Una colazione da re, Role con Draven Shaw

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Narcissa Elodie Miller
view post Posted on 30/7/2020, 07:11





Narcissa Elodie Miller
Serpeverde | Studentessa, I anno | 11 anni | Outfit | ♪XwFHG5M
Dacché era arrivata a Hogwarts, Narcissa non aveva fatto altro che girare per il castello come una trottola. Nonostante fosse cresciuta in un contesto magico, quel castello era troppo anche per una come lei: le scale mobili, le armature dispettose e le candele fluttuanti della Sala Grande erano tra le cose che maggiormente apprezzava. Ma ciò che non riusciva a smettere di entusiasmarla era soprattutto il soffitto: quel soffitto era qualcosa di mozzafiato. Ogni qualvolta si ritrovava a varcare il portone che l'avrebbe condotta in Sala Grande, Narcissa non poteva fare a meno di elevare gli occhi al cielo e godersi quel panorama. Era come fare un picnic, ma comodamente seduti al tavolo e con cibo sempre pronto e caldo nel piatto. Per di più, a differenza di un vero picnic, c'era il lato positivo: quando pioveva non bisognava correre al riparo, perché la pioggia magica non bagnava. E questo non poteva che essere un aspetto vantaggioso, soprattutto considerando quanto la piccola Serpeverde fosse vanitosa e attenta alla cura dei suoi lunghi capelli biondi.
Capitava di rado che Narcissa prendesse posto accanto ai suoi compagni di casa: nonostante la sua incredibile sfacciataggine, non era riuscita ancora a trovare il modo di stringere amicizia con nessuno. Non che non ne fosse in grado, intendiamoci, ma per il momento stava bene anche da sola. Narcissa era una ragazzina molto selettiva e per lei non era semplice inquadrare le persone fidate da tenere al proprio fianco: aveva avuto qualche amichetta, soprattutto quando da bambina andava a trascorrere le estati a Londra a casa dei nonni paterni, ma nessuna di loro si era mai rivelata all'altezza delle sue aspettative; anzi, un paio di loro, che avevano finto di essere sue amiche, l'avevano brutalmente pugnalata alle spalle andando in giro a raccontare falsità sul suo conto dopo che, per colpa della magia incontrollata, erano successi strani fatti in sua presenza. Quegli episodi avevano risvegliato in lei un rancore assopito che da allora non si era mai spento, anzi era cresciuto insieme ai centimetri d'altezza tipici della sua età.

Con passo lento, la piccola Narcissa procedette verso il tavolo di Serpeverde. Poche persone giravano per il castello: era una calda mattinata soleggiata e per lo più gli studenti preferivano trascorrerla all'aria aperta e non al chiuso. Si accomodò sulla panca di legno e appoggiò ambedue i gomiti sul tavolo, prendendosi le guance tra le mani. Gli occhi levati al cielo, il sole iniziava ad albeggiare tingendo di un rosso carminio e di arancione tutto ciò che andava abbracciando. Una ciocca ribelle di biondi capelli le cadde inaspettatamente sul viso, coprendole l'occhio destro. Senza pensarci due volte, la piccola Narcissa iniziò a soffiare in maniera tale da spostarla senza dover ricorrere all'uso delle mani. Dopo svariati tentativi non andati a buon fine, però, la ragazzina perse la pazienza e dovette arrendersi, portandoseli manualmente dietro l'orecchio sinistro.

*Dove saranno tutti? Ok che è ancora presto e che prima delle dieci non inizieranno le lezioni, ma non vorranno farmi credere che dormano ancora tutti!*
Lo sguardo cadde sul tavolo dove i professori erano soliti sedersi. Li ricordava lì, pomposamente seduti il giorno in cui era stata smistata nella nobile casa di Salazar Serpeverde. D'improvviso le venne in mente sua madre, come tutte le volte che provava nostalgia: sua madre, ex studentessa di Serpeverde, s'era detta fiera per la scelta del Cappello Parlante; suo padre, invece, non s'era espresso esplicitamente e Narcissa ne aveva dedotto che c'era rimasto male e che avrebbe preferito fosse smistata in Tassorosso, com'era stato con lui.
La piccola Narcissa sospirò nuovamente. Lo stomaco prese a gorgogliare rumorosamente.

*Beh, in qualsiasi caso, diamoci dentro*
Buttò indietro le braccia stiracchiandosi tediosamente: era annoiata, non sapeva cosa fare. Afferrò una fetta di pane tostato dal vassoio davanti a lei e la ricoprì abbondantemente di burro. Dopodiché riempì il piatto di uova fritte, bacon e fagioli. Forse, davanti a tutto quel ben di Dio, il suo stomaco avrebbe smesso per un po’ di far sentire la sua presenza…

Mentre masticava lentamente il suo pasto, Narcissa si guardò attorno. C’erano pochi studenti e anche quei pochi presenti al tavolo di Serpeverde sembravano per lo più assonnati; i pochi invece che avevano deciso di scacciare Morfeo fino a sera avevano gli occhi incollati sui libri. Sembrava che quella mattina ogni forma di socialità fosse improvvisamente stata rimpiazzata dalla voglia di studiare o di poltrire.
Narcissa sboffò. Aveva voglia di scambiare quattro chiacchiere con qualcuno, ma non aveva idea di come avvicinare qualcuno, vista la sua proverbiale diffidenza. In altre parole, era in preda a una lotta interiore fra l'abbassarsi ad avvicinare qualche studente smarrito come lei o se proseguire per la sua strada.

*Beh, e quindi che faccio?!*
Era indispettita, come ogni qualvolta non fosse in grado di arrivare a fornirsi una risposta univoca. Detestava quando s'imponeva di mettersi davanti a una scelta compiuta, ma in quel momento non poteva fare altrimenti.
Dopo un lungo rimuginare, optò per la via più semplice: continuare a mangiare nell’attesa che qualche Serpeverde avesse levato gli occhi da quei maledetti libri. Che poi, cos’avevano tutti da studiare e ripassare così freneticamente? Esami nell’aria non parevano essercene, o per lo meno Narcissa non ne era al corrente. Con un sopracciglio inarcato, si versò del succo d’arancia nel bicchiere e ne bevve una lunga sorsata.


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Quella mattina si era svegliato controvoglia perché la voce del suo amico Philo si era alzata di un paio di toni di troppo per i suoi gusti. Come al solito, aveva dormito senza sogni né incubi, senza problemi o intoppi fino al momento di quella sveglia brusca e inaspettata… La cosa lo aveva reso subito nervoso e aveva preferito continuare a fingersi addormentato e aspettare che gli altri ragazzi nel suo dormitorio fossero usciti, prima di decidersi ad aprire gli occhi e buttarsi giù dal letto; perché socializzare con quell’umore non gli veniva proprio bene, nemmeno quando si trattava di farlo con quelle che erano tra le poche persone al mondo di cui tollerava l’esistenza.
Ovviamente, la decisione di attardarsi tra le lenzuola implicava il dover stringere i tempi di preparazione, così da fare colazione con la solita calma di sempre e raggiungere puntuale la prima lezione della giornata. Arrivare tardi in aula non era minimamente contemplabile e nemmeno diminuire i tempi per la colazione, l’unico essenziale momento della giornata che gli serviva a mo di training autogeno per sforzarsi quantomeno di non apparire sociopatico, quindi per risparmiare tempo avrebbe dovuto evitare la doccia. Si annusò come ulteriore verifica: non profumava di fresco, ma non era male. Passabile. Con una scrollata di spalle, si affrettò a cercare una divisa pulita – almeno quella – e si vestì rapidamente. Per sua fortuna, i capelli erano in ordine perché ancora molto corti, quasi rasati a spazzola, e ciò lo avrebbe aiutato a non apparire troppo trasandato. Si appoggiò la cravatta intorno al collo, decidendo di allacciarla durante il tragitto verso la Sala Grande, e si avviò fuori dai dormitori e dalla sala comune dei Serpeverde con la sua borsa scolastica a tracolla. Pronto – più o meno… circa – per un nuovo giorno.
Già dalle scale che precedevano la Sala il brusio degli studenti immersi nelle prime conversazioni mattutine gli giunse forte e chiaro nelle orecchie… Troppo forte, anche se non gli sembrò particolarmente affollata.
Era veramente di pessimo umore.
Con un sospiro profondo, come a volersi incoraggiare, si decise ad attraversare la soglia della Sala e si mise a sedere letteralmente sul primo posto libero che trovò nella lunga tavolata della sua casata. Non aveva nessuno alla sua sinistra – cosa che allegerì il suo umore, dato che essendo mancino si lamentavano sempre delle gomitate che dava – e alla sua destra c’era solo una ragazzina bionda, che sembrava innocua. Prese una tazza dal centro del tavolo e magicamente la vide riempita all’istante di latte e cereali: amava quel posto. E l’accenno di un sorriso sembrò apparire sul suo volto tetro, addolcendone i lineamenti grazie alle fossette che gli si accentuarono sulle guance.
Per la fretta di raggiungere la Sala non aveva nemmeno controllato cos’avesse nella borsa scolastica, ma conoscendosi era sicuro di averla sistemata la sera prima con i libri giusti per la lezione della giornata… Anche se non si ricordava di averlo fatto.
Presa la prima grossa cucchiaiata di cereali, si pulì le labbra con il dorso della mano, in un gesto tanto maleducato quanto automatico, e prese a rovistare nella borsa in cerca di qualcosa da leggere. Era stato fortunato, perché inconsciamente aveva avuto premura di incastrare tra i libri scolastici anche una versione tascabile dell’Ulisse di James Joyce. Era spesso quanto un dizionario, ma era comodo da portare in giro.
Alla seconda cucchiaiata di cereali aveva già aperto il libro in una pagina a caso – come gli piaceva fare quando già ne conosceva il contenuto nella sua totalità – e iniziato a leggere, dando un senso a quella giornata iniziata per il verso sbagliato.

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Narcissa Elodie Miller
view post Posted on 30/7/2020, 13:00





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Finalmente il suo stomaco aveva deciso di smettere di borbottare e di quelle ranocchie lamentose non restava che un labile ricordo. Per Narcissa stare a stomaco vuoto per troppo tempo era un autentico dramma: amava mangiare e quando non sapeva cosa fare era solita recarsi in Sala Grande alla ricerca di qualcosa da stuzzicare. Sgranocchiare la metteva di buonumore, motivo per cui, molto spesso, soleva masticare un chewing-gum, rigorosamente alla menta.
La fame fortunatamente era ormai un ricordo passato, ma la gola... ah la gola, quella restava pur sempre una tentazione alla quale era assai difficile non cedere: dopo essersi accertata che nessuno stesse controllando le quantità di cibo che aveva consumato fino a quel momento, si allungò furtivamente verso un cestino di frutta poco distante da lei. Un gesto rapido e recuperò una mela verde, che nel giro di pochi attimi finì vittima dei suoi denti. Dopo un'abbuffata a base di uova fritte, bacon e toast imburrati sicuramente non avrebbe fatto bella figura a fare il bis, dando l'impressione di strafogarsi in maniera compulsiva - cosa che, di fatto, faceva ogni qualvolta era nervosa e non aveva altra valvola di sfogo.
D'un tratto le apparve la figura della nonna materna in mente, con la sua aria severa e il naso arricciato dal disgusto.

*Elodie, non vorrai diventare un elefante. Metti giù quel cibo e mangia qualcosa di più sano. Resti pur sempre una signorina, non puoi abbuffarti in quel modo*
La voce della donna echeggiò per qualche istante nel cervello della piccola Narcissa, che dovette lottare con sé stessa per scacciare quel pensiero.
La bimba addentò la mela con foga, quasi volesse sfogare tutta la sua frustrazione su quel frutto innocente. Quel giorno era già particolarmente arrabbiata per gli affari suoi: la delusione di aver conseguito un altro 'accettabile' a difesa contro le arti oscure le aveva lasciato l'amaro in bocca: per quanto si sforzasse, non riusciva mai ad eccellere in quella materia. Sarà perché non le piaceva o forse anche perché non riusciva a riscontrarne un'utilità pratica, fatto sta che provava una sorta di repulsione per una disciplina che riteneva insoddisfacente e di ben poco uso pratico. D'altronde - si chiese - quale individuo sano di mente avrebbe liberato un molliccio davanti a loro? Ricordava ancora l'ultimo incontro avuto con quella fetida creatura: appena il professore l'aveva liberato dal suo armadio, aveva preso le sembianze della sua terribile nonna materna. La paura di deluderla che provava nei suoi confronti aveva echeggiato nell'intera aula, umiliandola di fronte a tutti gli studenti del primo anno e mettendo alla pubblica gogna la sua paura più grande. Al solo ripensarci ancora le ribolliva il sangue nelle vene e le guance assumevano un lieve colorito rosaceo.
Un altro morso a quella povera malcapitata mela e l'attenzione di Narcissa venne distolta improvvisamente da quel flusso di coscienza senza capo né coda. In quello stesso istante un giovane concasato aveva preso posto sulla panca, a pochi centimetri da dove si trovava lei. Non sembrava particolarmente concentrato sul cibo: anzi, di tanto in tanto immergeva il cucchiaio nella sua scodella in cerca dei cereali che galleggiavano pigramente nel latte, ma non sembrava mosso da fame o da gola. Era più altro assorto nella lettura di un libro che Narcissa non fu in grado di identificare a quale materia appartenesse...

*Chissà cosa starà studiando* si domandò Narcissa, curiosando con la coda dell'occhio il tomo che teneva davanti a lui.
Il ragazzo sembrava essere già avanti con la lettura, poiché il tomo era aperto a metà. Narcissa aveva fatto appena in tempo a leggerne il titolo: Ulisse. D'un tratto ebbe un'intuizione: forse stava studiando qualcosa per storia della magia. L'ultima volta in classe Peverell aveva parlato della storia di Calipso e di Circe. Infine, aveva chiesto loro di svolgere un tema proprio sulla figura di Ulisse. Probabilmente quel ragazzo stava studiando le stesse cose che qualche giorno prima aveva studiato pure lei.

"Stai studiando storia della magia?" domandò Narcissa al ragazzo, senza nemmeno riflettere.
Le parole le uscirono spontaneamente, quasi come se non fosse stata in grado di governarle. Non lo conosceva, se non di vista: l'aveva visto qualche volta transitare per la Sala Comune, ma quel ragazzo non era del suo anno, quindi non avevano mai avuto occasione di parlarsi veramente. Per di più, anche in Sala Comune spesso tendeva a restare per gli affari suoi. Era un ragazzo schivo e riservato, questo Narcissa l'aveva compreso in pieno. Praticamente, il suo opposto.

"L'ha spiegato l'altro giorno in classe, Ulisse" spiegò poi, alludendo chiaramente al titolo e non preoccupandosi di tenere nascosto il fatto che avesse sbirciato senza troppe remore la copertina del manuale.
Narcissa abbozzò un lieve sorriso in direzione del ragazzo. Visto il modo di essere del morettino, probabilmente avrebbe trovato inopportuna la sua sfacciataggine. Ma alla piccola Serpeverde non importava più di tanto in quel momento. Anche perché lei era fatta così, non avrebbe potuto farci molto.



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Tra tutti i suoi autori preferiti, Joyce era decisamente quello con cui condivideva maggiormente un rapporto di amore/odio, perché a volte gli sembrava di fare il lavoro dello psicologo nel leggere quei flussi di coscienza… e già ne aveva parecchi di suoi da dover districare.
Sua nonna, diverse volte, gli aveva detto che era un ragazzino silenzioso perché i discorsi nella sua mente erano più interessanti di qualsiasi conversazione sociale e, anche se crescendo ci aveva riflettuto parecchio su questa osservazione, arrivando alla conclusione che non fosse né un bene, né un complimento, aveva capito che era dannatamente vero. Quando guardi una persona negli occhi ti scatta qualcosa, nel cervello, che te la fa inevitabilmente giudicare: per carattere o per indole, la stessa persona posta davanti a una sfilza di persone di età, sesso e cultura diverse, verrebbe ‘interpretata’ in diversi modi. La natura umana imponeva la visione soggettiva delle cose – o delle persone – che lo si volesse o meno. Era una condizione innata, che non aveva nulla a che fare con le esperienze vissute dall’una o dall’altra persona. Certo, quando arriva il momento di relazionarsi influiscono, inevitabilmente, tutta una serie di fattori caratteriali a manipolare quella ‘interpretazione’ ed è per questo che si dice di ‘non giudicare mai un libro dalla copertina’, ma per essere il primo pensiero di quella giornata stava diventando troppo profondo…
Sbuffò, perso nei propri pensieri.
Era quasi certo di non aver mai giudicato nessuno nel corso della sua vita, ma per la questione dell’innata soggettività di cui sopra, gli era capitato di farsi dei pensieri su qualcuno: di idealizzare o affossare qualcuno solo da come si esprimeva… A rifletterci, non era poi una reazione così diversa dal giudicare.
In ogni caso, sapeva inquadrare le persone. Ci azzeccava quasi sempre… Quasi. E il margine di errore gli venne sbattuto in faccia alle nove di mattina da una folta chioma bionda.
Al suono della voce della ragazzina alla sua destra, rimase per un attimo sorpreso e, con discrezione, per non apparire scemo, alzò lo sguardo per assicurarsi che non ci fosse nessun altro nelle vicinanze, che avesse davvero rivolto la parola a lui. Forse era perché aveva saltato la doccia o forse, più probabile, perché l’espressione sul suo viso doveva dare l’impressione di essere a un passo dal commettere un omicidio, cosa che di per sé bastava a tenere le persone a distanza, ma c’era un alone vuoto intorno a loro. Come se la ragazzina avesse incautamente e inconsapevolmente attraversato il suo spazio vitale, escludendo chiunque altro.
Ben conscio, però, di essere stato lui a invadere lo spazio vitale della biondina, decise di non ignorarla. Aveva un carattere scontroso e introverso, ma lo salvava l’essere educato.


“Si, qualcosa del genere…”le rispose, alzando lo sguardo ad incrociare il suo. Differentemente da lui – che di tenero aveva solo le fossette che gli si formavano sulle guance quando parlava e sorrideva, di rado – lei aveva un viso buono, di quelli che quando hai undici anni non puoi ignorare e ti spingono a fare amicizia. Un po’ gli ricordava Christelle.

“Ti sei svegliata prima dei tuoi amici?”si trovò a chiederle, alludendo al fatto che fosse seduta alla tavolata da sola. Quella domanda sorprese anche sé stesso. La somiglianza con Christelle doveva averlo stordito… Altrimenti non si spiegava il perché di quell’improvvisa preoccupazione per le interazioni sociali di una bambina che non aveva mai notato prima.
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Narcissa Elodie Miller
view post Posted on 30/7/2020, 15:50





Narcissa Elodie Miller
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La lettura sembrava aver assorbito quel ragazzo. Narcissa l'osservava, l'aria curiosa tipicamente da undicenne dipinta sul volto. Per tanti anni s'era sempre chiesta cosa ci trovassero le persone a leggere libri così, senza un apparente motivo o un'intrinseca utilità. Lei aveva dovuto iniziare ad approcciarsi alla carta stampata a causa dello studio, altrimenti sino a quel momento non aveva fatto che sfogliare distrattamente le riviste che suo padre abbandonava sul tavolino del salotto, risvegliando l'istinto polemico della madre, che non aveva ancora imparato a sopportare l'idea che nelle riviste babbane le fotografie fossero statiche e assolutamente prive di vita.
Quando il ragazzo alzò lo sguardo su di lei, Narcissa deglutì, ricacciando indietro la classica domanda che qualsiasi altra persona al suo posto si sarebbe posta.

*Disturbo?*
Ma no, lei non avrebbe mai fatto questa domanda, semplicemente perché non era stata nemmeno sfiorata dal dubbio. Mandò indietro i capelli, lasciando che ricadessero lungo la sua schiena e alcune ciocche andarono a infilarsi - con sommo disappunto di Narcissa - all'interno del cappuccio della divisa.
*Ecco, adesso ci manca soltanto che appena tornata in Sala Comune debba instaurare una lotta con la spazzola*
Nonostante l'aria cupa e solitaria, quel Serpeverde aveva deciso di risponderle. La cosa non la sorprese particolarmente. D'altronde erano compagni di casa, era impossibile che la ignorasse. O per lo meno, così credeva Narcissa, il cui narcisismo, per l'appunto, sovrastava ogni minimo accenno di buonsenso che avrebbe potuto suggerirle che non era possibile star simpatici al mondo intero. Ma la sua estrema vanità le occultava questo pensiero, relegandolo nei meandri più remoti del suo cervello.
"In realtà non ho quasi chiuso occhio"
Rispose alla domanda di quel ragazzo con una semplicità disarmante: quand'era nervosa faceva così lei, dormiva poco e si abbuffava finché lo stomaco non sopraggiungeva chiedendole pietà a suon di nausea.

"Ho preso ancora accettabile a Difesa Contro le Arti Oscure... la trovo una cosa inaudita. Come si fa a dare accettabile a un compito come il mio?!" sbraitò Narcissa, più rivolta a sé stessa che al ragazzo.
Non era convinta che al ragazzo interessassero particolarmente i suoi drammi scolastici. Così come sapeva che alla sua famiglia quegli 'accettabile' non sarebbero andati a genio. Alzò gli occhi al cielo, accompagnando quell'occhiata esasperata con un gesto delle mani altrettanto eloquente. Entrambi i palmi si aprirono, quasi Narcissa stesse sollevando le braccia in segno di resa.

"Fosse per me smetterei subito di seguire quel dannato corso" aggiunse con una punta polemica nella voce.
Istintivamente diede un altro morso alla mela verde che aveva temporaneamente appoggiato sul piatto. L'inesorabile scorrere dei minuti e l'inevitabile contatto con l'aria avevano fatto sì che la polpa stesse lentamente prendendo a virare verso il marroncino, lasciando intravedere il processo ossidativo tipico di quel frutto.

"Ma dubito ti interessino i miei drammi scolastici" aggiunse poi, decisa a tagliare quel discorso. Più parlava della sua media scolastica e più le saliva il nervoso, facendola avvampare di calore come se fosse stata seduta davanti a un falò in pieno agosto.
I suoi occhi azzurri rotearono nuovamente, lasciando trapelare in maniera più che evidente tutta l'insofferenza che provava al solo pensiero di quei voti che non la soddisfacevano. Un istante e lo sguardo tornò a posarsi sulle fossette che s'erano materializzate ai lati delle labbra di quel tenebroso ragazzino. Come ipnotizzata da quei piccoli solchi, Narcissa tornò all'attacco, come se un fiume in piena di parole stesse per travolgere il povero malcapitato che aveva scelto di prendere posto accanto a lei.

"Come ti chiami?"
Scosse appena la testa, decisa a togliersi dal viso quell'espressione da ebete che s'era formata seguendo il disegno delle fossette di Draven. Un leggero sorriso si dispiegò sulle sue labbra, lasciando intravedere un'arcata dentale bianca e ordinata, frutto di un'estrema cura e dedizione da parte della bambina, che passava minuti e minuti appostata allo specchio a spazzolarli con meticolosa precisione.


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Senza rendersene nemmeno conto, chiuse il libro e riprese a mangiare; la sua mente aveva deciso di aver trovato una distrazione meno prolissa di James Joyce. Di solito, a Draven non piacevano le persone, lo infastidivano in generale. C’era sempre qualcosa che non riusciva a mandare giù: il tono della voce, l’uso delle parole, i movimenti delle labbra, le espressioni facciali… Erano veramente poche le persone che erano riuscite a fare una positiva impressione su Draven e solo di due, nella storia dei suoi lunghi quattordici anni, sopportava e, anzi, apprezzava lunghi discorsi… Ma in quella ragazzina, almeno d’impatto, non trovò niente di irritante. Lo interpretò come un dato positivo.
Aveva la voce di una normalissima undicenne e, anche se sembrava parecchio arrabbiata nello spiegare di non aver chiuso occhio e di aver preso un basso voto in difesa contro le arti oscure, non si era messa a sbraitare istericamente. Se nell’estetica sembrava una Christelle in miniatura, nel carattere gli diede immediata impressione di somigliare a sé stesso. Anche lui ci teneva ai compiti, studiava come un forsennato nell’ambizione di prendere i voti più alti, perché non desiderava altro che essere riconosciuto come lo studente migliore, quello di cui i Serpeverde e l’intera scuola sarebbe potuta andare fiera e avrebbe parlato nei decenni a venire, ma aveva presto capito che, a volte, i voti non dipendevano solo dalla quantità di studio, ma da una serie di fattori che andavano dalla più superficiale simpatia dei professori per lo studente, alla più profonda attinenza dello studente all’essenza della materia che ogni professore pretendeva a modo suo.
Comunque, compiti e voti a parte, la ragazzina aveva eluso la sua domanda. Lungi da lui investigare di più sull’argomento, ma non potè fare a meno di trovarla una cosa quantomeno curiosa.


“Mi chiamo Draven. E, fossi in te, continuerei ad applicarmi in difesa contro le arti oscure indipendentemente dal voto. Se hai imparato cose che meritavano di essere imparate, anche sbagliando, va bene così…”le rispose poi, dopo averla lasciata parlare senza mai interromperla. Già non era particolarmente portato a intavolare conversazioni, figuriamoci quanto poteva essere pratico nei botta e risposta… Era stato onesto – come lo era sempre, completamente incapace di mentire dalla nascita – nel consigliarle di non dare troppo peso ai voti, perché per davvero pensava che la cosa più importante tra le varie opportunità che gli venivano date a Hogwarts fosse quella di poter imparare - a vivere, a combattere, a difendersi - ma a lui stesso in primis importavano i voti. Non gli era ancora mai capitato di prendere meno di una O, ma se gli fosse mai capitato, pensò che l’avrebbe presa decisamente peggio di lei… E mentre mandò giù l’ennesima cucchiaiata di cereali, realizzò di essersi – come al solito – perso nei propri pensieri un po’ troppo a lungo. Chissà che faccia aveva, quando si trovava a parlare con le persone e poi, di punto in bianco, si assentava per rinchiudersi nella propria mente… Era sicuro solo del fatto che mantenesse fisso il contatto visivo, perché quella era una delle cose che alle persone davano fastidio di lui. Lo aveva constatato più volte nel corso degli anni.
In fin dei conti, il fastidio tra lui e le persone era reciproco…


Tu come ti chiami, piccola impicciona accettabile?disse poi e accompagnò le parole con un mezzo sorrisetto divertito, che accentuò le fossette sulle guance, dandogli un’aria meno cupa.

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Narcissa Elodie Miller
view post Posted on 31/7/2020, 20:39





Narcissa Elodie Miller
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Se parlare era il suo sport preferito, ascoltare, invece, non era il suo forte. C'è da dire che aveva avuto la fortuna di incappare in una persona non particolarmente loquace. Narcissa ne studiò il viso: ciò che la colpì maggiormente fu che per tutto il tempo che avevano passato parlando - per quanto poco avessero conversato fino ad allora - Draven non aveva mai abbassato lo sguardo. Per un istante un brivido le scese lungo la schiena, ricordandole la medesima soggezione che provava quando sua nonna Elodie la fissava. Ma a differenza della nonna, nello sguardo del ragazzo non v'era traccia alcuna di rancore o risentimento. Senz'altro, lo si poteva constatare apertamente, non era abituato a intavolare conversazioni, visto quanto poco s'era esposto. Ma Narcissa era pur certa che dietro quella corazza di freddezza e riservatezza ci fosse una persona sensibile e capace di ascoltare.
"Credi davvero che valga la pena studiare Difesa contro le Arti Oscure? Voglio dire...ci ha fatto affrontare un molliccio! Un molliccio, sai cosa significa? Che non solo ho dovuto far vedere a tutti di cosa ho paura, ma ha anche vanificato il fatto che mi sono messa in ridicolo con quel voto. Che fra l'altro... chi lo dice adesso a mia nonna?"
Parlò di getto la piccola Narcissa, come se le parole fuoriuscissero dagli argini come un fiume in piena. Avesse potuto uscirle del fumo dal naso, sicuramente Draven avrebbe potuto scorgerlo distintamente.
Pochi attimi e realizzò anche d'aver messo in piazza la sua più grande e terribile paura, ossia il giudizio di sua nonna. In verità, Narcissa temeva più in generale il giudizio altrui, ma quello della nonna la spaventava in maniera particolare. Sospirò sommessa, rassegnata all'idea che dovesse comunque spupazzarsi quel corso fino al settimo anno e che niente e nessuno avrebbe potuto dispensarla da quel supplizio.
La mente vagò per qualche istante, persa nell'iperuranio, finché la seconda domanda di Draven arrivò a solleticarle le orecchie. Dire il suo nome era sempre un dramma. Narcissa o Elodie? Sua nonna l'avrebbe punita se avesse saputo che da quando era a Hogwarts stava presentandosi usando soltanto il suo primo nome, curandosi di omettere Elodie. Alla fine si guardò bene dal rivelare il suo secondo nome, anche se qualcosa dentro di lei le suggeriva che molto probabilmente Draven avrebbe potuto già conoscerlo, visto che negli elenchi ufficiali figurava sempre. Ma d'altronde... chi leggeva gli elenchi ufficiali? E soprattutto, perché?

"Mi chiamo Narcissa, e per la cronaca sono piccola, ma non impicciona"
Rispose ricambiando con sincerità il sorriso del concasato. C'era una certa punta di orgoglio nelle sue parole. Per qualche attimo s'era ritrovata leggermente spiazzata di fronte a quell'epiteto usato nei suoi confronti ed era già pronta a passare all'offensiva, salvo poi rendersi conto dell'intenzione bonaria di Draven. Lentamente a Hogwarts stava imparando a dosare la sua impulsività, quantomeno con le persone con le quali s'era ritrovata a condividere i colori della divisa e il dormitorio.

"Come mai hai deciso di isolarti dagli altri?" gli chiese poi incuriosita.
Non che lei avesse agito diversamente. Ma Narcissa sapeva perché s'era seduta in disparte. Quand'era nervosa per qualcosa e dormiva poco riusciva a risultare più sgradevole di una caccabomba in uno scantinato, per questo, per salvaguardare l'incolumità altrui ed evitare di sfornare rispostacce con la stessa celerità con cui di prima mattina gli elfi domestici sfornavano croissant e toast, aveva preferito starsene in disparte.


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view post Posted on 1/8/2020, 12:24
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La prima tazza di cereali era quasi finita e quell’accenno di buonumore ispirato dalla ragazzina stava scemando a ogni cucchiaiata. Era incredibile la volubilità del suo umore: per chiunque altro, probabilmente, sarebbe stato frustrante – e forse era anche questo uno degli innumerevoli motivi per cui faticava a entrare in confidenza con le persone, al di là del principale fatto che le odiasse tutte a prescindere – ma per lui cambiare umore nel giro di pochi minuti era naturale quanto respirare. Poteva perlomeno asserire di non annoiarsi mai… Le sue giornate erano sempre imprevedibili.
Però aveva bisogno di un’altra tazza di latte e cereali. Mandata giù l’ultima cucchiaiata, spostò la tazza vuota e ne prese un’altra che, come la precedente, si riempì magicamente fin quasi all’orlo. Quando la ragazzina gli rispose di nuovo, prese la tazza in una mano e si voltò di lato sulla panca, piegando e appoggiando la gamba destra sul legno duro della seduta per potersi trovare di fronte a lei. Fu un gesto automatico, che fece senza riflettere, perché inconsciamente abituato a fissare le persone quando gli parlavano e stava diventando complicato farlo mentre mangiava rivolto verso il tavolo. Magari, un giorno, forse da adulto, avrebbe capito che lo faceva per testare le loro reazioni in risposta al proprio modo di fare, ma dall’alto dei suoi quattordici anni – per quanto si considerasse maturo e intelligente – non era ancora arrivato a capirlo. E nemmeno gliene fregava qualcosa.
Nel sentire le parole della biondina, ricordò inevitabilmente la prima volta in cui aveva dovuto affrontare un molliccio e gli venne la pelle d’oca sulle braccia. C’aveva pensato per settimane, ne era quasi rimasto traumatizzato: dall’armadio in cui era stato rinchiuso, era uscito sotto forma di pinguino, si era fermato davanti a Draven e si era tramutato in una versione zombie di suo padre. Per nessuno aveva avuto granché senso il pinguino, anzi; ricordava ancora le risatine di alcuni suoi compagni inconsapevoli e gli ‘ooow’ inteneriti degli altri increduli, perché non aveva un aspetto proprio terrificante. Ma i mollicci ti entravano nella testa e, al di là di ciò che aveva visto, aveva odiato quella sensazione di essere stato esposto così facilmente.


Non dirglielo.fu la semplice risposta che le diede, scrollando le spalle in un gesto di indifferenza. Non avrebbe affrontato l’argomento mollicci per nulla al mondo, quindi meglio vertere l’argomento di conversazione di nuovo sulla questione voti. Manca ancora qualche mese alla fine dell’anno, hai tempo e modo di alzare la media.continuò, per argomentare. Non gli piaceva parlare, ma essere criptico lo riteneva ridicolo. Se andava detta una cosa, andava detta a dovere e, dato che quella mattina si stava scoprendo buon consigliere, tanto valeva chiarirle le idee, invece di confondergliele.
Con la bocca di nuovo piena, distese le labbra in un altro sorrisino divertito. Narcissa, così disse di chiamarsi la ragazzina piccola ma non impicciona, era riuscita in pochi minuti in un’impresa che in pochissimi potevano vantare. Continuava a ripetersi che dipendesse per lo più per la somiglianza fisica con Christelle, cosa che lo aveva in qualche modo messo a suo agio sin da subito, ma la realtà era che a ogni sua parola gli faceva sempre più simpatia.


Hai un nome egocentrico, lo sai? Per via del mito di Narciso.proseguì a risponderle, alzando un sopracciglio con aria divertita, che però sparì subito dopo alle sue parole seguenti. Perché le persone davano per scontato che decidesse di isolarsi? Insomma, era vero che spesso lo decideva – quella mattina compresa, perché Philo, il suo compagno di stanza, gli aveva dato sui nervi ancora prima che si fosse svegliato – ma non ci trovava niente di male nel voler stare da soli. Anzi, riteneva che fosse piuttosto inquietante essere una di quelle persone che necessitava sempre dell’attenzione o della compagnia altrui perché troppo impaurita dal restare da sola ad affrontare i propri pensieri.

Mi piace stare da solo e basta.disse seccamente, fissando lo sguardo di nuovo truce dritto nei suoi occhi, sperando che l’antifona le fosse abbastanza chiara da evitare di riprendere l’argomento. Si sarebbe sfogato contro Philo più tardi, se anche lei avesse cominciato a dargli sui nervi... Ma erano andati così bene fino a quel momento che quasi sperava che quella domanda fosse stata solo un impulso di ingenua e infantile curiosità che non si sarebbe ripetuto.

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Narcissa Elodie Miller
view post Posted on 1/8/2020, 13:03





Narcissa Elodie Miller
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Non c'era niente di più rilassante che stare in sala grande. Tutto quel cibo che continuava a formarsi e riformarsi nei piatti la metteva di buonumore. Non voleva ammetterlo, ma la piccola Serpeverde aveva un problema piuttosto evidente con il cibo. Era un rapporto conflittuale, al limite della tragicità, iniziato nel momento in cui sua nonna Elodie le aveva espressamente vietato di mostrare la sua vera natura. Aveva stilato un decalogo che lei, Narcissa, avrebbe dovuto seguire pedissequamente. Tra le tante cose che le erano state vietate c'era il non raccontare d'essere una mezzosangue. Non che ci vedesse niente di sbagliato, ma col tempo aveva imparato a disprezzare la sua vera natura e, in parte, anche il padre, poiché nato babbano. Sospirò, allungando meccanicamente la mano verso il tavolo e afferrando un altro toast ripieno di prosciutto cotto e formaggio. Sotto le dita il pane era soffice e croccante allo stesso tempo, quel gusto le riempiva le papille gustative e la faceva viaggiare indietro nel tempo. Fece in tempo a dare un altro morso al toast, dando l'impressione d'essere una consumatrice seriale di panini imbottiti, e poi scorse Draven sistemarsi sulla panca di fronte a lei, in maniera tale da poter posare su di lei meglio lo sguardo.
Draven la stava osservando, sembrava quasi stesse perquisendole l'anima. Quell'aria così misteriosa e al contempo inquisitoria avrebbe spaventato chiunque, ma non lei. Era talmente abituata alla cattiveria intrinseca di sua nonna, da non soffermarsi sull'aspetto più o meno rassicurante delle persone. Certo, Draven non era il massimo dell'espansività, però era pur sempre una persona che avrebbe sicuramente, presto o tardi, mostrato le sue qualità. Narcissa ne era convinta.
Il flusso di pensieri che si venne a creare fu bruscamente interrotto dall'uso di una parola che la piccola Serpeverde non aveva mai udito.

"Egoche?" domandò, quando Draven le disse che aveva un nome 'egocentrico'. Non aveva mai udito nulla del genere, chissà cosa significava, si chiese, mordendosi appena il labbro inferiore dopo aver constatato di aver appena fatto la figura della fessa. Pienamente consapevole dei suoi limiti accademici e mentali, si limitò ad abbozzare un sorriso tirato.
"A mia mamma piace molto il mio nome, mia nonna invece lo detesta" si limitò a dire, abbassando appena la testa e prendendo a fissare un punto non meglio precisato del pavimento. Sospirò di nuovo, ricordandosi delle conseguenze che aveva subito tutte le volte che s'era presentata come Narcissa e non come Elodie. Le punizioni della nonna, i richiami verbali, i castighi fisici... a Hogwarts si sentiva libera d'essere Narcissa e basta. Non sapeva ancora se quanto detto da Draven fosse un complimento o meno, però aveva intuito che chiamarsi così poteva essere sicuramente una bella cosa, come le avevano più volte ribadito i suoi genitori.
Quando però l'argomento si spostò sulla misantropia del ragazzo, Narcissa s'accorse immediatamente di aver toccato un tasto dolente. Draven, infatti, si era rabbuiato e messo immediatamente sulla difensiva
Narcissa tornò a guardarlo, mentre quel che restava del suo toast continuava a girovagare da una mano all'altra, segno del profondo nervosismo che la stava turbando in quel momento.

"Io... io non volevo essere inopportuna, ecco..." balbettò arrossendo appena e dimostrandosi sinceramente dispiaciuta per essere stata così invadente con lui.
D'altronde, non poteva biasimarlo. Era soltanto la loro prima conversazione, non avrebbe di certo preteso che il ragazzo si sbilanciasse a tal punto. E poi, non era nemmeno scritto da nessuna parte che tutti dovessero essere logorroici almeno la metà di quanto lo era lei.

"E' che io ho pau... no, no, niente."
Per un primo momento le parole stavano per uscirle spontaneamente dalla bocca. 'Io ho paura' stava per dire. Ma poi sarebbe risultata sciocca. Troppo bambina. Nonostante, ovviamente, lei bambina lo fosse per davvero. Ma l'idea di esporsi così tanto con lui l'aveva bloccata, dopo la reazione aveva avuto. Forse, per certi versi, aveva capito d'essere stata inopportuna e di aver sforato troppo nella bolla prossemica altrui.
Abbandonò il toast nel piatto vuoto piazzato sul tavolo di fronte alla sua postazione e portò ambedue le gambe sulla panca, cingendosi le ginocchia con le braccia e appoggiando il mento sulle ginocchia. Sospirò di nuovo, persa nei suoi pensieri.



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Il mistico potere della colazione stava finalmente cominciando a fare effetto. Aveva quasi rimosso il ricordo della traumatica sveglia e il cervello si stava mettendo in moto nel modo giusto: sì, era certo di avere tutto il necessario per la giornata di lezioni già nella borsa scolastica; sì, aveva consegnato tutti i compiti e ordinato gli appunti; sì, si era esercitato sugli incanti di trasfigurazione e difesa contro le arti oscure. La giornata sarebbe andata alla grande.
Oltretutto e inaspettatamente, Narcissa si era rivelata una buona compagnia. A pensarci, forse, era un po’ deprimente per un quattordicenne mettersi in disparte a conversare con una ragazzina di undici anni, ma non era di certo colpa sua se l’aveva trovata più intelligente e interessante della maggior parte dei coetanei con i quali aveva avuto modo di interagire. Inoltre, il fatto di essere più grande di lei, con una cultura un po’ più ampia, gli infondeva uno strano senso di potere… Una parte remota del suo cervello provò a spiegargli che, forse, non era una cosa bella sentirsi potente di fronte ai più piccoli, ma ci stava solo parlando, non si stava approfittando di lei in alcun modo e non lo avrebbe mai fatto. Era un po’ stronzo e burbero, ma non cattivo.


Egocentrico. Significa che pensi solo a te stesso e riversi su te stesso tutto ciò che ti è intorno, ignorando tutto il resto che non ti riguarda.iniziò a spiegarle, mandando giù un’altra cucchiaiata di cereali.
Non è una cosa così brutta come pensa la gente. Lascia che alle buone azioni ci pensino i tassorosso e i grifondoro… Chi sviluppa una personalità egocentrica ha solo maggiore interesse per sé stesso rispetto a chiunque altro, che preferisce spendere il proprio tempo per… altre cose o altre persone… per qualche motivo… - proseguì a dire, con la bocca piena, facendo spallucce, come a dire silenziosamente che non capiva il perché alcune persone potessero avere interesse più negli altri che per sé stessi. Davvero non lo capiva.
Comunque, il tuo nome… Viene dal mito di Narciso. continuò e per un attimo gli occhi di Draven brillarono di entusiasmo alla sola idea di poter davvero spiegare ad alta voce a qualcuno una delle cose che aveva imparato dalle sue letture frenetiche, ma la curiosità della ragazzina riguardo il suo essersi ‘isolato’ lo rabbuiarono in un istante.
Forse era stato troppo duro con lei, ma non era abituato ad avere a che fare con i bambini. Se si fosse messa a piangere, si sarebbe alzato e sarebbe andato via con la speranza di non incontrarla mai più nemmeno in sala comune… Non sopportava i ragazzini piagnucolosi o chiunque si sentisse libero di poter esternare le proprie emozioni davanti a lui, erano cose che lo facevano sentire a disagio e lui evitava con estrema accuratezza tutto ciò che in qualche modo metteva a repentaglio il proprio status quo.
Ma la vide rannicchiarsi sulla panca, le ginocchia al petto… E un triste ricordo, di lui rannicchiato nello stesso modo in orfanotrofio, lo colpì con la durezza di un pugno allo stomaco. Era terrorizzata. Non da lui, non dalla scuola, né dai suoi compagni… Era terrorizzata di essere sé stessa ed essere giudicata per questo?
Gli venne un conato di vomito… Che ci avesse visto giusto su di lei o meno, quelle apparenti similitudini gli fecero rivoltare lo stomaco.
Posò la tazza di cereali sul tavolo e si ritrovò con lo sguardo basso, probabilmente per la prima volta da quando aveva iniziato a parlare con la ragazzina.


Dovresti portare sempre con te un vocabolario. Quando non conosci una parola, quando qualcuno ti dice qualcosa di cui non conosci il significato, non ti serve chiedere aiuto a nessuno. Puoi cavartela da sola, anche se pensi di avere bisogno di aiuto… Non ti serve. Puoi bastarti da sola.si trovò a dirle, in tono calmo e quasi dolce rispetto ai suoi soliti standard, stringendosi nelle spalle. Non seppe dire nemmeno lui perché ritenne giusto dirglielo, dato che era una lezione che lui aveva capito da solo a sei anni, ma non essendo in grado di rincuorare nessuno, evidentemente pensò di poter almeno aiutare, a modo suo…
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Narcissa Elodie Miller
view post Posted on 4/8/2020, 12:56





Narcissa Elodie Miller
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Parlare con Draven stava ampliando di molto i suoi confini conoscitivi. Mai fino ad allora s'era posta il problema di poter - o dover? - approfondire le sue conoscenze, né in ambito magico, né in ambito semantico. L'antica scienza della semantica e dei suoi molteplici significati nascosti stava lentamente incuriosendo la piccola Narcissa, la quale spesse volte aveva intravisto il dizionario sugli scaffali di casa, nell'ufficio di suo nonno paterno, ma per il quale non aveva mai manifestato alcun sintomo d'interesse. L'aveva visto quel tomo: tante, troppe pagine. E per una come lei che non amava leggere... soltanto adesso scopriva a cosa sarebbe servito. Non era una lettura, conteneva la soluzione alle cose che non si conoscevano. Parole e fatti? O solo parole?
"Quindi mi stai dicendo che se io porto con me il dizionario avrò la soluzione a ogni cosa che non conosco?" domandò, quasi rapita all'idea che bastasse così poco per poter avere fra le mani il sommo sapere. E dire che lei aveva sempre pensato ci volessero anni, anzi decenni, per poter arrivare a padroneggiare almeno un ottavo dell'intero sapere mondiale.
"Sai, mio nonno ne ha uno... però, non so se... i dizionari magici sono uguali a quelli dei babbani?" domandò incautamente, esponendosi in maniera particolare.
Per la prima volta dacché era arrivata a Hogwarts aveva pronunciato quella parola. Babbani. Parte delle sue origini arrivavano da lì. Purtroppo o per fortuna, però, non era in grado di dirlo, visto che dentro di lei vigeva un'eterna lotta fra il suo essere mezzosangue e il doversi mostrare purosangue convinta.
Tuttavia, le parole erano uscite con una spontaneità tale da lasciar trapelare, ancora una volta, i suoi soli undici anni.
Narcissa si rilassò appena, lasciandosi scivolare all'indietro e mollando di fatto l'abbraccio alle ginocchia. Le piaceva quel Draven, la faceva sentire importante. Nessuno, prima di allora, s'era mai sprecato a spiegarle qualcosa. E lui, adesso, si stava ponendo a lei in quell'ottica.

"Non lo conosco il mito di Narciso, lo trovo nel dizionario?" chiese poi, reclinando appena il capo di lato e tornando a posare i suoi occhi azzurri in quelli del ragazzo.
Distolse per un istante l'attenzione da Draven per focalizzarsi sul Frate Grasso, che in quel preciso istante stava transitando sopra le loro teste, volteggiando nella sua paffutaggine e lasciandosi dietro una scia di frescura quasi surreale.

"Mi piace il mio nome e se significa quello che hai detto tu, mi piace ancora di più. Anche mia mamma dice che ho un nome bellissimo, ma non mi ha mai detto perché me lo ha voluto dare"
*A differenza del mio secondo nome, che invece è una specie di cartellino identificativo per una condanna a vita* pensò con amarezza.
Di fronte a quei pensieri si scurì appena in volto. Gli occhi cerulei dardeggiarono a vuoto per la sala grande, si fossilizzarono qualche istante sul cielo soleggiato del salone per poi tornare sul viso di Draven, ancora in ascolto delle sue parole.
C'era qualcosa in lui che la affascinava. Non riusciva a capire cosa fosse: probabilmente tutte le sue conoscenze, o forse il suo modo di fare sfuggente e tenebroso. O forse, ancora, il fatto che la stesse trattando come una sua pari e non come un'undicenne da compatire. Anche perché Narcissa non riusciva a sentirsi tale: certo, aveva undici anni, ma la vita l'aveva portata a doversi comportare a più riprese come una bambina più grande. Non come un'adulta, ma poco ci sarebbe mancato.

"Come fai a conoscere così tante cose?" gli chiese infine, regalandogli un sorriso sincero. Di nuovo, la curiosità - tratto tipico delle bambine undicenni - emerse con prepotenza.
Voleva saperne di più. Senz'altro - e ne era più che certa - non si sarebbe mai e poi mai rinchiusa in biblioteca a leggere per più di mezz'ora al giorno, dato che le bastavano - ed avanzavano - le pagine che quotidianamente doveva sorbirsi per svolgere in maniera consona i compiti, ma qualche consiglio di quel ragazzo avrebbe voluto metterlo in pratica. Quel dizionario... le frullava per la testa come una zanzara in piena estate: doveva procurarsene uno al più presto. In fondo, il primo consiglio pratico del suo concasato era stato che l'avrebbe aiutata a cavarsela da sola in più occasioni.
*Appena a Natale andremo a trovare i nonni voglio chiedere a nonno Rupert se mi regala il suo* pensò con una punta di soddisfazione.


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view post Posted on 11/8/2020, 13:59
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Aveva smesso di portare con sé il vocabolario più o meno nel momento in cui aveva iniziato a prendere confidenza, durante il suo primo anno, con i confini di Hogwarts. Durante gli anni di crescita aveva trovato estremo sollievo nella lettura in generale, ma il dizionario lo aveva spronato ad imparare sempre di più e gli aveva fornito, in innumerevoli occasioni, la possibilità di superare degli ostacoli, come se fosse stato uno scudo. Ogni volta che sentiva o leggeva di una parola che non conosceva, scoprirne il significato lo faceva sentire meno bambino, meno inutile, meno ignorante e, di conseguenza, più forte. Non era un tipo che parlava molto, ma dava il giusto peso alle parole e riteneva di essere in grado di poterlo fare solo grazie al suo vissuto e a quell'abitudine praticamente cresciuta insieme a lui. Magari avrebbe potuto aiutare anche la ragazzina, in questo senso…
Solo dopo averle consigliato di portare sempre con sé un vocabolario si rese conto di non aver mai confessato prima d’allora a nessuno, nemmeno a Christelle, di quel suo vizio. Era sicuro di averne ancora uno nel baule… Non gli serviva più portarselo dietro a ogni occasione, ma sapere di averlo in caso di necessità lo rassicurava. Solo agli occhi di un’ingenua e spaventata undicenne poteva non apparire ridicola come cosa… Forse per questo aveva tenuto per sé quel ‘segreto’.


La maggior parte. iniziò a risponderle, probabilmente intenzionato ad argomentare meglio il discorso, ma la curiosità di Narcissa aveva decisamente preso il sopravvento e si zittì per ascoltare le sue domande. Era bastato così poco per rincuorarla che quasi gli venne da sorridere di nuovo; sicuramente, l’espressione sul viso si addolcì, annullando del tutto l’ombra di nervosismo dai suoi occhi.

Non ho mai avuto un dizionario magico. Non so nemmeno se esistono, ora che mi ci fai pensare… - disse poi, con spontanea e sincera curiosità a riguardo. Strano, per uno come lui, non essersi mai posto quella domanda, ma vero… Avrebbe indagato di sicuro.
Quando rialzò lo sguardo su di lei, la ritrovò seduta di nuovo in maniera più rilassata e pronta a tempestarlo di altre domande. Era davvero strano che quella sequela di richieste non lo avessero ancora innervosito… Anzi, tutt’altro. Gli facevano piacere e più lei andava avanti, più si sentiva di buon umore.


Probabilmente lo troveresti cercandone il sostantivo: ‘narcisista’.ebbe il tempo di spiegare, prima che un brivido gelido lo attraversasse scuotendogli le spalle. Alzando lo sguardo, lì dove anche lo sguardo di Narcissa si era istintivamente posato, notò che il Frate Grasso li aveva appena attraversati incautamente per poter raggiungere il tavolo dei Tassorosso… La cosa, ovviamente, essendo Draven, lo innervosì all’istante e fulminò con lo sguardo un Tassorosso che casualmente aveva osato posare lo sguardo di lui proprio in quel momento. Vederlo sussultare e voltarsi all’istante gli diede una strana soddisfazione. Forse, dopotutto ciò che stava accadendo in quei minuti, avrebbe perso interesse nel vendicarsi di Philo per il terribile modo in cui lo aveva svegliato quella mattina.
A tal proposito, con la coda degli occhi vide l’amico alzarsi dalla tavola e dirigersi verso l’uscita dalla sala grande. Poteva significare solo che aveva perso la cognizione del tempo e doveva darsi una mossa per arrivare in tempo alla prima lezione della giornata.


Ok, basta per oggi con le domande. Vai in biblioteca, è divertente curiosare lì.esordì, ignorando l’ultima delle sue curiosità per il semplice fatto che la sua mente l’aveva interpretata come una richiesta troppo personale e, quindi, aveva ben pensato di evitare di rispondervi. Aveva ancora lo sguardo perso sul tavolo dei Tassorosso quando le parlò – quasi per volersi assicurare che nessun altro osasse rivolgergli lo sguardo – ma si voltò poco dopo verso la tavolata per recuperare James Joyce e allontanare dal posto la tazza di cereali lasciata a metà.

Ci vediamo, Narcissa.concluse poi, lanciandole un ultimo sguardo quando si rimise in piedi.
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Narcissa Elodie Miller
view post Posted on 11/8/2020, 17:24





Narcissa Elodie Miller
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La conversazione stava iniziando a diventare troppo profondamente acculturata per i suoi standard. Narcissa, infatti, non era solita approfondire in maniera così concisa alcune tematiche, se non che non ne avesse vista un'effettiva utilità a scopo meramente personale. E l'idea che quel vocabolario potesse aiutarla a cavarsela da sola l'allettava. Draven ipotizzò anche l'esistenza di un eventuale dizionario magico... chissà come funzionava. La mente di Narcissa vagò qualche istante, immaginandosi un libro, all'apparenza dalle pagine bianche, al quale bastava un semplice sfioro di bacchetta per fornire al mago la risposta di cui necessitava. Sotto quel punto di vista sembrava qualcosa di profondamente interessante. Chissà se esisteva qualcosa del genere. E soprattutto, avrebbe esaudito le sue aspettative?
Lo sguardo di Narcissa tornò a focalizzarsi sul viso del ragazzo, la cui espressione sembrava lentamente dipanarsi verso quella che sembrava un'aria più serena e meno sulla difensiva. La cosa la rilassò, poiché l'ultima cosa che aveva in mente era quella di mettersi contro qualcuno di più grande, soprattutto se quel qualcuno apparteneva di fatto alla sua stessa casa.
S'appuntò mentalmente di andare a cercare il significato della parola 'narcisista' su quel famoso vocabolario. In altre parole, la sua mente si rassegnò all'idea di dover tornare a rovistare fra i polverosi scaffali della biblioteca. Non che avesse alternative, dato che aveva ancora dei compiti di trasfigurazione da consegnare al docente, tuttavia al solo pensiero di dover sacrificare tempo libero chiusa tra quattro mura, in mezzo a tomi fitti di nozioni le veniva il nervoso.

"Dopo devo andare a fare un saggio di pozioni in biblioteca, sicuramente ci guarderò" disse, mentre lo sguardo del ragazzo, carico di astio, andava a posarsi su un indifeso Tassorosso che provvedette istantaneamente a sparire dal campo visivo di Draven. L'occhiata fulminante di Draven sembrava pressoché identica a quella che lei stessa aveva scoccato a Delta McTavish quando s'era impossessata della lettera che Earl aveva lasciato incautamente cadere nel bel mezzo del giardino della scuola. Osservandolo da fuori ebbe un sentore di dispiacere, probabilmente aveva fatto star male quella ragazza. Tuttavia non era una sua priorità, non in quel momento, per questo motivo si obbligò a levarsi dalla mente Delta e l'increscioso episodio in cortile. Non s'era mai fatta scrupolo alcuno negli ultimi anni e di certo non avrebbe cominciato a causa di un'occhiataccia scoccata al Tassorosso che s'era ritrovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Persa tra quei pensieri, Narcissa notò un brusco movimento da parte di Draven, che scattò in piedi e si congedò da lei. Lo fissò con aria interrogativa, quando le sue parole arrivarono distintamente alle sue orecchie. Cos'aveva detto stavolta di male? Prima s'era risentito per una sua frase, ora nuovamente stava sgusciando via da lei, come se avesse pronunciato parole infuocate. Eppure, per quanto si sforzasse di pensarci, era certa di non aver usato toni invadenti.

"Oh? Sì... Sì, certo, ci andrò... Ci... Ci vediamo, va bene... Ciao" balbettò a metà fra lo stupore e la perplessità.
Guardò Draven allontanarsi. Sul tavolo, nel piatto alla sua destra, i rimasugli mangiucchiati del suo toast erano ancora lì, in attesa di finire nel suo stomaco. Con un gesto rapido Narcissa afferrò quel che rimaneva del panino e lo addentò, seguendo il ragazzo con lo sguardo finché quest'ultimo non scomparve attraverso il portone della Sala Grande. Ancora qualche boccone - dei quali uno le costò una tosse persistente poiché le andò per traverso, costringendola a trangugiare un bicchiere colmo di succo di zucca per rinfrescarsi la gola - e il toast scomparve definitivamente.
Sbatté le palpebre un paio di volte e poi si alzò, radunando quel poco che s'era portata con sé.
*Bene, Narcissa, dopo aver fatto invervorare Draven, ora puoi accomodarti in biblioteca. Peverell non ti grazierà se consegnerai i compiti in ritardo* commentò mentalmente con pungente ironia.
Con un movimento rapido scese dalla panca del tavolo di Serpeverde e si guardò attorno. Ormai quasi tutti s'erano volatilizzati. Era rimasta solo lei, insieme a qualche altro studente che si sbrigava al fine di non arrivare in ritardo a lezione. Si mise la sua borsetta a tracolla e poi a passo lento s'avviò verso il portone, diretta in biblioteca.




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