Sabato, tre settimane dopo il ballo, 04.15 Aveva gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta. Qualcuno le baciò il collo con delicatezza; una delicatezza che non impiegò molto a tramutarsi in aggressività.
Un’irruenza ben accetta da Mary che produsse un leggero
ah pieno di piacere, gli occhi chiusi con una tale forza che quasi provò dolore.
Sei bellissima.Sorrise.
Olivia glielo aveva sussurrato nell’orecchio con malizia conscia dell’effetto che avrebbe avuto sull’altra ragazza. Mary voleva risponderle, voleva dirle che anche lei era bella,
di più, era bellissima, era fantastica con quei suoi capelli biondi, gli occhi chiari, con il suo carattere deciso, lineare. Ma non ci riuscì. Olivia raggiunse presto la bocca della grifondoro baciandola con insistenza, con voglia. Mary si fermò: voleva guardare la ragazza negli occhi e poi farle provare quello che lei stava provando in quel momento, sul letto della casa di sua zia Hannah.
Aprì gli occhi. Lì sgranò quando trovò sopra di sé Jolene White, i suoi occhi verdi, i suoi capelli rossi. Sul viso, ricoperto di bellissime lentiggini, un sorriso aperto, felice,
vivo.
Sei bel-Si svegliò con un sussulto. Un incubo.
Percepiva i capelli bagnati all’altezza del collo. Il cuore batteva ad una velocità insolita. Ansimava come dopo una corsa la mattina. Senza occhiali si sentì da subito disorientata. I ricordi riaffiorarono velocemente: dormitorio grifondoro, stanza di Katie, vacanze estive. Già ad inizio estate tutti avevano lasciato il dormitorio e quindi Mary ebbe l’opportunità di dormire con la sua migliore amica, nel letto a lei vicino.
Ehi, che c’è?Il mormorio di Katie le arrivò senza problemi visto il silenzio in camera. Mary guardò la sua sagoma sbiadita nell’oscurità e neanche per un attimo ritenne necessario dirle la verità.
Nulla. Dormi.Katie dovette crederle perché non insistette oltre. Si rigirò nel suo letto con un leggero
mh dando le spalle all’amica. Mary non mentiva spesso, anzi non mentiva mai. Le risultava difficile con tutti, con Katie ancora di più poiché era capace di leggerle nella mente con una tale facilità che Mary temeva avesse qualche abilità speciale. Però in quell’occasione, visto il sogno, visto il fatto che con l’oscurità l’amica non poteva guardarla negli occhi, lo fece.
Si alzò dal letto con le immagini ancora vivide davanti i suoi occhi e andò in bagno. Sciacquò la faccia con insistenza per due o tre volte e allo stesso tempo bevve un po’ d’acqua, aveva la gola secca e non aveva dubbi sul perché. Portò entrambe le mani ai lati del lavandino e alzò finalmente il viso per fare i conti con sé stessa. Voleva piangere e voleva urlare e voleva scappare e scomparire e voleva, voleva, voleva. Voleva tornare a casa.
Gli occhi le si riempirono di lacrime e in un attimo le vide scorrere sul viso e confondersi con l’acqua.
Si era scocciata di avere a che fare con la persona riflessa nello specchio. Si era scocciata di trovarsi ad affrontare situazioni inspiegabili. Inspiegabili come l’amore o quello che era.
Si vergognava ad avere sognato Jolene. Sentiva che quei sentimenti erano sbagliati. Non perché Jolene fosse una donna o perché ricoprisse un ruolo istituzionale all’interno del castello ma perché erano sentimenti fondati sul nulla. La faceva impazzire. Non la conosceva neanche.
Serrò i denti ed abbassò la testa, le lacrime ora scendevano silenziose rigandole il viso.
Le capitava spesso di vedere una persona ed innamorarsene, e per questo quando le successe la stessa cosa con l’infermiera non le risultò strano. Ma così come comparivano, quelle infatuazioni svanivano nel giro di una, massimo due settimane. Quella nei confronti di Jolene era invece persistente ed era per questo che Mary era tanto arrabbiata con sé stessa. Era infuriata perché non le poteva controllare le sue emozioni, non poteva smettere di pensare a Jolene nei momenti vuoti delle sue giornate, di chiedersi se preferisse il thè o il caffè, se a scuola studiava Storia della magia con la stessa voglia che ci metteva lei, se conosceva il mondo babbano o era relegata ad una sola realtà. A guardarsi nello specchio si sentì smarrita. E provò un senso di colpa nei confronti dell’infermiera per quando alla festa l’aveva messa in imbarazzo. Riusciva ancora a vedere il viso turbato di Jolene quando realizzò le intenzioni di Mary.
Stupida.Ripeté quella parola più volte come un disco rotto. Portò una mano sullo specchio perché guardare il suo riflesso le dava ancora più rabbia. Doveva smetterla e doveva farlo subito. Smettere di fare cosa? Di essere una bambina? Di innamorarsi così facilmente di persone con cui non aveva nulla a che fare. Doveva smetterla. Si chiese se da adulta fosse riuscita a cambiare, magari con un amore stabile nella vita.
La sua vita. Quante cose sognava per sé ogni giorno.
Tirò sul col naso, asciugò le lacrime sul viso con entrambe le mani ed infine guardò il suo riflesso nello specchio: gli occhi gonfi ma determinati, la bocca tirata come una linea sottile, le guance rosse. Uscì dal bagno.
Promise a sé stessa che non avrebbe più pensato a Jolene White.
Giovedì, 13.06Ci riuscì.
In quei giorni aveva evitato il secondo piano come se infestato dalle caccabomba. Ma non solo: era stata attenta a non mangiare in sala grande, evitare la biblioteca che pensò potesse essere un luogo frequentato dalla donna. In realtà non sapeva con sicurezza se Jolene si trovasse ancora al castello o meno. Era capitato, appena un giorno prima, che in sala comune uscisse il suo nome. Mary era scappata in camera sua e quasi era inciampata per la corsa. Temette che a sentir parlare di lei riaffiorasse quell’interesse che stava provando, con tanta attenzione, a far assopire. *Scomparire. Boom, out per sempre. Addio. Chi sei?*
Ma il suo piano era semplice: sfruttare i tre mesi estivi per dimenticare, definitivamente, la donna. Metà della sua estate l’avrebbe passata nel mondo magico ad arredare casa con Katie, l’altra metà l’avrebbe trascorsa a casa di sua zia Hannah, nel mondo non-magico. Avrebbe approfittato della presenza dei suoi amici per andare ad ubriacarsi nei locali, a ballare tutta la notte, a finire nel letto di qualsiasi uomo e donna non avesse i capelli rossi e poi a bere e bere e bere.
Si ritrovò a
Hogsmeade con una piantina in mano e l’odore di dolci ancora impregnatole addosso. Aveva passato tutta la mattinata avanti ed indietro, sotto il sole mortifero, per cercare quella dannata pianta e a svolgere delle commissioni per la proprietaria di
Madama Piediburro che forse, della bontà di Mary, ne stava abusando un po’ troppo. Aveva i capelli alzati in un modo piuttosto approssimativo, il volto arrossato per la stanchezza ed il caldo, gli occhi stanchi delle notti insonne passate a
non pensare. E a non dormire. Era sudata, la camicia le sembrò un tutt’uno con la sua schiena. Aveva alzato le maniche ma aveva preferito evitare si notasse il tatuaggio sul braccio. Non le piaceva che la gente lo vedesse perché poi le avrebbero chiesto il motivo. Ed un motivo in realtà non c’era. Era un tatuaggio che aveva fatto perché le piacevano i colori, i simboli. Le sembrava una risposta ridicola e allora preferiva non parlarne affatto.
Girò la testa verso la destra, alzò gli occhiali che, per il sudore, le erano scesi un po’ sul naso e notò i
Tre Manici di Scopa. Si leccò le labbra salate immaginando di già il sapore di qualcosa, qualsiasi cosa, di freddo. Congelato. Avrebbe anche mangiato il ghiaccio se fosse stato necessario.
Ora entriamo, ci prendiamo una cosa fredda e poi ti porto a casa, che ne dici?Non era strano per la grifondoro parlare con le piante. Lo faceva giornalmente con l’ornitogallo nella sua stanza ed in più aveva letto che comunicare con loro significava aiutarle a crescere meglio. Inoltre, era quasi terapeutico per lei rivolgersi a qualcuno al di fuori della sua migliore amica. Le piante erano come un diario. Spinse la porta d’ingresso del locale con la spalla destra mentre proteggeva con entrambe le mani la sua piantina. Roxane.
Il locale era, come aveva già previsto, affollato. Mary sbuffò all’idea di dover aspettare. Rinunciare alla frescura che percepiva nell’ambiente a favore del calore fuori in strada? Anche no. Attese impaziente il suo turno, gli occhi vagavano sui tavoli dei vari clienti per indagare sui gusti di burrobirra, sulle bevande disponibili pregustando di già ciò che avrebbe ordinato. Se il calore si era decisamente assopito, Mary percepiva ancora un sentore di stanchezza, la tracolla sulla sua spalla pesava come un macigno. Le si illuminò il viso quando vide una coppia alzarsi. Cercò di non darlo a vedere ma le sue gambe si mossero velocemente in direzione del tavolo per paura che qualcun altro potesse avvicinarsi. Fu soddisfatta solo quando infine riuscì a sedersi. Il tavolo era in fondo alla sala, aveva scelto la sedia che le dava la possibilità di vedere chi entrasse così da intrattenersi durante la sua breve permanenza nel bar. Roxane era stata posizionata al centro del tavolo, Mary aveva accarezzato con estrema premura qualche foglia e aveva mormorato qualche parola di incoraggiamento. Alzò lo sguardo in cerca di un cameriere. Doveva ordinare qualcosa prima di sciogliersi lì sulla sedia.
Chiunque fosse entrato in quel momento avrebbe avuto modo di vedere una ragazza sorridere di cuore mentre allungava un dito in direzione della piantina, come a giocarci insieme. Uno scorcio di pura felicità che, a posteriori, Mary avrebbe voluto qualcuno catturasse. Per un attimo era tornata a sentirsi sé stessa: una diciassette che di problemi non ne aveva, se non quelli che si creava da sola.
*Dove sei Madama Rosmerta? Dove sei.*
Perché la vita, senza te, non può essere perfetta.