Marlene, torna a casa., Privata

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view post Posted on 30/7/2020, 10:47
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Mary Grenger
Che c'ho una frase scritta in testa ma non l'ho mai detta



Sabato, tre settimane dopo il ballo, 04.15
Aveva gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta. Qualcuno le baciò il collo con delicatezza; una delicatezza che non impiegò molto a tramutarsi in aggressività.
Un’irruenza ben accetta da Mary che produsse un leggero ah pieno di piacere, gli occhi chiusi con una tale forza che quasi provò dolore.
Sei bellissima.
Sorrise.
Olivia glielo aveva sussurrato nell’orecchio con malizia conscia dell’effetto che avrebbe avuto sull’altra ragazza. Mary voleva risponderle, voleva dirle che anche lei era bella, di più, era bellissima, era fantastica con quei suoi capelli biondi, gli occhi chiari, con il suo carattere deciso, lineare. Ma non ci riuscì. Olivia raggiunse presto la bocca della grifondoro baciandola con insistenza, con voglia. Mary si fermò: voleva guardare la ragazza negli occhi e poi farle provare quello che lei stava provando in quel momento, sul letto della casa di sua zia Hannah.
Aprì gli occhi. Lì sgranò quando trovò sopra di sé Jolene White, i suoi occhi verdi, i suoi capelli rossi. Sul viso, ricoperto di bellissime lentiggini, un sorriso aperto, felice, vivo.
Sei bel-
Si svegliò con un sussulto. Un incubo.
Percepiva i capelli bagnati all’altezza del collo. Il cuore batteva ad una velocità insolita. Ansimava come dopo una corsa la mattina. Senza occhiali si sentì da subito disorientata. I ricordi riaffiorarono velocemente: dormitorio grifondoro, stanza di Katie, vacanze estive. Già ad inizio estate tutti avevano lasciato il dormitorio e quindi Mary ebbe l’opportunità di dormire con la sua migliore amica, nel letto a lei vicino.
Ehi, che c’è?
Il mormorio di Katie le arrivò senza problemi visto il silenzio in camera. Mary guardò la sua sagoma sbiadita nell’oscurità e neanche per un attimo ritenne necessario dirle la verità.
Nulla. Dormi.
Katie dovette crederle perché non insistette oltre. Si rigirò nel suo letto con un leggero mh dando le spalle all’amica. Mary non mentiva spesso, anzi non mentiva mai. Le risultava difficile con tutti, con Katie ancora di più poiché era capace di leggerle nella mente con una tale facilità che Mary temeva avesse qualche abilità speciale. Però in quell’occasione, visto il sogno, visto il fatto che con l’oscurità l’amica non poteva guardarla negli occhi, lo fece.
Si alzò dal letto con le immagini ancora vivide davanti i suoi occhi e andò in bagno. Sciacquò la faccia con insistenza per due o tre volte e allo stesso tempo bevve un po’ d’acqua, aveva la gola secca e non aveva dubbi sul perché. Portò entrambe le mani ai lati del lavandino e alzò finalmente il viso per fare i conti con sé stessa. Voleva piangere e voleva urlare e voleva scappare e scomparire e voleva, voleva, voleva. Voleva tornare a casa.
Gli occhi le si riempirono di lacrime e in un attimo le vide scorrere sul viso e confondersi con l’acqua.
Si era scocciata di avere a che fare con la persona riflessa nello specchio. Si era scocciata di trovarsi ad affrontare situazioni inspiegabili. Inspiegabili come l’amore o quello che era.
Si vergognava ad avere sognato Jolene. Sentiva che quei sentimenti erano sbagliati. Non perché Jolene fosse una donna o perché ricoprisse un ruolo istituzionale all’interno del castello ma perché erano sentimenti fondati sul nulla. La faceva impazzire. Non la conosceva neanche.
Serrò i denti ed abbassò la testa, le lacrime ora scendevano silenziose rigandole il viso.
Le capitava spesso di vedere una persona ed innamorarsene, e per questo quando le successe la stessa cosa con l’infermiera non le risultò strano. Ma così come comparivano, quelle infatuazioni svanivano nel giro di una, massimo due settimane. Quella nei confronti di Jolene era invece persistente ed era per questo che Mary era tanto arrabbiata con sé stessa. Era infuriata perché non le poteva controllare le sue emozioni, non poteva smettere di pensare a Jolene nei momenti vuoti delle sue giornate, di chiedersi se preferisse il thè o il caffè, se a scuola studiava Storia della magia con la stessa voglia che ci metteva lei, se conosceva il mondo babbano o era relegata ad una sola realtà. A guardarsi nello specchio si sentì smarrita. E provò un senso di colpa nei confronti dell’infermiera per quando alla festa l’aveva messa in imbarazzo. Riusciva ancora a vedere il viso turbato di Jolene quando realizzò le intenzioni di Mary.
Stupida.
Ripeté quella parola più volte come un disco rotto. Portò una mano sullo specchio perché guardare il suo riflesso le dava ancora più rabbia. Doveva smetterla e doveva farlo subito. Smettere di fare cosa? Di essere una bambina? Di innamorarsi così facilmente di persone con cui non aveva nulla a che fare. Doveva smetterla. Si chiese se da adulta fosse riuscita a cambiare, magari con un amore stabile nella vita.
La sua vita. Quante cose sognava per sé ogni giorno.
Tirò sul col naso, asciugò le lacrime sul viso con entrambe le mani ed infine guardò il suo riflesso nello specchio: gli occhi gonfi ma determinati, la bocca tirata come una linea sottile, le guance rosse. Uscì dal bagno.
Promise a sé stessa che non avrebbe più pensato a Jolene White.


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Giovedì, 13.06
Ci riuscì.
In quei giorni aveva evitato il secondo piano come se infestato dalle caccabomba. Ma non solo: era stata attenta a non mangiare in sala grande, evitare la biblioteca che pensò potesse essere un luogo frequentato dalla donna. In realtà non sapeva con sicurezza se Jolene si trovasse ancora al castello o meno. Era capitato, appena un giorno prima, che in sala comune uscisse il suo nome. Mary era scappata in camera sua e quasi era inciampata per la corsa. Temette che a sentir parlare di lei riaffiorasse quell’interesse che stava provando, con tanta attenzione, a far assopire. *Scomparire. Boom, out per sempre. Addio. Chi sei?*
Ma il suo piano era semplice: sfruttare i tre mesi estivi per dimenticare, definitivamente, la donna. Metà della sua estate l’avrebbe passata nel mondo magico ad arredare casa con Katie, l’altra metà l’avrebbe trascorsa a casa di sua zia Hannah, nel mondo non-magico. Avrebbe approfittato della presenza dei suoi amici per andare ad ubriacarsi nei locali, a ballare tutta la notte, a finire nel letto di qualsiasi uomo e donna non avesse i capelli rossi e poi a bere e bere e bere.

Si ritrovò a Hogsmeade con una piantina in mano e l’odore di dolci ancora impregnatole addosso. Aveva passato tutta la mattinata avanti ed indietro, sotto il sole mortifero, per cercare quella dannata pianta e a svolgere delle commissioni per la proprietaria di Madama Piediburro che forse, della bontà di Mary, ne stava abusando un po’ troppo. Aveva i capelli alzati in un modo piuttosto approssimativo, il volto arrossato per la stanchezza ed il caldo, gli occhi stanchi delle notti insonne passate a non pensare. E a non dormire. Era sudata, la camicia le sembrò un tutt’uno con la sua schiena. Aveva alzato le maniche ma aveva preferito evitare si notasse il tatuaggio sul braccio. Non le piaceva che la gente lo vedesse perché poi le avrebbero chiesto il motivo. Ed un motivo in realtà non c’era. Era un tatuaggio che aveva fatto perché le piacevano i colori, i simboli. Le sembrava una risposta ridicola e allora preferiva non parlarne affatto.
Girò la testa verso la destra, alzò gli occhiali che, per il sudore, le erano scesi un po’ sul naso e notò i Tre Manici di Scopa. Si leccò le labbra salate immaginando di già il sapore di qualcosa, qualsiasi cosa, di freddo. Congelato. Avrebbe anche mangiato il ghiaccio se fosse stato necessario.
Ora entriamo, ci prendiamo una cosa fredda e poi ti porto a casa, che ne dici?
Non era strano per la grifondoro parlare con le piante. Lo faceva giornalmente con l’ornitogallo nella sua stanza ed in più aveva letto che comunicare con loro significava aiutarle a crescere meglio. Inoltre, era quasi terapeutico per lei rivolgersi a qualcuno al di fuori della sua migliore amica. Le piante erano come un diario. Spinse la porta d’ingresso del locale con la spalla destra mentre proteggeva con entrambe le mani la sua piantina. Roxane.
Il locale era, come aveva già previsto, affollato. Mary sbuffò all’idea di dover aspettare. Rinunciare alla frescura che percepiva nell’ambiente a favore del calore fuori in strada? Anche no. Attese impaziente il suo turno, gli occhi vagavano sui tavoli dei vari clienti per indagare sui gusti di burrobirra, sulle bevande disponibili pregustando di già ciò che avrebbe ordinato. Se il calore si era decisamente assopito, Mary percepiva ancora un sentore di stanchezza, la tracolla sulla sua spalla pesava come un macigno. Le si illuminò il viso quando vide una coppia alzarsi. Cercò di non darlo a vedere ma le sue gambe si mossero velocemente in direzione del tavolo per paura che qualcun altro potesse avvicinarsi. Fu soddisfatta solo quando infine riuscì a sedersi. Il tavolo era in fondo alla sala, aveva scelto la sedia che le dava la possibilità di vedere chi entrasse così da intrattenersi durante la sua breve permanenza nel bar. Roxane era stata posizionata al centro del tavolo, Mary aveva accarezzato con estrema premura qualche foglia e aveva mormorato qualche parola di incoraggiamento. Alzò lo sguardo in cerca di un cameriere. Doveva ordinare qualcosa prima di sciogliersi lì sulla sedia.
Chiunque fosse entrato in quel momento avrebbe avuto modo di vedere una ragazza sorridere di cuore mentre allungava un dito in direzione della piantina, come a giocarci insieme. Uno scorcio di pura felicità che, a posteriori, Mary avrebbe voluto qualcuno catturasse. Per un attimo era tornata a sentirsi sé stessa: una diciassette che di problemi non ne aveva, se non quelli che si creava da sola.
*Dove sei Madama Rosmerta? Dove sei.*

Perché la vita, senza te, non può essere perfetta.



Edited by »Mary« - 1/8/2020, 09:29
 
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view post Posted on 9/8/2020, 21:13
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Jolene White

Infermeria, ore 12.56 P.M.

Se in quel momento qualcuno avesse oltrepassato la pesante porta di quercia, sarebbe stato accolto da un'atmosfera insolita per l'infermeria. Normalmente pulita e silenziosa, vedeva ora un disordine di scartoffie e vecchie penne macchiate d'inchiostro su tutta la grossa scrivania posta ad un capo della sala. Nuove pergamene si aggiungevano di tanto in tanto all'ammucchiata, quasi che il legno si fosse tramutato in un vulcano in grado di eruttare carta. Nessuno aveva incantato la scrivania perché si svuotasse del contenuto dei suoi cassetti, però: l'origine di tanto disordine era Jolene.
«This night has opened my eyes, and I will never sleep a... Finalmente, eccoli!» La melodia si interruppe bruscamente, lasciando che la voce squillasse ad esternare tutto l'entusiasmo di Jolene nell'aver trovato gli appunti per cui aveva messo a soqquadro tutta la scrivania. Li sventolò allegramente, per quanto non ci fosse nessuno a cui mostrare il frutto della sua ricerca vittoriosa. La vera identità dietro allo pseudonimo dell'autrice più amata del momento, recitava una bozza di titolo scarabocchiata in cima al foglio. Sotto, la sua scrittura minuta e fitta riempiva tutto lo spazio a disposizione in una serie di congetture, citazioni di libri e di interviste, espressioni felici che intendeva assolutamente usare al momento di scrivere la bella copia dell'articolo. Insomma, un autentico guazzabuglio, e pure uno che le era costato un certo tempo per essere messo insieme.
Quando, alla fine dell'anno scolastico, aveva lasciato la scuola per le vacanze estive, Jolene si era scordata innumerevoli oggetti personali tra le mura dell'infermeria. Come al solito, riempiva della propria presenza gli spazi che le erano familiari, con il risultato che quando doveva fare i bagagli si lasciava sempre dietro qualche cosa. Non si sarebbe curata di tutte quelle scartoffie – mezze recensioni di libri, pensieri disordinati, liste delle pozioni con cui bisognava rifornire gli armadietti dei medicinali –, se non fosse stato che aveva in mente di scrivere lo stesso articolo per cui aveva raccolto tanto materiale. Ricominciare da capo sarebbe stata una perdita di tempo, così aveva optato per fare un viaggio in giornata ad Hogwarts. Tra il resto del personale scolastico, la scuola non era mai veramente deserta, così aveva potuto entrare senza problemi.
Si affrettò a mettere gli appunti in borsa, proseguendo poi con una rapida verifica delle scartoffie rimanenti. Una buona parte finì a sua volta nella tracolla, il resto ritornò nei cassetti. Dopo qualche minuto praticamente non era rimasta traccia del suo passaggio, e poté chiudersi la porta alle spalle, per poi scendere velocemente le scale. Sarebbe potuta tornare immediatamente a Londra, ma non c'erano impegni particolari ad attenderla. Così, visto che non vedeva Hogsmeade quasi da un mese, decise di farvi un salto per bere qualcosa di fresco.


Hogsmeade, ore 1.10 P. M

Faceva terribilmente caldo. Una volta oltrepassati i cancelli della scuola, Jolene si era Smaterializzata direttamente al villaggio magico, incapace di sopportare la lunga strada su cui picchiava il sole. Vestita con una gonna di jeans e una maglietta dei The Smiths, sembrava una Babbana che si fosse persa tra creature di cui nemmeno sospettava l'esistenza. Solo la tranquillità che la caratterizzava, e che non si scomponeva nemmeno di fronte ai Goblin o ai cappelli a punta dei Maghi che occasionalmente la oltrepassavano, testimoniava come in realtà Jolene fosse perfettamente abituata a quel luogo.
Una coppia stava uscendo dai Tre manici di scopa, così Jolene sgusciò oltre la porta ancora aperta. Impiegò qualche secondo per abituarsi alla penombra del locale, a contrasto con la luce quasi accecante che regnava all'esterno. Anche la temperatura era sensibilmente diminuita, fatto che rilevò con entusiasmo; lo stesso non si poteva dire dell'affollamento, visto che, guardandosi intorno e vedendo solo sedie occupate, temette che avrebbe dovuto cercarsi qualche altro posto. Non aveva messo piede da Madama Piediburro dopo l'intervista con Oliver, e dopo il ballo di fine anno era riluttante a farlo; avrebbe dovuto andare fino al Testa di porco, probabilmente, ma la sola idea di ritrovarsi in quella bettola sudicia le faceva venire l'orticaria. Pensò che avrebbe fatto meglio a rassegnarsi e tornare a casa, quando, spingendo lo sguardo fino alla parete in fondo al locale, la notò.
La prima volta che aveva rivisto Mary, non l'aveva riconosciuta se non dopo diversi minuti di conversazione. Fatto comprensibile, visto che, quando l'aveva servita al Madama, le loro interazioni erano state alquanto limitate. Dopo il ballo, però, Jolene non avrebbe più avuto problemi ad associare a quei tratti il nome della ragazza: durante quella serata di qualche settimana addietro, Mary aveva cessato di essere un'estranea.
Sul momento, Jolene si sentì in colpa anche solo a guardarla. Non si erano conosciute nella più felice delle occasioni e, anche se col passare dei giorni i ricordi di quella serata disastrosa erano sbiaditi nella sua memoria, bastò rivedere la Grifondoro perché riaffiorassero con il loro carico di rimorso. Anche ora, così come il trenta di giugno, Jolene si rinfacciava di essersi comportata come una ragazzina, e non con la maturità che ci si sarebbe aspettati dai suoi ventun anni. Non era semplice scendere a patti con se stessa, specialmente quando le sue azioni avevano delle ripercussioni così disastrose sugli altri. L'ultima volta che aveva visto Mary, la ragazza se ne stava andando a testa china, dopo averle rivolto un sorriso poco convincente che, agli occhi di Jolene, la accusava di averle rovinato una festa che avrebbe dovuto vederla più allegra che mai. Insomma, un'espressione del tutto diversa da quella che le vedeva in quel momento, mentre sorrideva beata di fronte a... un cactus? Si assicurò in fretta che non si trattasse dei nuovi centrini adottati dal locale, arrivando alla conclusione che doveva appartenere proprio a Mary: era terra, in fondo – fango, a detta sua –, c'era da aspettarsi che avesse una certa affinità con le piante. Di certo sembrava che quel cactus la rendesse più allegra di quanto Jolene era stata in grado di fare.
Il suo primo istinto fu di uscire difilato dal locale. Tuttavia riuscì a contenersi, capendo quasi subito che non aveva motivo di fuggire: al contrario, quella avrebbe potuto essere l'occasione giusta per rimettere a posto le cose. Come, esattamente, non le era chiaro; ciò che sapeva, ad ogni modo, era che tanto Mary quanto Ariel l'avevano lasciata di malumore, e ora era arrivato il momento di risolvere almeno con una delle due. Non poteva andare così male, in fondo: era certa che a quel punto la ragazza avesse ormai dimenticato qualsiasi attrazione che avesse provato nei suoi confronti, e poteva solo sperare che non l'avesse sostituita con troppo astio.
Prese a muoversi in direzione di Mary, abbozzando un sorriso pronto a fiorire del tutto nel momento in cui la studentessa si fosse accorta di lei. Sarebbe stato difficile accorgersi dell'esitazione che rischiava di farla tentennare, almeno sul momento. Temeva di vedere il viso della ragazza spegnersi di colpo, a quel punto non sapeva se avesse perseverato nella sua idea di farsi perdonare o se si sarebbe semplicemente ritirata d'urgenza.
«Ciao» esordì in tono cordiale quando fu a portata d'orecchio. Si fermò a pochi passi dalla ragazza, esitando appena un attimo mentre ne studiava l'espressione per capire come avrebbe dovuto muoversi. «Come stai? Carina la pianta.» Non il più brillante degli incipit.
21 anni | infermiera | esitante
 
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view post Posted on 10/8/2020, 21:53
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Mary Grenger
Che c'ho una frase scritta in testa ma non l'ho mai detta



Stringeva il piccolo vaso della pianta con entrambe le mani. Sotto al tavolo muoveva le gambe a ritmo della melodia che stava mormorando leggermente. Doveva distrarsi dal calore che ancora percepiva ovunque e di certo non poteva passare tutto il tempo a parlare con Roxane. Con la pianta, sì.
Decise che in attesa del cameriere avrebbe vagato con lo sguardo sui tavoli intorno a sé così da avere anche modo di farsi un’idea di ciò che poteva ordinare. Effettivamente a quell’ora poteva decisamente accompagnare il drink con un tramezzino. Il suo stomaco sembrò reagire spontaneamente a quel pensiero e quindi le sue gambe si muovevano ora con ancora più insistenza.
La ragazza aveva fretta e il motivo era semplice: Mary non voleva starci nel locale. Non che avesse qualcosa contro I Tre Manici di Scopa, ma era un periodo un po’ strano per lei. Usciva tutti i giorni ma lo faceva solo per lavorare la mattina ed ubriacarsi la sera. Dalla prima festa dell’amico di Matthew non si era praticamente più fermata, nonostante si era ripromessa di farlo. Bere le sembrava, nella sua innocente gioventù, l’unico modo per divertirsi, per staccare un po’ la spina. Ma era costantemente stanca, lo aveva notato dalle piccole cose: dall’incapacità di alzarsi dopo il primo trillo della sveglia (cosa che faceva meccanicamente dall’arrivo ad Hogwarts), dall’incapacità di mettere le lenti a contatto. Non riusciva nelle cose semplici. Sul posto di lavoro l’aveva spuntata perché si faceva assegnare le faccende dietro al bancone e fu un sollievo perché la grifondoro non pensava di essere in grado di portare dei vassoi. Ma esserne consapevole non le impediva di uscire ogni sera a festeggiare qualcuno di diverso. Si divertiva, riusciva a non pensare a nulla se non ai problemi dei suoi amici che ritenevano Mary capace di dare consigli. Lei, tra tutti. Certo, era ad un punto in cui riuscire a ricordare tutte le serate era assai difficile e spesso confondeva un evento con un altro e più volte aveva ritenuto necessario fermarsi. Soprattutto quelle due o tre volte in cui aveva anche vomitato l’anima oltre che i drink.


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I suoi occhi raggiunsero un tavolo poco distante alla sua destra e subito fu attirata dall’intenso arancione del gelato alla zucca. Si leccò le labbra con discrezione e alzò lo sguardo per associare quel gelato ad un volto. Quando notò dei lunghi capelli arancioni temette che fosse Jolene.
E di nuovo, Jolene. Qualsiasi amico le avesse chiesto qualcosa a riguardo avrebbe ricevuto come risposta una scrollata di spalle. Dal ballo di fine anno non l’aveva più vista fortunatamente, ma di certo le era comparsa più volte nel cervello. Quando era di sera, in un locale, poteva smettere di pensare all’infermiera buttando giù un altro drink. Quando era da sola, in camera ad Hogwarts, distrarsi era più difficile. Ritenne che i suoi sentimenti – sempre infondati, a Mary piaceva sottolinearlo a tutti, nei suoi attimi di lucidità – fossero affievoliti. Era passato un mese, no? Ciò nonostante quando raggiunse il volto della ragazza e notò che non era in effetti Jolene White, dalla sua bocca uscì inconsapevolmente un sospirò di sollievo. Ritornò con lo sguardo su Roxane e portò la mano destra prima alla fronte ora non più bagnata di sudore, poi agli occhiali per sistemarli sul naso. Non era più abituata a portarli e quindi li toccava con più continuità. E proprio nel momento in cui nella su testa il nome di Jolene rimbalzava a caratteri cubitali contro tutte le pareti, che notò – questa volta davvero – l’infermiera. Le sue gambe si fermarono subito. La sua mano destra tornò quasi magneticamente a stringere la piantina, come la sinistra.
*No.*
No.
*Cosa ci fa qui?*
Cosa ci faceva Jolene White ai Tre Manici? Beh, poteva fare quello che le pareva, onestamente. Il problema è che per Mary era inconcepibile che fossero nello stesso luogo, lo stesso giorno, allo stesso orario. Che poi, lei era anche un po’ divinatrice. Una cosa del genere non la poteva prevedere? E se l’avesse prevista, ci sarebbe andata comunque al locale giusto per vederla?
Si morse il labbro mentre i suoi occhi mettevano a fuoco la donna. Quando questa era ancora distratta a girare con lo sguardo per il locale, la grifondoro colse quei pochi secondi per osservarla: le bastò notare le lunghe gambe per abbassare nuovamente lo sguardo sulla piantina. Avesse avuto l’opportunità sarebbe tornata indietro nel tempo per comprare una pianta più grande ed usarla per nascondersi. Essendo una ragazza che, in una certa misura, credeva che l’amore a prima vista esistesse, aveva già immaginato i diversi scenari possibili di un incontro con Jolene successivo al ballo. Ne aveva immaginati di belli, di bellissimi, di vietati ai minori; ne aveva immaginati anche di brutti e di terribili, discriminatori. E quindi averla di fronte le provocava un misto di ansia e agitazione. Le fu impossibile notare però che, mentre nel suo cervello si combattevano mille battaglie, il resto del suo corpo non aveva reagito negativamente: niente battito accelerato, mani sudate, gambe in costante movimento. Avesse avuto tempo di ragionarci, avrebbe notato come la sua reazione alla presenza dell’infermiera era già cambiata.
Ma non aveva tempo perché Jolene si stava avvicinando. Mary l’aveva notato nel momento in cui aveva alzato un'altra volta lo sguardo per vedere se fosse andata via. No, era ancora lì, sempre più vicina. E quando gli occhi delle due si incrociarono e la più grande delle due sorrise, Mary non seppe come reagire. Rimase quasi pietrificata nella sua posizione. Ricordava come avesse messo l’infermiera in imbarazzo durante il ballo, ricordava la sua agitazione nel capire le intenzioni della grifondoro. Mai avrebbe pensato che Jolene potesse avere un qualche interesse nell’avvicinarsi a lei. Ed ora era lì e le sorrideva. Razionalmente non c’era assolutamente niente di male nell’avvicinarsi a qualcuno e salutarlo. Nella testa di Mary diviso in canzoni d’amore, film d’amore, telefilm d’amore, il fatto che Jolene si stesse di sua spontanea volontà accostando era equiparabile, ad occhio e croce, ad una proposta di matrimonio [ma restiamo umili nelle nostre congetture]. Quando la rossa la salutò, Mary non reagì subito. Sentire la voce della donna, una persona così tanto idealizzata ai suoi occhi, le provocò una leggera sensazione di piacere che non seppe bene come descrivere. Ma ora Jolene era lì, di fronte alla grifondoro e questa doveva assolutamente reagire. Si ritrovò a sorridere. Un sorriso più onesto di quanto avesse immaginato o di quanto avesse voluto offrire. La voce della donna l’aveva come d’improvviso rallegrata. E quindi aprì leggermente e richiuse la bocca una prima volta.
Ciao.
La sua voce era uscita più bassa di quanto avesse previsto. Il suo sorriso, ora davvero ampio, le aveva quasi impedito di pronunciare per bene la parola. Se poi si pensa al leggero trambusto intorno a loro, non era sicura Jolene l’avesse sentita, a meno che non avesse fatto caso al labiale. Portò le mani tra le gambe, la testa ancora scomodamente rivolta verso l’alto. Alla domanda dell’infermiera aveva seri problemi a rispondere. Poteva mentire e dire semplicemente bene, grazie, ma mentire significava una serie di reazioni a catena nella sua testa che preferiva evitare. Di certo non poteva risponderle ti ho pensato in questo periodo perché era forse ancora peggio. Omissione, sì. Doveva procedere così.
Stanca in realtà.
Ecco, la sincerità premia sempre.
Rispose inclinando un po’ la testa e accompagnando quell’azione con una leggera smorfia. Eccome se era stanca.
Tu? Si affrettò ad aggiungere riportando la testa diritta. Si ritrovò ad osservarla ora per bene e, nel vederla, notò che non era sudata tanto quanto lo era stata Mary fino a qualche minuto prima. Forse il tempo era migliorato e non c’erano più 38 gradi.
Pensò che Jolene si presentasse sempre in maniera così composta. Moriva dalla voglia di sapere se fosse così anche a casa sua, nella sua piccola realtà. Voleva sapere se fosse così anche intorno ai suoi amici.
*La pianta?*
La pianta? Il suo sguardo interrogativo mutò subito quando le venne in mente il motivo per cui era in principio uscita dal castello quel giorno.
Ah, Roxane. Abbassò la testa in direzione della sua piccola piantina e avvicinò l’indice fino ad una delle spine ancora incapaci di pungere a dovere.
L’ho presa stamattina in un negozio qui vicino. Ho quasi preso casa e ho pensato che una piantina potesse rallegrare l’ambiente.
*Ok, troppe informazioni, smettila.*
Aveva alternato nel parlare lo sguardo tra la sua pianta e Jolene. Non era sicura di poter sostenere un’intera conversazione guardandola negli occhi. *I suoi occhi verdi non troppo belli. Belli, dai. Carucci. Guardabili. Ok, bellissimi, ti odio.*
Oh.
Fu un attimo il momento in cui realizzò che lei era seduta e Jolene era in piedi. Non fu necessario guardarsi intorno per sapere che il locale era pieno. Per un secondo le sfiorò l’idea che l’infermiera le si fosse avvicinata giusto per avere un posto a sedere. Scartò quel pensiero con rapidità perché lo considerò stupido.
Scusami, faccio schifo- *Nel rapportarmi con le persone per cui ho una mezza cotta* -ahm, nei convenevoli. Ti puoi sedere se vuoi.
Allungò la mano in direzione della sedia di fronte a sé, come se non fosse l’unica sedia disponibile. Sorvoliamo.

Perché la vita, senza te, non può essere perfetta.

 
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view post Posted on 19/8/2020, 17:36
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Jolene White

In un primo momento, l'eventualità che Mary le riservasse un'accoglienza gelida apparve più concreta che mai. Jolene aveva ormai catturato il suo sguardo, che – chiaro e freddo, schermato dalle lenti di un paio di occhiali – la osservava nella sua posa di ostentata tranquillità. Sarebbe stato fin troppo semplice lasciarsi sfuggire la leggera tensione delle spalle della rossa sotto alla maglietta larga, e il volto non fece in tempo a tradire un cambio d'umore, perché il sorriso della ragazza arrivò presto a rincuorarla. Intuì il saluto, pur non udendolo tra il chiacchiericcio vivace di cui ronzava l'intero locale.
Jolene amava pensarsi una persona intuitiva e, benché l'esperienza l'avesse qualche volta smentita, era pur vero che sapeva leggere la sincerità nel volto del proprio interlocutore, sempre che non avesse motivi di travisare inconsciamente le proprie percezioni. Mary, in quel momento, le sembrò vera: molto più di quando aveva cercato di allentare la tensione durante il ballo, o di quando, priva di energie, si era lasciata trascinare da una parte e dall'altra fino a quando non aveva finalmente visto l'occasione per andarsene. Istantaneamente si trovò un po' più a proprio agio: l'accoglienza riservatale, da sola, la fece sentire assolta dalle proprie colpe, almeno per il momento.
«Stanca, in realtà. Tu?»
Cercò sul suo viso i segni della stanchezza, consapevole, per contrasto, del proprio aspetto riposato. Durante l'anno scolastico era frequente trovarla con gli occhi appesantiti da cerchi scuri, ma ora che un carico così importante come il lavoro le era stato tolto dalle spalle, le giornate non solo non erano altrettanto frenetiche e sfiancanti, ma addirittura sfociavano spesso nella pigrizia. L'abbondante tempo libero si addensava nell'aria calda e soffocante, prendeva a scorrere al ritmo peculiare dell'inattività, incalcolabile. In tal senso, quando Jolene rispose «Come sto sempre», stava riassumendo la massa indistinta della settimana precedente e il prospetto di quella successiva, ed era sincera. Fuori da quei confini e nel momento presente, tuttavia, non stava affatto come sempre. Era sulle spine, e sollevata, e incerta allo stesso tempo. Ciò che appariva come un gesto qualunque – avvicinarsi, iniziare una conversazione dai toni neutri – in realtà la stava smuovendo più di quanto sarebbe stato opportuno ammettere. Aveva l'impressione di dover conservare un qualche equilibrio delicato che si era venuto a creare tra lei e la studentessa e, allo stesso tempo, voleva spezzarlo una volta per tutte e liberare entrambe, dare a ciascuna la possibilità di reinventarsi senza il peso di una serata gestita terribilmente male.
Naturalmente, era più semplice prenderla alla larga. Abbassò lo sguardo sulla pianta, su Roxane e da qualche parte in un universo parallelo alla narratrice presero a fischiare le orecchie. «Rallegrano davvero, rendono l'ambiente vivo» commentò. Senza pensarci, quasi dando voce a qualche ricordo destinato a rimanere tra lei e lei, prese a raccontare: «Anche io ne ho diverse nel mio appartamento. Quando le curo, a volte ci parlo. A volte rispondono anche, ma solo perché alla mia fata piace nascondersi tra le foglie e protesta quando la disturbo». Accennò un sorriso divertito. Se Mary la stava ancora idealizzando, probabilmente le sarebbe bastato un altro paio di storielle come quella per ricredersi. Inconsciamente, Jolene stava perseguendo esattamente quell'obiettivo: non stava blaterando per l'agitazione come durante il ballo, lo dimostrava il modo stesso di parlare – scandito e assorto, privo della disordinata urgenza di chi abbia paura del silenzio.
«Ti puoi sedere se vuoi.»
La sedia si trovava di fronte a lei, e in qualche modo aveva sperato fin dall'inizio in quell'invito: la possibilità del confronto, l'istituzione di un dialogo che sopperisse alla maldestra mancanza di comunicazione di qualche settimana addietro. «Grazie. Spero di non disturbarti.» L'indugio di un secondo, e Jolene si decise a scostare la sedia dal tavolo, così da prendere posto. A quel punto era inutile ritrarsi, prima ancora di aver risolto ciò che fin dall'inizio l'aveva spinta ad iniziare la conversazione. Non era certo stato l'affollamento del locale a convincerla, per quanto la prospettiva di una burrobirra fresca e qualcosa da mettere sotto i denti fosse allettante al punto da farle desiderare l'intervento di un cameriere. Probabilmente Mary si stava domandando che cosa esattamente volesse da lei, ma Jolene si sentiva divisa tra la volontà di giustificarsi e il timore che affrontare l'argomento troppo di petto potesse mettere la ragazza a disagio.
Infine, a capo di qualche momento di incertezza, le fu impossibile trattenere le parole: «Vorrei scusarmi per come sono andate le cose al ballo», esordì, più diretta di quanto avrebbe creduto. La voce rimaneva calma, percorsa da appena una traccia di trasporto che ne testimoniava la sincerità. Cercò lo sguardo di Mary, il busto leggermente chinato in avanti: era il linguaggio di chi desidera ottenere l'attenzione dell'altro, e tenta di creare una nicchia di intimità anche in un contesto rumoroso e pieno di distrazioni come potevano essere i Tre manici. «Mi dispiace davvero per la situazione che si è venuta a creare. Spero che dopo che ci hai lasciate tu abbia trovato dei compagni di festa più degni.» Le labbra si incurvarono in un leggero sorriso, nel tentativo di stemperare un'atmosfera potenzialmente pesante. L'ultima cosa che desiderava era che si ripetessero le vecchie dinamiche, così c'era una punta di ansia nel modo in cui cercava di cogliere lo stato d'animo dell'altra.
21 anni | infermiera | sulle spine


Quando c'è qualche cameriere disponibile, penso che si possa ordinare :gattello:

Edited by Unconsoled - 19/8/2020, 19:07
 
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view post Posted on 25/8/2020, 17:30
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Mary Grenger
Che c'ho una frase scritta in testa ma non l'ho mai detta



«Come sto sempre»
Così vestita Jolene sembrava essere una coetanea di Mary. Non sapeva quanti anni avesse, ma in quel momento non percepì la distanza che probabilmente c’era tra le due. La grifondoro non avvertiva la tensione di avere di fronte un’autorità scolastica. Rispetto al ballo – quando nella sua bellissima veste chiara l’infermiera era stata per Mary un’adulta – Jolene le sembrava solo una ragazza. Elegante, con un portamento grazioso ma solo una ragazza. Se pensò che quella risposta potesse essere un po’ strana, non lo diede a vedere e non indugiò più di tanto. Anche la sua di risposta era stata atipica. Apprezzò il fatto che la rossa non le avesse detto bene, grazie. Le sorrise e ne seguì lo sguardo fino a Roxane. E fu divertita dal racconto della donna. Nel ridere abbassò la testa e pensò che sentirla parlare la rendeva sempre più una persona normale e sempre meno una divinità da idealizzare. Le piacque l’idea di aver scoperto qualcosa su di lei.
Ah, non ho mai visto una fata sai? So che hanno un bel caratterino.
Uno sguardo divertito ora sul suo viso e gli occhi ad accompagnare il movimento di Jolene che aveva finalmente preso posto. Stava iniziando a percepire un senso di normalità nell’averla di fronte. E pensò che, alla fine, poteva accontentarsi di lei come amica. E poi pensò di non poterlo fare.
Prima ancora che l’infermiera parlasse, Mary aveva già capito. Le aveva letto negli occhi il conflitto, la necessità di dire qualcosa e allo stesso tempo la voglia di non farlo. Quando alla fine parlò, riportando la grifondoro al ballo, questa voleva sprofondare. Voleva essere ovunque ma non lì. Non distolse lo sguardo perché poteva immaginare quanto fosse difficile per Jolene parlarne e la sua voce trasmetteva una sincerità che non poteva ignorare. Le dispiaceva. Per cosa?
Nel vederla spingersi verso la più piccola pensò che stesse per farle una confessione, un segreto che doveva restare tra loro.
«Mi dispiace davvero per la situazione che si è venuta a creare.»
La situazione. Cioè quel momento imbarazzante in cui aveva realizzato che Mary ci stava provando? O il momento in cui erano state sommerse da così tante persone da soffocare? Se fossero rimaste da sole, cosa avrebbe fatto?
Quando, nel finire il suo discorso, Jolene le sorrise, Mary fu costretta ad abbassare lo sguardo. Era in conflitto e non voleva mostrarlo. Le sopracciglia le si incresparono come quando a cinque anni faceva il broncio ai suoi genitori perché non le avevano comprato la cucina giocattolo. E non sapeva cosa dire ma una risposta la doveva pur dare.
Senti Jolene, io...

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wherIcY
È la prima volta che pronuncio il suo nome. L'ho pensato e ripensato, una volta l'ho sussurrato ma questa è la prima volta che ho il coraggio di dirlo ad alta voce. Sono costretta a portare le braccia sotto al tavolo perché ho i brividi. E questo mi fa arrabbiare tanto.
Io l'amore non lo capisco. Non è mai uguale e mi fa impazzire. Ho sempre avuto questo problema: vedere qualcuno ed immaginare con lui o lei tutta una vita. Quando ero più piccola ho avuto molti fidanzatini e ho pensato di amare ognuno di loro. Ora non lo so. Olivia è stata forse la prima per cui ho provato davvero qualcosa di serio. Non so s'era amore o la necessità di avere un corpo vicino al mio. Di lei però, conoscevo tutte le cicatrici, i nei, sapevo cosa la faceva ridere e cosa no. Una cosa che accomuna tutte le persone che ho avuto prima è che ora non ci sono più.
Non penso di avere problemi di abbandono. Ma ci sono molti problemi che penso di non avere.
Sento di essere cresciuta e di saper distinguere una cotta adolescenziale dall'amore di una vita ed è per questo motivo che avere Jolene davanti, ora, mi fa arrabbiare un casino.
Perché non lo so.
Ci sono così tante domande che vorrei fare all'universo, a qualcuno di più saggio, a chi queste cose le ha già provate tutte. La prima è: come ne esco?
Di Jolene non so niente eppure adesso, sedute al tavolo dei Tre Manici, ho paura di alzare la testa e guardarla negli occhi. Sto fissando Roxane come se potesse offrirmi delle risposte.
Deve proprio pensare che sia pazza. Non so come sta scorrendo il tempo fuori dalla mia testa ma spero lentamente.
Non so perché Jolene ha messo in mezzo il ballo. Io non l'avrei mai fatto, non sono abbastanza coraggiosa. Ma ora l'argomento è qui e so bene lei cosa vuole sentire da me. Non la vuole la verità, vuole che io le dica che va tutto bene, ch'è andata. Se provo ad essere sincera e le spiego i miei sentimenti penserà che sia da egoisti mettere qualcuno nuovamente in difficoltà. Penserà che sia da pazzi provare cose per una persona che non conosci. E io non sono egoista ma vorrei esserlo.
Sono costretta a mentire e nel farlo devo guardarla negli occhi, convincerla. E allora, in un attimo di lucidità e coraggio, alzo la testa, muovo le mani sudate sotto al tavolo. Sorrido e i miei occhi si muovono nei suoi. Riesco forse per la prima volta a notarne per bene i colori: non ho mai apprezzato così tanto il color nocciola e non pensavo che il verde potesse essere così scuro.
Vorrei potesse leggere i miei pensieri, sarebbe tutto più facile per me. Invece la guardo e so che il mio volto non rispecchia le parole che stanno per uscire dalla mia bocca. Ma spero davvero che lei non insista.
Mentire mi costa tanto. Ho sempre avuto problemi nel farlo, più dei miei coetanei. È come se il mio corpo lo rigettasse. Farlo mi provoca quasi dolore fisico. Stringo le mani tra le gambe, serro la mascella e mi mordo la bocca internamente.
La guardo. Vorrei poter capire i suoi sentimenti soltanto osservandola. Ma se di lei non so niente, figurati sapere cosa prova. Perché mi sei capitata?
E alla fine lo faccio, non perché voglio ma perché devo. Rilasso i muscoli della faccia e tento un sorriso che dubito raggiunga i miei occhi. Abbasso un'ultima volta lo sguardo e nell'rialzarlo dico:

Sì, alla fine ho trovato chi cercavo. Non ti preoccupare. Ah, e poi non mi sentivo neanche tanto bene quindi sono andata via presto.
Chiuse con una piccola smorfia, la mano destra sfregò un occhio quasi a punirsi. Mary sperava davvero non dovesse più mentire perché c'era un limite per lei, un limite decisamente inferiore rispetto agli altri.
Rimase con lo sguardo sull'infermiera perché, anche non volendo, era necessario per lei comprenderne la reazione. Probabilmente qualsiasi replica avesse avuto si sarebbe rispecchiata negativamente agli occhi della grifondoro.
Allora...
Un atto di maturità era di quello che aveva bisogno. In attesa di un cameriere il suo desiderio era quello di cambiare argomento, portarsi quanto più lontano dal ballo o generalmente dai sentimenti. Fu allora il suo turno.
Anche lei, ad imitare Jolene, si spinse con i piedi ed inclinò il busto verso l'altra donna, le braccia conserte nuovamente sul tavolo. Per sopperire al suo continuo accusarsi di non conoscere la rossa, non poteva far altro che tentare. Provare a scoprire qualcosa di lei, come comporre un puzzle. Era un'infermiera sì, ma come?
Hai studiato ad Hogwarts?
Piccoli passi. E soprattutto passi giusti, quelli che ti evitano di finire in una rete fatta di sentimenti non confessati e bugie che pesano come macigni. Passi che ti permettono di conoscere l'altro senza sentire costantemente la pressione dell'aver detto o fatto qualcosa di sbagliato. Passi semplici, innocui. Domande elementari, stupide. Passi. Passi che l’avrebbero portata – lei pregava che l’avessero fatto – lontano dalla sua cotta, infatuazione, sentimenti non corrisposti. Sentimenti non corrisposti, giusto?

Perché la vita, senza te, non può essere perfetta.

 
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Narcissa E. Miller
view post Posted on 17/9/2020, 06:20




Narcissa Elodie
Miller
«O forse a Serpeverde, ragazzi miei, voi troverete gli amici migliori, quei tipi astuti e affatto babbei che qui raggiungono fini ed onori!»

► Mood: Happy► Età: 11 anni ► Ruolo: Studentessa► Outfit: Divisa di Serpeverde

L
a giornata era cominciata con un pizzico di movimento. Quand'era arrivata al locale, Narcissa aveva trovato una Madama Rosmerta alle prese con un'infestazione di Doxy nel retro del locale. La donna, urlante e in preda alla rabbia, l'aveva spedita da Misurino a comprare una dose abbondante di Doxycida e nel giro di poco tempo la situazione s'era ristabilizzata. Da quel momento, la mansione di Narcissa era stata aiutare Madama Rosmerta a rimettere tutto in ordine prima dell'arrivo dei clienti.
Quando la cucina tornò al suo aspetto originario, Madama Rosmerta dichiarò di aver addosso una buona dose di stanchezza, pertanto chiese a Narcissa se se la sarebbe sentita di badare un'oretta da sola al locale, mentre lei si coricava su una branda nel seminterrato del locale per riposare la schiena. Narcissa annuì e prese il timone del locale.
Dietro al bancone, Narcissa si guardava attorno. Nessun cliente sembrava aver ancora deciso di consumare burrobirra, finché d'un tratto, mentre lei stava ripassando sul manuale di pozioni come preparare un buon Tiepidario, il campanellino dell'ingresso suonò. Dapprima fece ingresso una ragazza, l'aveva vista a Hogwarts, ma era più grande di lei e non aveva mai avuto l'occasione di farne la conoscenza. Le persone più grande la mettevano in soggezione, temeva che approcciandosi a loro ne avrebbero approfittato per tornare a bullizzarla esattamente come succedeva quand'era ancora una bambina ingenua e priva di poteri magici lungo le coste della Cote d'Azur.
Narcissa salutò la ragazza e la invitò a sedersi dove più le sarebbe stato congeniale: il locale, infatti, era ancora vuoto e la giovane donna avrebbe avuto libera scelta. Dopo aver preso posto, Narcissa, da dietro il bancone, le domandò se desiderasse qualcosa da spizzicare nell'attesa che attendesse l'arrivo delle altre persone, ma la ragazza disse che avrebbe preferito ordinare una volta che fosse stata in compagnia.
Narcissa allora la lasciò ai suoi pensieri, mentre dietro il bancone cominciava a preparare gli stuzzichini che avrebbe portato al tavolo insieme alle consumazioni. Riempì un bicchierino di gelatine Tuttigusti +1, preparò un paio di vasetti di noccioline e un altro di anacardi caramellati. Erano ottimi per stuzzicare l'appetito durante una bevuta in compagnia, glielo aveva suggerito Rosmerta.
Poco tempo dopo un'altra ragazza fece il suo ingresso al locale. Narcissa la salutò educatamente e diede il tempo alle due di parlare tra loro e di adattarsi alle circostanze. Se c'era una cosa che Rosmerta le aveva insegnato era che non avrebbe assolutamente dovuto essere troppo invadente o chiedere le ordinazioni appena si sedevano al tavolo.
Narcissa ignorò il discorso tra le due, non le era mai importato, da quando aveva iniziato a lavorare ai Tre Manici, di impicciarsi degli affari delle persone, anche perché Madama Rosmerta s'era tanto raccomandata dell'esigenza di non creare imbarazzo ai clienti, perché sarebbe occorso il rischio di non vederli mai più tornare al locale.
Quando tra le due calò un minuto di silenzio, Narcissa scese dal bancone e si accostò al tavolo, cercando di mantenere una certa professionalità. Temeva che la ragazza di Hogwarts conoscesse la sua fama di piantagrane o di rissosa, eppure in quel locale quella Narcissa non esisteva e lasciava spazio a una bambina educata, servizievole e soprattutto decisamente capace di trattare con la clientela. Rosmerta l'aveva istruita a puntino.

"Buongiorno, signorine" esordì Narcissa, mentre tra le dita stringeva un paio di menù di un colore blu vivace.
"Se intendete bere o mangiare qualcosa, vi lascio i menù. Prendetevi tutto il tempo necessario per scegliere al meglio"
Come Rosmerta s'era più e più volte raccomandata, le parole della piccola Serpeverde furono accompagnate da un perenne sorriso sulla faccia.
"Se posso consigliarvi, la Burrobirra è la nostra specialità. Madama Rosmerta è una campionessa nel produrla, ma credo voi lo sappiate meglio di me" aggiunse, posando i due menù sul tavolo, in maniera tale che le due ragazze potessero leggerli con calma.
"Quando avete fatto, datemi una voce che arrivo a segnare le ordinazioni" concluse, prima di allontanarsi dal tavolo e lasciarle sole.
Narcissa aveva imparato che alla gente non piaceva che le cameriere attendessero da parte al tavolo. La loro presenza incuteva soggezione e infastidiva il cliente. Sapeva che erano loro a doverla chiamare nel momento in cui avessero scelto cosa comprare.
In attesa, tornò dietro il bancone e con uno straccio iniziò ad asciugare alcuni boccali e a riporli sullo scaffale alle sue spalle.




Eccomi qua, scusateci il ritardo.
 
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view post Posted on 20/9/2020, 17:47
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Jolene White

«Davvero non ne hai mai viste? È un peccato che Nephelae non sia con me oggi, non sono riuscita a convincerla.» Jolene aveva un bel daffare a cercare di scendere a compromessi con la fata: in confronto, Mr Butler e Daisy erano due angioletti accondiscendenti. Il caratterino delle fate era proverbiale tra i Maghi. «È davvero testarda come si dice delle fate. Però sono creature magnifiche. Vederne un intero gruppo è spettacolare, con le ali che riflettono la luce in mille colori.» Ogni volta che ne parlava, Jolene sentiva riaccendersi l'incanto di un'estate sorprendentemente calda – ancora più della presente –, quando il sole rendeva l'aria così luminosa da accecare, da far dubitare di aver davvero intravisto una fugace luminescenza azzurra, e poi ancora verde, rosa, gialla. Erano passati più di dieci anni da allora, ma ogni luglio Jolene sperava ancora, segretamente, che le fate tornassero a popolare le aiuole fiorite della sua casa d'infanzia. Un caso fortuito, o forse un dono alla dedizione instancabile con cui sua madre curava il giardinetto, il piccolo gruppo di creature aveva danzato per gli occhi di Jolene, fino ad ammaliarla di una magia che si portava addosso tutt'ora, come dimostrava la sua scelta di una fata come compagnia.
Non saper trattare con le creature fatate era tutto sommato comprensibile; Jolene però cominciava a nutrire l'inquietante sospetto di non cavarsela tanto bene nemmeno con gli esseri umani. Ebbe la consapevolezza di aver fatto un passo di troppo nel momento in cui si accorse che Mary evitava il suo sguardo e, allo stesso modo, faticava a trovare le parole per risponderle. Se aveva sperato di allentare la tensione affrontandola a viso scoperto, dovette constatare con amarezza che il suo comportamento così diretto non aveva fatto altro che aumentare le difficoltà dell'altra. Curiosamente, fu in quel momento che si rese pienamente conto di avere di fronte poco più di una sconosciuta: Mary le si rivelava indecifrabile, nel suo non rispondere alle assunzioni che Jolene osava formulare sul suo conto. Brancolava alla cieca, incapace di adattare il proprio comportamento ad una personalità che le si definiva a linee ancora troppo vaghe. Si scoprì impacciata, ma anche spinta da una scintilla di curiosità a tentare fino a quando non avesse scoperto il giusto modo per parlarle. Il suo ascolto si fece più profondo, portandola a sopprimere quei piccoli gesti – stringere le dita intorno al tovagliolo, sistemarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, dondolare i piedi – che normalmente davano alla sua figura una parvenza di provvisorietà nel non restare mai completamente ferma. Privata di movimento, Jolene cominciò a dare più importanza a quello dell'altra: il sorriso sfociato in una piccola smorfia, l'atto di sfregarsi un occhio alla fine di una dichiarazione che appariva come ciò che Jolene avrebbe voluto sentirsi dire. E lo era davvero: la conferma che andava tutto bene, ed era inutile dare eccessiva importanza ad un episodio tanto marginale quanto banale, quindi, per Morgana, perché Jolene si dava tanto pensiero? Se solo Mary fosse suonata più convincente, forse la rossa si sarebbe finalmente messa l'anima in pace; non era da escludere nemmeno l'eventualità che, con la sua tendenza a far assumere ad ogni sciocchezza proporzioni gigantesche, non fosse Jolene stessa a vedere ambiguità che non esistevano realmente.
Comunque stessero le cose, scelse di rispettare la volontà di Mary, e non insistette oltre. Come ultimo contributo alla questione si limitò ad annuire, sancendo col silenzio la reciproca volontà di cambiare argomento. Mary si avvicinò a sua volta, sporgendosi sul tavolo che le separava. A guardarle dall'esterno, si sarebbero dette due conoscenti intente in una normale conversazione che fosse giunta ad un punto particolarmente importante, una rivelazione focale pronta a correre nella piccola porzione di spazio che era soltanto loro. In un certo senso, a Jolene pareva che fosse davvero così: più che le parole, però, erano centrali gli atteggiamenti, venirsi incontro verso una leggerezza di cui sentivano il bisogno.
«Hai studiato ad Hogwarts?»
La domanda più semplice a cui si potesse rispondere contribuì a placare la sorda agitazione che fino ad allora aveva continuato a torcersi nella rossa. La sua voce risuonò chiara, pur non oltrepassando la ridotta circonferenza subito intorno al loro tavolo: «Sì, ho dato i M.A.G.O. quattro anni fa. Sembra un sacco di tempo, non è vero? Sicuramente abbastanza perché senta nostalgia della Sala Comune Corvonero». Una smorfia vagamente divertita le increspò le labbra. Mary era Grifondoro, non poteva sapere dell'atmosfera che si respirava nell'altra torre, però era certa che potesse comprendere: comprendevano tutti, bastava aver passato anche solo qualche mese al Castello; la Sala Comune in cui si trascorrevano le serate non aveva importanza. «Tu a che anno sei?»
Presto vennero raggiunte da una ragazzina molto giovane, studentessa anche lei, che posò sul loro tavolo i menù. «La Burrobirra di Madama Rosmerta è la migliore che abbia mai bevuto.» Con un sorriso gentile, Jolene confermò le parole della ragazza, una Serpeverde in cui non ricordava di essersi ancora imbattuta al Castello. Si chiese se avesse riconosciuto lei o Mary, ma, comunque fosse, i suoi modi erano sorprendentemente impeccabili per una persona così giovane. «Grazie», disse prima che si allontanasse verso il bancone.
Le bastò una rapida consultazione per decidere cosa prendere: frequentava il locale abbastanza spesso da sapere già quali erano i suoi piatti preferiti. Attese che anche Mary fosse pronta, e cerò di attirare l'attenzione della cameriera. Mentre aspettavano che tornasse da loro, Jolene ebbe un'improvvisa illuminazione. Abbandonò la visione della sala, dove aveva cercato la ragazza Serpeverde, e fissò i propri occhi su Mary. Era una cameriera anche lei, per di più al Madama Piediburro. Un po' in ritardo e con qualche cigolio affaticato, gli ingranaggi nella sua testa presero a girare ad una nuova velocità. «A te piace leggere, Mary?» Dove voleva arrivare? La stava prendendo larga, molto larga. Ma dovevano ancora ordinare, avevano tutto il tempo.
Quando Narcissa le avesse raggiunte, Jolene le avrebbe teso il menù. «Prendo un'acquaviola media e un toast prosciutto e formaggio, per piacere», avrebbe detto, cortese, seppur leggermente distratta, impaziente com'era di proseguire la conversazione con la Grifondoro.
21 anni | infermiera | incuriosita


Jolene prendere un'acquaviola media e un toast prosciutto e formaggio, grazie!

(Sono tornata, mi scuso per il ritardo ♡)

 
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view post Posted on 26/10/2020, 16:28
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Mary Grenger
Che c'ho una frase scritta in testa ma non l'ho mai detta



L’aria all’interno del locale era sicuramente più fresca e gradevole. Di certo Mary percepiva ancora la camicia attaccata alla schiena, ma forse quello era il problema minore.
Gli imprevisti non le piacevano. Nonostante affrontarli fosse quasi una prerogativa dell’essere Grifondoro, lei li trovava fastidiosi come non mai. Non era preparata e pronta come gli altri, le serviva un po’ più di tempo per analizzare la situazione e per provare a risolverla. Incontrare Jolene ai Tre Manici, bella come se la ricordava, era stato un risvolto inaspettato. Vedersela seduta di fronte lo era ancora di più. Ma ormai erano lì e doveva provare a superare l’imbarazzo iniziale e riuscire finalmente ad avere una conversazione con la donna che andasse oltre lo spiccicare tre parole in croce. Dopo aver lanciato la domanda – cosa che a quanto pare richiedeva molti più sforzi di quanto avesse immaginato – si era spinta nuovamente indietro sulla sedia, accomodandosi nel modo quanto più composto possibile. Anche lei, come probabilmente tutti i ragazzi della sua età, aveva quella tendenza a sedersi nel modo più scorretto possibile. Ma ora, con Jolene di fronte, Mary cercò di prestare attenzione anche alle piccole cose come quella. Avere la schiena così rigida era missione assai ardua, ne era consapevole.

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Si spinse con i piedi vicino al tavolo – il rumore della sedia nascosto dalle voci altrui – e riportò le mani tra le gambe.
«Sì, ho dato i M.A.G.O. quattro anni fa.».
Quattro anni. Allora, quindi Jolene aveva 20 anni? No, 21? Sul suo volto un sorriso cordiale ed uno sguardo particolarmente attento. Nella sua testa gli ingranaggi si muovevano rumorosamente in cerca di un numero. Eventualmente si fermarono: proprio per lei, che a 17 anni era ancora al terzo anno, quei calcoli non avevano senso. L’età, poi, è solo un numero.
«Sembra un sacco di tempo, non è vero? Sicuramente abbastanza perché senta nostalgia della Sala Comune Corvonero».
Corvonero, ovviamente. Studiando ad Hogwarts non poteva immaginare Jolene indossare nessun’altra divisa. Non dava l’impressione di essere una Serpeverde e fosse stata Grifondoro si sarebbero di certo incrociate, Mary lo avrebbe ricordato. I Tassorosso non le avevano sfiorato la mente, in realtà. Quindi Corvonero.
Nostalgia?
Non voleva interrompere la rossa, ma la sua bocca agì quasi in automatico. Nostalgia? Lei delle volte si sentiva oppressa dalle mura del castello. Per non parlare del dormitorio grifondoro o, nello specifico, della sua stanza. Ogni giorno le pareti le sembravano più strette, più scure, più insopportabili. C’erano dei giorni in cui anche il giardino di Hogwarts le sembrava opprimente. In quel momento l’idea di poter essere nostalgica le sembrava così lontana. Certo, Jolene aveva affrontato i G.U.F.O. già da quattro anni, eppure era ancora lì nel castello. Non si era stancata? Diede voce ai pensieri.
Non- Voleva essere gentile nell’esprimere il suo pensiero e attese un attimo in più per tentare di formulare correttamente la sua idea.
Posso immaginare la nostalgia. È per questo che sei tornata ad Hogwarts?
Non aveva nulla contro il castello, che sia chiaro. Hogwarts era – e sarebbe continuata ad essere per lungo tempo – la sua casa, forse l’unica. Ma l’idea di passarci dentro tutti quegli anni e poi tornarci un po’ la scoraggiava. C’erano così tante parti del mondo che voleva vedere, esplorare, percepire. Forse per Jolene era diverso o forse sarebbe stata lei diverse nel giro di qualche anno.
Sono al terzo anno.
Non sapeva cos’altro aggiungere a quella risposta e quindi non aggiunse altro. Ma era così curiosa di sapere perché l’infermiera stesse ancora al castello che era pronta a lanciarsi in un’altra domanda, se non fossero state interrotte.
Sorrise alla cameriera ed emulò il ringraziamento di Jolene. Era sempre così gentile, Jolene. Anche con una cameriera, con una sconosciuta, aggiungeva sempre una frase in più per mettere la gente a proprio agio. Lo aveva fatto anche con lei da Madama. A seguire quella linea di pensiero si ritrovò a sorridere leggermente nel guardare la donna di fronte a sé. Quando la rossa la guardò per parlare, Mary fu colta di sorpresa e percepì un leggero tepore sulle guance. Di nuovo. Aveva quindi aperto il menu velocemente per affondarci dentro la testa e allo stesso tempo era arrivata la domanda della donna.
«A te piace leggere, Mary?» le piaceva come suonava il suo nome nella bocca di Jolene. La domanda, invece, arrivò del tutto inaspettata. Leggere. Non era una grande lettrice, ma non era estranea ai libri come lo erano molti suoi coetanei.
Dipende. Ecco, primo step. Mi piace tenermi informata. Il suo cervello, losco e meschino, l’avevano riportata a qualche settimana prima quando aveva letto proprio l’articolo di Jolene sulla Gazzetta. Un bruttissimo scherzo del destino che con lei si stava divertendo molto, a quanto pare. Ricordò di aver trovato estremamente interessante l’articolo, di averne apprezzato addirittura la forma e di essere rimasta delusa dallo scoprire l’avesse scritto lei. Non per Jolene in sé, chiaramente. Ma per quel continuo associare qualsiasi cosa gradevole a lei.
Ma ho interessi molto precisi. Mi piace il Quidditch, ad esempio. Ah, il suo campo. Il Quidditch. Aveva divorato il libro che le aveva regalato Oliver ed era pronta ad acquistarne di nuovi. Era pronta a ricambiare la domanda forte dell’interesse che provava nel ricevere qualsiasi informazione riguardante l’infermiera, ma furono nuovamente interrotte. Lasciò che Jolene ordinasse per prima anche perché lei non aveva consultato il menu fino a quel preciso istante.
Per me un toast con formaggio e verdure. E da bere – *vediamo di evitare gli alcolici. Ok, vediamo di evitare gli alcolici pesanti* - dell’idromele, grazie. Ecco, sì. L’idromele era abbastanza leggero. Poi, Jolene+Alcolici l’ultima volta fu una combo letale per lei, meglio non esagerare.
Lasciò che il suo sguardo raggiungesse brevemente la cameriera giusto per notarne la giovane età. Le fu impossibile non domandarsi come potesse lavorare una ragazzina come lei in un luogo come quello.
La sua attenzione ritornò su Jolene come se attratta magneticamente da lei. Voleva osservarne tutti i gesti, le smorfie. A te? Cioè, a te piace leggere? Così, dal nulla.

Perché la vita, senza te, non può essere perfetta.



Mary prende un toast formaggio e verdure e un boccale medio di idromele aromatico così ce ne usciamo ubriache dai Tre Manici, grazie ♡
 
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Narcissa E. Miller
view post Posted on 26/10/2020, 20:23




Narcissa Elodie
Miller
«O forse a Serpeverde, ragazzi miei, voi troverete gli amici migliori, quei tipi astuti e affatto babbei che qui raggiungono fini ed onori!»

► Mood: Helpful► Età: 11 anni ► Ruolo: Studentessa► Outfit: Divisa di Serpeverde

A
veva lasciato i menù alle due ragazze e concesso loro tutto il tempo necessario per poter scegliere senza fretta. Madama Rosmerta glielo aveva ripetuto a più riprese: mai mettere fretta a un cliente, altrimenti non tornerà più. Lavorare ai Tre Manici di Scopa stava mettendo a dura prova alcuni tratti peculiari del suo carattere, tra cui la frenesia, con la quale faceva i conti praticamente da quand'era ragazzina. Il dover attendere, aspettare e accorrere al momento giusto inizialmente le aveva creato non poche difficoltà. Poi, grazie al cielo, s'era abituata a quella routine e aveva imparato a gestirsi con più autonomia, a dispetto dei suoi soli undici anni.
Rosmerta le aveva anche suggerito di non restare mai con le mani in mano: ogni volta che lasciava il tempo ai clienti di orientarsi all'interno del menù, la padrona del locale le aveva dato l'idea di non farsi mai sorprendere nullafacente; per questo motivo, anche quella volta Narcissa s'era affaccendata dietro al bancone, finché una delle due ragazze non aveva deposto il menù sul tavolo. Narcissa allungò il collo per sincerarsi che fosse il momento giusto per intervenire. E sì, sembrava che almeno una di loro fosse pronta. L'altra, invece, stava ancora chiacchierando, ma molto probabilmente aveva consultato il menù in un momento in cui lei era distratta e stava guardando altrove.
Narcissa abbandonò lo strofinaccio sul bancone e si avviò verso il tavolo, accogliendo di nuovo le due ragazze col sorriso che Madama Rosmerta le aveva imposto di non dimenticare mai, nemmeno nelle giornate in cui s'alzava con la luna storta.

"Siete pronte?" domandò retoricamente, ma ostentando estrema gentilezza.
Come da copione, una delle due rispose. La ragazza ordinò un'acquaviola media e un toast prosciutto e formaggio. Narcissa prese dal grembiule il taccuino e con una piuma annotò l'ordinazione, accompagnando il tutto da un incoraggiante "ottima scelta", giusto per appagare ulteriormente le papille gustative della cliente.
Nel frattempo l'altra ragazza sembrò essersi ricordata di non aver guardato ancora il menù; ciò nonostante, di getto nominò il toast con le verdure e l'idromele che avrebbe desiderato ricevere.
Narcissa sorrise anche a lei e nel farlo constatò anche l'età scolare di quest'ultima ragazza. Ricordava d'averla vista a Hogwarts, ma ovviamente non ne conosceva il nome... troppe ragazze, troppi studenti, troppi corridoi e soprattutto troppi nomi da ricordare le rendevano impossibile tenere a mente l'identità di ogni singolo studente.
Sorrise di nuovo e poi si congedò temporaneamente dalle due ragazze. Dietro il bancone si affaccendò riproducendo con la stessa maestria che le aveva trasmesso Madama Rosmerta i due toast. Un colpo di bacchetta e il pane si riempì del prosciutto che scattò agilmente al di fuori della confezione di plastica; mentre accadeva ciò, anche un paio di fette di formaggio andarono ad addizionarsi al toast che sarebbe andato alla giovane infermiera; per Mary, invece, le verdure erano già tagliate in maniera raffinata e posizionate nel cuore del panino. Un altro colpo di bacchetta e la piastra si accese, lasciando che i due toast si scaldassero e che il formaggio al loro interno si sciogliesse come neve al sole. In quel lasso di tempo, Narcissa ripescò il libro degli ingredienti e si premurò di riprodurre le due bevande, curandosi di non omettere alcun dettaglio.
Quando tutto fu pronto, la Serpeverde posizionò i due panini e le bevande su un vassoio di legno, che magicamente fece sollevare dal bancone e poi afferrò per portarlo alle due ragazze. Una volta raggiunte le due amiche, Narcissa posizionò davanti a loro quanto ordinato: sotto al naso di Jolene comparvero l'acquaviola media e il toast, mentre davanti a Mary arrivarono a ruota l'altro toast e l'idromele.

"Buon appetito, se avete bisogno di qualcos'altro chiamatemi pure. Sono lì, al bancone" concluse Narcissa, prima di allontanarsi.
Con uno sguardo si fossilizzò un istante sulla porta che conduceva sul retro. Sperò per un momento che Madama Rosmerta affiorasse in quell'istante dall'uscio e notasse la professionalità che grazie a lei aveva acquisito; ciò però purtroppo non accadde e Narcissa dovette accontentarsi di compiacersi da sola e di complimentarsi con sé stessa per i miglioramenti fatti in quel periodo di tirocinio al locale.





// Post degli incassi aggiornato
 
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view post Posted on 13/11/2020, 10:16
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Lo sguardo di Jolene era curioso nell'attesa che Mary terminasse il proprio pensiero a proposito della nostalgia per la scuola. La rossa, in effetti, era piuttosto incline a quel sentimento; fluttuava continuamente nel proprio passato, tra vecchi diari, disegni, annotazioni a fianco di libri ingialliti e polverosi. Hogwarts, per lei, poteva essere vissuta in due maniere: nella sua forma attuale, modellata dalla consapevolezza del suo ruolo come infermiera; o come spettro degli anni in cui lì aveva studiato. Le facce che popolavano i corridoi assumevano allora connotati puramente simbolici, i loro tratti sbiaditi come in un sogno mentre la mente di Jolene si appropriava dell'ambiente e lo ridisegnava. Ciò che entrambe le versioni condividevano era la confortante sensazione di familiarità, di piccolezza, in un certo senso, come di un mondo fatto a misura di individuo – anche se, certo, le mura antiche nascondevano così tanta storia, così tanti segreti da scoraggiare l'idea che potessero realmente appartenere ad uno qualunque dei loro abitanti. Ciò nondimeno, Jolene vi si sentiva a casa, e Mary aveva visto giusto nell'ipotizzare che fosse quello il motivo a tenerla ancorata allo stesso paesaggio della sua adolescenza.
«Sì», disse, le parole che scivolavano lente mentre le pensava con cura. «Volevo ritrovare la sensazione di appartenere realmente al posto in cui sto. Il lavoro di infermiera può essere un po' alienante, quando vedi continuamente susseguirsi un estraneo dopo l'altro. A Hogwarts è diverso, conoscendo già bene o male chi hai davanti. Lo avrai sperimentato anche tu quando eri auto infermiera, no?» Concluse su quella nota interrogativa, curiosa.
Nell'atmosfera che percepiva via via più distesa, Jolene dovette rendersi conto che, forse, Mary non condivideva del tutto la sua tranquillità. In un'occasione le sembrò che fuggisse il suo sguardo con una certa urgenza, e di riflesso distolse a sua volta gli occhi, anche se la ragazza si era già trincerata dietro al menù come dietro ad uno scudo. A Jolene non era chiaro che cosa dovesse fare, ma le sembrava che la strada appena intrapresa – quella, cioè, di una conversazione quanto più possibile innocua, normale, forse, per quanto cercasse di discostarsi da un'eccessiva superficialità che poco sopportava –, che quel modo fosse l'ideale per connettersi a Mary in una situazione di agio da entrambe le parti. D'altronde, mentre parlava, si era scordata di dover stare attenta a ciò che diceva, ritrovandosi, semplicemente, a conversare. Si domandò se per l'altra potesse essere lo stesso o se, al contrario, la sua presenza le creasse ancora dei problemi. Si mosse sulla sedia, leggermente a disagio di fronte a quell'idea.
«Dipende. Mi piace tenermi informata.» Jolene si sforzò di tornare calma: fintanto che la conversazione andava avanti, fintanto che sentiva la voce di Mary alternarsi alla propria, andava tutto bene. Non nascose una leggera sorpresa nel proprio sguardo, quando questo cercò la figura della ragazza. Quanti anni poteva avere? Sedici, diciassette? Ad ogni modo, era un'adolescente e, per quanto ormai prossima ad un'età più matura, a Jolene pareva sorprendente che la sua prima risposta fosse così concreta, improntata all'informazione. Jolene si ricordava innamorata del sogno, a quell'età, aperta alla vastità del mondo attraverso occhi desiderosi di cogliere più gli ideali che la realtà oggettiva dei fatti.
«Mi piace il Quidditch, ad esempio.»
«Allora devi essere una fedele lettrice della rubrica della Gazzetta» commentò con un sorriso, dopo che la giovanissima cameriera se ne fu andata con i loro ordini. Era sul punto di aggiungere qualcosa riguardo all'ultima partita di Quidditch a cui aveva assistito – l'unica in diversi anni –, quando ricordò che l'argomento era già stato sfiorato durante il ballo. Preferì scongiurare possibili associazioni e disse, invece: «Giochi nella squadra Grifondoro? Io temo che dopo le lezioni del primo anno non abbia praticamente più toccato una scopa. Chi riesce non solo a restare in sella ma pure a giocarci ha tutta la mia ammirazione». Dette una breve risata. Aveva altre ali su cui alzarsi da terra, ma di quelle non fece parola.
La garzona tornò da loro, posando davanti a ciascuna piatto e bicchiere. Jolene la ringraziò, sentendo che lo stomaco cominciava a brontolare. Prima di inaugurare il pranzo, sollevò il proprio bicchiere, protendendolo leggermente in attesa che Mary sancisse con un tintinnio la nuova, curiosa unità che stavano formando in quel momento. Le rivolse un sorriso che sarebbe poi sparito dietro al bordo del bicchiere.
«Io adoro leggere» disse poco dopo, la voce che a sua volta pareva tintinnare. «Anche se preferisco opere di fantasia, principalmente. Sto seguendo molto le ultime uscite, ora c'è un romanzo che è sulla bocca di tutti, all'apparenza assurdo, sembra che parli dei crimini di un Berretto Rosso che sotto polisucco gioca nella British and Irish Quidditch League. Come battitore, ovviamente.» Le lanciò un mezzo sorriso divertito.«Non so se è quello che intendevi con tenerti informata sul Quidditch
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Mary Grenger
Che c'ho una frase scritta in testa ma non l'ho mai detta



Non era più molto agitata. La conversazione sembrò assumere una piega sopportabile, gradevole anche. Guardò Jolene e pensò che forse – di nuovo – avesse completamente sbagliato tutto. Il sudore alle mani, il cuore che batte veloce, gli occhi che guardano altrove: non era colpa dell'amore. Forse era davvero timore reverenziale di una figura istituzionale all'interno del castello. Anche quella eventualità però, le arrecava fastidio. Perché a diciassette anni sentiva di poter essere in grado di dare un nome ai sentimenti che provava, di essere abbastanza matura da distinguere l'amore da altro. L'amore. Forse era stata immatura dal principio a pensare ad una cosa del genere, soprattutto per una persona così lontana da lei in tutti i sensi. Eppure, c'era la parte non razionale, quella piccola parte che aveva ancora tredici anni e credeva genuinamente che guardare una persona sorridendo e ricevere in cambio lo stesso trattamento voleva dire amore a prima vista. Doveva esistere ancora qualche parte di Mary che credeva nell'amore che nasceva così, perché non era totalmente pronta ad ammettere che da adulti era tutto più triste. Le pesava poi, la possibilità che Jolene potesse scoprire, nel proseguire la conversazione, alcune caratteristiche infantili che tendeva ad assumere. Fin dal principio aveva provato di essere adulta per fare breccia nel cuore della donna.

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In qualche misura si era arresa, alla fine. Il suo cervello non aveva avuto ancora il coraggio di comunicarlo ma aveva già mandato dei segnali. Ad esempio, aveva permesso a Mary di assumere una posizione più rilassata sulla sedia, le aveva permesso di guardare Jolene senza necessariamente abbassare gli occhi per guardarle le labbra e desiderare di baciarla. Quella linea di pensiero cessò di esistere nel momento stesso in cui l’infermiera tornò a parlarle. E andava bene così, pensò eventualmente. Meglio non perderci la testa sulle cose che non possono essere controllate. «Lo avrai sperimentato anche tu quando eri auto infermiera, no?» arricciò le sopracciglia. Jolene sembrava curiosa di sentire un suo riscontro, ma Mary temette potesse non essere sulla sua stessa lunghezza d’onda. Di nuovo, la sincerità.
«Sì.» Anche lei si prese un attimo per mettere in ordine i pensieri, giacché ne aveva anche troppi di cui tener conto. «Quando ero in infermeria, di tanto in tanto qualcuno entrava con una coda da gatto, capelli infuocati, nasi più lunghi del normale. Li avrai visti anche tu.» rise leggermente ricordando quei momenti di leggerezza, quando anche l’infermiere di turno si lasciava andare ad una risata divertita. «Ma…» Si prese di nuovo un attimo per concretizzare a parole le immagini che si susseguivano nella sua testa. Il suo sguardo su Jolene divenne per un attimo serio e sentì di non avere diciassette anni. «Quando vedi i tuoi amici con gambe rotto, sangue ovunque, ecco io- Avrei preferito lavorare al San Mungo.» aveva infine abbassato lo sguardo e i suoi occhi per un attimo si muovevano come a riprodurre gli eventi dinanzi a sé. Ma sorrise nuovamente e mosse la mano a scacciare quell’immagine quando raggiunse nuovamente la rossa con lo sguardo. «Non può essere sempre tutto facile.» si allontanò infine da quel discorso e aspettò con ansia il proseguo della conversazione. L’agitazione invadeva con minor forza i suoi pensieri e questo le permetteva di concentrarsi per bene sulla persona di fronte a sé. Percepì lo sguardo di Jolene sulla sua figura e pensò che forse qualcosa di giusto lo stesse dicendo, per lo meno. Le domande sul Quidditch erano quelle che preferiva. Era un argomento che la coinvolgeva da vicino, tant’è vero che si trovava a parlarne con ogni persona che incontrava. Forse inconsciamente portava tutti lì per sentirsi al sicuro. Ovviamente era difficile trattenere l’eccitazione e nonostante provasse a tenere a bada il suo corpo, sul suo viso il sorriso era davvero ampio e gli occhi sembravano illuminarsi. Ora aveva tredici anni di nuovo. «Ahm…» e a quel punto aveva così tante cose da dire che semplicemente le mancavano le parole. «Sì, ci gioco.» Provò a mettere in ordine i pensieri prima di ripartire. Il commento sull’ammirazione della donna non passò inosservato. «È dal primo anno che partecipo a tutte le partite. Sai io…» gli occhi si fermarono sul volto della donna e poi li chiuse prendendo un bel respiro come se stesse assaporando qualcosa prima di riaprirli. «Penso che valga per tutti ma…Sai, è la sensazione di volare che mi piace. Certo, sono una Grifondoro al 100%, voglio vincere e la gloria, le urla, i complimenti sono tutte cose che mi rendono felice.» Forse stava seguendo una linea di pensiero che la rendeva troppo, troppo onesta ma non riuscì a fermarsi. «La mia testa smette di impazzire quando gioco. Sembra che tutto si fermi e si metta in ordine.» Forse esisteva un termine medico adatto per quella condizione, ma lei non lo conosceva. «Poi essere liberi è bello, penso. Dovresti riprovarci, a volare intendo. Sì…» trattenne il mezzo sorriso che aveva tentato più volte di abbandonare il suo volto e lo rivolse a Jolene. La garzona le raggiunse e, dopo aver parlato forse anche troppo, Mary non vedeva l’ora di bagnarsi le labbra con qualcosa che non fosse la sua saliva. Nel vedere la rossa alzare il bicchiere nella sua direzione percepì una sensazione calda al petto e, come aveva imparato a fare, la ignorò. Prese il suo bicchiere e raggiunse quello di Jolene, producendo quel suono che sapeva di buon auspicio. Il liquido dolce le invase la bocca e fu impossibile trattenere il leggero mh di piacere che uscì fuori. Non riuscì ad arrivare a prendere il suo toast che le informazioni che le diede Jolene la fecero ridere più del dovuto. Cercò di restare composta, ma era difficile farcela. Ricambiò il sorriso e aggiunse veloce: «ho letto un tuo articolo per la Gazzetta. Stai provando a farmi parlare, Jolene?» era sicura sapesse quale fosse il riferimento, d’altronde era proprio sul suo articolo che aveva parlato di Madama Piediburro. «Perché sai, una certa proprietaria di un certo locale si nasconde sempre nel retrobottega con un taccuino in mano. Non aggiungo altro.» Il suo occhio stava quasi per strizzarsi in un occhiolino mal riuscito, ma sperò di averlo fermato. Nonostante la conversazione stesse procedendo meglio di quanto avesse sperato, non pensò di essere arrivata a quel punto. «Allora…» aveva finalmente raccolto il toast dal piatto con entrambe le mani. Gli aveva dato un occhio per essere sicura non ci fossero tracce di carne e poi riportato lo sguardo su Jolene. «Eri una secchiona?» E finalmente addentò il toast. Grazie a Merlino.
Perché la vita, senza te, non può essere perfetta.

 
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Avrebbe mentito se avesse affermato che le dispiaceva prendersi una pausa dal lavoro in quei caldi mesi estivi; tuttavia, pur apprezzando il riposo e il conseguente tempo libero, Jolene amava il proprio incarico. Non si trattava solo dell'ambiente, di quella Hogwarts che non avrebbe mai smesso di considerare il proprio posto; Jolene prendeva dalle proprie mansioni qualcosa di più profondo ancora e, proprio per questo, estremamente difficile da tradurre a parole. Si trattava di una rassicurazione, probabilmente, la consapevolezza che ad ogni ferita ci sarebbero stati occhi gentili e mani attente a porvi rimedio. Quando gli studenti oltrepassavano l'alta porta di quercia con i leggeri malanni che ormai aveva visto decine di volte, era semplice rifugiarsi in quella illusione. Ma, come Mary non aveva mancato di notare, a volte le cose andavano orribilmente storte. Il volto di Jolene si fece più duro nella contrazione della mascella, lo sguardo che si fermava su un punto impreciso accanto al viso della ragazza. Fu questione di pochi secondi, ma bastò a testimoniare un turbamento provocato dalle parole così consapevoli dell'altra. Ricordò quando l'infermeria si era riempita di studenti massacrati, pelle e carne lacerate, bruciate, percosse con una violenza che un'età così tenera non avrebbe mai dovuto conoscere. In seguito aveva capito che l'orrore non risparmia nessuno, ne aveva avuto la prova definitiva quando, durante quel terribile giorno a Hogsmeade, aveva guardato un lenzuolo essere tirato sopra al minuscolo corpicino di una bambina. Quali parole potevano conservare il loro significato, di fronte al massacro? Anche quando a soffrire era una persona sola, ciò non diminuiva il dolore, che, come Mary aveva accennato, non poteva che essere annientante quando a venire ferito era qualcuno di caro. Nella macabra successione dietro al suo sguardo, Jolene rivide allora anche Oliver, il rosso delle rose tramutato in rosso di sangue, e d'un tratto sentì la bocca seccarsi.
«No.» Si schiarì la gola quando la voce le uscì graffiante. Congiunse le mani sul tavolo, cambiò incrocio alle gambe, a disagio nello spazio a sua disposizione. «Non può essere tutto facile.» Non c'era nient'altro da aggiungere. Ma nell'atto di tacere tornò a guardare Mary, per davvero, e si sentì confortata, dopo tutto, perché lei capiva. La solitudine era un po' meno opprimente quando qualcun altro capiva.
Ben più allegre furono le note su cui venne introdotto il tema del Quidditch. Jolene non faticò a riconoscere in Mary quella scintilla che in lei si accendeva alla menzione dei libri, o delle favole, o del volo stesso. Era passione, totale assorbimento ed insieme possibilità di essere se stesse fino in fondo, riappropriandosi di una frazione d'identità che normalmente rimaneva sopita. Jolene sembrò illuminarsi per riflesso, sulla scia di un'empatia solleticata dalle parole ben scelte di Mary. Non faticava ad immaginarsela in sella al suo manico di scopa, una figura rossa e dorata che la velocità vertiginosa sfocava in contorni imprecisi, senza tuttavia dissimularne la posa ferma, decisa, al punto che sarebbe stato facile figurarsi lo sguardo di determinazione sul suo volto.
«In che ruolo giochi?» domandò. «Quando lo descrivi così penso che mi piacerebbe moltissimo assistere di nuovo ad una partita.» Il suo unico tentativo degli ultimi anni era miseramente fallito prima che la pluffa venisse liberata nel campo, e in quel momento se ne dispiaceva più che mai. Era così immediato entusiasmarsi, quando la gioia di Mary era tanto evidente da risultare trascinante.
Dopo qualche istante di riflessione, soggiunse: «Dovrei anche riprovare a volare su una scopa, hai ragione. Ricordo che all'epoca mi sembrava ingombrante, occupava troppo spazio, rendeva ogni movimento meccanico e scattante, non c'era niente della fluidità che pensavo fosse adatta per il volo». Sorrise di sé. «È molto probabile che semplicemente fossi negata. Però non volevo rinunciare alla mia idea, fantasticavo della possibilità di volare facendo a meno della scopa. Assurdo, no?» Sapeva benissimo che non era assurdo, tanto che ora, molti anni più tardi, aveva acquistato la tanto agognata indipendenza da qualsivoglia oggetto magico e per volare non doveva che affidarsi alle sue ali di rondine. Ma era curiosa di sapere cosa ne pensasse Mary, lei che non conosceva quello che era, a tutti gli effetti, un segreto che Jolene non aveva condiviso quasi con nessuno.
Il pasto fu ben accolto da Jolene nella sua semplicità. Si lasciò confortare dai sapori conosciuti, un sorso di acquaviola e un boccone di toast alla volta. Nascose dietro alla mano la risata con cui fece eco a Mary, e la sua risposta arrivò in ritardo, ancora tinta di divertimento: «Mi devo tenere aggiornata sui gossip, fa parte del mestiere. Potrei o non potrei avere in cantiere un articolo che farebbe fischiare le orecchie a Madama». Inutile dire che era proprio quello l'articolo per cui si era fiondata a Hogwarts quel giorno, e di cui, in quel momento, custodiva gli appunti in borsa. Jolene stava effettuando una lunga serie di ricerche, oltre a leggersi qualche capitolo delle tormentate storie di Primma C. Adems ogni sera prima di andare a dormire – qualche volta l'avevano portata a sognare scene del crimine, altre volte krapfen alla marmellata.
Jolene, insomma, prendeva molto sul serio il suo progetto. Aveva sempre proceduto in quel modo, con la sua tipica meticolosità disordinata, per così dire, che si accendeva e si spegneva insieme al suo interesse. Poteva abbandonare un proposito nel giro di pochi istanti, ma, fintanto che quello si fosse tenuto la sua attenzione, Jolene gli avrebbe dedicato tutta se stessa. Ai tempi della scuola, era stato quello il suo metodo di studio: lo ricordò spinta dalla domanda di Mary, cui rispose fingendosi mortalmente seria. «Come ex Corvonero, ritengo un oltraggio che tu dubiti per un solo istante del fatto che fossi una secchiona.» La farsa durò poco, smantellata da una piccola risata che le scosse le spalle. Una ciocca di capelli le scivolò davanti agli occhi, e Jolene soffiò per allontanarla, senza staccare le mani dal toast. «Ero sempre col naso nei libri, ma la maggior parte delle volte non erano di scuola. Quelli li tiravo fuori all'ultimo, oppure quando affrontavamo un argomento che mi piaceva. A volte me li studiavo da sola e basta, non avevo la pazienza che arrivassimo alle parti che mi interessavano. Non ho mai imparato ad organizzarmi decentemente. Hai presente quella persona che la notte prima del compito rimane sveglia fino alle due di notte sfogliando convulsamente gli appunti? Ecco, ero io. Ma mi è andata bene quasi sempre, devo dire.» Stava esagerando un po', ma tutto sommato aveva detto la verità.
Rovesciò la domanda: «Tu sei una secchiona, Mary? Secondo me sì. Voglio dire, non il tipo che non fa che studiare da mattina a sera, ma mi dai l'impressione di impegnarti a fondo in ciò che fai». Si stava già prendendo la confidenza di fare supposizioni, forse avrebbe fatto meglio a darsi una calmata.
«Raccontami qualcosa di com'è la scuola adesso» la esortò poco dopo. «Come infermiera mi sento tagliata fuori da tutti quei piccoli segreti che girano tra studenti, sai. È strano essere in un posto che conosco così bene e sentirlo così distante, per certi versi. Prometto che sarò muta come un pesce rosso.»
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view post Posted on 13/12/2020, 00:14
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Mary Grenger
Che c'ho una frase scritta in testa ma non l'ho mai detta



Un singolo raggio di luce entrò dalla finestra alle spalle di Jolene. Arrivò diritto al loro tavolo senza incontrare ostacoli. Puntò a Roxane. Mary se ne accorse e spostò la piantina di qualche centimetro a destra. Le piante grasse non odiano il calore o il freddo eccessivo, ma la ragazza sentì che così esposta al sole potesse bruciarsi. Era piccola, in fondo.
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso dall’arrivo di Jolene, non aveva controllato l’orologio al polso neanche una volta. Dopo l’iniziale imbarazzo – per di più il suo, a dire il vero – erano riuscite a creare un filo conduttore tra loro. Pensò che in quello spicchio di realtà fosse riuscita a prendere un pezzettino minuscolo di Jolene e farlo suo. La riflessione arrivò quando Mary si sentì davvero vista dall’altra, davvero presa in considerazione. E allora il dolore era forse un terreno comune per loro. La perdita era qualcosa che avevano dovuto affrontare entrambe.

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Fu tentata di tirare un sospiro di sollievo quando l’infermiera decise di cambiare discorso, di spostarsi su un terreno più vicino a lei, per giunta. Il Quidditch era la sua vita e aveva pensato più volte di renderlo un lavoro ma, allo stesso tempo, era convinta di poter dare e fare di più. In quell’occasione, non voleva monopolizzare la conversazione con la sua infantile eccitazione per uno sport. Ma fu Jolene ad insistere sull’argomento e Mary non poté che prendere la pluffa al balzo. Un altro sorso di idromele raggiunse il suo stomaco, si leccò le labbra per togliere la schiuma. «Ho giocato in tutti i ruoli, ma il mio preferito è battitore. Colpire i giocatori delle altre casate è terapeutico.» Sorrise leggermente e sperò che l’altra potesse considerarla una battuta, anche se non lo era davvero. La partita contro i Serpeverde le venne in mente tempestivamente: la saliva di Vagnard sul volto di Nieve e poi la sua voglia cieca di colpirlo con un bolide sul quel viso arrogante. «Però non volevo rinunciare alla mia idea, fantasticavo della possibilità di volare facendo a meno della scopa. Assurdo, no?» Senza accorgersene si era dimenticata di respirare per un attimo. I suoi occhi erano sulle mani che tenevano stretto il toast. Nel guardare poi Jolene, sorrise. Aveva appuntato nella sua testa tutte quelle caratteristiche che rendevano lei e l’infermiera due persone completamente diverse, ma nel parlare realizzava che erano più simili del previsto. «Non è per nulla assurdo. Sai, delle volte osservo gli uccelli volare e-» Spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e riportò la mano sul sandwich. «-penso che dev’essere bellissimo poter sentire il vento sulla pelle nuda o sai, raggiungere quelle altezze. È un buon motivo per tornare ad usare la scopa, sai?» Per un attimo il suo sguardo si spostò su Roxane, anche se non l’aveva davvero visualizzata. «Ma comunque, giocare è meglio che guardare. Le partite sono piuttosto noiose.» Ammise infine. L’adrenalina di un match, la voglia di vincere, gli schemi preparati per mesi, l’idea di squadra. Erano quelli gli aspetti che più la coinvolgevano dello sport, l’idea di comunità, dell’aiutarsi a vicenda. Colpire con un bolide gli avversari era terapeutico, proteggere i suoi amici era un onore ed una responsabilità che accettava di buon grado. La risata di Jolene la distrasse da qualsiasi linea di pensiero percorribile. In generale, far ridere qualcuno era un obiettivo che si poneva frequentemente durante le conversazioni. E le piacevano i suoni diversi che ognuno produceva. Lei, ad esempio, aveva una risata molto rumorosa, per nulla graziosa. Jolene mostrò di essere l’opposto quando si portò la mano alla bocca. «Mi piacciono molto i tuoi articoli.» Dopo aver conosciuto la rossa al ballo si era resa conto di aver già letto quel nome da qualche parte. Lo ritrovò in alcuni vecchi fogli del Profeta. Si prese un attimo per ricordare un articolo preciso che aveva letto e che le era piaciuto prima ancora di rendersi conto l’avesse scritto proprio lei. «Ho trovato molto interessante quello che hai scritto su Aimee Jensen. Il modo con cui hai dato il tuo parere senza neanche renderlo visibile.» Si fermò lì. Non era sicura di averci capito qualcosa e spesso le impressioni che aveva leggendo qualcosa non erano le stesse che gli scrittori volevano trasmettere. Si ritrovò un attimo nel panico, cosa che le succedeva quando si ritrovava a parlare di un argomento lontano dalle sue conoscenze. Nascose il respiro accelerato nel boccale di idromele e prese un sorso piuttosto generoso. Quando Jolene tornò a parlare, la guardò. Seguì come ipnotizzata la ciocca di capelli volare via dal suo viso. Cercò di mantenere la sua risata contenuta e ascoltò con grande interesse. «Hai presente quella persona che la notte prima del compito rimane sveglia fino alle due di notte sfogliando convulsamente gli appunti? Ecco, ero io. Ma mi è andata bene quasi sempre, devo dire.» Riusciva quasi ad immaginarla: con un pigiama probabilmente blu, i calzini tirati su il più possibile, gli occhiali da lettura sul naso a muovere silenziosamente la bocca per ripetere le formule degli incantesimi. Increspò le sopracciglia e aprì come sconvolta la bocca. «Ma non è ch’eri una di quelle persone che diceva di non aver studiato e poi prendeva O+ all’esame di Storia?» Iniziò a scuotere la testa in segno di disapprovazione mentre bagnava nuovamente le labbra con l’idromele. Beveva troppo in fretta, su quello non c’era dubbio. «No, perché ad Azkaban ci sono delle celle per quelli così.» Concluse infine con una voce quasi grave. C’erano alcune piccole cose che Mary odiava e quel tipo di vittimismo, se tale avesse potuto essere definito, era uno di quelli. Insieme all’arroganza, ovviamente. Caratteristica naturale dei Corvonero, ma non di Jolene. Dal canto suo, non pensava di essere esattamente una secchiona. «Potresti essere la prima persona che lo dice, sai?» Ci pensò un attimo, poi. Non aveva una media bassa ma la realtà era che si impegnava in poche materie, per le altre aveva semplicemente fortuna. «Ci sono delle materie che mi piacciono particolarmente. Incantesimi, erbologia mi permettono di esprimermi.» Abbassò la testa e fece una smorfia quasi disgustata. Al terzo morso il sapore del formaggio l’aveva colpita ma era troppo salato, probabilmente scadente. «Mi sto impegnando molto ultimamente. Gli altri Grifondoro contano anche su di me per la prossima coppa.» Aveva difficoltà a descriversi. Quando qualcuno le chiedeva cose del tipo “che persona sei?” non sapeva come rispondere perché non pensava di dover essere lei a farlo. Gli altri dovevano descriverla. Ma se c’era una caratteristica che pensava di possedere era l’altruismo. Era disinteressata alle altre materie, non le poteva fregar meno delle stelle o delle rune. Quello che però davvero le importava era la felicità suoi amici e sapeva quanto fosse importante per loro vincere la coppa. «Qual era la tua materia preferita?» Di nuovo i suoi occhi raggiunsero quelli dell’altra. Pensò che potesse essere Pozioni la sua materia preferita. Una materia che richiede ricerca, precisione e volontà. Caratteristiche che pensò dovesse naturalmente avere un’infermiera. «Ah. Vuoi sapere i gossip?» Chiese alzando le sopracciglia. Aveva qualche informazione ovviamente, ma non sapeva quanto potesse interessare a Jolene che Marta e Tefilius avevano nuovamente deciso di lasciarsi. Guardò al cielo in cerca di ispirazione. «Penso che la cosa più interessante successa in questi mesi sia quando Iberzia, la ragazza spagnola del terzo anno. Sì, la ragazzina serpeverde. Ecco lei, ha tentato di rifilare al vecchio guardiacaccia un filtro d’amore.» Ricordò perfettamente il momento in cui si appostò sulla torre di Astronomia per raccontare ogni particolare a Colton. «Ok praticamente lei prende questo filtro, ci infila dentro i suoi capelli e va nella capanna del guardiacaccia. Ethan, il guardiacaccia, era fuori alle prese con l’infestazione di Horklump nell’orto. Ah, l’orto…non ne parliamo, lì succede di tutto!» Prese un attimo di pausa e fece ben attenzione a non perdersi nella confusione di informazioni che il suo cervello stava producendo ad una velocità esorbitante. Prese un sorso di idromele e proseguì. «Comunque, lei entra nella capanna e sta per mettere il filtro nel bicchiere sopra al tavolo quando sente un rumore. Si spaventa e le cade la boccetta da mano. Ovviamente scappa.» Sul suo volto il sorriso era ormai costante e da lì a poco avrebbe iniziato a ridere di nuovo. Non era bravissima a raccontare le cose, in verità. Gli eventi facevano ridere la metà quando a raccontarli era lei, ma pensò che stesse andando bene. «Pensa di essere salva. Quello che non sa è che Harold, il cane di Ethan, ha leccato tutto il filtro da terra. Quindi praticamente Iberzia va alla lezione di Pozioni e all’improvviso si trova questo cane che è tipo boh, gigante-» Accompagnò quella parte con il gesticolare delle mani per sottolineare quanto effettivamente fosse grande l’animale. «-che produce una quantità preoccupante di bava. Ecco, se lo ritrova addosso! Ma, davvero. Cioè ti giuro, questo cane di almeno 100kg su di lei a leccarle la faccia!» “Leccarle la faccia” era niente rispetto a quello che le stava davvero facendo. Iniziò a ridere poi nel ricordare la faccia sconvolta di Sirius. Lasciò da parte quel pezzo, concludendo. «La storia finisce con meno venti punti ai Serpeverde, ed una studentessa in infermeria per un braccio rotto. Ma sai che forse l’hai curata tu?» Le ci volle un attimo per ricordarsi che la donna di fronte a sé era l’infermiera del castello. Aveva parlato tantissimo e sentì quasi l’affanno per le risate. Sperò di non aver esagerato, di non essere stata troppo informale con Jolene. Non sapeva quale realmente fosse il confine tra donna ed infermiera. «Secondo te perché la gente usa i filtri d’amore?» La domanda nacque spontanea nella sua testa, poi fuoriuscì dalla sua bocca. Era una cosa che si chiedeva continuamente. Che senso aveva far innamorare qualcuno di sé per due o tre ore e poi finire feriti più di prima?

Perché la vita, senza te, non può essere perfetta.

 
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Jolene White

Anche se in quel momento Jolene era apparentemente concentrata sul proprio toast – perché si sa, il cibo gode di una certa priorità –, non mancò di scorgere, con la coda dell'occhio, il movimento discreto con cui Mary spostò Roxane fuori dal cono di luce che aveva appena rischiarato il loro tavolo. Qualcun altro non avrebbe badato a quel gesto così piccolo, dimenticandosene nell'istante stesso in cui vi assisteva. Non così Jolene; non era da escludere che disponesse di una sensibilità esagerata, e che spesso ingigantisse fatti di poco conto, ma, comunque fosse, per lei quella fu una piccola dimostrazione di una cura non indifferente. Le fece venire in mente due nozioni diverse: innanzitutto, che Mary si identificava con la terra o, per meglio dire, il fango; in secondo luogo, che aveva servito al castello come aiuto infermiera. Nella sua testa vi era ora un nesso perfettamente logico tra le due cose, un nesso che si riassumeva dolcemente nel gesto con cui aveva protetto la pianta. Jolene, allora, si sentì intenerire, ma non disse niente, né diede segno di aver notato.
D'altronde la conversazione non languiva affatto, trovando nel Quidditch un terreno più fertile di quanto Jolene si fosse aspettata.
«Colpire i giocatori delle altre casate è terapeutico.» Jolene rise nel sentire quella che, per lei, non poteva che essere un'allegra battuta. Divenne un po' più pensierosa, invece, quando poco dopo presero a parlare del volo più semplice e immediato, quello degli animali, che Mary cercava di descrivere. Lo sguardo di Jolene brillava di curiosità nell'osservare l'altra da dietro il calice di acquaviola, da cui prese un sorso generoso. Aveva appena posato il bicchiere sul tavolo con un piccolo tonfo quando, senza che vi riflettesse, diede voce ad un'unica, breve affermazione: «Sì, sono delle sensazioni meravigliose». A meno che non fosse stata incalzata, Jolene non avrebbe proseguito su quel filo di pensieri; avrebbe lasciato che le sue parole si amalgamassero al flusso della discussione, appena un po' stonate rispetto al resto, per concentrarsi invece su altri aspetti.
«Penso che tu sia la prima giocatrice ad ammettere una cosa del genere» commentò con un sorriso, in relazione alla qualità più o meno noiosa delle partite. Si domandò se Mary l'avesse detto solo per consolarla del suo scarso entusiasmo nei confronti dello sport, o se davvero vi trovasse gioia solo quando lei per prima scendeva in campo.
Alcuni bocconi dopo, Jolene si ritrovò nuovamente a sorridere, e questa volta la sua espressione sembrava un po' più aperta, più brillante nell'accogliere le parole gentili di Mary. «Davvero ti piacciono? Ti ringrazio, non so mai come i lettori possano prendere quegli articoli, in fondo parlo più da appassionata che da esperta.» L'articolo citato dalla Grifondoro era uno di quelli che le stavano più a cuore, la cui stesura era stata particolarmente delicata nel doversi destreggiare tra questioni che, seppur datate, rischiavano ancora di infiammare gli animi. Aveva preso consapevolmente la scelta di lasciare implicita la propria posizione, ma Mary le confermava che un lettore attento l'avrebbe colta comunque.
In quell'occasione, Jolene si scopriva facile alla risata, tanto che si lasciò andare nuovamente di fronte al finto cipiglio di Mary. «Parola mia, non ho mai fatto nulla del genere» commentò tra le risate. «Anche se suona tanto come una cosa da Corvonero, vero?» I bronzo-blu erano notoriamente i secchioni di Hogwarts, reputazione che non aveva bisogno di trovare riscontro nella realtà per venire tramandata di generazione in generazione. Tuttavia, anche se lo stereotipo li voleva come in assoluto i più studiosi e diligenti, Jolene aveva conosciuto moltissimi alunni di altre casate che si approcciavano allo studio con entusiasmo e metodo pari, se non addirittura maggiori. Avrebbe scommesso che Mary facesse parte di quella cerchia, e dalla sua risposta non si sentì di escludere del tutto quella idea. Incantesimi ed Erbologia, appena citate dalla ragazza, erano due delle materie che anche Jolene prediligeva, assieme a Pozioni. Ma, nel doverne scegliere una sola da menzionare, Jolene non ebbe dubbi: «Trasfigurazione. Ogni tanto cerco ancora di imparare qualcosa di nuovo».
Ogni nuova frase della loro attuale conversazione ricordava a Jolene del divario che la separava da Mary, essendo loro due, per così dire, dalle parti oppose dei M.A.G.O. Sarebbe stato impossibile scordarselo, ma nonostante questo la distanza tra loro, lungi dal pesarle, diventava un'occasione di confronto, uno spazio che avrebbero colmato con le parole, con i modi simili di sentire. A Jolene non sembrava di vestire i panni né dell'adulta né dell'infermiera, quanto, semplicemente, i suoi; si comportava come più le era naturale, e mai, nemmeno per un istante, le capitò di domandarsi se invece avrebbe fatto meglio a tracciare un confine più distinto. Sarebbe stato un peccato sacrificare all'affettazione anche solo una parte del naturale piacere per quello scambio, dover piallare le smorfie ora di disgusto, ora di divertimento in cui si scompose durante il racconto dell'altra, o ridurre ad un educato sorriso distante la risata che infine la scosse.
«Merlino!» esclamò, la voce un po' più acuta del solito. Si passò una mano sul viso, trascinando indietro i capelli a scoprire del tutto le guance un po' arrossate. «Mi sembra di ricordare una studentessa con un problema del genere, ma non sapevo tutti i retroscena. È grottesco!» Si sentiva un po' in colpa a ridere così, a dire il vero, ma la storia era così assurda, e l'allegria di Mary così contagiosa, che non poteva fare a meno di accogliere il tutto con grande ilarità. A ben pensarci, però, c'erano delle premesse piuttosto disturbanti, a partire dall'impiego della pozione d'amore. La naturale diffidenza verso quegli intrugli si era tramutata, col passare del tempo e il raggiungimento di una sufficiente maturità, in un vero e proprio disprezzo, tanto che ancora non si capacitava del fatto che il Ministero ne permettesse il commercio. Più scemava l'energia dovuta al raccontare concitato di Mary, più la sua storia si tingeva di una certa cupezza e, quando quella le chiese cosa ne pensasse dei filtri d'amore, Jolene ebbe l'impressione che le avesse letto nella mente.
«Di certo non perché è sinceramente innamorata» rispose di getto, stringendosi nelle spalle. «Far perdere la testa ad una persona e costringerla a fare qualcosa che normalmente non vorrebbe sembra più quello che faresti al tuo peggior nemico.» Prese un morso dal suo toast, ormai mangiato per metà, e nel breve silenzio che le impose studiò la reazione di Mary. Da quel che ne sapeva, quelle pozioni erano un argomento di discussione sempreverde soprattutto tra le ragazzine più giovani, mentre all'età della Grifondoro si cominciava ad avere abbastanza sale in zucca da sapere di doverle evitare. Jolene stessa ricordava alcuni incidenti piuttosto spiacevoli risalenti al suo periodo di studi, ma non era in vena di rivangare quelle storie. Si era sempre domandata come potesse qualcuno sperare di ottenere il vero affetto attraverso un inganno. «Sinceramente, proprio non lo so perché lo facciano. Hai mai provato a parlare con questa ragazza?» Terminò su una nota di sincera curiosità, prima di immergersi per qualche secondo tra i suoi pensieri. Desiderava capire – non perché pensava di poter condividere le ragioni, ma per semplice determinazione ad andare a fondo di ogni faccenda.
Si riscosse con un piccolo scatto che la fece ergere più dritta sulla sedia. «Pensiamola in termini diversi, più generali. Immagina...» Sollevò le mani di fronte a sé e fece correre lo sguardo lungo il tavolo, alla ricerca del giusto oggetto scenico. Dopo un istante di esitazione afferrò il calice di acquaviola e lo sollevò, come a chiedere a Mary di focalizzare su di esso la sua attenzione. «Immagina di avere di fronte a te una pozione in grado di risolvere quel problema a cui non puoi fare a meno di pensare. Quella cosa che ti rende triste, o, se non proprio triste, che rovina un po' la tua felicità. E questa pozione è il modo più semplice per passare oltre a tutto, come se non fosse mai esistito» come se, cioè, non si fosse mai risolto – ma tralasciò di dirlo, non voleva influenzare l'altra, anche perché cercava un confronto reale che potesse rendere le sue stesse idee più chiare. «Ti lasceresti aiutare?» A quel punto, tacque. L'acquaviola restava sospesa tra di loro, rappresentazione fisica di quel piccolo gioco o esperimento che fosse. Dietro il calice, Jolene attendeva.
21 anni | infermiera | indagatrice
 
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view post Posted on 21/1/2021, 19:06
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Mary Grenger
Che c'ho una frase scritta in testa ma non l'ho mai detta



Il sole stava ancora girando, potevano notare. Indicava quanto tempo avessero trascorso insieme, seppur non sembrasse. Mary percepì lo scorrere del tempo quando, allontanando per giusto un secondo lo sguardo da Jolene, abbassò la testa per addentare il suo toast. Il problema? Il toast era finito e tante care cose. Le prese per un attimo il panico – interiormente – nel constatare la cosa poiché si era semplicemente resa conto che non voleva che quel pranzo con l’infermiera finisse. Il che, d’altra parte, era ugualmente spaventoso: sapeva di provare qualcosa per la donna – e forse anche Jolene stessa ne era consapevole – e dunque starle per così tanto tempo accanto non poteva che rivelarsi deleterio per la sua salute mentale, e per il conteggio delle crush, ovviamente. Il panico, le domande, gli occhi sgranati, si andarono perdendo quando Jolene rise alla sua battuta. Se qualcuno le avesse chiesto quale fosse stato il momento migliore della sua estate lei avrebbe risposto “questo, esattamente”: il momento preciso in cui Jolene le donò un’altra risata, il momento in cui era riuscita a cacciar fuori un’altra stupidaggine tanto comica, o troppo poco comica, da spingere l’infermiera ad aprirsi in una composta risata. Mary, dalla sua parte, osservava affascinata la donna di fronte a lei, come se fosse in un teatro ad assistere allo spettacolo più emozionante del secolo. La sua risata, così armoniosa, così precisa, così tanto gradita da aprirle il volto, tingerle le guance. La Grifondoro sentì quasi gli uccellini intonare una dolce melodia appena fuori dai Tre Manici e il suo stomaco borbottare parole dolci, i suoi palmi lacrimare di gioia, le sue guance in fiamme.

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Abbassò la testa per poi nascondere tutta quella serie di emozioni dietro il bicchiere. Un sorso, due, piccoli ma rinfrescanti. La paura che anche l’alcool potesse finire e così sancire la fine del loro pranzo era come una presenza ombrosa alle sue spalle. L’affermazione di Jolene riguardo le sensazioni che il volare provocava passò inosservata – fu forse l’unica che Jolene disse a cui Mary diede poco conto, purtroppo. «Davvero.» la sua voce chiara e carica di onestà. «Ma non è proprio la passione a rendere le persone esperte nei propri campi?» Voleva porla come una affermazione, ma la sua età, il suo carattere sempre un po’ impacciato, le impedivano di avere il coraggio di imporre le sue idee nelle conversazioni. «Se tu sei un’infermiera così brava, esperta, è perché ti piace ciò che fai.» un altro sorso di idromele, poi un piccolo «Credo.» a spezzare il ritmo. I suoi occhi si muovevano con lentezza nel disperato tentativo di cogliere tutto ciò che era Jolene e memorizzarlo nella sua testa. Il suo volto illuminato, comunque, l’avrebbe raggiunta più e più volte nelle notti a seguire, ne era consapevole. «Trasfigurazione è una materia che mi terrorizza.» Non era stata sicura di volerlo dire ad alta voce perché una tale affermazione richiedeva un ragionamento più profondo. Eppure, lo aveva fatto per il solo fatto che la presenza di Jolene la metteva a suo agio forse per la prima volta dal ballo. La sentiva più umana, più vicina a lei di quanto avesse pensato. Si prese un attimo per soppesare le parole giuste da scegliere perché per quanto volesse essere sé stessa sempre, era altrettanto importante mostrare all’infermiera una certa intelligenza. «L’idea che-» spostò lo sguardo su di un punto alle spalle di Jolene senza però identificarlo davvero. Rimise in ordine i pensieri tentando, per una volta, di esporre un racconto lineare. «Ricordo la mia prima lezione quando il professore sottolineò la pericolosità delle trasfigurazioni. Se sbagli, se ti distrai per un attimo, finisci per ritrovare la coda del tuo gatto trasfigurata in un pendolo. Se sbagli formula, se sbagli il movimento, potresti ferire qualcuno. Io non-» il filo del discorso, la corda che teneva insieme i suoi pensieri si spezzò d’improvviso. Il suo sguardo era ritornato eventualmente su Jolene, la sua voce era incerta e leggermente preoccupata nell’esporre confusamente il suo pensiero. «Non so.» Aggiunse, i suoi occhi ad analizzare la reazione dell’altra. «Non mi piace mettere a rischio gli altri.» l’animo gentile, l’insita necessità di difendere, proteggere, erano così radicate in lei da farle provare angoscia anche solo l’idea di poter sbagliare qualcosa e provocare dolori ad altri. Scattò con gli occhi in su nel momento esatto in cui un piccolo campanello di allarme risuonò nella sua testa: e se le sue parole avessero in qualche modo offeso Jolene? «Però ecco, penso sia una cosa soggettiva. Al di là di questo, penso sia una materia affascinante.» ed era convinta della cosa, in un certo senso.
Comunque, tutto il suo corpo era rimasto in attesa della risposta di Jolene sui filtri d’amore. Da quel poco che sapeva di Jolene, della sua persona, della sua integrità morale, aveva un po’ immaginato la sua opinione ma sentirla davvero, sentire di aver ragione, la coinvolse ancor di più. «Far perdere la testa ad una persona e costringerla a fare qualcosa che normalmente non vorrebbe sembra più quello che faresti al tuo peggior nemico.» «Esatto!» rispose di getto, il suo tono si alzò leggermente e, nel rendersene conto, si guardò velocemente intorno. I filtri d’amore la facevano impazzire e Jolene aveva detto proprio bene. Erano qualcosa che lei considerava quasi una tortura, se non per forza fisica, di certo morale. «No, non le ho parlato. Girano varie voci sulla faccenda ma non so se affidabili.» *e non mi va di condividere falsità.* Concluse. Solo Iberzia poteva sapere il perché di quel gesto ed in nessuna occasione era giusto spargere voci false. Prima di parlare, cercando di esporre il suo di pensiero a riguardo, Jolene la interruppe, proponendo un esempio. Seguì il movimento della mano della donna, sul suo volto un leggero sorriso che l’azione dell’altra le provocò spontaneamente. Poi, il suo sguardo si mosse più volte alternandosi tra il volto dell’infermiera e il bicchiere sospeso in aria. «Ti lasceresti aiutare?» per un attimo la sua bocca si aprì, come a voler spontaneamente gettarsi in una risposta senza troppi fronzoli. La chiuse subito perché le sembrò ovvio doverci ragionare un attimo. Pensò, allora, di applicare quel pensiero a qualcosa che le stava succedendo nella vita, esattamente in quel momento. Il suo sguardo ritornò sull’acquaviola e si perse nel liquido mentre il suo cervello si spingeva altrove. Il problema da risolvere, che rovinava un po’ la sua felicità, era la sua cotta per Jolene. La pozione, una via di uscita semplice. Troppo semplice. Quando i suoi occhi raggiunsero Jolene si chiese come sarebbe stato semplicemente dimenticare la sua esistenza, magari finire per non incontrarla mai al castello. Quella possibilità si tramutò in una fastidiosa sensazione alla gola e le sopracciglia le si incresparono rapidamente. «Io no.» la sua risposta, anche alle sue orecchie, le parve dubbiosa. «Però capisco chi lo farebbe.» lasciò ancora una volta il volto di Jolene, tornando sul bicchiere. «Penso che la persona che sono oggi è definita da tutte le cose che ho perso o che mi hanno reso triste.» inevitabilmente la figura dei suoi genitori le si presentò repentina nel cervello. Una ferita che, seppur non più fresca, raggiunse presto il suo petto sottoforma di fitta. «E in un certo senso se prendo le cose con molta più leggerezza o, no…Con più allegria, è perché so qual è il sentimento opposto.» strinse la mano destra intorno al suo bicchiere, la sinistra nascosta tra le gambe, le dita a scandire un ritmo nascosto. «Però, sai, se hai una pozione che ti può far dimenticare il dolore, che ti elimina il problema sul nascere e ti risparmia tutte le conseguenze del caso, perché qualcuno vorrebbe non prenderla?» perché qualcuno dovrebbe scegliere il dolore, invece che semplicemente l’assenza del problema? «Tu cosa faresti?» a quel punto, i suoi occhi si spinsero con fare indagatore su Jolene, ribaltando il gioco dell’attesa. Il suo cuore, nel frattempo, era accelerato di qualche battito: esporsi così non era mai stato facile per lei.

Perché la vita, senza te, non può essere perfetta.

 
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15 replies since 30/7/2020, 10:47   538 views
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