sapeva che non avrebbe trovato verità ammorbidite e comode parole di conforto: l’abilità nel valutare le situazioni e la realtà dei fatti le appartenevano, e non faceva giri di parole per esprimere ciò che pensava nel mondo. Inoltre, con il passare degli anni e con la maturazione aveva preso a incarnare sempre più quel senso di giustizia che a Tassorosso era di casa, e che in lei fioriva spontaneo. La Lynch era attratta da queste sue caratteristiche così dissimili dal suo fare più approssimativo e caotico, e rimaneva spesso di stucco per la puntualità dei giudizi della Moran. Sapeva che parlando con lei non ci sarebbero state pillole indorate, che non si sarebbe fatta problemi a farle notare gli errori.
Al contempo, era probabile che se Thalia fosse stata una delle sue amiche più strette, avrebbe avuto qualche remora ad esprimersi tanto schiettamente, dopo quel mese di nascondino. Certi legami più antichi si portavano dietro sfaccettature più complesse, insieme al desiderio di non fare bella mostra dei problemi o degli errori; chi la conosceva da sempre si aspettava da lei il solito fare canzonatorio, e più maturità nelle scelte. O almeno, questo era ciò che Eloise credeva. Parlare a cuore aperto con qualcuno che non conosce ogni capello della tua testa era più semplice. Non c’erano preconcetti, o valutazioni passate, o particolari aspettative, ma solo l’emozione di aver scoperto una nuova amicizia, creato un nuovo legame, mostrato un nuovo lato di sé.
Ascoltò il resto delle parole della Moran con lo stesso rispetto che le era stato riservato, immagazzinando consigli e pensieri come tesori preziosi scoperti in fondo a una caverna. ll viaggio era giunto alla fine, ed Eloise stava iniziando a percepire un senso di leggerezza liberatoria farsi strada nelle vie respiratorie, riempire i polmoni e ossigenare i muscoli tesi. La spilla da Prefetto, il fardello che l’aveva accompagnata in quegli anni, adesso non era altro che una pietruzza piatta da far rimbalzare sei volte sull’acqua, ed era pronta a mostrare al mondo il migliore lancio di tutta la sua carriera.
Le dita stavano già correndo alla divisa, posata lì accanto, dove sapeva avrebbe trovato la sua pietra personale. Tuttavia, la mente di Thalia ragionava in modo diverso, coglieva l’insieme della faccenda, si proiettava su una questione più grande di quella personale. Le chiedeva di restare fino a fine anno in quei panni troppo stretti; se anche mancava solo una manciata di giorni alla fine della scuola, l’idea non le piaceva neanche un po’. Ma lo capiva con un guizzo d’intelligenza: se faceva parte di una società umana doveva tenere presente che le sue libertà non potevano essere dannose per gli altri. «Va bene...» Mormorò, sollevando lo sguardo verso l’ombra di Thalia. «Ma solo perché stanotte sei riuscita a trovare le parole giuste per me.» Molto presto, prima di potersene rendere conto, sarebbe arrivato il tempo di spiccare il volo.

Un dramma umano si può sempre esprimere con la metafora della pesantezza. Diciamo, ad esempio, che ci è caduto un fardello sulle spalle. Sopportiamo o non sopportiamo questo fardello, sprofondiamo sotto il suo peso, lottiamo con esso, perdiamo o vinciamo. Ma che cos'era successo in realtà a Sabina? Niente. Aveva lasciato un uomo perché voleva lasciarlo. Lui l'aveva forse perseguitata? Aveva cercato di vendicarsi? No. Il suo non era un dramma della pesantezza, ma della leggerezza. Sulle spalle di sabina non era caduto un fardello, ma l'insostenibile leggerezza dell'essere.

Milan Kundera


PIÙ INTENSA LA LUCE, PIÙ PROFONDA L’OSCURITÀ


Crediti
Illustrazioni: Nih
Codice: Thalia + Nih
 
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